Codice Civile art. 1494 - Risarcimento del danno.

Cesare Taraschi

Risarcimento del danno.

[I]. In ogni caso il venditore è tenuto verso il compratore al risarcimento del danno [1223], se non prova di avere ignorato senza colpa i vizi della cosa.

[II]. Il venditore deve altresì risarcire al compratore i danni derivati dai vizi della cosa.

Inquadramento

La disposizione pone, a carico del venditore, una presunzione di conoscenza dei vizi, anche se occulti (Cass. II, n. 14665/2008), ragion per cui l'obbligo della garanzia è escluso soltanto se il venditore fornisca la prova liberatoria di avere ignorato senza sua colpa i vizi medesimi (Cass. II, n. 28838/2024; Cass. III, n. 4300/2024; Cass. II, n. 13593/2004).

La dizione «in ogni caso» sta a significare che sia nell'ipotesi di risoluzione del contratto, sia in quella di riduzione del prezzo, il compratore può esperire l'azione di risarcimento del danno, qualora l'inadempimento sia imputabile al venditore.

Assume valore preclusivo rispetto alla domanda di risarcimento ogni forma di utilizzazione della cosa dalla quale sia possibile evincere la volontà dell'acquirente di accettarla nello stato in cui si trovi (Cass. II, n. 1212/1993).

Presupposto necessario è la colpa dell'alienante, che si sostanzia nell'omissione dello sforzo diligente normalmente necessario per accertare e prevenire l'inesattezza dell'attribuzione (Cass. II, n. 4564/1991, la quale richiede una diligenza «qualificata» del venditore ex art. 1176, comma 2, c.c., con riguardo alla specifica attività da questi esercitata, tenendo conto in particolare degli usi invalsi nello specifico settore commerciale). In sostanza, verificatosi il fatto obiettivo dell'inadempimento, la colpa si presumeex art. 1218 c.c. e spetta al venditore di provarne la mancanza (Cass. II, n. 7863/1995). Non è, però, necessario provare anche la mala fede del venditore, essendo sufficiente che egli non riesca a dimostrare di non aver potuto, senza colpa, avere conoscenza dei vizi (Cass. II, n. 19494/2011).

L'ignoranza incolpevole del venditore integra, comunque, un'eccezione in senso lato, rilevabile d'ufficio, purché risultante dagli atti di causa (Cass. II, n. 21524/2015).

La norma si applica anche nel campo della grande distribuzione ovvero della rivendita di prodotti industriali di massa, sicché il rivenditore è responsabile nei confronti del compratore del danno a lui cagionato da un prodotto difettoso se non prova di aver tenuto un comportamento positivo tendente a verificare lo stato e la qualità della merce ed a controllare l'assenza di vizi, anche alla stregua della destinazione della merce stessa (Cass. II, n. 15824/2014). 

Invece, in materia ambientale, colui che subentra nella proprietà o possesso di un sito contaminato, succede anche nella situazione connessa all'onere reale di cui all'art. 17, co. 10, d.lgs. n. 22/1997, di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale, indipendentemente dal fatto che ne abbia avuto preventiva conoscenza, ragion per cui tale ipotesi esula dalla garanzia per vizi redibitori, che concerne i casi in cui la cosa consegnata presenti imperfezioni attinenti al processo di formazione, fabbricazione o produzione di essa, ovvero difetti di qualità essenziali per l'uso cui è destinata (Cass. II, n. 26402/2023, la quale ha escluso che l'acquirente di un sito inquinato, non ancora attinto dal provvedimento amministrativo che dispone la bonifica, possa invocare la garanzia per vizi redibitori ex artt. 1490 e 1494 c.c.).

Autonomia dell'azione

Il risarcimento può essere chiesto anche indipendentemente dalla proposizione delle azioni di cui all'art. 1492 c.c. (Cass. III, n. 6044/2004), in quanto l'azione prevista dalla norma in esame è distinta da quelle di risoluzione del contratto e di riduzione del prezzo, non soggetta quindi alle preclusioni di cui al comma 3 della predetta norma, ma solo alla decadenza ed alla prescrizione di cui all'art. 1495 c.c. (Cass. II, n. 27184/2022; Cass. II, n. 1218/2022; Cass. II, n. 14665/2008).

Ciò comporta, da un lato, che l'azione in esame può essere esperita cumulativamente con quelle di adempimento, risoluzione del contratto o riduzione del prezzo (Cass. II, n. 29783/2024; Cass. II, n. 14986/2021; Cass. VI, n. 19749/2020Cass. II, n. 2115/2015; Cass. II, n. 5202/2007), e, dall'altro, che la rinuncia da parte del compratore a far valere il diritto all'eliminazione dei difetti della cosa venduta (Cass. II, n. 5541/1995) o alle azioni di risoluzione contrattuale o riduzione del prezzo (Cass. II, n. 15481/2001) non comporta l'estinzione del diritto al risarcimento dei danni, che può essere fatto valere autonomamente. Sotto il profilo processuale, si è ritenuta sussistente la violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, di cui all'art. 112 c.p.c., in un caso in cui il giudice di merito aveva attribuito al compratore il risarcimento del danno per vizi della cosa venduta ex art. 1494 c.c., mentre questi aveva proposto l'autonoma azione di garanzia ex art. 1492 c.c.(Cass. II, n. 26/2002).

In tema di risoluzione del contratto di compravendita per l'esistenza di vizi redibitori vanno, altresì, tenute distinte e considerate autonomamente l'obbligazione di restituzione del prezzo e quella di risarcimento del danno, in quanto la prima rappresenta l'effetto restitutorio della cosiddetta azione redibitoria, che prescinde totalmente dalla colpa del venditore e configura un debito di valuta, mentre la seconda può essere esercitata anche da sola, sul presupposto che sussistano tutti i requisiti della garanzia per i vizi e che ricorra inoltre la colpa del venditore, configurando un debito di valore (Cass. II, n. 1325/1992). Inoltre, la riduzione del prezzo consente al compratore di ristabilire il rapporto di corrispettività tra prestazione e controprestazione, solo con riguardo al minor valore della cosa venduta, mentre l'azione risarcitoria gli dà la possibilità di ristabilire tale rapporto con riguardo alla ridotta utilizzabilità di quest'ultima (Cass. II, n. 13593/2004).

Anche nella vendita di beni di consumo affetti da vizio di conformità, ove la riparazione o la sostituzione risultino, rispettivamente, impossibile ovvero eccessivamente onerosa, va riconosciuto al consumatore, benché non espressamente contemplato dall'art. 130, comma 2, d.lgs. n. 206/2005, il diritto di agire per il solo risarcimento del danno, quale diritto attribuitogli da altre norme dell'ordinamento, secondo quanto disposto dall'art. 135, comma 2, del medesimo c. cons. (Cass. II, n. 1082/2020).

Danni risarcibili

È opinione comune che il risarcimento tenda alla reintegrazione non più del solo interesse negativo, ma dell'intero interesse positivo, nel senso che il compratore deve essere posto nella situazione economica equivalente a quella in cui si sarebbe trovato se la cosa fosse stata immune da vizi e non a quella in cui si sarebbe trovato se non avesse concluso il contratto o se lo avesse concluso a prezzo inferiore (Cass. II, n. 1153/1995, secondo cui il giudice può tener conto anche della circostanza che un determinato prodotto si riveli inidoneo ad essere adoperato secondo le modalità indicate dal venditore e possa esserlo solo con modalità più dispendiose, ad es. per tempi di lavorazione e quantità da impiegare). L'interesse positivo comprende il danno emergente ed il lucro cessante: quest'ultimo viene valutato nella differenza tra il valore del bene esente da vizi ed il prezzo stabilito nel contratto e può estendersi, ad es., anche al danno conseguente alla perdita di clientela prodotta dal discredito della merce viziata (Cass. III, n. 987/1975). In tema di vendita di immobili destinati ad abitazione, si è ritenuto che l'inadempimento dell'obbligo, gravante sul venditore-costruttore, di consegnare all'acquirente il certificato di abitabilità sia ex se foriero di danno emergente, per il minor valore di scambio del bene che da ciò consegue; tale danno, ove accertato nell'an, è suscettibile di essere liquidato dal giudice in via equitativa, essendo obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile, provarne il preciso ammontare (Cass. III, n. 25418/2019).

In particolare, secondo la giurisprudenza di legittimità, l'azione di risarcimento danni proposta ai sensi dell'art. 1494 c.c. può estendersi a tutti i danni subiti dall'acquirente, e quindi non solo a quelli relativi alle spese necessarie per l'eliminazione dei difetti accertati, ma anche a quelli per il mancato utilizzo della stessa o per il lucro cessante da mancata rivendita del bene (Cass. II, n. 14986/2021;  Cass. VI, n. 19749/2020Cass. II, n. 26852/2013). Da ciò discende che la deduzione, nel corso del processo, di ulteriori voci di danno come conseguenza dei vizi del bene oggetto di compravendita, non comporta una diversità strutturale del petitum ma solo una sua specificazione quantitativa (Cass. III, n. 7275/1997), risolvendosi in una emendatio libelli consentita nella prima memoria istruttoria ex art. 171-ter c.p.c. o, per i giudizi istaurati entro il 28-2-2023 (data di entrata in vigore del d.lgs. n. 149/2022), ex art. 183, comma 6 c.p.c. Si è, però, precisato che il ventaglio dei danni risarcibili varia a seconda che l'azione risarcitoria sia proposta in via autonoma o sia invece congiunta alla domanda di risoluzione o di riduzione del prezzo (Cass. II, n. 29783/2024). In particolare, quando l'azione di risarcimento del danno sia esercitata unitamente all'azione di riduzione del prezzo, vanno riconosciuti i danni che residuino dopo la riduzione, ad es. il danno relativo alla mancata o parziale utilizzazione della cosa e il lucro cessante per la mancata rivendita del bene (Cass. II, n. 2115/2015; Cass. II, n. 26852/2013; Cass. II, n. 5202/2007; Cass. II, n. 7718/2000). Non vanno, invece, rimborsate le spese necessarie per eliminare i vizi, che sono ricomprese nella disposta riduzione (Cass. VI-II, n. 13717/2014). Viceversa, allorché l'azione di risarcimento dei danni sia proposta dall'acquirente senza alcun collegamento con altre domande, sul presupposto dell'inadempimento dovuto alla colpa del venditore, consistente nell'omissione della diligenza necessaria a scongiurare l'eventuale presenza di vizi nella cosa, essa può estendersi a tutti i danni subiti dall'acquirente medesimo e, dunque, non solo a quelli relativi alle spese necessarie per l'eliminazione dei vizi accertati, ma anche a quelli inerenti alla mancata o parziale utilizzazione della cosa, o al lucro cessante per la mancata rivendita del bene (Cass. II, n. 14986/2021).

Anche in dottrina si è ritenuto che, ove il compratore dimostri che se avesse ricevuto il bene esente da vizi avrebbe potuto rivenderlo ad un prezzo superiore a quello di mercato, sia risarcibile il danno consistente nella differenza tra tale maggior valore e il prezzo pattuito, effettuando però una detrazione che, secondo le circostanze, tenga conto del rischio di inesecuzione dell'affare (Bianca, 943).

L'obbligo di risarcire il danno è un debito di valore, sicché occorre tener conto sia della svalutazione monetaria che degli interessi legali, con decorrenza dal giorno in cui sia sorto il credito di capitale (Cass. II, n. 5394/1997).

L'azionabilità del risarcimento non è condizionata dal fatto che il compratore abbia provveduto egli stesso a rimuovere le conseguenze negative dell'inadempimento del venditore, affrontando le relative spese, in quanto il danno risarcibile è costituito dalle difformità della cosa comprata, le quali comportano un suo «deprezzamento», e non dalle spese subite dall'acquirente (Cass. II, n. 7718/2000). Pertanto, il termine di prescrizione del diritto dell'acquirente al risarcimento decorre dalla data della consegna della cosa venduta e non da quella delle spese da lui successivamente affrontate (Cass. II, n. 1954/2000). Si è, però, anche precisato che il termine di prescrizione del diritto dell'acquirente al risarcimento del danno decorre, ai sensi dell'art. 2935 c.c., non dalla data in cui si verifica l'effetto traslativo, ma dal momento in cui si concreta la manifestazione oggettiva del danno, avendo comunque riguardo all'epoca di accadimento del fatto lesivo, per come obiettivamente percepibile e riconoscibile, e non al dato soggettivo della conoscenza del maturato diritto al risarcimento, potendo tale conoscenza essere colpevolmente ritardata dall'incuria del titolare del diritto (Cass. VI-II, n. 33523/2021; Cass. II, n. 1889/2018).

Concorso di responsabilità

Secondo la dottrina prevalente, mentre il comma 1 della norma in esame contemplerebbe i danni diretti, il comma 2 si riferirebbe ai danni indiretti o ulteriori provocati dalla cosa viziata alla persona del compratore, ad altri beni del medesimo o a terzi nei cui confronti egli debba rispondere (Rubino, 823). Per altro minoritario orientamento, il comma 1 prevede una responsabilità contrattuale e si riferisce a tutti i danni commerciali, mentre il capoverso si riferisce ad una responsabilità aquiliana del venditore fondata sulla messa in circolazione di un prodotto difettoso (Luminoso, 154; nonché Galgano, Vendita, in Enc. dir., 494, secondo cui la responsabilità extracontrattuale del comma 2 della norma in esame potrebbe essere fatta valere non solo dal primo acquirente, ma anche, con azione diretta verso il venditore, dai subacquirenti successivi).

Anche la giurisprudenza ritiene che entrambi i commi dell'art. 1494 c.c. disciplinino un'ipotesi di responsabilità contrattuale del venditore per inosservanza dell'obbligo di diligenza relativo allo stato della merce oggetto del trasferimento (Cass. II, n. 9374/2020; Cass. II, n. 639/2000, secondo cui l'azione risarcitoria proposta dal compratore ex contractu non può estendersi anche al produttore, in quanto l'autonomia delle due successive vendite non consente di indirizzare detta azione nei confronti di quest'ultimo).

Si è, poi, ritenuto in dottrina che anche la violazione di diritti assoluti cagionata dal bene difettoso (es. lesioni fisiche) sia produttiva di un «danno assoluto» e rientri nella responsabilità contrattuale, come inesatta esecuzione della prestazione dovuta; tuttavia, tali lesioni possono anche integrare gli estremi dell'illecito extracontrattuale e rilevare sul piano della tutela aquiliana del soggetto nella vita di relazione, in concorso con l'azione contrattuale (Bianca, 987-988).

La giurisprudenza è pervenuta alla medesima conclusione, assumendo operante, anche in tema di responsabilità per vizi della cosa venduta, il principio del concorso di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, in relazione ad un unico evento dannoso che leda non solo i diritti specifici derivanti al contraente dalle clausole contrattuali ma anche i diritti assoluti (concernenti l'onore, l'incolumità, la proprietà) del contraente medesimo: ciò in quanto il comma 2 dell'art. 1494 c.c. si riferirebbe pur sempre alla lesione di interessi connessi col vincolo negoziale (es., il danno derivante dal minor valore obiettivo del bene o dalla sua distruzione o da un suo intrinseco difetto di qualità o dalla mancata realizzazione del lucro nella rivendita del bene stesso), con conseguente configurabilità di responsabilità contrattuale (le cui azioni sono soggette a prescrizione annuale), e non comprenderebbe, invece, il pregiudizio (quale la distruzione o il deterioramento di cose diverse da quella acquistata, il danno alla salute del compratore e simili) arrecato ad interessi del compratore nati e svolgentisi al di fuori del contratto ed aventi, perciò, la consistenza di diritti assoluti, tutelabili in sede aquiliana (Cass. III, n. 4002/2020; Cass. III, n. 3021/2014. in relazione al danno consistente nell’acquisto di un cane senza “pedigree”; Cass. II, n. 11410/2008; contra Cass. III, n. 205/1965).

Si è così ritenuto che l'inadempimento di un contratto di fornitura per vizi della merce venduta possa far sorgere in capo al venditore non solo la comune responsabilità contrattuale, ma anche la responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c., e ciò tutte le volte in cui l'inadempimento del contratto di vendita abbia causato una lesione al buon nome dell'azienda del compratore od al suo avviamento commerciale (Cass. III, n. 1158/1998), mentre si è ritenuto inipotizzabile, a carico del venditore, il doppio titolo di responsabilità, ove il compratore lamenti il danno derivante dal fatto che un fondo compravenduto sia risultato inquinato ed abbia avuto bisogno di opere di bonifica, atteso che tale danno è conseguenza diretta del minor valore della cosa venduta o della sua distruzione o di un suo intrinseco difetto di qualità, che resta nell'ambito della responsabilità contrattuale, con azione soggetta a prescrizione annuale (Cass. III, n. 16654/2017, secondo cui, peraltro, una responsabilità aquiliana del venditore sarebbe stata configurabile se vi fossero stati avvelenamenti patiti dallo stesso acquirente o da terzi oppure se l'acquirente avesse lamentato una lesione del proprio buon nome commerciale in conseguenza di tale acquisto). In tema di appalto, si è sostenuto che l'appaltatore si trova, rispetto ai materiali acquistati presso terzi e messi in opera in esecuzione del contratto, in una posizione analoga a quella dell'acquirente successivo nell'ipotesi della cd. “vendita a catena”, potendosi, conseguentemente, configurare, in suo favore, due distinte fattispecie di azioni risarcitorie: quella contrattuale relativa ai danni propriamente connessi all'inadempimento in ragione del vincolo negoziale, deducibili con l'azione contrattuale ex art. 1494, comma 2, c.c. relativa alla compravendita (corrispondente, per l'appalto, a quella ex art. 1668 c.c.), e quella extracontrattuale per essere tenuto indenne di quanto versato al committente ex art. 1669 c.c. in ragione dei danni sofferti per i vizi dei materiali posti in opera (Cass. II, n. 9374/2020; Cass. II, n. 12704/2002).

Parte della dottrina ha, però, criticamente rilevato che i danni derivanti dall'inadempimento possono anche includere la perdita riferita alla cattiva reputazione (è il caso del diritto al buon nome commerciale), la quale si traduce, ove pure si voglia escludere il danno non patrimoniale, in lucro cessante, il quale è già risarcibile come conseguenza ulteriore, rispetto al danno emergente, dell'inadempimento dell'obbligazione (Castronovo, Le due specie della responsabilità civile e il problema del concorso, in Eur. dir. priv., 2004, 90).

Sembra, invece, essersi discostata dall'orientamento prevalente Cass. III, n. 8981/2005, che ha riconosciuto la responsabilità extracontrattuale del venditore per l'incendio occorso all'autovettura compravenduta pur in assenza di danni a persone o cose, diverse dalla medesima autovettura incendiata.

Nell'ambito della più recente giurisprudenza di merito si segnalano: Trib. Torre Annunziata 16 maggio 2017, n. 1401, che ha ritenuto potenzialmente configurabile il concorso di responsabilità in capo al venditore di un abito da sposo, poi laceratosi al momento della cerimonia; Trib. Benevento 17 febbraio 2017, n. 273, che ha ritenuto sussistente il concorso di responsabilità in capo al venditore per avere questi venduto ad un ente locale un immobile realizzato con l'utilizzo di amianto e per essere da ciò derivata una lesione al diritto all'immagine dell'ente locale.

Inoltre, si è sostenuto che i termini ex art. 1495 c.c. non sarebbero applicabili qualora l'azione di risarcimento si fondi su una vendita integrante una fattispecie di reato (truffa, frode in commercio, etc.), potendo in tal caso l'azione di responsabilità essere riportata anche ad un'ipotesi di illecito extracontrattuale.

Bibliografia

Angelici, Consegna e proprietà nella vendita internazionale, Milano, 1979; Auricchio, La individuazione dei beni immobili, Napoli, 1960; Bianca, La vendita e la permuta, in Trattato Vassalli, 1993; Bonfante, Il contratto di vendita, in Tr. Galgano, 1991; De Tilla, La vendita, Milano, 1999; Frenda, Il concorso di responsabilità contrattuale e aquiliana. Soluzioni empiriche e coerenza del sistema, Padova, 2013, 305; Greco, Cottino, Vendita in Comm. S.-B., 1981; Luminoso, I contratti tipici e atipici, in Tr. I.-Z., 1995; Macario, voce Vendita, Profili generali, in Enc. giur., 1994; Mengoni, Profili di una revisione della teoria sulla garanzia per i vizi nella vendita, in Studi in onore di De Gregorio, Città di Castello, 1955; Mirabelli, Della vendita, in Comm. UTET, 1991; Oliviero, La riduzione del prezzo nel contratto di compravendita; Romano, Vendita, in Trattato Grosso e Santoro-Passarelli, 1960; Rubino, La compravendita, in Tr. Cicu-Messineo, 1971

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