Codice Civile art. 1615 - Gestione e godimento della cosa produttiva.

Francesco Agnino

Gestione e godimento della cosa produttiva.

[I]. Quando la locazione ha per oggetto il godimento di una cosa produttiva, mobile o immobile, l'affittuario deve curarne la gestione in conformità della destinazione economica della cosa [1618] e dell'interesse della produzione [1617, 1620]. A lui spettano i frutti [821 1] e le altre utilità della cosa.

Inquadramento

Poiché l'affitto ha ad oggetto beni produttivi, l'affittuario non ha solo la custodia e la conduzione del bene ma anche la sua gestione, al fine di valorizzarne la produttività e mantenerla intatta a favore del locatore e dei successivi affittuari.

Differenze tra locazione ed affitto di azienda

La locazione di immobile con pertinenze si differenzia dall'affitto di azienda perché la relativa convenzione negoziale ha per oggetto un bene — l'immobile concesso in godimento — che viene considerato specificamente, nell'economia del contratto, come l'oggetto principale della stipulazione, secondo la sua consistenza effettiva e con funzione prevalente e assorbente rispetto agli altri elementi, i quali assumono, comunque, carattere di accessorietà, rimanendo ad esso collegati sul piano funzionale in una posizione di coordinazione-subordinazione. Per contro, nell'affitto di azienda, lo stesso immobile è considerato non nella sua individualità giuridica, ma come uno degli elementi costitutivi del complesso dei beni (mobili ed immobili) legati tra loro da un vincolo di interdipendenza e complementarità per il conseguimento di un determinato fine produttivo (Cass. n. 5989/2007; Cass. n. 12543/2009; Cass. n. 2477/2013).

Il criterio di distinzione tra contratto di affitto e contratto di locazione è oggettivo e soggettivo ad un tempo, nel senso che, perché si configuri un contratto di affitto è necessario non solo che il contratto abbia ad oggetto una cosa produttiva, ma anche che la disponibilità del bene sia concessa al fine di consentire all'affittuario la gestione produttiva dello stesso. In particolare nell'ipotesi di un immobile costituito da fabbricato ed annesso fondo rustico è necessario stabilire la prevalenza o meno, nell'economia del contratto, del godimento del fabbricato o meno, nell'economia del contratto, del godimento del fabbricato e del terreno annesso — che pure può comportare un'attività di coltivazione preordinata alla produzione e percezione dei frutti — ovvero della coltivazione del fondo, intesa come oggetto essenziale di una «gestione produttiva» costituente oggetto di obbligo, prima ancora che di diritto, dell'affittuario (Cass. n. 592/1995).

In altri termini, il criterio discretivo tra locazione di immobile ad uso non abitativo e affitto d'azienda è fondato, rispettivamente, sulla valenza assorbente ed esclusiva dell'immobile nel primo caso e, viceversa, sulla sua considerazione funzionalmente paritaria e complementare con gli altri beni organizzati per l'azienda, nel secondo caso (Cass. n. 10106/2000).

La locazione di immobile con pertinenze si differenzia dall'affitto di azienda perché la relativa convenzione negoziale ha per oggetto un bene — l'immobile concesso in godimento — che viene considerato specificamente, nell'economia del contratto, come l'oggetto principale della stipulazione, secondo la sua consistenza effettiva e con funzione prevalente e assorbente rispetto agli altri elementi, i quali assumono, comunque, carattere di accessorietà, rimanendo ad esso collegati sul piano funzionale in una posizione di coordinazione-subordinazione. Per contro, nell'affitto di azienda, lo stesso immobile è considerato non nella sua individualità giuridica, ma come uno degli elementi costitutivi del complesso dei beni (mobili ed immobili) legati tra loro da un vincolo di interdipendenza e complementarità per il conseguimento di un determinato fine produttivo (Cass. n. 5989/2007; Cass. n. 12543/2009).

Alla stregua di detti principi occorre dunque verificare se possa ritenersi costituito pattiziamente un vincolo di funzionalizzazione dell'immobile e se possa ravvisarsi sussistente oggettivamente un complesso di beni organizzati.

L'indagine deve effettuarsi sul contenuto delle clausole contrattuali: «ciò posto, a parere di questa Corte l'analisi del testo contrattuale induce a ritenere che il rapporto sia effettivamente riconducibile ad affitto di ramo d'azienda, in conformità al nomen iuris dato dai contraenti, che costituisce pur sempre punto di partenza dell'indagine. Difatti, in base ad una corretta interpretazione del contenuto contrattuale ai sensi dell'art. 1363 c.c., emergono plurimi univoci dati, di seguito in dettaglio individuati, da cui si desume che l'immobile era solo uno degli elementi costitutivi del complesso di beni legati tra loro dal vincolo funzionalizzante di cui sopra. In primo luogo tra gli elementi costitutivi del ramo d'azienda vi era l'autorizzazione amministrativa per l'esercizio del commercio al dettaglio, già ottenuta da Padova Est e trasferita a Cisalfa; si tratta di elemento di notevole rilevanza sulla qualificazione, considerato anche il vincolo di destinazione dell'attività (clausola 2.2), ossia l'impegno a non modificare la destinazione del ramo d'azienda. Le ulteriori previsioni di cui alla clausola 2.3, valorizzate dall'appellante per sminuire la rilevanza del dato suindicato, non possono che riferirsi ad autorizzazioni, licenze e permessi complementari da ottenere successivamente, in coerenza con l'esercizio in proprio dell'attività aziendale di seguito assunto dall'affittuaria. Altro rilevante elemento costitutivo, espressamente indicato nel contratto, è l'avviamento aziendale, che consiste nel valore del Centro Commerciale nel suo complesso, riconosciuto espressamente dall'affittuaria di grande attrattiva commerciale (art. 3.1.c), a cui si aggiunge il valore dei segni distintivi, pure posti a disposizione di Cisalfa, e dei marchi del Centro Commerciale e/o del Parco commerciale (artt. 9 e 10). Ancora nel contratto si attribuisce a Cisalfa il diritto di utilizzare gli impianti e beni esistenti nel ramo d'azienda, compresi i parcheggi, oltre che gli arredi e beni strumentali (art. 3.1. e. e g.). Importante indice sintomatico del collegamento funzionale è anche l'obbligo assunto da Cisalfa di mantenere efficiente l'organizzazione commerciale, mediante la costante apertura dell'esercizio, sanzionata, in difetto, con penali onerose; detto obbligo trova giustificazione, infatti, solo a fini di salvaguardia dei beni aziendali unitariamente considerati e, soprattutto, a salvaguardia dell'avviamento aziendale come sopra individuato, ossia come “grande attrattiva commerciale” del Centro nel suo complesso. Per finire e contrariamente a quanto dedotto dall'appellante, non si ravvisa invece decisivo il fatto che non fosse ancora iniziata l'attività commerciale vera e propria, considerato che la giurisprudenza citata dall'appellante si riferisce alla diversa fattispecie di esercizio di attività alberghiera, disciplinata da normativa speciale (art. 1, comma 9-septies, l. n. 118/1985, che afferma la locazione di immobile ed esclude l'affitto di azienda in tutti i casi in cui l'attività alberghiera sia stata iniziata dal conduttore così Cass. n. 16138/2010). In conclusione sul punto, i menzionati requisiti caratterizzanti il rapporto contrattuale in contestazione, valutati complessivamente, consentono di affermare che la qualifica giuridica del rapporto stessa sia effettivamente quella di affitto di ramo d'azienda, poiché l'immobile non è affatto considerato nella sua individualità giuridica» (App. Venezia 13 novembre 2013, n. 2477).

Ipotesi particolari di affitto di azienda

Il contratto con il quale, per un unico corrispettivo, è ceduto il godimento di un immobile composto da una casa di abitazione e da un terreno idoneo allo sfruttamento agricolo può essere qualificato di locazione o di affitto a seconda che le parti abbiano voluto soltanto consentire il godimento dell'immobile in conformità ai suoi possibili usi, nell'ambito dei quali vi è anche la coltivazione del terreno, o se abbiano piuttosto considerato la funzione produttiva del bene ricollegando a questa un vero e proprio obbligo dell'affittuario alla coltivazione del fondo; nell'accertamento di questa volontà, il giudice può anche servirsi di elementi estrinseci al contratto, quale l'idoneità del terreno ad assicurare una produzione non esauribile nell'autoconsumo o le qualità professionali del conduttore, se questo dedichi le sue energie abituali alla coltivazione della terra (Cass. n. 3724/1996, nella specie la S.C. ha ritenuto corretta la motivazione del giudice di merito che aveva desunto la natura locativa del rapporto dal non rilevante significato economico della coltivazione del terreno, il cui prodotto era esaurito dal consumo della famiglia del conduttore, e dalla attività professionale del conduttore, titolare di una impresa edilizia).

L'affitto costituisce quindi una species del genus locazione, dalla quale si distingue per la natura della cosa che ne è oggetto.

Il criterio di distinzione tra locazione ed affitto è oggettivo e soggettivo ad un tempo, nel senso che, perché si configuri un contratto d'affitto è necessario non soltanto che il contratto abbia ad oggetto una cosa produttiva, ma anche che la disponibilità del bene sia concessa al fine di consentire all'affittuario la gestione produttiva dello stesso (Cass. n. 592/1995).

In questo quadro non rileva che, per la gestione produttiva del bene, occorra l'impiego di mezzi (macchinari) e di attività organizzativa. È coerente, infatti, con lo stesso concetto di gestione produttiva della cosa l'esigenza di disporre di mezzi e quindi di un'organizzazione per impiegarli. Il che è vero, in particolare, per l'attività estrattiva da una cava, che richiede personale e macchinari. Ciò, peraltro, non è certo sufficiente per ricondurre il rapporto nell'ambito della locazione soggetta al disposto degli artt. 27 e 67 l. n. 392/1978. Rilevano, invece, la natura del bene e la gestione produttiva che di esso venga compiuta e che costituisce non soltanto un diritto ma un dovere dell'affittuario, come si desume con chiarezza dallo stesso testuale tenore dell'art. 1615 c.c.

Tali principi, del resto, sono stati più volte messi in luce dalla Corte di Cassazione, la quale, proprio con riferimento alle cave, ha affermato che il contratto avente per oggetto la concessione per lo sfruttamento di una cava di pietre, che è un bene produttivo, deve essere inquadrato nello schema dell'affitto, e non è, quindi, soggetto alle leggi di proroga dei contratti di locazione e sublocazione degli immobili urbani, né alle norme sulla durata e rinnovazione delle locazioni di immobili adibiti ad uso diverso da quello abitativo, contenute nella l. n. 392/1978 (Cass. n. 11467/1992; Cass. n. 3995/1992; Cass. n. 3131/1990; Cass. n. 2682/1988).

Come noto, i contratti di diritto privato aventi per oggetto lo sfruttamento di cave possono assumere configurazioni giuridiche diverse, a seconda dell'intenzione dei contraenti. Essi possono infatti concretare: a) una vendita immobiliare, quando il negozio abbia ad oggetto il giacimento nella sua complessiva stratificazione intesa in unità di superficie e di volume e ne sia previsto il completo trasferimento per un prezzo commisurato al volume dell'intera cava; b) una vendita mobiliare, se le parti abbiano invece considerato il prodotto dell'estrazione, ragguagliato a peso o a misura; c) un contratto riconducibile nello schema dell'affitto, quando l'intenzione dei contraenti sia invece finalizzata allo scopo di consentire il godimento (sfruttamento) temporaneo del bene secondo la sua destinazione (Cass. n. 4090/1982; Cass. n. 4646/1989): i dubbi manifestati in passato circa la configurabilità di un contratto di affitto della cava — fondati sulla considerazione che il prodotto della escavazione costituisce parte integrante della cosa, non destinata a risorgere dopo la separazione — non hanno ragion d'essere dal momento che il legislatore annovera espressamente i «prodotti delle cave», come quelli delle miniere e delle torbiere, tra i frutti naturali (art. 820, comma 1 c.c.) e considera quindi la cava (non diversamente dalla miniera e dalla torbiera) alla stregua di una cosa produttiva, la cui esistenza costituisce il necessario presupposto per la stipulazione di un contratto di affitto (art. 1615 c.c.).

Il contratto che ha per oggetto lo sfruttamento di una cava, che è un bene produttivo, va inquadrato nello schema dell'affitto e non nella diversa figura contrattuale della locazione, con la conseguenza che ad esso non sono applicabili le leggi speciali riguardanti le locazioni urbane (Cass. n. 4503/2001), né, in ragione della tassatività della previsione dell'art. 657 c.p.c., lo speciale procedimento di convalida di licenza o di sfratto (Cass. n. 250/2008).

Come emerge dalla giurisprudenza il l'affitto è il tipo naturale che assume nella realtà sociale il contratto di estrazione da cava (Cass. n. 24371/2006: poiché l'affitto di bene immobile produttivo viene fatto rientrare nel genus della locazione, data l'espressa dizione letterale dell'art. 1615 c.c. e data la collocazione che della relativa disciplina fa il codice civile come una species della locazione e non come un contratto tipico autonomo, la norma di cui all'art. 1350 c.c., n. 8, che prescrive l'obbligatoria forma scritta per i «contratti di locazione di beni immobili per una durata superiore a nove anni», nell'ambito della sua disciplina dell'istituto generale della locazione (cui è dedicata l'intero capo VI, titolo III, libro IV“ Delle obbligazioni”) deve necessariamente essere intesa comprendere anche la locazione del bene immobile produttivo. Del resto, come è stato rilevato anche dal giudice d'appello, questa giudice di legittimità a detta conclusione è già indirettamente pervenuto quando, nella norma di cui alla l. n. 203/1982, art. 41, in tema affittanza agraria a coltivatore diretto, ha ravvisato una deroga alla disciplina codicistica dell'art. 1350 c.c., n. 8, che per i contratti in generale di locazione di immobili di durata ultranovennale (e quindi anche per i contratti di affitto di beni immobili) prescrive, in ogni caso, a pena di nullità la forma scritta (ex plurimis: Cass., n. 4804/1999; Cass., n. 10651/1997). Nè argomento contrario alla suddetta interpretazione della norma di cui all'art. 1350 c.c., n. 8 può essere tratto — secondo quel che il ricorrente prospetta — dalla previsione di cui all'art. 447-bis c.p.c. (che assoggetta al rito speciale cd. locatizio le controversie in materia di locazione e di comodato e quelle di affitto di azienda, ma non anche le controversie in tema di affitto di bene immobile produttivo), poiché la disposizione, di carattere meramente processuale circa l'applicabilità del rito speciale soltanto alla particolare ipotesi dell'affitto di azienda, non è destinata ad incidere sulla disciplina sostanziale del contratto d'affitto di beni immobili produttivi Cass. n. 4503/2001: «l'art. 87 d.lgs n. 51/1998 ha sostituito il comma 1 dell'art. 447-bis c.p.c. prevedendo, alla lettera a), l'applicabilità di varie norme del processo del lavoro alle «controversie in materia di locazione di comodato di immobili urbani e quelle di affitto di aziende» (formula corrispondente a quella dell'abrogato art. 8 c.p.c.; e disponendo, alla lettera b), che «il primo periodo del comma 2 è soppresso». A sua volta, l'art. 52 d.lgs. n. 51/1998 ha inserito nell'art. 21, comma 1, c.p.c. l'individuazione del giudice competente per territorio già racchiusa nel comma 2, primo periodo, dell'art. 447-bis, disponendo che per «le cause in materia di locazione e comodato di immobili e di affitto di aziende... è competente il giudice del luogo dove è posto l'immobile o l'azienda». La norma si differenzia da quella precedente in quanto non richiede che gli immobili oggetto della locazione (o del comodato) abbiano la qualifica di “immobili urbani”, ma non menziona la diversa figura contrattuale dell'affitto di beni immobili produttivi. Consegue che alle controversie concernenti l'affitto di beni immobili produttivi non si applica il c.d. rito delle locazioni (mutuato in parte dal rito del lavoro), né il criterio di competenza del forum rei sitae. Consegue altresì l'inapplicabilità, a dette controversie, della sanzione di nullità per le clausole di deroga alla competenza per territorio — sicuramente in vigore, poiché non è stato abrogato dall'art. 87, lett. b), del d.lgs. n. 51/1998 il comma 2, secondo periodo, dell'art. 447-bis —; sanzione che può essere riferita, operando il collegamento tra tale norma e l'art. 21 c.p.c. come sopra novellato, soltanto alla competenza per territorio prevista per le controversie in materia di locazione (e comodato) di immobili e di affitto di aziende, e non è invocabile, quindi, in relazione alle controversie concernenti la diversa figura contrattuale dell'affitto di bene produttivo, qual è quella in esame» (Cass. n. 6039/1998; Cass. n. 9785/1995).

Il contratto in esame è quindi naturaliter un contratto di affitto ex artt. 1615 e 820 c.c., posto che le clausole indicate dalla sentenza impugnata a riprova della diversa qualificazione come vendita non sono idonee allo scopo — nessuna di esse essendo incompatibile con l'affitto — e che non può essere oggi riproposta la questione nei termini ante 1986 dato il diverso tenore letterale dell'art. 1 della tariffa. Va infatti ricordato che il numero 1 della tariffa all. A d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634 — che comprendeva anche espressamente le concessioni di miniere, con formula apparentemente omnicomprensiva — è stato modificato proprio con la cancellazione della indicazione delle concessioni di miniere, appunto per adeguare la legislazione alla giurisprudenza che ne aveva escluso l'applicabilità alle ipotesi di concessioni estrattive di cave non qualificabili come vendite immobiliari. L'attuale testo dell'art. 1 non comprende la concessione di miniere (e cave).

Sotto altro aspetto, se, indipendentemente dall'intenzione delle parti e dalla obiettiva consistenza dei beni dedotti in contratto, l'attività del conduttore e l'organizzazione dei beni che costituiscono l'azienda coincidono con la prima destinazione dell'immobile all'esercizio dell'attività alberghiera, ai sensi della l. n. 118/1985, si presume iuris et de iure la natura locativa del rapporto, con conseguente applicabilità della relativa disciplina (l. n. 392/1978). Ne consegue che si ha locazione, e non già affiato di azienda, solamente in caso di concessione in godimento di un immobile che, pur essendo attrezzato ad uso alberghiero, non risulti ancora effettivamente gestito dal concedente, a tale stregua difettando l'aspetto dinamico dell'attività d'impresa (Cass. n. 27934/2005).

La tutela della locazione alberghiera si giustifica, in termini di maggiore compressione dell'autonomia negoziale, rispetto ad altri rapporti locatizi, solo nell'ottica di garantire il conduttore sulla redditività degli investimenti che richiedono una più ampia durata di esercizio per essere ammortizzati. La giurisprudenza ha quindi adottato una interpretazione restrittiva e letterale rispetto alla individuazione della nozione di locazione alberghiera ai fini di cui al d.l. n. 12/1985, art. 1 e significativamente ha ritenuto che sia da escludere la rilevanza della strumentalità del contratto ai fini della tutela del turismo (Cass. n. 9022/2005: «l'albergo, nella lingua italiana (che non vi sono elementi per ritenere che non sia stata recepita dal legislatore), indica l'edificio attrezzato per dare alloggio (v. anche Cass. n. 11600/2004), onde non può condividersi l'affermazione della sentenza impugnata secondo cui l'attività alberghiera include anche i servizi non comprensivi dell'alloggio, purché siano diretti “alla tutela del turismo”. La tesi della Corte di appello, inoltre, non ha tenuto presente che gli immobili adibiti ad attività “di interesse turistico” sono già considerati nello stesso art. 27, e precisamente nel comma primo, che prevede per la locazione la durata minima di sei anni (anziché di nove anni, come per gli alberghi). La distinzione tra la previsione del comma 1 n. 2 e quella del comma 3 del cit. art. 27 dimostra che l'immobile adibito al c.d. albergo diurno (ove vengono forniti diversi servizi che comunque non includono l'alloggio) non può essere considerato un albergo, ai fini dell'applicazione della stessa disposizione normativa»).

La locazione di immobile con pertinenze si differenzia dall'affitto di azienda (nella specie, alberghiera) perché la relativa convenzione negoziale ha per oggetto un bene — l'immobile concesso in godimento — che assume una posizione di assoluta ed autonoma centralità nell'economia contrattuale, secondo la sua consistenza effettiva e con funzione prevalente ed assorbente rispetto agli altri elementi che, legati materialmente o meno ad esso, assumono, comunque, carattere di accessorietà, rimanendo ad esso collegati sul piano funzionale in una posizione di coordinazione-subordinazione, mentre, nell'affitto di azienda, lo stesso immobile è considerato non nella sua individualità giuridica, ma come uno degli elementi costitutivi del complesso dei beni (mobili ed immobili) legati tra loro da un vincolo di interdipendenza e complementarità per il conseguimento di un determinato fine produttivo, così che oggetto del contratto risulta proprio il complesso produttivo unitariamente considerato, secondo la definizione normativa di cui all'art. 2555 c.c. La valutazione circa l'avvenuto inizio dell'attività alberghiera da parte del conduttore dell'immobile, compiuta ai fini della qualificazione del contratto come locazione di immobile ad uso alberghiero (come tale assoggettata alla disciplina della l. n. 392/1978, artt. 27-42), che si ha quando l'attività alberghiera sia stata iniziata dal conduttore, secondo la presunzione posta dall' art. 1, comma 9-septies, d.l. n. 12/1985, conv., con modif., in l. n. 118/1985, o piuttosto come affitto di azienda, costituisce accertamento di fatto riservato al giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità ove sorretta da congrua motivazione, esente da errori di diritto.

La presunzione di cui all'art. 9-septies l. n. 118/1985, a norma del quale si ha locazione di immobile, e non affitto di azienda, in tutti i casi in cui l'attività alberghiera sia stata iniziata dal conduttore, opera solo nel caso in cui l'attività alberghiera del conduttore, con correlativa organizzazione dei beni immateriali e materiali che formano l'azienda, coincide con la prima destinazione dell'immobile all'esercizio della impresa alberghiera e non anche allorché l'affittuario, per obbligo contrattuale o, comunque, con il consenso del locatore, si sia limitato ad apportare miglioramenti od abbia contribuito, in qualsiasi modo, al suo incremento (Cass. n. 24276/2017; Cass. n.20815/2006 ).

L'attività di affittacamere comporta lo svolgimento di una serie di attività accessorie “servizi connessi” rispetto alla mera prestazione dell'alloggio. Invero, l'esercizio di attività ricettiva alberghiera, anche sotto la forma di più modeste dimensioni di affittacamere, richiede non solo la cessione del godimento di locale ammobiliato e provvisto delle necessarie somministrazioni, ma anche la prestazione di servizi personali, quali il riassetto del locale stesso e la fornitura della biancheria da letto e da bagno. In difetto della prestazione di detti servizi, pertanto, quella cessione non può essere ricondotta nell'ambito dell'indicata attività ricettiva alberghiera né quindi sottratta alla disciplina della locazione ad uso abitativo (Cass. n. 755/1991: «l'esistenza della licenza per l'esercizio dell'attività di affittacamere costituisce soltanto un formale atto amministrativo autorizzativo di tale attività imprenditoriale, cosicché la sua mancanza non preclude che un contratto possa rientrare nel paradigma di quello di affittacamere quando riguardi un'attività che presenti tutte le caratteristiche delineate dall'art. 1 l. n. 1111/1939 (sulla disciplina degli affittacamere) Pertanto anche su questo punto la sentenza impugnata si sottrae a rilievi [...]. Come questa Corte ha già avuto occasione di affermare (Cass. n. 920/1972; Cass. n. 1550/1982; Cass. n. 3493/1984), la qualifica di affittacamere spetta a chi, per un fine speculativo e professionale, affitta reiteratamente, per periodi di tempo non eccessivamente prolungati, camere ammobiliate obbligandosi a corrispondere, accanto alla prestazione principale, consistente nella concessione in godimento dell'immobile ammobiliato, arredato e provvisto delle necessarie somministrazioni di luce ed acqua (ed eventualmente di altre), quella accessoria, ma imprescindibile e qualificante, della fornitura di servizi personali, che consistono ordinariamente nella dazione e manutenzione della biancheria da letto e da bagno, nel riassetto dei locali ecc.» (cfr. anche Cass. n. 2726/1961; Cass. n. 5632/1993: l'attività di affittacamere, inoltre, pur differenziandosi da quella alberghiera, per le sue modeste dimensioni, ne presenta natura analoga, in quanto richiede non solo la cessione del godimento di locale mobilitato e provvisto delle necessarie somministrazioni, ma anche la prestazione di servizi accessori, quali il riassetto del locale stesso e la fornitura di biancheria da letto e da bagno, con caratteristiche professionali di finalità speculative (a prescindere dal conseguimento della prescritta licenza amministrativa); cosicché, in difetto della prestazione dei suindicati servizi, la cessione del godimento del locale non può essere ricondotta nell'ambito della suindicata attività di affittacamere, e non può essere sottratta alla disciplina della locazione ad uso abitativo; Cass. n. 17167/2002: l'attività di affittacamere ha natura analoga quella alberghiera perché, sia pure con proporzioni ridotte, presenta caratteristiche imprenditoriali simili. Quindi essa comporta, non diversamente dall'esercizio di un albergo, un'attività imprenditoriale, un'azienda ed il contatto diretto con il pubblico).

Bibliografia

Barraso, Di Marzio, Falabella, La locazione, Padova, 1988; Barraso, Di Marzio, Falabella, La locazione, contratto, obbligazione, estinzione, Torino, 2010; Bianca, Diritto civile, III, Milano, 2000; Carrato, Scarpa, Le locazioni nella pratica del contrato e del processo, Milano, 2010; Cuffaro, Calvo, Ciatti, Della locazione. Disposizioni generali. Artt. 1571-1606, Milano, 2014; Gabrielli, Padovini, Le locazioni di immobili urbani, Padova, 2005; Grasselli, La locazione di immobili nel codice civile e nelle leggi speciali, Padova, 2005.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario