Codice Civile art. 1623 - Modificazioni sopravvenute del rapporto contrattuale.Modificazioni sopravvenute del rapporto contrattuale. [I]. Se, in conseguenza di una disposizione di legge, [di una norma corporativa] (1) o di un provvedimento dell'autorità riguardanti la gestione produttiva, il rapporto contrattuale risulta notevolmente modificato in modo che le parti ne risentano rispettivamente una perdita e un vantaggio, può essere richiesto un aumento o una diminuzione del fitto [1467] ovvero, secondo le circostanze, lo scioglimento del contratto. [II]. Sono salve le diverse disposizioni della legge [della norma corporativa] (1), o del provvedimento dell'autorità. (1) Le disposizioni richiamanti le norme corporative devono ritenersi abrogate in seguito alla soppressione dell'ordinamento corporativo. InquadramentoLa norma è volta a mantenere inalterato l'equilibrio della stipula nei contratti commutativi. Invero, l'art. 1623, comma 1, stabilisce che se, in conseguenza di una disposizione di legge, o di un provvedimento dell'autorità riguardanti la gestione produttiva, il rapporto contrattuale risulta notevolmente modificato in modo che le parti ne risentano rispettivamente una perdita e un vantaggio, può essere richiesto un aumento o una diminuzione del fitto ovvero, secondo le circostanze, lo scioglimento del contratto. La regola dettata (per le modificazioni sopravvenute del rapporto contrattuale di affitto) è imperniata sulla richiesta della parte che lamenti di aver subito una perdita contro un correlativo vantaggio dell'altra, rimessa al suo apprezzamento ed al quando tale squilibrio si sia prodotto. Ne deriva che, nell'economia della previsione codicistica, nessun potere ufficioso è dato al giudice il quale dovrà provvedere sulla base della domanda proposta e, pertanto, a far data dalla sua proposizione. Pertanto, in tema di contratto di affitto, il riequilibrio del piano contrattuale in conseguenza di un provvedimento autoritativo che abbia alterato l'originaria previsione negoziale, ai sensi dell'art. 1623, comma 1, è legittimamente disposto dal giudice che ne sia richiesto dalla parte che risenta della perdita con decorrenza dalla data di proposizione della domanda giudiziale, senza che egli possa disporre d'ufficio l'applicazione retroattiva del rimedio in forza di un accertamento giudiziale ufficioso (Cass. n. 5122/2018). Applicabilità nei confronti della PANella giurisprudenza amministrativa si è sostenuto che l'art. 1623 operi anche nell'ambito proprio del rapporto di affitto disciplinato dal c.c. italiano, deve ritenersi che esso proponga un modello di azione utilizzabile anche in presenza di modificazioni sopravvenute di un rapporto contrattuale accessivo alla concessione di un bene pubblico, quale il demanio marittimo. La significativa alterazione dell'equilibrio tra le prestazioni dedotte nel rapporto contrattuale, che fa seguito al considerevole incremento del canone concessorio prospetta alla parte concessionaria la necessità di recuperare spazi di discrezionalità economica in termini di assenso alla nuova concessione, ovvero in termini di scioglimento dal vincolo assunto. Un'alternativa del genere può, però, essere esercitata solo in presenza di adeguate garanzie partecipative. In definitiva, quando l'aggiornamento del canone comporta un aumento imprevisto delle somme da versare all'interlocutore pubblico, pur in seguito alla doverosa applicazione di norme di legge, l'amministrazione pubblica è obbligata a dare comunicazione di avvio del procedimento di aggiornamento medesimo al fine di permettere al concessionario un'adeguata rinegoziazione delle condizioni economiche dell'uso del bene pubblico, ovvero di esercitare, al limite, anche la facoltà di recedere dal vincolo assunto in precedenza (T.a.r. Friuli Venezia Giulia n. 18/2014). Tuttavia, tale assunto deve ritenersi recessivo dal momento che in tema di rideterminazione dei canoni concessori di beni demaniali marittimi, ai sensi dell'art. 1 commi 251 e 252 l. n. 296/2006, non compatibile e neppure conferente è il richiamo all'art. 1623 c.c., che prevede la riduzione ad equità o la risoluzione del contratto per notevole onerosità sopravvenuta a causa di legge: si tratta, infatti, di disposizione ontologicamente contrastante ai fini che ne occupano, con la nuova disciplina del settore, che ha operato un adattamento del canone, che era sproporzionato in danno dello Stato a causa della sua patente inadeguatezza in relazione al tempo trascorso e ai fenomeni di deprezzamento maturati riguardo al valore del bene in concessione e alla redditività ordinariamente ritraibile dal concessionario (Cons. Stato n. 5289/2013). BibliografiaBarraso, Di Marzio, Falabella, La locazione, Padova, 1988; Barraso, Di Marzio, Falabella, La locazione, contratto, obbligazione, estinzione, Torino, 2010; Bianca, Diritto civile, III, Milano, 2000; Carrato, Scarpa, Le locazioni nella pratica del contrato e del processo, Milano, 2010; Cuffaro, Calvo, Ciatti, Della locazione. Disposizioni generali. Artt. 1571-1606, Milano, 2014; Gabrielli, Padovini, Le locazioni di immobili urbani, Padova, 2005; Grasselli, La locazione di immobili nel codice civile e nelle leggi speciali, Padova, 2005. |