Codice Civile art. 1813 - Nozione.Nozione. [I]. Il mutuo è il contratto col quale una parte consegna all'altra una determinata quantità di danaro o di altre cose fungibili, e l'altra si obbliga a restituire altrettante cose della stessa specie e qualità [1782]. InquadramentoIl mutuo rappresenta il prototipo dei contratti di credito e la sua struttura è costituita dal trasferimento della proprietà di una determinata quantità di denaro — o altre cose fungibili — a favore del mutuatario e dall'obbligo di costui di restituire, dopo un certo lasso di tempo, al mutuante il tantundem. Nonostante la formulazione letterale dell'art. 1813 in dottrina è ampiamente discussa la natura reale del contratto e la possibilità di qualificarlo o meno come contratto di durata. Risulta, altresì, discusso se debba qualificarsi contratto bilaterale, unilaterale o bilaterale imperfetto (Carresi, in Tr. Vas., 1957, 104; Fragali, in Comm. S. B., 1966, 16). Quanto al mutuo gratuito si ritiene che si tratti di un contratto unilaterale e con prestazioni a carico di una sola parte (Giampiccolo, 449). La S.C. ha più volte chiarito che la consegna idonea a perfezionare il contratto reale di mutuo non va intesa nei soli termini di materiale e fisica traditio del danaro (o di altre cose fungibili), rivelandosi, invero, sufficiente il conseguimento della sua disponibilità giuridica da parte del mutuatario (Cass. III, n. 17194/2015; Cass. III, n. 14270/2011). Costituisce, inoltre, principio pacifico che la parte che chieda la restituzione di somme date a mutuo è tenuta a provare, oltre alla consegna, anche il titolo dal quale derivi l'obbligo di controparte alla restituzione (Cass. III, n. 17050/2014). Il mutuo di scopo si differenzia dal mutuo tipico per la natura consensuale e non reale ed inoltre per il perseguimento dello scopo che entra a far parte dello stesso schema causale (Mazzamuto, 6). Anche la giurisprudenza reputa che il cosiddetto contratto di finanziamento o mutuo di scopo si configura come una fattispecie negoziale consensuale, onerosa ed atipica che assolve, in modo analogo all'apertura di credito, una funzione creditizia (Cass. III, n. 25180/2007). Natura giuridica: consensualità e realitàSebbene il testo dell'art. 1813 sembrerebbe non lasciare dubbi in proposito, si discute molto in dottrina se il mutuo sia o meno un contratto reale. Il dibattito è dovuto alla presenza di «un'indiscutibile aporia legislativa» (Teti, in Tr. Res., 2007, 647): invero, mentre l'art. 1813 definisce il mutuo come «contratto reale», l'art. 1822 riconosce una certa efficacia alla «promessa di mutuo», così facendo derivare dal consenso alcuni degli effetti che discendono (solo) dalla «realità» della consegna. La tesi negativa rispecchia le critiche che una parte della dottrina ritiene di muovere alla categoria del contratto reale in genere (ritenuta non più attuale), ma trova argomento appunto anche nell'art. 1822 c.c. che riconosce obbligatorietà alla promessa di mutuo: giacché, partendo dal presupposto che un contratto preliminare consensuale di contratto reale sarebbe inammissibile, si pensa che con la contraria previsione quella norma venga sostanzialmente a smentire il carattere reale del mutuo (Carresi, in Tr. Vas, 1957, 114). L'opinione maggioritaria ritiene che il contratto di mutuo abbia natura reale evidenziando che accanto al mutuo reale il legislatore con l'art. 1822 ha disciplinato anche l'ipotesi di un mutuo consensuale o che, ferma restando la realità del negozio, ad un mutuo consensuale possano dar vita le parti nelle forme di un contratto atipico (Fragali, in Comm. S. B., 1966, 1; Dalmartello, 817; Grassani, 1050). La giurisprudenza è unanime nel ritenere che il contratto di mutuo è un contratto reale che si perfeziona con la consegna della somma data a mutuo, che costituisce elemento costitutivo del contratto, evidenziando (Cass. I, n. 25632/2017; Cass. III, n. 14270/2011). I giudici di legittimità hanno altresì chiarito che la consegna idonea a perfezionare il contratto reale di mutuo non va intesa nei soli termini di materiale e fisica traditio del danaro (o di altre cose fungibili), rivelandosi, invero, sufficiente il conseguimento della sua disponibilità giuridica da parte del mutuatario. In particolare, la disponibilità giuridica come equipollente della traditio è stata ritenuta sussistente: - in caso di integrazione del contratto di mutuo con un separato atto di quietanza a saldo, attesa la progressiva dematerializzazione dei valori mobiliari e la loro sostituzione con annotazioni contabili, tenuto conto che sia la normativa antiriciclaggio che le misure normative tese a limitare l'uso di contante nelle transazioni commerciali hanno accentuato l'utilizzo di strumenti alternativi al trasferimento di danaro (Cass. III, n. 17194/2015); - in presenza di un ordine, proveniente da un istituto bancario, di versare una somma determinata a un terzo, realizzato mediante un mandato emesso sulla propria cassa, cui segua un «atto di quietanza finale di mutuo fondiario» (Cass. III, n. 25569/2011); - nell'ipotesi in cui mutuante crei un autonomo titolo di disponibilità in favore del mutuatario, in modo tale da determinare l'uscita della somma dal proprio patrimonio e l'acquisizione della medesima al patrimonio di quest'ultimo (Cass. III, n. 14270/2011); - nel caso di consegna dell'assegno alla parte mutuataria, che abbia dichiarato di accettarlo «come denaro contante», rilasciandone quietanza a saldo (Cass. I, n. 14/2011; nel caso esaminato dalla S.C. si trattava di assegno circolare interno, intestato alla parte e con clausola di intrasferibilità). Recentemente è stata rimessa alle S.U. la questione concernente l'idoneità del contratto di mutuo a costituire titolo esecutivo, ai sensi dell'art. 474, nel caso in cui alla stipulazione di un mutuo ipotecario sia seguìto il ripianamento delle precedenti passività del correntista tramite operazioni di giroconto effettuate dall'istituto di credito, suscitando il dubbio se tali operazioni soddisfino il requisito della disponibilità giuridica della somma a favore del mutuatario (Cass. I, n. 18903/2024). Contratto di durata? Discussa in dottrina è anche la possibilità di definire il mutuo un contratto di durata. Propendono per la soluzione negativa quegli autori (Dalmartello, 843) che ritengono qualificabile come contratto di durata il contratto la cui funzione si realizza attraverso l'adempimento di una o più obbligazioni di durata (cd. contratto ad esecuzione continuata o periodica). Optano, invece, per la soluzione positiva quegli autori reputano che la nozione di contratto di durata, piuttosto che sulla presenza di un'obbligazione di durata, si costruisce con riferimento all'attitudine del negozio a svolgere la propria funzione in maniera durevole (Giampiccolo, 452). OggettoA norma dell'art. 1813 oggetto di mutuo può essere soltanto una quantità di danaro o di altre cose fungibili. Non è previsto il requisito della consumabilità delle cose. Nonostante la tradizionale definizione del mutuo come prestito di consumo, non è dubbio quindi che anche beni non consumabili, purché fungibili, possono formare oggetto di mutuo (Carresi, in Tr. Vas., 1957, 123; Fragali, in Comm. S. B., 1966, 132; Giampiccolo, 454). FormaIl contratto di mutuo è caratterizzato dal principio della libertà di forma: il legislatore ha, invero, imposto la forma scritta solo in relazione al patto sugli interessi superiori alla misura legale e, pertanto, la stessa costituisce una forma integrativa necessaria soltanto per la validità di alcune clausole o come presupposto di determinati effetti (Giampiccolo, 455). La forma scritta è richiesta per alcuni mutui speciali e per i prestiti obbligazionari (Fragali, in Comm. S. B., 1966, 168). In particolare, per i contratti bancari e finanziari conclusi con un intermediario appositamente abilitato è richiesta la forma scritta e la consegna di un esemplare dell'atto al cliente. L'inosservanza della forma prescritta comporta la nullità del contratto, nullità che può essere fatta valere soltanto dal cliente (artt. 117 e 127 d.lgs. n. 385/1993, cd. Testo Unico Bancario). Capacità e legittimazioneIl mutuo è considerato atto di straordinaria amministrazione, sia per il mutuante che per il mutuatario, sia esso stipulato a titolo gratuito o oneroso (Carresi, in Tr. Vas, 1957, 117; Fragali, 1966, 35; Teti, in Tr. Res., 2007, 668). Ciò in quanto l'art. 320, senza distinguere tra mutuo gratuito e oneroso, né tra attivo e passivo, vieta ai genitori di contrarre mutui per i figli minori, e colloca il mutuo tra gli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione. La base del divieto risiede nel rischio che il mutuo comporta: per il mutuante che sostituisce alla proprietà delle cose il credito alla restituzione; per il mutuatario che potrebbe pregiudicare il proprio patrimonio impiegando in modo avventato quanto è tenuto a restituire. La legittimazione a dare e a ricevere a mutuo, costituendo il contratto in oggetto un atto di disposizione, spetta a chi è proprietario dei beni o a chi è titolare del diritto di disporre di essi (Fragali, ult. cit.). Onere della prova e restituzioneAl fine di provare l'esistenza di un contratto di mutuo non è sufficiente dimostrare la consegna, ma deve essere data prova del titolo per il quale è stata attuata, essendo la consegna di per sé un elemento neutro (Fragali, in Comm. S. B., 1966, 171). Costituisce principio pacifico anche in giurisprudenza che la parte che chieda la restituzione di somme date a mutuo è tenuta a provare, oltre alla consegna, anche il titolo dal quale derivi l'obbligo di controparte alla restituzione (Cass. III, n. 17050/2014). In particolare, i giudici di legittimità hanno chiarito che la circostanza che il convenuto ammetta di avere ricevuto una somma di denaro dall'attore, ma neghi che ciò sia avvenuto a titolo di mutuo, non costituisce una eccezione in senso sostanziale, sì da invertire l'onere della prova (Cass. II, n. 35959/2021). Ciò in quanto negare l'esistenza di un contratto di mutuo non significa eccepirne l'inefficacia, la modificazione o l'estinzione, ma significa negare il titolo posto a base della domanda, ancorché il convenuto riconosca di aver ricevuto una somma di denaro ed indichi la ragione per la quale tale somma sarebbe stata versata, con la conseguenza, pertanto, che rimane fermo l'onere probatorio a carico dell'attore (Cass. II, n. 30944/2018; Cass. II, n. 22576/2016; Cass. III, n. 6295/2013). La S.C. ha inoltre rimarcato che l'esistenza di un contratto di mutuo non può essere desunta dalla mera consegna di assegni bancari o somme di denaro (Cass. II, n. 180/2018). Ciò in quanto, potendo la stessa avvenire per svariate ragioni, non vale, di per sé, a fondare una richiesta di restituzione allorquando l'«accipiens» — ammessa la ricezione — non confermi, altresì, il titolo posto dalla controparte a fondamento della propria pretesa, ma ne contesti, anzi, la legittimità (Cass. II, n. 24328/2017). Ciò nondimeno, si è evidenziato che allorché una parte, provata la consegna di una somma di denaro all'altra, ne domandi la restituzione omettendo di dimostrare la pattuizione del relativo obbligo, e la controparte non deduca alcuna causa idonea a giustificare il suo diritto a trattenere la somma ricevuta, il rigetto per mancanza di prova della domanda restitutoria va argomentato con cautela e tenendo conto di tutte le circostanze del caso, onde accertare se la natura del rapporto e le circostanze del caso concreto giustifichino che l'accipiens trattenga senza causa il denaro ricevuto dal solvens (Cass. II, n. 27372/2021. Nella specie, la S.C. ha riformato la sentenza della Corte di appello osservando che, a fronte di un'espressa imputazione del versamento da parte dell'attrice, documentata dalla causale del bonifico, il giudizio in ordine alla carenza di prova dell'esistenza del rapporto di mutuo invocato dalla ricorrente, non si era attenuto al criterio di particolare cautela valutativa, specie in presenza di un'allegazione difensiva della controparte che si fondava unicamente su documenti unilaterali predisposti in epoca successiva alla dazione della somma). I giudici di legittimità hanno, inoltre, ritenuto che non viola l'articolo 2721, comma 1, il giudice che, relativamente ad un contratto di mutuo concluso in forma orale, ammetta la prova di tale stipulazione a mezzo testimoni, allorché ritenga verosimile la conclusione orale del contratto, avuto riguardo alla sua natura ed alla qualità delle parti, nonostante il valore della lite ecceda il limite previsto dalla citata disposizione (Cass. III, n. 28482/2024). PrescrizioneAll'obbligo di restituire la somma ricevuta a titolo di mutuo non si applica la prescrizione quinquennale prevista dall'art. 2948 n. 4, relativa ai debiti che debbono soddisfatti periodicamente ad anno o in termini più brevi, poiché trattasi di un debito unico anche se può essere rateizzato in più versamenti periodici (Cass. II, n. 12707/2002). Il beneficio del pagamento rateale costituisce, difatti, solo una modalità prevista per favorire il mutuatario attraverso l'assolvimento ripartito nel tempo della propria obbligazione, ma non consegue l'effetto di frazionare il debito in tante autonome obbligazioni (Cass. III, n. 2301/2004). Poiché il pagamento dei ratei configura un'obbligazione unica ed il relativo debito non può considerarsi scaduto prima della scadenza dell'ultima rata, la prescrizione del diritto al rimborso della somma mutuata inizia a decorrere dalla scadenza dell'ultima rata (Cass. III, n. 17798/2011). Mutuo di scopoCon l'espressione «mutuo di scopo» si intende il contratto in forza del quale il mutuante (o finanziatore) fornisce (o si obbliga a fornire) una somma, la cui erogazione risulta finalizzata al conseguimento di uno scopo legislativamente o convenzionalmente determinato, che il mutuatario si obbliga a realizzare unitamente alla restituzione del tantundem. Perché possa parlarsi di mutuo di scopo è indispensabile che l'interesse alla realizzazione dello scopo abbia avuto un ruolo primario nella conclusione del contratto e che questo si sia concretato nell'inserimento di una clausola di destinazione ovvero nell'assunzione, da parte del sovvenuto, dell'obbligo di compiere l'attività necessaria al conseguimento dello scopo. La dottrina evidenzia che il mutuo di scopo si differenzia dal mutuo tipico per la natura consensuale e non reale ed inoltre per il perseguimento dello scopo che entra a far parte dello stesso schema causale (Mazzamuto, 6). Anche la giurisprudenza reputa che il cosiddetto contratto di finanziamento o mutuo di scopo si configura come una fattispecie negoziale consensuale, onerosa ed atipica che assolve, in modo analogo all'apertura di credito, una funzione creditizia. I giudici di legittimità hanno all'uopo rimarcato che in detto contratto, a differenza del mutuo regolato dal codice civile, la consegna di una determinata quantità di denaro costituisce l'oggetto di un'obbligazione del finanziatore, anziché elemento costitutivo del contratto. Conseguentemente, fino a quando il finanziatore non adempia alla propria obbligazione di consegna al soggetto finanziato delle somme di denaro oggetto del finanziamento, queste rimangono nella disponibilità patrimoniale e giuridica del finanziatore medesimo (Cass. III, n. 25180/2007). Ad avviso della S.C. il mutuo di scopo va inquadrato nell'ambito dei contratti di durata , poiché le parti sono avvinte dal rilievo causale che il raggiungimento dello scopo assume nell'economia del rapporto (Cass. I, n. 25193/2024). E' stato, inoltre, evidenziato che la dicitura 'mutuo di scopo' contenuta in una comunicazione non è sufficiente per qualificare come tale il mutuo di scopo. Il mutuo di scopo risponde alla funzione di procurare al mutuatario i mezzi economici destinati al raggiungimento di una determinata finalità, comune al finanziatore, la quale, integrando la struttura del negozio, ne amplia la causa rispetto alla sua normale consistenza, sia in relazione al profilo strutturale, perché il mutuatario non si obbliga solo a restituire la somma mutuata e a corrispondere gli interessi, ma anche a realizzare lo scopo concordato, mediante l'attuazione in concreto del programma negoziale, sia in relazione al profilo funzionale, perché nel sinallagma assume rilievo essenziale proprio l'impegno del mutuatario a realizzare la prestazione attuativa (Cass. I, n. 15695/2024; Cass. I, n. 1517/2021; Cass. II, n. 20552/2020). La mera enunciazione, nel testo contrattuale, che il mutuatario utilizzerà la somma erogatagli per lo svolgimento di una data attività o per il perseguimento di un dato risultato non è per sé idonea a integrare gli estremi del mutuo di scopo convenzionale, per il cui inveramento occorre, di contro, che lo svolgimento dell'attività dedotta o il risultato perseguito siano nel concreto rispondenti a uno specifico e diretto interesse anche proprio della persona del mutuante, che vincoli l'utilizzo delle somme erogate alla relativa destinazione. Per tale ragione la S.C. ha ritenuto che l'operazione di "ripianamento" di debito a mezzo di nuovo "credito", che la banca già creditrice realizzi mediante accredito della somma su un conto corrente gravato di debito a carico del cliente, non integra gli estremi del contratto di mutuo, bensì quelli di una semplice modifica accessoria dell'obbligazione, come conseguente alla conclusione di un pactum de non petendo ad tempus (Cass. I, n. 1517/2021). Data la particolare struttura del contratto, viene ritenuto nullo per difetto della causa originaria il mutuo di scopo stipulato dall'istituto di credito e dal mutuatario con l'accordo che il finanziamento debba essere utilizzato per una diversa finalità, di modo che il mutuatario stesso sia esonerato ab initio dall'adempimento dell'obbligazione (Cass. I, n. 24699/2017; Cass. I, n. 25793/2015). Nel caso in cui sia previsto lo scopo del reimpiego della somma mutuata per l'acquisto di un determinato bene, il collegamento negoziale tra il contratto di finanziamento e quello di vendita, in virtù del quale il mutuatario è obbligato all'utilizzazione della somma mutuata per la prevista acquisizione, comporta che della somma concessa in mutuo beneficia il venditore del bene. Da ciò discende che la risoluzione della compravendita ed il correlato venir meno dello scopo del contratto di mutuo, legittimano il mutuante a richiedere la restituzione dell'importo mutuato non al mutuatario ma direttamente ed esclusivamente al venditore (Cass. III, n. 12454/2012; Cass. III, n. 7773/2003; Cass. III, n. 5966/2001). Il legislatore è intervenuto in materia con l'art. 1 d.lgs. n. 141/2010, che ha modificato l'art. 125- quinquiesTUB, che attualmente prevede che «1. Nei contratti di credito collegati, in caso di inadempimento da parte del fornitore dei beni o dei servizi il consumatore, dopo aver inutilmente effettuato la costituzione in mora del fornitore, ha diritto alla risoluzione del contratto di credito, se con riferimento al contratto di fornitura di beni o servizi ricorrono le condizioni di cui all'articolo 1455 c.c. 2. La risoluzione del contratto di credito comporta l'obbligo del finanziatore di rimborsare al consumatore le rate già pagate, nonché ogni altro onere eventualmente applicato. La risoluzione del contratto di credito non comporta l'obbligo del consumatore di rimborsare al finanziatore l'importo che sia stato già versato al fornitore dei beni o dei servizi. Il finanziatore ha il diritto di ripetere detto importo nei confronti del fornitore stesso.». La ratio della norma è quella di esonerare il consumatore da qualsivoglia profilo di responsabilità nei confronti del finanziatore a seguito dell'inadempimento del fornitore, purché tale inadempimento risulti essere di non scarsa importanza. La giurisprudenza ha all'uopo evidenziato che per l'esercizio dell'azione nei confronti del finanziatore è sufficiente la messa in mora e la sussistenza, rispetto al contratto di fornitura, delle condizioni di cui all'art. 1455 c.c. e non anche l'espletamento della relativa azione giudiziaria (Trib. Modena I, 1° marzo 2017, n. 351). La disciplina della cd. portabilità del mutuoIl meccanismo di surrogazione nel mutuo, pur essendo previsto dall'art. 1202 c.c. («surrogazione per volontà del debitore»), era di fatto era scarsamente utilizzato per via delle sue problematiche operative fino ai recenti interventi legislativi. Le prime disposizioni sulla portabilità del mutuo sono state introdotte nell'ordinamento italiano dall'art. 8 d.l. n. 7/2007 (meglio conosciuto con Decreto-Legge Bersani bis), convertito con modificazioni dalla l. n. 40/2007. Questo articolo è stato poi modificato dall'art. 2, comma 450 della l. n. 244/2007 (Legge Finanziaria 2008). Successivamente la normativa è stata modificata dal d.lgs. n. 141/2010. L'art. 4, comma 2 del d.l. n. 141/2010 ha di fatto trasfuso la disciplina nel d.lgs. n. 385/1993 (TUB) e successive modificazioni, aggiungendo l'art. 120-quater. Detta disposizione prevede che in caso di contratti di finanziamento conclusi da intermediari bancari e finanziari, l'esercizio da parte del debitore della facoltà di surrogazione di cui all'art. 1202 c.c. non è precluso dalla non esigibilità del credito o dalla pattuizione di un termine a favore del creditore. Per effetto della surrogazione, il mutuante surrogato subentra nelle garanzie, personali e reali, accessorie al credito cui la surrogazione si riferisce. La surrogazione determina, altresì, il trasferimento del contratto, alle condizioni stipulate tra il cliente e l'intermediario subentrante, con esclusione di penali o altri oneri di qualsiasi natura. L'annotamento della surrogazione può essere richiesto al conservatore senza formalità (ed anche in modalità telematica), allegando copia autentica dell'atto di surrogazione stipulato per atto pubblico o scrittura privata. Non possono essere imposte al cliente spese o commissioni per la concessione del nuovo finanziamento, per l'istruttoria e per gli accertamenti catastali, che si svolgono secondo procedure di collaborazione tra intermediari improntate a criteri di massima riduzione dei tempi, degli adempimenti e dei costi connessi. In ogni caso, gli intermediari non applicano alla clientela costi di alcun genere, neanche in forma indiretta, per l'esecuzione delle formalità connesse alle operazioni di surrogazione. Nel caso in cui il debitore intenda avvalersi della facoltà di surrogazione, resta salva la possibilità del finanziatore originario e del debitore di pattuire la variazione senza spese delle condizioni del contratto in essere, mediante scrittura privata anche non autenticata. Il legislatore ha sancito espressamente la nullità ogni patto, anche posteriore alla stipulazione del contratto, con il quale si impedisca o si renda oneroso per il debitore l'esercizio della facoltà di surrogazione. La nullità del patto non comporta la nullità del contratto. La surrogazione deve perfezionarsi entro il termine di trenta giorni lavorativi dalla data in cui il cliente chiede al mutuante surrogato di acquisire dal finanziatore originario l'esatto importo del proprio debito residuo. Nel caso in cui la surrogazione non si perfezioni entro il termine di trenta giorni lavorativi, per cause dovute al finanziatore originario, quest'ultimo è comunque tenuto a risarcire il cliente in misura pari all'1 per cento del valore del finanziamento per ciascun mese o frazione di mese di ritardo. Resta ferma la possibilità per il finanziatore originario di rivalersi sul mutuante surrogato, nel caso in cui il ritardo sia dovuto a cause allo stesso imputabili. Il legislatore ha, inoltre, previsto che la surrogazione per volontà del debitore e la rinegoziazione del mutuo non comportano il venir meno dei benefici fiscali. BibliografiaDalmartello, Appunti in tema di contratti reali, contratti restitutori e contratti sinallagmatici, in Riv. dir. civ., 1955; Galasso, Mutuo e Deposito irregolare, Milano, 1968; Gardella Tedeschi, Il Mutuo (contratto di), in Dig. civ., Torino, 1994; Giampiccolo, voce Mutuo, Enc. dir., XXVII, Milano, 1977; Grassani, Mutuo, in Noviss. Dig. it., X, Torino 1964; Mazzamuto, Mutuo di scopo, in Enc. Giur., XX, Roma, 1990. |