Codice Civile art. 1725 - Revoca del mandato oneroso.

Francesco Agnino

Revoca del mandato oneroso.

[I]. La revoca del mandato oneroso [1709], conferito per un tempo determinato o per un determinato affare, obbliga il mandante a risarcire i danni [1223 ss.], se è fatta prima della scadenza del termine o del compimento dell'affare, salvo che ricorra una giusta causa.

[II]. Se il mandato è a tempo indeterminato, la revoca obbliga il mandante al risarcimento, qualora non sia dato un congruo preavviso, salvo che ricorra una giusta causa.

Inquadramento

Se il mandato oneroso è a termine, il tempo entra nella fattispecie contrattuale e la revoca prima del suo spirare importa una perdita per il mandatario.

Se il mandato è a tempo indeterminato, esso si comporta come un contratto di durata, e, pertanto, è ammessa per la parte la possibilità di svincolarsi, atteso che sono visti con sfavore i legami giuridici illimitati, salvo il diritto della controparte ad un congruo preavviso.

Disciplina applicabile

L'art. 1453 c.c. dispone che «nei contratti e prestazioni corrispettive, quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni, l'altro può a sua scelta chiedere l'adempimento o la risoluzione può a sua scelta chiedere l'adempimento o la risoluzione del contratto, salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno»; prosegue l'art. 1458, comma 1 c.c. che «la risoluzione del contratto per inadempimento ha effetto retroattivo tra le parti, salvo il caso di contratti ad esecuzione continuata o periodica, riguardo ai quali l'effetto della risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite».

L'art. 1722, n. 2 c.c. dispone che il mandato si estingue per revoca da parte del mandante; l'art. 1725, comma 1 dispone che «la revoca del mandato oneroso, conferito per un tempo determinato o per un determinato affare, obbliga il mandante a risarcire i danni, se è fatta prima della scadenza del termine o del compimento dell'affare, salvo che ricorra una giusta causa»; per il caso di mandato a tempo indeterminato, si intende oneroso, l'art. 1725, comma 2, dispone che «la revoca obbliga il mandante al risarcimento, qualora non sia dato un congruo preavviso, salvo che ricorra una giusta causa»; infine, l'art. 1734 c.c., dettato con specifico riguardo al caso di mandato rappresentato dalla commissione, dispone che «il committente può revocare l'ordine di concludere l'affare fino a che il commissionario non l'abbia concluso. In tal caso spetta al commissionario una parte della provvigione, che si determina tenendo conto delle spese sostenute e dell'attività prestata».

Il contratto di mandato, quando si tratta di mandato oneroso, onerosità che è presunta (art. 1709 c.c.), va considerato come contratto a obbligazioni corrispettive e non come contratto con obbligazioni per una sola parte (di cui è menzione nell'art. 1333 c.c.).

In linea di principio deve dunque ritenersi ad esso applicabile la disciplina propria di tale tipo di contratti.

Se però si pongono a raffronto gli artt. 1722, 1725 e 1734 prima richiamati con l'art. 1453 c.c. si deve rilevare che la disciplina del contratto di mandato reagisce su quella generale dettata per i contratti a prestazioni corrispettive dall'art. 1453 c.c.

Dal punto di vista della fattispecie si ha che i comportamenti costituiti dalla revoca per giusta causa e dalla revoca del mandato a tempo indeterminato proceduto da congruo avviso, in quanto non espongono il mandante alla conseguenza propria dell'inadempimento, che è il risarcimento del danno (art. 1218 c.c.), non possono esser qualificati come inadempimento neppur in rapporto alla applicazione dell'art. 1453 c.c.

Dal punto di vista degli effetti si ha che al mandatario, anche in presenza d'una revoca che espone il mandante a risarcire i danni, non è dato il diritto di adempiere alla propria prestazione, come mezzo per ottenere dal mandante il corrispettivo pattuito.

L'insieme degli altri effetti descritti dagli artt. 1725 e 1734 c.c. è apparentemente coincidente con quelli che derivano dalla applicazione degli artt. 1453 e 1458 c.c., giacché, mentre in rapporto alla esecuzione del mandato già avutasi spetta al mandatario il corrispettivo pattuito (donde la coincidenza degli effetti derivanti dagli artt. 1458 e 1734 c.c.), in rapporto alla non avvenuta esecuzione o alla eseguibilità ulteriore al mandatario non spetta il corrispettivo, ma il risarcimento del danno (donde la coincidenza, per questa parte, degli effetti derivanti dagli artt. 1453 e 1725 c.c.).

Le conclusioni che si possono trarre dal raffronto ora operato sono le seguenti.

La revoca del mandato oneroso da parte del mandante si atteggia in taluni casi come atto non in contraddizione con il contratto e perciò esso non è suscettibile di qualificazione come inadempimento.

Alla revoca in altri casi sono ricollegati effetti non diversi da quelli che, su iniziativa dell'altra parte, sono riconducibili all'inadempimento. L'altra parte non ha però diritto a domandare l'esecuzione del contratto.

Nella disciplina della revoca del mandato oneroso, quando non si tratti della prima serie di casi, non può dunque rinvenirsi deroga a quella della risoluzione per inadempimento (Cass. n. 5622/1994).

Inapplicabilità della norma alle professioni

In tema di professioni intellettuali, non è applicabile l'art. 1725 c.c., atteso che il recesso, in materia di incarichi professionali, è disciplinato espressamente dall'art. 2237, il quale, tenendo conto del particolare rapporto fiduciario che deve intercorrere tra cliente e professionista, concede al primo la facoltà di recedere unilateralmente dal contratto, restando a suo carico il solo obbligo di rimborsare al professionista le spese sostenute ed il compenso per l'opera prestata fino al momento del recesso (Cass. n. 3707/1989; Trib. Arezzo 5 giugno 2015, n. 681: «giova considerare come l'art. 1725 c.c. non sia applicabile in tema di professioni intellettuali, atteso che il recesso, in materia di incarichi professionali, è disciplinato espressamente dall'art. 2237 c.c., il quale, tenendo conto del particolare rapporto fiduciario che deve intercorrere tra cliente e professionista, concede al primo la facoltà di recedere unilateralmente dal contratto, restando a suo carico il solo obbligo di rimborsare al professionista le spese sostenute ed il compenso per l'opera prestata fino al momento del recesso»).

Revoca dell'amministratore di società di capitali.

La giusta causa che giustifica la revoca dell'amministratore può essere sia soggettiva, sia oggettiva, e cioè consistere anche in situazioni estranee alla persona dell'amministratore, non riconduciteli a condotte di quest'ultimo, che siano tali da impedire la prosecuzione del rapporto. Nell'identificazione della seconda, è stato altresì precisato che, sebbene la giusta causa possa derivare anche da fatti non integranti inadempimento, occorre tuttavia «pur sempre un quid pluris», nel senso che è necessaria l'esistenza di «situazioni sopravvenute (provocate o meno dall'amministratore stesso), che minino il pactum fiduciae, elidendo l'affidamento inizialmente riposto sulle attitudini e le capacità dell'organo di gestione» (Cass. n. 16526/2005; Cass.n. 15322/2004; Cass.n. 11801/1998; Cass.n. 3768/1985).

In coerenza con questa premessa, è stato riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni dell'amministratore revocato a seguito della messa in liquidazione della società, qualora questa sia stata poi revocata (Cass. n. 2068/1960), escludendo che costituisca giusta causa di revoca la mera convenienza economica conseguente alla diminuzione di spesa resa possibile dalla riduzione del numero degli amministratori (Cass. n. 4240/1957).

Pertanto, da un canto, possono integrare una giusta causa di revoca anche eventi estranei all'amministratore, diversi da comportamenti non corretti e non espressivi della negligenza di quest'ultimo, sicché essa non può essere identificata con l'inadempimento e neanche è condizionata dal dolo o dalla colpa del medesimo.

Dall'altro, detti eventi devono però incidere sul pactum fiduciae ed essere inerenti alla sfera dell'amministratore, il corretto bilanciamento degli interessi esclude, infatti, la possibilità di porre a carico dell'amministratore le conseguenze economiche della anticipata cessazione del rapporto deliberata nell'interesse della società (sia pure consistente in quello ad un risparmio di spesa), non sussistendo ragioni per gravare l'amministratore del rischio di eventi non attinenti alla sua sfera, dato che l'interesse della società è già tutelato dalla facoltà di disporne la revoca in qualunque momento, sia pure condizionatamente al risarcimento dei danni.

Da quanto precede discende che: nel caso di revoca senza giusta causa dell'amministratore di una società a responsabilità limitata nominato a tempo indeterminato, il danno risarcibile consiste nel lucro cessante e cioè nel compenso non percepito per il periodo in cui l'amministratore avrebbe conservato il suo ufficio se non fosse intervenuta la revoca (Cass. n. 23557/2008, nella specie, la Suprema Corte ha ritenuto incensurabile la sentenza impugnata nella parte in cui ha commisurato il danno da lucro cessante al tempo ritenuto necessario per reperire una nuova occupazione).

Bibliografia

Baldi, Venezia, Il contratto di agenzia. La concessione di vendita. Il franchising, Milano, 2015; Bavetta, Mandato (negozio giuridico) (dir. priv.), in Enc. dir., XXV, Milano, 1975; Bile, Il mandato, la commissione, la spedizione, Roma, 1961; Campagna, La posizione del mandatario nel mandato ad acquistare beni mobili, in Riv. dir. civ., 1974, I, 7 ss.; Ferri, Manuale di diritto commerciale, Torino, 1976; Formiggini, Commissione, in Enc. dir., VII, Milano, 1960; Minervini, Commissione, in N.ss. Dig. it., III, Torino, 1967; Natoli, La rappresentanza, Milano, 1977; Pugliatti, Studi sulla rappresentanza, Milano, 1965; Romano, Vendita. Contratto estimatorio, Milano, 1961; Rotondi, Rotondi, L'agenzia nella giurisprudenza, Milano, 2004; Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1997; Saracini, Toffoletto, Il contratto di agenzia, artt. 1742-1753, Milano, 2014.

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