Codice Civile art. 1500 - Patto di riscatto.

Cesare Taraschi

Patto di riscatto.

[I]. Il venditore può riservarsi il diritto di riavere la proprietà della cosa venduta mediante la restituzione del prezzo e i rimborsi stabiliti dalle disposizioni che seguono [1502 ss.].

[II]. Il patto di restituire un prezzo superiore a quello stipulato per la vendita è nullo per l'eccedenza.

Inquadramento

Con il patto di riscatto il venditore si riserva il diritto di risolvere il contratto entro un tempo determinato, riacquistando la proprietà della cosa contro la restituzione del prezzo (Greco, Cottino, 331). La funzione è quella di permettere ad un soggetto, che si trovi in una situazione di illiquidità temporanea e che ha bisogno di denaro, di vendere un bene con la possibilità di recuperarne in un momento successivo la proprietà. A tal fine, di regola, il prezzo, a fronte del riconoscimento della possibilità di riscatto, viene ridotto, sicché anche il compratore consegue il vantaggio di utilizzare un bene per un tempo determinato (e eventualmente per sempre), corrispondendo un prezzo inferiore a quello di mercato (Bocchini, 679).

Secondo la tesi prevalente in dottrina, il patto di riscatto andrebbe inquadrato nello schema della condizione risolutiva potestativa (Pelosi, 519; Greco, Cottino, 334; contra Bianca, 640, che qualifica il riscatto come diritto potestativo di recesso, anche se ad efficacia retroattiva). La condizione consisterebbe nella manifestazione di volontà del venditore (art. 1503 c.c.), la quale, risolvendo con efficacia retroattiva il contratto, produrrebbe l'immediato ritorno del bene nel patrimonio dell'alienante, e ciò con effetti anche nei confronti dei subacquirenti (art. 1504 c.c.).

Anche la giurisprudenza ha sostenuto che la clausola di riscatto, apposta ad un contratto di vendita, è una condizione risolutiva potestativa, a mezzo della quale il venditore si riserva il diritto di risolvere il contratto entro un tempo determinato, così automaticamente riacquistando la proprietà del bene contro restituzione del prezzo e rimborso delle spese (Cass. V, n. 24252/2011). Ne consegue l'applicabilità, in linea di massima, degli artt. 1353-1361 c.c.: in particolare, riguardo all'applicabilità dell'art. 1359 c.c., si è ritenuto che non possa prescindersi dalla speciale natura della condizione risolutiva inerente al contratto medesimo e dalla disciplina concernente la dichiarazione e i presupposti del riscatto, sicché occorre che il venditore abbia, a sua volta, adempiuto a tutti gli oneri stabiliti dalla legge per il riscatto, rispetto ai quali il comportamento del compratore non abbia spiegato alcuna influenza o abbia cessato di spiegarla (Cass. I, n. 1297/1964).

La clausola che accordi ad entrambi i contraenti il potere di far venir meno gli effetti del contratto di vendita non può essere ricondotta nell'ambito del patto di riscatto, contemplato dalla norma in esame con riferimento soltanto al venditore, ma può integrare, sulla base dell'individuazione dell'effettiva volontà degli stipulanti, una condizione risolutiva potestativa ovvero un patto di recesso ex art. 1373 c.c. (Cass. II, n. 812/1992).

L'efficacia retroattiva del riscatto porta ad escludere che il venditore riscattante possa considerarsi come un avente causa dal compratore, sicché se vengono vendute cose altrui, e l'acquirente ne diventa proprietario in virtù del possesso di buona fede, il venditore non può giovarsi di tale circostanza per sanare la carenza del proprio titolo (Bianca, ibidem).

Si ritiene che il patto di riscatto possa stipularsi anche allorché la vendita abbia per oggetto diritti diversi dalla proprietà, nonché nel caso di vendita obbligatoria, in cui il riscatto, se esercitato prima dell'acquisto del diritto da parte del compratore, vale solo a risolvere gli effetti obbligatori del contratto, comportando la restituzione del prezzo eventualmente pagato ed il rimborso delle spese. Se il patto attiene ad una vendita generica di cose consumabili, e non risulti che il compratore sia tenuto a conservare la merce senza consumarla, si ritiene che esso debba intendersi come costitutivo del vincolo fino al momento del consumo, oppure come patto di rivendita per equivalente (Bianca, 644).

Quanto alla forma, il patto di riscatto, in quanto modificativo degli effetti tipici della vendita, deve essere concluso contestualmente alla medesima e, dovendo il patto rivestire la stessa forma richiesta per la vendita, qualora sia necessario lo scritto, la vendita ed il suo patto saranno validi solo se contenuti in un medesimo documento (Carpino, 264; contra Bianca, 647, secondo cui la stipulazione del patto può avvenire, oltre che in documenti separati, in un momento successivo).

Secondo la giurisprudenza, il patto di riscatto è valido ed efficace anche se stipulato con atto separato da quello di vendita, purché costituisca l'espressione di un'unica volontà negoziale già maturata, sia con riguardo alla vendita, sia con riguardo alla costituzione del diritto di riscatto, fin dal momento della stipula dell'atto relativo alla vendita (Cass. II, n. 4254/1980).

Ai fini dell'opponibilità ai terzi, il patto deve essere trascritto (v. sub art. 1504 c.c.).

In virtù del richiamo operato nell'art. 1555 c.c., le disposizioni degli artt. 1500 e 1509 c.c. si applicano anche alla permuta (Cass. II, n. 11752/1992).

Nulla a che vedere con la fattispecie oggetto della norma in esame ha il diritto di riscatto previsto dagli artt. 732 e 230-bis c.c. e nelle leggi speciali sulla prelazione urbana e sulla prelazione agraria. Si è, in proposito, precisato che il riscatto agrario esercitato dall'affittuario coltivatore diretto, in quanto retto da interessi di ordine pubblico, prevale sul riscatto convenzionale esercitato dal venditore (Cass. III, n. 6227/1991).

Cedibilità del patto di riscatto

Il venditore non può, senza il consenso del compratore, cedere ad un terzo estraneo al negozio il diritto di riscattare il bene oggetto dello stesso, poiché detta cessione integra una modificazione che incide non solo sulla struttura soggettiva ma anche su quella oggettiva del contratto, comportando l'obbligo del compratore di prestarsi al trasferimento della proprietà a favore del terzo senza che tale obbligo egli abbia mai assunto (Cass. II, n. 6963/1988).

Secondo altra tesi giurisprudenziale, invece, sarebbe cedibile il diritto di riscatto mediante una vera e propria cessione dell'intero contratto di vendita, cui il patto di riscatto accede, secondo i principi generali in materia di contratti con prestazioni corrispettive di cui agli artt. 1406 ss. c.c. (Cass. III, n. 4921/1979). Di recente, si è ribadito che la cessione del patto di riscatto, subordinata al consenso del contraente ceduto, è valida anche quando abbia ad oggetto la posizione del venditore che abbia già ricevuto il pagamento del prezzo, in quanto l'effetto del principio consensualistico può lasciare persistere le ulteriori obbligazioni principali (es., la consegna) ed accessorie, nonché i diritti potestativi, quale, appunto, il diritto di riscatto, la cui permanenza rende la sostituzione soggettiva consentita e non irrilevante per l'ordinamento, giustificando il ricorso ad una disciplina diversa da quella dettata dagli artt. 1261 ss. e 1268 ss. c.c. (Cass. V, n. 24252/2011).

La prevalente dottrina, invece, ritiene incedibile il diritto di riscatto (Pelosi, 523; Mirabelli, 127; Greco, Cottino, 336; Rubino, 1040; Gallone, Cessione del diritto di riscatto, in Giur. it., 1981, I, 1, 291, il quale esclude anche la possibilità di ricorrere all'art. 1406 c.c., in quanto tale norma non consente la cedibilità della posizione contrattuale se la prestazione, come nel caso di specie, è stata già eseguita, avendo la vendita esaurito i propri effetti con il trasferimento della proprietà, irrilevanti essendo le obbligazioni accessorie della consegna della cosa e del pagamento del prezzo).

Altra parte della dottrina ammette la cedibilità del diritto di riscatto, pur senza il consenso del compratore (Bianca, 667; Luminoso, 331; Carpino, 273): secondo tale tesi, il venditore può disporre del suo diritto anche contestualmente alla vendita, così configurandosi gli estremi del contratto a favore del terzo ex art. 1411 c.c., con l'unica eventuale particolarità che lo stipulante designa il terzo destinatario del diritto di riscatto riservando a proprio vantaggio la prestazione del prezzo (Bianca, 669).

Il diritto di riscatto è, inoltre, esercitabile in via surrogatoria dai creditori dell'alienante, purché entro il relativo termine di scadenza (Cass. III, n. 2338/1974) e, in caso di fallimento del venditore, la facoltà di esercitare il riscatto si trasmette al curatore (Cass. I, n. 3478/1991).

Parte della dottrina, invece, considerata la natura personale del diritto di riscatto, esclude l'esperibilità dell'art. 2900 c.c. (Rubino, 1024; Pelosi, 520; Luminoso, 312 ss.).

La nullità per l'eccedenza

L'obbligazione del venditore di pagare il prezzo del riscatto ha carattere pecuniario e costituisce un debito di valuta e non di valore (Cass. I, n. 1089/1962).

Il comma 2 della norma in esame prevede la nullità, per l'eccedenza, della clausola con cui le parti subordinano l'esercizio del riscatto al pagamento di un prezzo superiore a quello fissato per la vendita. Tale nullità colpisce anche la pattuizione relativa al pagamento di interessi sul prezzo medesimo, quand'anche a titolo compensativo di utilità che il venditore abbia potuto trarre in ragione di particolari accordi intervenuti con l'acquirente, giacché tale utilità, secondo un criterio di ragionevolezza, deve ritenersi scontata nel prezzo originario fissato dalle parti (Cass. II, n. 6144/2016).

In sostanza, la nullità è estesa, sia pure per la sola eccedenza, a qualsiasi pattuizione che, in modo diretto o indiretto, comporti per il venditore un esborso superiore al prezzo stipulato.

È controverso, in dottrina, se sia possibile la stipulazione di una clausola di rivalutazione monetaria (per la tesi positiva, Greco, Cottino, 342; in senso dubitativo, Bianca, ibidem).

La clausola con cui il venditore che voglia esercitare il riscatto è obbligato al pagamento di un prezzo corrispondente al valore reale del bene, accertato con perizia, è nulla qualora tale valore risulti superiore al prezzo pagato, ma resta valida ove il valore accertato sia inferiore al prezzo originario (Bianca, 655).

Differenze con figure affini

Il patto di riscatto si differenzia dal patto de retrovendendo, atteso che con quest'ultimo il compratore si obbliga a prestare il consenso per la conclusione di un contratto di vendita avente ad oggetto il bene acquistato (Bianca, 676). Tale patto è ad effetti obbligatori (a differenza dell'efficacia reale del patto di riscatto) e ad esso sono applicabili le norme sul contratto preliminare (Carpino, 266). In sostanza, il riscatto è atto unilaterale con cui il bene automaticamente ritorna nel patrimonio del venditore; con il patto di retrovendita, invece, le parti dovranno stipulare un nuovo contratto bilaterale di vendita. L'efficacia obbligatoria, inoltre, comporta che il patto di retrovendita è inopponibile ai terzi acquirenti, sicché, in caso di violazione, il venditore avrà diritto al solo risarcimento dei danni. Si ritiene, comunque, applicabile il divieto del prezzo maggiorato di cui al comma 2 della norma in esame, in quanto tendente a reprimere abusive speculazioni a danno del venditore disposto ad assoggettarsi ad esose imposizioni allo scopo di riavere il bene (Bianca, 676).

Diverso è anche il patto de retroemendo, anch'esso ad effetti obbligatori, con il quale il venditore si obbliga a ricomperare la cosa entro un certo tempo (Carpino, 266).

Il patto displicentiae, o vendita con arra penitenziale, invece, è quello con cui l'uno o entrambi i contraenti si riservano il diritto di recedere dal contratto quando questo non abbia avuto un principio di esecuzione ex art. 1373, comma 1 c.c., sottoponendosi alla perdita della caparra prestata o all'obbligazione di restituire il doppio di quella ricevuta: pertanto, se la vendita ha già prodotto l'effetto traslativo, troveranno applicazione le norme sul riscatto convenzionale, non potendosi più configurare il recesso in senso tecnico (Greco, Cottino, 338).

Secondo la giurisprudenza, non rientra nella fattispecie in esame, costituendo invece un negozio aleatorio, il contratto con il quale un socio di una società fallita cede la propria quota con opzione di riacquisto della partecipazione alla società tornata in bonis, da esercitarsi entro un certo termine e per un prezzo, determinabile entro un minimo ed un massimo, da quantificarsi secondo l'andamento della società al momento dell'adesione alla dichiarazione di offerta di riacquisto (Cass. III, n. 27444/2018).

Patto di riscatto e patto commissorio

La vendita con patto di riscatto può essere utilizzata dalle parti con funzione di garanzia, nel senso che il compratore acquista la proprietà di un bene dal suo debitore — lasciando a quest'ultimo l'alternativa fra adempiere e riscattare il bene, o non adempiere e perdere allora definitivamente il bene — ad estinzione del debito rimasto inadempiuto.

Si pone, allora, la questione della compatibilità di tale fattispecie con il divieto del patto commissorio di cui all'art. 2744 c.c., il quale, secondo la giurisprudenza ormai dominante, si applica non solo ai casi in cui il trasferimento della proprietà sia sospensivamente condizionato alla mancata restituzione della somma mutuata, o comunque al mancato pagamento del debito, ma anche a quelli in cui il trasferimento della proprietà è immediato, ancorché sottoposto alla condizione risolutiva della restituzione, da parte del venditore-debitore, della somma dovuta, sempre che risulti l'intento primario delle parti di costituire con il bene una garanzia reale in funzione del mutuo (Cass. S.U., n. 1611/1989). In sostanza, il divieto del patto commissorio si estende a qualsiasi negozio, ancorché lecito e quale ne sia il contenuto, che venga impiegato per conseguire il risultato concreto, vietato dall'ordinamento, dell'illecita coercizione del debitore a sottostare alla volontà del creditore, accettando preventivamente il trasferimento della proprietà di un suo bene come conseguenza della mancata estinzione del debito (Cass. III, n. 2285/2006).

Partendo da tale presupposto si è così sostenuto che anche la vendita con patto di riscatto o di retrovendita, pur non integrando direttamente un patto commissorio, può rappresentare un mezzo per sottrarsi all'applicazione del relativo divieto, ogni qualvolta il versamento del prezzo da parte del compratore non si configuri come corrispettivo dovuto per l'acquisto della proprietà, ma come erogazione di un mutuo, rispetto al quale il trasferimento del bene risponda alla sola finalità di costituire una posizione di garanzia provvisoria, capace di evolversi in maniera diversa a seconda che il debitore adempia o meno l'obbligo di restituire le somme ricevute (Cass. II, n. 15112/2019Cass. I, n. 4514/2018; Cass. I, n. 8957/2014).

In tal caso, si configura una vendita nulla, in quanto la stessa, costituendo un mezzo per eludere indirettamente l'art. 2744 c.c., esprime una causa illecita, che rende applicabile la sanzione dell'art. 1344 c.c. (Cass. II, n. 18680/2019Cass. II, n. 13621/2007). Principale elemento sintomatico della frode è costituito dalla sproporzione tra l'entità del debito e il valore dato in garanzia, in quanto il legislatore, nel formulare un giudizio di disvalore nei riguardi del patto commissorio, ha presunto, alla stregua dell'id quod plerumque accidit, che in siffatta convenzione il creditore pretenda una garanzia eccedente il credito, sicché, ove questa sproporzione manchi — come nel pegno irregolare, nel riporto finanziario e nel cosiddetto patto marciano (ove al termine del rapporto si procede alla stima del bene e il creditore, per acquisirlo, è tenuto al pagamento dell'importo eccedente l'entità del credito) — l'illiceità della causa è esclusa (Cass. II, n. 10986/2013).

In tale ipotesi, inoltre, la prova della simulazione della compravendita può essere data anche per testimoni o per presunzioni, a norma dell'art. 1417 c.c., trattandosi di far valere l'illiceità ex lege del negozio dissimulato (Cass. II, n. 7740/1999).

L'art. 2744 c.c. postula, però, che il trasferimento della proprietà della cosa sia sospensivamente condizionato al verificarsi dell'evento futuro ed incerto del mancato pagamento del debito, sicché detto patto non è configurabile qualora il trasferimento avvenga, invece, allo scopo di soddisfare un precedente credito rimasto insoluto (Cass. II, n. 1075/2016) e di liberare, quindi, il debitore dalle conseguenze connesse alla sua pregressa inadempienza (Cass. II, n. 15112/2019), e, in generale, quando tale trasferimento sia frutto di una lecita scelta, come nel caso nel quale esso sia stato dai contraenti liberamente concordato quale datio in solutum (art. 1197 c.c.) ovvero esprima l'esercizio di una facoltà precostituita al tempo della nascita dell'obbligazione medesima ex art. 1286 c.c. (Cass. II, n. 9675/1996).

Bibliografia

Bianca, La vendita e la permuta, in Tr. Vas., 1993; Bocchini, Vendita con contenuti speciali, in Trattato Rescigno, 2000; Carpino, La vendita, in Trattato Rescigno, 1984; Greco, Cottino, Vendita, in Comm. S.-B., 1981; Luminoso, La vendita con riscatto, in Comm. S., 1987; Mirabelli, Della vendita, in Comm. UTET, 1991; Pelosi, v. Vendita con patto di riscatto, in Enc. del diritto, 1993; Rubino, La compravendita, in Tr. Cicu-Messineo, 1971

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