Codice Civile art. 1630 - Affitto senza determinazione di tempo.

Francesco Agnino

Affitto senza determinazione di tempo.

[I]. L'affitto a tempo indeterminato di un fondo soggetto a rotazione di colture si reputa stipulato per il tempo necessario affinché l'affittuario possa svolgere e portare a compimento il normale ciclo di avvicendamento delle colture praticate nel fondo (1).

[II]. Se il fondo non è soggetto ad avvicendamento di colture, l'affitto si reputa fatto per il tempo necessario alla raccolta dei frutti.

[III]. L'affitto non cessa se prima della scadenza una delle parti non ha dato disdetta con preavviso di sei mesi (2).

(1) V. l. 22 luglio 1966, n. 606 e art. 17 l. 11 febbraio 1971, n. 11.

(2) Seguiva un quarto comma divenuto inoperante con r.d.l. 9 agosto 1943, n. 721.

Inquadramento

Tale norma è stata introdotta tenendo in considerazione la durata dei cicli produttivi dei fondi rustici.

Durata dell'annata agraria

Poiché l'art. 39 l. n. 203/1982, collocato tra le norme generali, dispone che l'annata agraria ha inizio l'11 novembre “ai fini della presente legge”, tale decorrenza non può esser limitata, per esigenze di razionalità ed omogeneità, ai rapporti associativi (art. 25, 26, 30 e 34 l. n. 203/1982), ovvero alle ipotesi in cui il legislatore ha usato detta espressione letterale (artt. 5, 42 e 47 l. n. 203/1982, per l'affitto) anziché quella di «anni» o «anno»; pertanto sia la durata dei contratti in corso al momento di entrata in vigore della l. n. 203/1982 (art. 2, comma ultimo), sia il termine entro il quale può esser tempestivamente disdetto il contratto (art. 4 l. n. 203/1982), decorrono (inderogabilmente, ai sensi dell'art. 58, comma 1, l. n. 203/1982) dall'11 novembre e non dal momento dell'entrata in vigore della legge — e cioè dal 6 maggio 1982 — o dall'inizio (1 gennaio) dell'anno solare (Cass. n. 1295/1998).

Peraltro, nel caso di affitto di fondo rustico a tempo indeterminato, la durata del contratto va rapportata, ai sensi dell'art. 1630 c.c. ed in correlazione alla ratio dell'istituto (volto al godimento di un fondo rustico secondo la natura ed i tipi delle colture), in via primaria, al tempo necessario all'espletamento della rotazione delle colture e, in via sussidiaria, al tempo necessario alla raccolta dei frutti, con la conseguenza che tale regola sussidiaria trova legittima applicazione in ipotesi di mancata (od omessa) dimostrazione da parte dell'affittuario, cui incombe il relativo onere a norma dell'art. 2697 c.c., di quel diverso parametro della rotazione delle colture (Cass. n. 4494/1984).

A norma dell'art. 2, comma 2, l. n. 203/1982, secondo cui «la durata (dei contratti in corso alla data di entrata in vigore della nuova legge) prevista dal comma precedente (sei, dieci, undici, tredici, quattordici o quindici anni, a seconda della natura del contratto e dell'annata agraria in cui ha avuto inizio il rapporto stesso) decorre dalla entrata in vigore della presente legge», i contratti in questione hanno la durata indicata nel precedente comma 1 con decorrenza dall'11 novembre 1982, prima annata agraria utile, con riferimento alla data di entrata in vigore della legge (e non dal 6 maggio 1982, data di entrata in vigore della l. n. 203/1982, né dall'11 novembre 1981, ultimo rinnovo anteriore alla nuova legge: Cass. n. 8220/1996, nonché altre, successive tra cui Cass. n. 3559/1997; Cass. n. 3780/1997).

Come noto, l'art. 2, della l. n. 203/1982, «per i contratti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, e per quelli in regime di proroga» dispone che la loro durata» è fissata, «se il rapporto ha avuto inizio prima dell'annata agraria 1939-40 o nel corso della medesima» «in dieci anni» e che «la durata prevista [...] decorre dalla entrata in vigore della presente legge».

La giurisprudenza di merito ha interpretato tale ultima previsione nel senso che la ulteriore durata dei contratti in corso alla data di entrata in vigore della l. n. 203/1982 decorre dal 6 maggio 1982 (di entrata in vigore della nuova legge) e che, pertanto, tali contratti cesseranno al 10 novembre del sesto, decimo, undicesimo (e così via) anno successivo alla detta data (App. Salerno, 17 novembre 1994).

Ciò essenzialmente sulla base dei seguenti rilievi: a) il legislatore del 1982, quando ha inteso riferirsi all'annata agraria lo ha fatto e in quei casi e solo in quelli per individuarne la data di inizio va fatto riferimento all'art. 39 «che in esso esaurisce l'ambito della propria attività», mentre in tutte le altre ipotesi occorre tenere presente l'anno solare; b) tra tutte le possibili interpretazioni di una norma di legge deve sempre preferirsi quella letterale; c) in realtà le norme (artt. 25, 26, 30 e 34) della l. n. 203/1982 che assumono l'inizio ò il termine dell'annata agraria come momento in rapporto al quale rispettivamente valutare la tempestività della domanda di conversione, far decorrere gli effetti di essa, calcolare l'ulteriore durata del contratto non convertito, concernono tutti i rapporti associativi, e in essi la scelta legislativa ha la propria logica giustificazione.

Tale posizione è stata avversata dalla Corte di Cassazione.

Il titolo III “Norme generali e finali” della l. n. 203/1982, si apre con l'art. 39, che sotto la rubrica “Annata agraria”, dispone: «ai fini della presente legge l'annata agraria ha inizio l'11 novembre».

È palese, per l'effetto, che ogni qualvolta la detta legge menziona «l'annata agraria», questa deve ritenersi quella che si svolge tra l'11 novembre di un anno e il 10 novembre dell'anno successivo.

Pertanto, allorché l'art. 5 della detta legge prevede che: «l'affittuario coltivatore diretto può sempre recedere dal contratto col semplice preavviso da comunicarsi al locatore... almeno un anno prima della scadenza dell'annata agraria», la disposizione deve interpretarsi che sia onere del coltivatore diretto che intenda recedere dal contratto intimare la disdetta entro il lo novembre dell'anno precedente a quello in cui cesserà il rapporto».

Analogamente, devono, quindi leggersi l'ultimo comma dell'art. 25 («la parte che intende ottenere la conversione comunica la propria decisione [...] almeno sei mesi prima della fine della annata agraria»), nonché gli artt. 26 (sulla decorrenza degli effetti della «conversione»), 28 (in tema di «conversione» chiesta dal concedente), 34 (sulla durata dei contratti non convertiti: «in tutti i casi previsti... la durata è computata a far tempo dal termine dell'annata agraria successiva alla entrata in vigore della presente legge»), 42 (sull'esercizio del diritto di ripresa), 47 (in merito al rilascio del fondo «a seguito del giudizio», che «può avvenire solo al termine dell'annata agraria durante la quale è stata emessa sentenza esecutiva») e 49 (in tema di scioglimento del contratto per morte dell'affittuario e di assenza, tra i suoi eredi, di persona che abbia esercitato e continui ad esercitare attività agricola).

Già da questo brevissimo excursus in termini opposti, rispetto alle premesse da cui muove la giurisprudenza di merito si ricava che: la norma di cui all'art. 39 è, per espressa dichiarazione del legislatore, di portata «generale» e non limitata, come si assume, ai rapporti associativi (tenuto presente sia che è contenuta non nel titolo secondo della legge, dedicato ai contratti associativi, ma nel terzo, tra le «norme generali», sia che letteralmente prevede — come del tutto trascurato dalla sentenza impugnata «ai fini della presente legge» (e, pertanto, in tutte le norme a cominciare dall'art. 1, l. 3 n. 203/1982 «l'annata agraria ha inizio l'11 novembre»); l'espressione «annata agraria» è contenuta non solo nell'art. 39, della legge, e in. alcune disposizioni dettate con specifico riferimento ai rapporti associativi, ma ha carattere generale, ed è richiamata, espressamente, anche in norme relative, in genere, ai contratti di affitto (ad esempio: 5, 42 e 47).

È esatto che in altre parti, la stessa l. n. 203/1982 con formula più breve, anziché fare riferimento alla «annata agraria» parla di «anni».

Così, ad esempio, l'art. 1, comma 2, dispone che «i contratti di affitto a coltivatori diretti... hanno la durata minima di quindici anni...», l'art. 2, in tema di «durata dei contratti in corso», fa, costantemente menzione che la loro «durata è fissata in sei anni... undici anni, ecc.», mentre l'art. 7, comma 2, ultima parte, in tema di soggetti equiparati ai coltivatori diretti fa menzione all'impegno di costoro «ad esercitare in proprio la coltivazione dei fondi per almeno nove anni».

Pacifico quanto precede deve escludersi che, nell'ambito dello stesso testo normativo, le due espressioni, chiaramente equivalenti, «annata agraria» e «anni», di durata di un certo rapporto, abbiano significato diverso e possano, pertanto, leggersi in un senso o nell'altro, a seconda della formula in quel momento utilizzata (Cass. n. 2626/1985; Cass. n. 3097/1987).

In primo luogo tale interpretazione non è giustificata sul piano letterale, atteso che i vari articoli di uno stesso testo normativo non possono che essere letti uno per mezzo dell'altro (analogamente a quanto dispone, per la materia contrattuale, l'art. 1363 c.c.).

In secondo luogo, come già osservato in sede di lavori preparatori della legge in esame la scelta contenuta dell'art. 39 «dà una opportuna indicazione circa l'inizio della annata agraria stabilendo un termine unico per tutto il territorio nazionale: 11 novembre» ed «evidenti (sono) il vantaggio e la semplificazione provocata da questa opportuna omogeneizzazione» (Atti Senato, VIII Legislatura, n. 17 — 566 — 570 — 1567 — C, Seconda “Relazione Salvaterra”, per la IX Commissione permanente).

Pacifico quanto precede urta palesemente contro la chiara volontà del legislatore, pretendere di leggere le disposizioni che ora interessano nel senso indicato dalla sentenza impugnata, cioè nel senso che in realtà non solo l'omogeneizzazione auspicata dai conditores in tema di durata dei contratti agrari è mancata, ma che la stessa l. n. 203/1982 ha espresso, nei vari i punti, nozioni contrapposte.

Certo ancora che l'interpretazione sostenuta dalla sentenza impugnata (previsione, nella stessa l. n. 203/1982, di «annate agrarie» da calcolarsi dall'11 novembre al 10 novembre dell'anno successivo e di «annate agrarie» decorrenti, invece, dal 6 maggio al 5 maggio successivo) condurrebbe a conclusioni irrazionali (giungendosi con essa a ritenere che il legislatore abbia, con espressioni assolutamente equivalenti sul piano del linguaggio comune, inteso indicare fenomeni totalmente diversi, creando incertezze difficilmente superabili nel dettare una norma diretta alla «semplificazione» dei rapporti) è evidente che tale lettura, del testo positivo deve essere rifiutata.

Deve ribadirsi, infatti, ulteriormente, che il canone della interpretazione logica impone di fare sempre propria una lettura, del testo positivo, che riconduca «la normativa... a razionalità» (C. cost. n. 445/1995).

Ogniqualvolta, pertanto, nella l. n. 203/1982, si menziona l'«anno», inteso come «annata agraria», l'espressione — come accennato — deve essere letta come facente riferimento non al periodo tra l'1 gennaio ed il successivo 31 dicembre, o tra il 6 maggio (data di entrata in vigore della legge) e il 5 maggio dell'anno solare successivo, ma come al periodo tra l'11 novembre di un certo anno solare ed il 10 novembre dell'anno successivo.

Deve, pertanto, concludersi, sul punto, che anche l'art. 2, con l'espressione «durata... di... anni», ha inteso non protrarre i contratti ivi contemplati per un certo numero di anni solari, ma per un certo numero di annate agrarie, aventi inderogabilmente (cfr., art. 58, comma, 1, prima parte, della l. n. 203/1982) inizio secondo la regola generale posta dal successivo art. 39 l'11 novembre (Cass. n. 1295/1998).

La disposizione dettata dalla lett. c) dell'art. 42 è stata interpretata nel senso che, se impone di assumere nella disdetta l'obbligo di coltivare o far coltivare direttamente il fondo per un periodo di nove anni, non richiede poi per la sua osservanza una particolare forma (Cass. n. 269/1989; Cass. n. 6235/1990).

Se ne è tratta la conseguenza che la sentenza in cui il giudice dichiari d'aver accertato che, nell'intimare la disdetta, il concedente ha manifestato la consapevolezza di tale obbligo e la volontà di assumerselo, non si presta ad essere cassata per violazione di legge in base all'allegazione che la disdetta non conteneva l'espressa assunzione dell'obbligo in questione, ma pur è essere cassata solo in quanto si denunzino come motivi di illegittimità della decisione la violazione di norme sull'interpretazione (art. 1362 e ss. c.c.) applicabili anche agli atti unilaterali tra vivi a contenuto patrimoniale (art. 1324 c.c.) o il difetto di motivazione.

Bibliografia

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