Codice Civile art. 1480 - Vendita di cosa parzialmente di altri.

Cesare Taraschi

Vendita di cosa parzialmente di altri.

[I]. Se la cosa che il compratore riteneva di proprietà del venditore era solo in parte di proprietà altrui, il compratore può chiedere la risoluzione del contratto e il risarcimento del danno a norma dell'articolo precedente, quando deve ritenersi, secondo le circostanze, che non avrebbe acquistato la cosa senza quella parte di cui non è divenuto proprietario [1419 1]; altrimenti può solo ottenere una riduzione del prezzo, oltre al risarcimento del danno [1484, 1489; 171 trans.].

Inquadramento

Secondo la prevalente dottrina, si ha vendita di cosa parzialmente altrui quando il venditore aliena in nome proprio e per l'intero un diritto di cui è solo in parte titolare per una porzione del bene o per una quota astratta (Bianca, 776; Luminoso, 640; contra Rubino, 375, secondo cui, invece, l'art. 1480 c.c. si applicherebbe solo nel caso in cui il venditore abbia la proprietà di una parte materiale distinta della cosa).

Anche in giurisprudenza si ritiene che la fattispecie in esame ricorra sia quando il diritto del venditore sia limitato ad una porzione materiale del bene (communio pro diviso), e quest'ultimo venga alienato per l'intero, sia nell'ipotesi in cui l'alienante venda per l'intero una cosa di cui egli sia proprietario soltanto pro quota (Cass. II, n. 20347/2015; Cass. II, n. 387/2005), sicché anche in questa seconda ipotesi, ossia quando la cosa venduta sia oggetto di comunione pro indiviso tra venditore e terzi, il compratore in buona fede può chiedere la risoluzione del contratto ex art. 1479 c.c. (Cass. II, n. 3736/1984).

Peraltro, è indubbio che la vendita di cosa parzialmente altrui ha effetti obbligatori soltanto per la quota relativa a diritti altrui, mentre per la parte soggetta al potere di disposizione dell'alienante produce immediati effetti traslativi, salvo che l'acquirente non faccia valere i diversi diritti conferitigli dalla norma in esame (Cass. II, n. 11154/1997; Cass. I, n. 4405/1983). Invero, la disciplina della vendita di cosa parzialmente altrui si applica in base alla situazione oggettiva della res alienata (indipendentemente dagli elementi soggettivi come la scienza o l'ignoranza delle parti al riguardo), sicché il trasferimento parziale del bene non dipende da una volontà del venditore in tal senso, ma dal principio di conservazione degli effetti negoziali, che si esprime nell'art. 1480 c.c. In altri termini, il trasferimento parziale del bene, qualora il compratore decida di conservare la proprietà della quota alienatagli, non può essere impedito dal venditore che eccepisca di essere titolare di una sola quota (Cass. II, n. 20347/2015).

Conformemente a tale ultimo principio, si è ritenuto che la vendita di un bene predisposta per la partecipazione di tutti i comproprietari, ma stipulata da uno solo di essi, deve considerarsi inefficace con riferimento all'intera res empta, ma, trattandosi di inefficacia soltanto relativa, legittimato a farla valere è soltanto il compratore, il quale può chiedere, in sede giudiziale, l'accertamento dell'efficacia del contratto in relazione alla quota del comproprietario validamente intervenuto alla stipula, senza che quest'ultimo possa a ciò opporsi, in assenza di un apprezzabile interesse a che la cosa indivisa sia venduta per l'intero, a meno che, dal contratto di compravendita, non risulti che il negozio sia stato comunemente inteso come vendita unitaria (che le parti, cioè, abbiano convenuto la stipula nel comune presupposto della successiva adesione degli altri contitolari della comunione) (Cass. II, n. 155/2004).

Tutela del compratore

Nella vendita di cosa parzialmente altrui, il compratore può chiedere la risoluzione del contratto solo se, quando lo ha concluso, ignorava che la cosa non era di proprietà del venditore e possa ritenersi, secondo le circostanze, che non avrebbe acquistato il bene senza quella parte di cui non è divenuto proprietario; pertanto, in mancanza dell'una o dell'altra delle predette condizioni, il compratore può solo chiedere la riduzione del prezzo ai sensi della norma in esame (Cass. II, n. 2892/1996; Cass. III, n. 6355/1981).

La supposizione di ciò che il compratore avrebbe fatto se avesse conosciuto la parziale alienità del bene è da taluno informata ai principi valevoli per l'inadempimento ex artt. 1453 e 1455 c.c. (Bianca, 788, secondo il quale, peraltro, l'onere di provare che il compratore avrebbe in ogni caso acquistato il bene compete al venditore), da altri alle regole stabilite per la parziale nullità del contratto di cui all'art. 1419 c.c. (Bonfante, 111; Rubino, 376).

In ogni caso, come per la vendita di cosa totalmente altrui, anche nel caso della vendita di cosa parzialmente altrui non rileva la circostanza che la buona fede del compratore sia colpevole, quando il venditore abbia affermato, contrariamente al vero, l'inesistenza di diritti altrui sulla cosa alienata (Cass. III, n. 1809/1967).

In caso di conoscenza da parte del compratore della parziale alienità della cosa, il venditore, se aliena il diritto per l'intero, è tenuto all'adempimento entro il termine pattuito o fissato giudizialmente e al compratore spettano i normali rimedi contro l'inadempimento (Bianca, 782; contra Branca, 125, secondo cui, allo scadere del termine, in caso di inadempimento sarebbe applicabile l'art. 1480 c.c.); se, invece, l'alienazione ha per oggetto solo la quota che spetta al venditore, non ricorre la figura della vendita di cosa altrui (Bianca, 783).

Rimedio alternativo alla risoluzione del contratto è la riduzione del prezzo, il quale sarà diminuito nella stessa misura percentuale in cui diminuisce il valore e l'utilità del bene, e tale percentuale può essere determinata anche con criterio equitativo (Bianca, 781). Il valore deve essere determinato avuto riguardo all'epoca della vendita e non al momento in cui si richiede la riduzione del prezzo (Rubino, 376).

La restituzione di una parte del prezzo, conseguente all'accoglimento dell'actio quanti minoris ex art. 1480 c.c., è debito di valuta , in quanto ha natura di rimborso a favore dell'acquirente e, in sé, non inerisce ad un'obbligazione risarcitoria, derivando dal venir meno, per effetto dell'accertamento della parziale alienità della cosa, della causa dell'obbligazione di pagamento dell'intero prezzo (Cass. II, n. 22087/2019; Cass. II, n. 2060/2013).

Si ritiene che, trattandosi di bene divisibile, potrebbe chiedersi una risoluzione parziale che affermi il diritto del compratore su una determinata porzione di esso (Bianca, 781).

Oltre alla riduzione del prezzo, il compratore ha diritto al rimborso, proporzionale alla riduzione del prezzo, delle spese fatte per il contratto o sulla cosa e, se vi è stata colpa del venditore, anche al risarcimento dell'eventuale maggior danno (Rubino, 376).

Secondo la giurisprudenza, per il risarcimento del danno non è necessaria la mala fede del venditore (Cass. II, n. 2498/1986, secondo cui è sufficiente la colpa) e spetta al medesimo venditore l'onere di provare che la porzione in contestazione della cosa compravenduta gli apparteneva (Cass. II, n. 12346/1997).

Nel caso in cui il compratore di un fondo agisca nei confronti del venditore per ottenere la riduzione del prezzo, oltre al risarcimento del danno, sul presupposto che una parte dell'immobile venduto risulta di proprietà di un terzo, si configura un'ipotesi di evizione parziale, disciplinata dall'art. 1480 c.c., con la conseguente inapplicabilità del termine di prescrizione annuale previsto dall'art. 1541 c.c., avente riguardo unicamente alla diversa ipotesi di cui all'art. 1538 c.c., e cioè al caso in cui si accerti che il fondo oggetto della compravendita abbia una estensione minore di quella dichiarata dai contraenti (Cass. II, n. 23343/2009).

Nel caso di vendita di un bene, facente parte di una comunione ereditaria, da parte di uno solo dei coeredi, la stessa ha solo effetto obbligatorio, essendo la sua efficacia traslativa subordinata all'assegnazione del bene al coerede-venditore attraverso la divisione; pertanto, fino a tale assegnazione, il bene continua a far parte della comunione e, finché essa perdura, il compratore non può ottenerne la proprietà esclusiva. Pertanto, se il bene parzialmente compravenduto costituisce l'intera massa ereditaria, l'effetto traslativo dell'alienazione non resta subordinato all'assegnazione in sede di divisione della quota del bene al coerede-venditore, essendo quest'ultimo proprietario esclusivo della quota ideale di comproprietà e potendo di questa liberamente disporre, con l'effetto di far subentrare il compratore, pro quota, nella comproprietà del bene comune (Cass. II, n. 26051/2014; Cass. III, n. 9543/2002). Anche nel caso di vendita, da parte di uno dei comproprietari, di un bene facente parte di una comunione ordinaria, è stata riconosciuta l'efficacia solo obbligatoria della stessa, essendo quella traslativa subordinata all'assegnazione del bene al venditore a seguito della divisione; pertanto, fino a tale momento, poiché il bene continua a far parte della comunione, l'acquirente può avvalersi solo dei diritti di cui all'art. 1113 c.c., e non è parte necessaria del giudizio di divisione e la sua mancata evocazione in giudizio comporta unicamente che la divisione non abbia effetto nei suoi confronti, ma non anche l'invalidità della sentenza pronunciata in sua assenza (Cass. VI-II, n. 4428/2018).

Sotto il profilo processuale si è osservato che la domanda intesa ad accertare la (parziale) alienità della cosa compravenduta, al fine di farne discendere gli effetti previsti dall'art. 1480 c.c. nei rapporti tra venditore e compratore, non realizza un'ipotesi di litisconsorzio necessario rispetto al terzo proprietario di parte della cosa (Cass. II, n. 5517/1984).

Applicabilità della norma al contratto preliminare

Al contratto preliminare di compravendita di cosa parzialmente altrui (nella specie, un fondo indiviso) si adatta la disciplina prevista dagli artt. 1478 e 1480 c.c., con la conseguenza che il promittente venditore resta obbligato, oltre che alla stipula del contratto definitivo per la quota di sua spettanza, a procurare il trasferimento al promissario acquirente anche di quella rimanente, o acquistandola e ritrasferendola al promissario acquirente, oppure facendo in modo che il comproprietario addivenga alla stipulazione definitiva. Ne consegue che un siffatto contratto preliminare è valido, benché insuscettibile di esecuzione in forma specifica per via giudiziale ai sensi dell'art. 2932 c.c., e rimane assoggettato all'ordinario regime risolutorio e/o alla domanda di risarcimento del danno per il caso di inadempimento dell'obbligazione assunta dal promittente venditore (Cass. II, n. 26367/2010; Cass. II, n. 8797/2000; Cass. II, n. 3677/1996; ma v. Cass. II, n. 1741/1986, secondo cui quando la promessa di vendita abbia per oggetto una cosa che risulti poi di estensione minore di quella pattuita, per essere la rimanente parte di proprietà di un terzo, il promissario acquirente può esperire l'azione di esecuzione specifica dell'obbligo di concludere il contratto definitivo ex art. 2932 c.c., chiedendo contestualmente e cumulativamente la riduzione del prezzo; nonché Cass. II, n. 8417/2016 in ordine al preliminare di vendita di cosa altrui).

Anche secondo Cass. II, n. 3638/2004, è valido il preliminare di vendita di un bene facente parte di un più ampio complesso di beni in comunione, stipulato da uno soltanto dei comproprietari con l'impegno di ottenerne l'assegnazione in sede di divisione prima della conclusione del contratto definitivo.

Nel caso di contratto preliminare di vendita di bene gravato da usufrutto, qualora nel termine pattuito il promittente venditore non sia stato in grado di procurare l'acquisto della piena proprietà del detto bene, il promittente compratore, che non abbia avuto conoscenza, al momento della conclusione del contratto, che la cosa era gravata di uno ius in re, può ex art. 1489 c.c. domandare, oltre alla riduzione del prezzo, la risoluzione del contratto, la quale può essere pronunciata, anche se il titolare del diritto di godimento o il beneficiario dell'onere o della limitazione non abbiano ancora fatto valere alcuna pretesa sulla res, ove si accerti, ai sensi dell'art. 1480 c.c., che il compratore non avrebbe acquistato la cosa gravata dall'onere (Cass. II, n. 5336/2019).

L'art. 1480 c.c. si applica, infine, anche nel caso in cui alcuni soltanto dei comproprietari d'un immobile abbiano stipulato un patto di prelazione relativo all'intero immobile con persona ignara della parziale alienità del bene (Cass. II, n. 950/1980).

Bibliografia

Angelici, Consegna e proprietà nella vendita internazionale, Milano, 1979; Auricchio, La individuazione dei beni immobili, Napoli, 1960; Bianca, La vendita e la permuta, in Trattato Vassalli, 1993; Bonfante, Il contratto di vendita, in Trattato Galgano, 1991; Branca, Sub art. 1103, in Comm. S.B., 1965; Capozzi, Dei singoli contratti, I, Milano, 1988; De Tilla, La vendita, Milano, 1999; Greco, Cottino, Vendita, in Comm. S.B., 1981; Luminoso, I contratti tipici e atipici, in Tr. I.-Z., 1995; Macario, voce Vendita, Profili generali, in Enc. giur., 1994; Mengoni, Profili di una revisione della teoria sulla garanzia per i vizi nella vendita, in Studi in onore di De Gregorio, Città di Castello, 1955; Mirabelli, Della vendita, in Comm. UTET, 1991; Rizzieri, La vendita obbligatoria, Milano, 2000; Rubino, La compravendita, in Tr. Cicu-Messineo, 1971; Russo, La responsabilità per inattuazione dell'effetto reale, Milano, 1965

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