Codice Civile art. 1867 - Riscatto forzoso.

Caterina Costabile

Riscatto forzoso.

[I]. Il debitore di una rendita perpetua può essere costretto al riscatto [1868]:

1) se è in mora nel pagamento di due annualità di rendita [1219];

2) se non ha dato al creditore le garanzie promesse, o se, venendo a mancare quelle già date, non ne sostituisce altre di uguale sicurezza [1461, 1844, 1850];

3) se, per effetto di alienazione [769 ss., 1470 ss.] o di divisione [713 ss.], il fondo su cui è garantita [1864] la rendita è diviso fra più di tre persone.

Inquadramento

La disposizione in esame disciplina il cd. riscatto forzoso, consistente nel potere del creditore di imporre al debitore il pagamento del capitale del riscatto (Gardella Tedeschi, 618).

In particolare, il legislatore ha previsto il riscatto forzoso su iniziativa del creditore in tre ipotesi: 1) nel caso in cui il debitore sia in mora nel pagamento di due annualità; 2) nel caso in cui non abbia dato le garanzie promesse o siano venute meno quelle già date, senza che ne siano prestate altre di uguale sicurezza; 3) nel caso di divisione del fondo su cui è garantita la rendita tra più di tre persone per effetto di alienazione o divisione.

L'attribuzione del riscatto de quo trova un suo fondamento nell'esclusivo interesse del creditore e non risponde a principi di ordine pubblico, pertanto la dottrina riconosce il carattere dispositivo di tale norma con la possibilità per le parti (a differenza di quanto previsto dall'art. 1865) di derogarvi (Valsecchi, in Tr. C.M. 1961, 76).

La dottrina è concorde nel ravvisare nella norma carattere non sanzionatorio ma cautelativo (Torrente, in Comm. S.B., 1955, 45).

La natura di contratto a prestazioni corrispettive rende applicabile alla rendita le norme in materia di risoluzione.

Natura giuridica

In dottrina è pacifico che la disposizione in esame riconosca al creditore un diritto potestativo (Dattilo, 862; Torrente, in Comm. S.B., 1955, 43; Valsecchi, in Tr. C. M., 1961, 75).

Il negozio attraverso cui viene attuato il diritto potestativo in discorso è un negozio unilaterale meramente dichiarativo a carattere recettizio (Lener, 324).

La dottrina ha variamente configurato la natura giuridica del riscatto forzoso, utilizzando alcuni autori la figura del recesso per giusta causa (Torrente, in Comm. S.B., 1955, 42), mentre altri lo qualificano come un mezzo di conservazione dell'interesse del creditore con funzione assicurativa e cautelare (Lener, 326).

I fautori di tale ultima impostazione, in particolare, ritengono che la previsione di cui all'art. 1867 n. 2, che consente il riscatto nel caso di mancata prestazione delle garanzie promesse o nella ipotesi del venir meno di quelle già date, senza sostituzione con altre di uguale sicurezza, integri una previsione coincidente con quella di cui all'art. 1186 in tema di perdita del beneficio del termine.

Presupposti

I presupposti del riscatto forzoso sono, alternativamente, la mora del debitore nel pagamento di due annualità, la mancata prestazione delle garanzie promesse o la diminuzione di quelle prestate o la divisione del fondo tra più di tre persone.

In riferimento alla mora del debitore la dottrina maggioritaria ritiene che il riscatto sia ammissibile anche quando nel rapporto sia stabilito un termine periodico più breve rispetto all'annualità, bastando ad abilitare il creditore all'esercizio del riscatto il mancato pagamento di due rate successive anche se la durata dell'inadempimento sia inferiore al biennio in quanto la norma ha fatto riferimento all'ipotesi più frequente in cui il canone della rendita perpetua è stabilito ad anni (Valsecchi, in Tr. C. M., 1961, 77; Torrente, in Comm. S.B., 1955, 47).

Secondo diverso e minoritario orientamento, invece, poiché la norma attribuisce al creditore un diritto potestativo la stessa deve considerarsi di stretta interpretazione, con la conseguenza che deve raggiungersi la mora dei pagamenti per un periodo minimo di due anni a prescindere dal numero delle rate medio tempore scadute (Lener, 212).

La giurisprudenza, ai fini della sussistenza della morosità quale presupposto per l'operare del riscatto, ha affermato che il creditore non può rifiutare il pagamento di un'annualità, opponendo il carattere parziale dell'adempimento per la mancata esecuzione della prestazione dell'anno precedente, e poi invocare il riscatto forzoso per il mancato pagamento di due annualità (Cass. II, n. 1034/1967).

La dottrina evidenzia che l'art. 1867 si riferisce alle garanzie promesse e non all'ipoteca legale nella rendita fondiaria o a quella volontaria nella rendita semplice (Torrente, ult. cit.; Valsecchi, in Tr. C. M., 1961, 78).

L'ipotesi afferisce, pertanto al caso in cui siano state promesse dal debitore garanzie ulteriori e diverse dall'ipoteca.

La divisione, intesa quale presupposto del riscatto, ha luogo anche in caso di alienazioni successive ed ha la funzione di evitare l'eccessiva difficoltà nella realizzazione del credito (Marini, in Tr. Res., 1985, 26).

Riscatto e risoluzione

La natura di contratto a prestazioni corrispettive rende applicabile alla rendita le norme in materia di risoluzione.

La dottrina ha rimarcato, in ordine ai rapporti tra riscatto forzoso e risoluzione, che si tratta di due rimedi che operano in ambiti diversi e che l'uno non escluda l'altro (Lener, 282).

Il riscatto costituisce uno scioglimento straordinario per giusta causa, mentre la risoluzione consiste in una sanzione che l'ordinamento giuridico pone per l'inadempimento (Torrente, in Comm. S.B., 1955, 52).

Entrambi i rimedi danno luogo a diritti potestativi, ma mentre l'esercizio della facoltà di riscatto crea nel debitore l'obbligo di pagare la somma corrispondente alla capitalizzazione della rendita, la risoluzione importa per il debitore della rendita l'obbligo di restituire il fondo o la somma oltre al risarcimento dei danni.

Altra differenza tra i due rimedi consiste nel carattere tassativo dei casi che danno luogo al riscatto forzoso rispetto alla generalità della fattispecie che può determinare la risoluzione per inadempimento. Ma mentre il giudice non ha alcun potere di valutazione rispetto alle cause da cui discende il riscatto forzoso, deve accertare la sussistenza di un inadempimento di non scarsa importanza per poter pronunciare la risoluzione.

Inoltre, la risoluzione per inadempimento è rimedio fruibile sia da parte del debitore che da parte del creditore, mentre il riscatto forzoso risulta azionabile dal solo creditore.

Mentre gli effetti reali della rendita escludono l'apponibilità della clausola risolutiva espressa opera invece il principio inadimplenti non est adimplendum per cui sia il debitore che il creditore possono ricorrere all'eccezione di inadempimento (Torrente, in Comm. S.B., 1955, 53).

Si ritiene applicabile anche la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, se le oscillazioni di valore della rendita superano la normale previsione delle parti, poiché il carattere perpetuo delle prestazioni non rende il contratto aleatorio (Marini, in Tr. Res., 1985, 24).

Di contro, si ritiene che nella rendita perpetua non può operare la risoluzione per impossibilità sopravvenuta, avendo le prestazioni periodiche ad oggetto esclusivamente denaro o altre cose fungibili (Lener, 284).

Bibliografia

Allara, La prestazione in luogo di adempimento, in Ann. Palermo, 1927; Brancasi, voce Rendita dello Stato, in Enc. dir., XXXIX, Milano, 1988; Dattilo, voce Rendita (dir. priv.), in Enc. dir., XXXIX, Milano, 1988; Gardella Tedeschi, Rendita perpetua, in Dig. civ., Torino, 1997; Lener, Il rapporto di rendita perpetua, Milano, 1967.

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