Codice Civile art. 1614 - Morte dell'inquilino.

Francesco Agnino

Morte dell'inquilino.

[I]. Nel caso di morte dell'inquilino, se la locazione deve ancora durare per più di un anno ed è stata vietata la sublocazione, gli eredi possono recedere dal contratto entro tre mesi dalla morte1.

[II]. Il recesso si deve esercitare mediante disdetta comunicata con preavviso non inferiore a tre mesi.

 

Inquadramento

La norma è volta a contemperare la posizione degli eredi, che possono non avere interesse a proseguire nella conduzione dell'immobile, con quella del locatore, in tale ipotesi, a reperire nuovi locatari. Al riguardo, l'erede non convivente del conduttore di immobile adibito ad abitazione non gli succede nella detenzione qualificata, e poiché il titolo si estingue con la morte del titolare del rapporto (analogamente al caso di morte del titolare dei diritti di usufrutto, uso o abitazione) quegli è un detentore precario della res locata al de cuius, sì che nei suoi confronti sono esperibili le azioni di rilascio per occupazione senza titolo e di responsabilità extracontrattuale (Cass. n. 26670/2017; Cass. n. 6965/2001).

Inoltre, l'ordinanza di convalida di una licenza per finita locazione, emessa nei confronti di alcuni soltanto degli eredi dell'originario conduttore, litisconsorti necessari, non è opponibile agli altri ceduti (Cass. n. 10889/2002).

Disciplina dettata dalla l. n. 392/1978

La successione del contratto di locazione di immobile urbano destinata all'uso di abitazione è disciplinata esclusivamente dall'art. 6 l. n. 392/1978, secondo cui, in caso di morte del conduttore, gli succedono il coniuge, gli eredi ed i parenti ed affini abitualmente conviventi nonché il convivente more uxorio.

In mancanza di persone aventi diritto a succedere nella locazione ai sensi della predetta norma, il rapporto si estingue, non trovando applicazione, in via sussidiaria, l'art. 1614, dato che la successione nel contratto della locazione abitativa ha una disciplina nuova e diversa rispetto a quella precedente del codice civile, attraverso la individuazione nei conviventi dell'unica categoria di successibili.

Sul tema, la giurisprudenza di legittimità esprime ormai da tempo l'indirizzo costante della inapplicabilità della norma codicistica in rapporto alla tipicità della locazione abitativa, che giustifica la tipicità della relativa disciplina successoria (Cass. n. 11328/1990; Cass. n. 4767/1992; Cass. n. 3074/1995; Cass. n. 8967/1998; Cass. n. 10034/2000).

Deve, pertanto, ritenersi che l'erede non convivente — mentre risponde, secondo i principi generali, delle obbligazioni scadute al momento dell'avvenuta successione e già non soddisfatte dal suo dante cause, tra esse anche quelle relative al rapporto di locazione estinto con la morte del conduttore — per il resto, quanto all'immobile locato, non subentra nella detenzione qualificata del conduttore defunto, ma viene a trovarsi con la res locata nella relazione di mero fatto di detenzione precaria, che, comunque, gli deriva dalla sua qualità di successore del defunto e che, facendone un occupante senza titolo, rende esperibile nei suoi confronti l'azione del rilascio (Cass. n. 6965/2001). In particolare, l'erede non convivente del conduttore di immobile adibito ad abitazione non gli succede nella detenzione qualificata, e poiché il titolo si estingue con la morte del titolare del rapporto (analogamente al caso di morte del titolare dei diritti di usufrutto, uso o abitazione), quegli è un detentore precario della res locata al de cuius, sicché nei suoi confronti sono esperibili le azioni di rilascio per occupazione senza titolo e di responsabilità extracontrattuale (Cass n. 26670/2017).

La convivenza con il conduttore defunto, cui è subordinata la successione nel contratto di locazione, costituisce una situazione complessa, caratterizzata da una convivenza «stabile ed abituale», da una «comunanza di vita», preesistente al decesso, non riscontrabile qualora il pretendente successore si sia trasferito nell'abitazione locata soltanto per assistere il conduttore stesso e quindi per ragioni transitorie (Cass. n. 10034 /2000; Cass. n. 8652 /1996; Cass. n. 4250 /1982; Cass. n. 11328 /1990).

In particolare, la successione nel contratto di locazione di un immobile urbano destinata all'uso di abitazione è disciplinata esclusivamente dall'art. 6 l. n. 392/1978, secondo cui, in caso di morte del conduttore, gli succedono il coniuge, gli eredi ed i parenti ed affini abitualmente conviventi nonché, a seguito della sent. n. 404/1988 della Corte costituzionale, il convivente more uxorio.

In mancanza di persone aventi diritto a succedere nella locazione ai sensi della predetta norma, il rapporto si estingue, non trovando applicazione, in via sussidiaria, l'art. 1614 c.c., dato che la successione nel contratto della locazione abitativa ha una disciplina nuova e diversa rispetto a quella precedente del codice civile, attraverso la individuazione nei conviventi dell'unica categoria di successibili.

Sul tema (che pure in dottrina ancora presenta soluzioni difformi nella contrapposizione tra la tesi che attribuisce la qualità di conduttori agli eredi iure successionis secondo la norma dell'art. 1614 e la soluzione che prospetta la estinzione del rapporto, nel caso in cui non sussista alcuno dei soggetti indicati nella norma dell'art. 6 l. n. 392/1978) la giurisprudenza di legittimità esprime ormai da tempo l'indirizzo costante della inapplicabilità della norma codicistica in rapporto alla tipicità della locazione abitativa, che giustifica la tipicità della relativa disciplina successoria (Cass. n. 11328/1990: anteriormente all'entrata in vigore della l. n. 392/1978, l'art. 1 l. n. 253/1950 e, successivamente, l'art. 2-bis l. n. 236/1974 in materia di locazione di immobili urbani ad uso abitativo (e, a diverse condizioni, ad uso non abitativo) prevedevano, in caso di morte del conduttore di immobile con contratto soggetto a proroga, il diritto alla detta proroga, e, implicitamente, il diritto di successione nel contratto, a favore del coniuge e dei parenti del defunto conduttore, con quest'ultimo abitualmente conviventi.

Tale disciplina, pertanto, non aveva abrogato per incompatibilità l'art. 1614 c.c., in quanto tale norma trovava applicazione nella diversa ipotesi, non disciplinata dalle norme vincolistiche, in cui il rapporto locatizio, al momento della morte del conduttore, fosse ancora in regime contrattuale, nel qual caso solo gli eredi indicati nell'art. 1614 c.c. acquistavano «ipso iure» la qualità di conduttori con diritto al mantenimento della locazione a loro favore per tutta la durata convenzionale del contratto (v. in tal senso Cass. n. 615/1957). La l. n. 392/1978 con l'art. 6 per gli immobili ad uso abitativo (e con l'art. 37 per gli immobili ad uso non abitativo), essendo cessato il regime della proroga legale dei contratti, ha compiutamente e direttamente disciplinato la materia della successione nel contratto di locazione in caso di morte del conduttore, sì che la diversa disciplina dell'art. 1614 c.c., in quanto incompatibile con il disposto dell'art. 6 citato, deve ritenersi abrogata con l'entrata in vigore della suddetta legge ai sensi dell'art. 84 della legge medesima (Cass. n. 4767/199; Cass. n. 3074/1995, a mente della quale: nella giurisprudenza di questa Corte ripetutamente è stato affermato il principio che l'art. 6 l. 27 luglio 1978 n. 392 ha compiutamente disciplinato la disciplina della successione nel contratto di locazione per uso abitativo in caso di morte del conduttore, escludendo l'applicabilità dell'art. 1614 c.c. ai rapporti assoggettati alla nuova e diversa disciplina, con la conseguenza che, in mancanza delle altre persone in favore delle quali la sopra citata disposizione della legge sull'equo canone prevede la successione nel contratto di locazione, gli eredi del conduttore possono subentrare nel rapporto locativo ove fossero conviventi con quest'ultimo. Cass. n. 896/1998; Cass. n. 10034/2000).

Deve, pertanto, ritenersi che l'erede non convivente — mentre risponde, secondo i principi generali, delle obbligazioni scadute al momento dell'avvenuta successione e già non soddisfatte dal suo dante cause, tra esse anche quelle relative al rapporto di locazione estinto con la morte del conduttore — per il resto, quanto all'immobile locato, non subentra nella detenzione qualificata del conduttore defunto, ma viene a trovarsi con la res locata nella relazione di mero fatto di detenzione precaria, che, comunque, gli deriva dalla sua qualità di successore del defunto e che, facendone un occupante senza titolo, rende esperibile nei suoi confronti l'azione del rilascio.

In tal senso, peraltro, con il deciso orientamento della dottrina, deve certamente indirizzarsi questo giudice di legittimità, non solo affermando che dal principio della immutabilità del rapporto possessorio nell'erede con effetto dall'apertura della successione (art. 1146, comma 1, c.c.) deriva la conseguenza che il possesso (o la detenzione) precario resta tale anche per il successore; ma affermando che detto principio di immutabilità subisce pure necessario adattamento quando, venuto meno per morte del possessore (o del detentore qualificato) il titolo che giustificava il particolare potere di fatto sulla cosa, il rapporto continua con l'erede nella mutata situazione di mera detenzione, non assistita da alcun titolo.

Nella predetta situazione (analoga ad ogni altra in cui il possesso o la detenzione qualificata del de cuius si trasferisce, necessariamente modificata in detenzione precaria, all'erede, siccome avviene, ad esempio, per l'usufrutto, l'uso o l'abitazione alla morte del titolare di detti diritti) l'obbligo di restituzione dell'immobile locato, che sarebbe gravato sul de cuius in virtù del titolo contrattuale ai sensi dell'art. 1590 c.c., assume nei confronti dell'erede non convivente la qualificazione di obbligazione di natura extracontrattuale connessa ad una detenzione senza titolo, che, benché non derivante da autonomo comportamento dell'erede ma conseguente al semplice subingresso nella sfera giuridica complessiva del suo dante causa, dal momento dell'apertura della successione legittima nei confronti del detentore senza titolo la pretesa restitutoria del locatore (Cass. n. 6965/2001).

Sotto altro aspetto in caso di occupazione senza titolo di un cespite immobiliare altrui, il danno subito dal proprietario sia in re ipsa, discendendo dalla perdita della disponibilità del bene e dall'impossibilità di conseguire l'utilità ricavabile dal bene medesimo in relazione alla natura normalmente fruttifera di esso. In tal caso allora, la determinazione dell'entità del risarcimento ben può essere operata dal giudice sulla base di elementi presuntivi semplici, con riferimento al c.d. danno figurativo e, quindi, con riguardo al valore locativo del bene usurpato (Cass. n. 10498 /2006; Cass. n. 7692 /2001; Cass. n. 1373 /1999).

Bibliografia

Barraso, Di Marzio, Falabella, La locazione, Padova, 1988; Barraso, Di Marzio, Falabella, La locazione, contratto, obbligazione, estinzione, Torino, 2010; Bianca, Diritto civile, III, Milano, 2000; Carrato, Scarpa, Le locazioni nella pratica del contrato e del processo, Milano, 2010; Cuffaro, Calvo, Ciatti, Della locazione. Disposizioni generali. Artt. 1571-1606, Milano, 2014; Gabrielli, Padovini, Le locazioni di immobili urbani, Padova, 2005; Grasselli, La locazione di immobili nel codice civile e nelle leggi speciali, Padova, 2005.

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