Codice Civile art. 1566 - Patto di preferenza.

Francesco Agnino

Patto di preferenza.

[I]. Il patto con cui l'avente diritto alla somministrazione si obbliga a dare la preferenza al somministrante nella stipulazione di un successivo contratto per lo stesso oggetto, è valido purché la durata dell'obbligo non ecceda il termine di cinque anni. Se è convenuto un termine maggiore, questo si riduce a cinque anni [2596].

[II]. L'avente diritto alla somministrazione deve comunicare al somministrante le condizioni propostegli da terzi e il somministrante deve dichiarare, sotto pena di decadenza, nel termine stabilito o, in mancanza, in quello richiesto dalle circostanze o dagli usi, se intende valersi del diritto di preferenza [179 trans.].

Inquadramento

Il patto di preferenza consente al somministrante la possibilità di mantenere il rapporto di fornitura con il cliente con cui il patto viene stipulato ma, atteso che esso limita la libertà di contrarre del somministrato, deve essere temporalmente limitato.

La Corte di cassazione, nel motivare sulla completezza della denuntiatio (con indicazione del soggetto al quale il socio intende vendere la propria partecipazione) ha richiamato la necessità che la comunicazione del promittente integri una completa proposta contrattuale e l'esercizio della prelazione si sostanzi nell'accettazione di tale proposta (Cass. n. 7879/2001; Cass. n. 1407/1981), così aderendo, sia pure indirettamente, alla configurazione della denuntiatio e del conseguente atto di esercizio della prelazione quali rispettivamente proposta contrattuale e correlativa accettazione idonee a dar vita a negozio di cessione.

Secondo altro formante giurisprudenziale la denuntiatio rappresenta invece la mera dichiarazione di una intenzione a vendere ad un terzo, volta ad innescare una eventuale proposta di acquisto da parte dell'oblato, alle medesime condizioni dichiarate nella denuntiatio, proposta alla quale dunque, per la conclusione del negozio di cessione, deve far seguito una ulteriore accettazione del denunziante, solo in presenza della quale si può dire concluso il negozio.

E tale orientamento pare preferibile rispetto al primo, in quanto risulta più aderente alla struttura del patto (o della clausola) di prelazione, consistente nella attribuzione ad un soggetto del diritto di essere preferito, a parità di condizioni, quale acquirente di un bene nel caso il proprietario dello stesso si determini alla alienazione del cespite nei confronti di un terzo (Cass. n. 8199/1993): struttura rispetto alla quale, dunque, il primo orientamento pone a carico del soggetto intenzionato alla vendita — privandolo del ruolo di accettante — l'ingiustificato rischio della sicura conclusione del contratto con il prelazionario, senza consentirgli alcuna valutazione sulla convenienza od opportunità della alienazione una volta che il destinatario della denuntiatio abbia esercitato il suo diritto e, dunque, una volta che al primo acquirente da lui liberamente prescelto si debba sostituire quello diverso e titolare del diritto di prelazione.

La soluzione prescelta — salvo il caso nel quale la clausola regoli esplicitamente il meccanismo della prelazione in senso diverso e salvo ancora il caso nel quale il tenore della denuntiatio deponga espressamente nel senso della formulazione di una proposta negoziale specifica- pare del resto ancora più confacente alla struttura della prelazione in ambito societario, ove la clausola può tutelare l'interesse dei soci ad evitare alterazioni della compagine con l'ingresso di terzi ma, ove riguardi, come nel caso di specie, anche le cessioni infra soci, appare volta anche a consentire a tutti i soci una sorta di controllo circa la evoluzione delle originarie proporzioni di partecipazione e, dunque, deve consentire anche al socio intenzionato alla vendita di valutare, una volta che alla sua denuntiatio abbia fatto seguito l'esercizio del diritto di prelazione da parte di altri soci, l'opportunità di cessione a soci diversi da quelli originariamente da lui individuati quali acquirenti (Trib. Milano, 24 aprile 2013, 5705).

Circa la natura giuridica, la giurisprudenza prevalente ritiene che la fattispecie in esame sia inquadrabile nella figura del contratto preliminare unilaterale, dal quale deriva l'obbligo del promittente di concludere il contratto con il promissario, obbligo peraltro subordinato alla decisione dell'avente diritto alla somministrazione di concludere un nuovo contratto avente lo stesso oggetto. Da ciò deriva dunque che, in caso di inadempimento, il promittente sarebbe sottoposto alla sentenza costitutiva di cui all'art. 2932 (Cass. n. 2269/1974; .

La disciplina, dettata in materia di somministrazione, può essere applicato per analogia all'appalto solo se lo stesso attenga a servizi continuativi o periodici e riguarda la stipula di un successivo contratto per lo stesso oggetto (Cass. n. 2269/1974). Va aggiunto che, in assenza di termine di durata del patto, il diritto di preferenza era soggetto a prescrizione ordinaria con decorrenza dal momento in cui fossero state comunicate all'attore le condizioni di affidamento a terzi dell'appalto (Cass. n. 19556/2013).

L'art. 1566 prevede e disciplina il patto, c.d. di preferenza, in forza del quale l'avente diritto alla somministrazione si obbliga a dare la preferenza al somministrante nella stipulazione di un successivo contratto per lo stesso oggetto, ossia per un successivo contratto che egli intenda stipulare, identico sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo. Tale patto, insieme a quello di esclusiva di cui al paragrafo successivo, costituisce una limitazione alla concorrenza ed è valido nei limiti di durata di un quinquennio. Se sia convenuto un termine maggiore, questo si riduce a cinque anni. La dottrina è concorde nel ritenere che per il patto di preferenza sia richiesta la forma scritta, sia pure ad probationem. Circa la natura giuridica, la giurisprudenza prevalente ritiene che la fattispecie in esame sia inquadrabile nella figura del contratto preliminare unilaterale, dal quale deriva l'obbligo del promittente di concludere il contratto con il promissario, obbligo peraltro subordinato alla decisione dell'avente diritto alla somministrazione di concludere un nuovo contratto avente lo stesso oggetto. Da ciò deriva dunque che, in caso di inadempimento, il promittente sarebbe sottoposto alla sentenza costitutiva di cui all'art. 2932 c.c. (Cass. n. 2269/1974; Cass. n. 1445/1980).

Diversa la posizione della dottrina, la quale ritiene che il patto di prelazione sia un contratto sui generis, avente ad oggetto non l'obbligo di stipulare con il promissario un determinato contratto, come invece è per il preliminare, ma solo l'obbligo di preferirlo (Giannattasio, 284).

Ad ogni modo, in quanto limitativo della concorrenza, in ogni caso, il patto dovrà essere inoltre analizzato anche con specifico riferimento alla normativa antimonopolistica comunitaria, ed in particolare agli artt. 85 e 86 del Trattato CEE, relativi alle intese vietate, nonché a quella delle norme contenute nei successivi regolamenti emanati dalla Commissione in tema di disciplina antimonopolistica.

Obblighi a carico del somministrato

In ipotesi di patto di prelazione relativo a prestazioni continuative di trasporto, sono applicabili, in quanto compatibili, le norme relative al contratto di somministrazione, giusta il disposto dell'art. 1570, e quindi anche la norma dell'art. 1566, della cui compatibilità non può dubitarsi, non essendovi nella disciplina dell'appalto alcuna disposizione contraria, e tendendo il patto, nel caso di appalto di servizi come in quello di somministrazione, allo stesso fine, cioè a tutelare l'impresa fornitrice contro la concorrenza. Dalla norma dell'art. 1566 derivano al soggetto passivo della prelazione due obblighi: l'uno, principale, consistente nel dare la preferenza al soggetto attivo nella stipulazione di un contratto avente un determinato oggetto, o di ogni contratto, avente quell'oggetto, da stipularsi nel periodo di tempo, non maggiore di cinque anni, per il quale è stato concesso il diritto; l'altro, complementare, consistente nel comunicare al titolare della prelazione le condizioni proposte da terzi, per dargli modo di dichiarare se accetta di concludere il contratto a quelle condizioni. Nel caso in cui il titolare della prelazione dichiari di accettarle (e sempreché il patto di prelazione non disponga diversamente per effetto di speciali accordi), con la notificazione dell'accettazione nel termine stabilito il contratto resta concluso tra proponente e accettante alle condizioni comunicate, per l'avvenuto incontro dei consensi. Nel caso in cui il titolare della prelazione non accetti le condizioni comunicategli, o non dichiari esplicitamente, nel termine stabilito, di accettarle, egli decade dal diritto di essere preferito nella stipulazione di quel contratto le cui condizioni gli sono state comunicate, con la conseguenza che l'altra parte è libera di stipulare con un terzo, ma a condizioni che non siano più favorevoli per il terzo di quelle comunicate all'avente diritto alla prelazione. Infatti, la stipulazione a condizioni diverse e più convenienti per il terzo senza previamente comunicarle, come le imponeva la norma dell'art. 1566, comma 2, al predetto avente diritto (il quale, appunto perché erano migliori di quelle da lui rifiutate, le avrebbe anche potute accettare); omissione che si risolve in una violazione dell'obbligo di colui che ha concesso la prelazione di porre l'altra parte in grado di esercitarla.

Bibliografia

Bigliazzi Geri, Breccia, Busnelli, Natoli, Diritto civile, 3, Obbligazioni e contratti, Torino, 1985, 5677; Capozzi, Compravendita, riporto, permuta, contratto estimatorio, somministrazione, locazione, Dei singoli contratti, Milano 1988; Giannattasio, La permuta, il contratto estimatorio, la somministrazione, Milano, 1960; Zuddas, Somministrazione, Concessione di vendita, Franchising, Torino 2003

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