Codice Civile art. 1727 - Rinunzia del mandatario.

Francesco Agnino

Rinunzia del mandatario.

[I]. Il mandatario che rinunzia senza giusta causa al mandato deve risarcire i danni [1223 ss.] al mandante. Se il mandato è a tempo indeterminato, il mandatario che rinunzia senza giusta causa è tenuto al risarcimento, qualora non abbia dato un congruo preavviso.

[II]. In ogni caso la rinunzia deve essere fatta in modo e in tempo tali che il mandante possa provvedere altrimenti, salvo il caso d'impedimento grave da parte del mandatario.

Inquadramento

La norma detta una disciplina analoga a quella prevista in caso di recesso del mandante: se il mandato è a termine, esso è ammesso solo se vi è una giusta causa, se è a tempo indeterminato è necessaria una giusta causa ovvero un congruo preavviso. Tuttavia, a differenza del recesso del mandante, quello del mandatario riceve la disciplina in esame anche se non è oneroso: ciò in quanto il recesso del mandatario lede l'interesse del mandante, che sussiste sempre.

Applicazioni della norma in tema di perizia contrattuale ed arbitrato irrituale

Si ha perizia contrattuale quando le parti deferiscono secondo le regole del mandato collettivo ad uno o più soggetti, scelti per la loro particolare competenza tecnica, il compito di formulare un apprezzamento tecnico che esse parti si impegnano ad accettare come diretta espressione della loro volontà contrattuale. Si ha invece arbitrato irrituale quando il compito affidato è quello di elaborare una soluzione transattiva di una questione su cui esiste controversia tra le parti, le quali si impegnano ad assumere tale soluzione come contenuto della propria volontà, cioè del negozio transattivo cui esse si sono obbligate. Entrambi i negozi sono caratterizzati dal conferimento, agli esperti nominati, di un mandato per una definizione negoziale, che nel primo caso attiene solo ad un apprezzamento tecnico, mentre nel secondo attiene all'intera controversia; in entrambi i casi, il perito o l'arbitro mandatario che rinunzia all'incarico senza giusta causa è tenuto, ai sensi dell'art. 1727, a risarcire i danni (Cass. n. 9996/2004).

Con riguardo all'arbitrato irrituale, nel caso in cui gli arbitri siano nell'impossibilità di rendere il lodo nel termine, per causa a loro non imputabile (nella specie, giustificato ritardo nel deposito di una consulenza tecnica d'ufficio), il rifiuto di una delle parti mandanti di concedere una proroga si configura come fatto imputabile alla parte stessa (creditrice della prestazione di rendimento del lodo), che rende legittima, alla stregua dell'art. 1727 c.c., la rinuncia degli arbitri al mandato (Cass. n. 10923/1996).

Applicazioni in tema di associazioni temporanee di imprese

L'art. 11 d.lgs. n. 157/1995, – poi sostituito dall'art. 9 d.lgs. n. 65/2000 — nel disciplinare la partecipazione di raggruppamenti temporanei d'imprese alle gare per l'aggiudicazione di appalti pubblici di servizi, prescrive espressamente la sottoscrizione congiunta dell'offerta da parte delle imprese raggruppate (comma secondo), imponendo alle stesse di conferire mandato con rappresentanza, speciale, gratuito ed irrevocabile ad una di esse, definita capogruppo (commi quarto e quinto), ed attribuendo a quest'ultima la rappresentanza, anche processuale, delle imprese mandanti nei riguardi dell'Amministrazione per tutte le operazioni e gli atti di qualsiasi natura dipendenti dal contratto, anche dopo l'eventuale collaudo, fino all'estinzione del rapporto (comma sesto). L'esame di tale disciplina rende evidente che il mandato all'impresa capogruppo non è conferito né a termine né a tempo indeterminato, ma in vista del compimento di un determinato affare, consistente nella partecipazione alla gara e, in caso di aggiudicazione, nella stipulazione e nell'esecuzione del contratto di appalto, fino alla naturale conclusione del relativo rapporto, potendosi protrarre anche oltre, nell'ipotesi in cui lo svolgimento del servizio dia luogo a controversie con l'Amministrazione committente. In tal senso depongono chiaramente la natura speciale dell'incarico, avente portata anche processuale, ed il suo collegamento con la presentazione di un'offerta congiunta, per effetto della quale le imprese riunite sì pongono, nei rapporti con la stazione appaltante ed ancor prima dell'aggiudicazione, come un gruppo unitario, rappresentato dalla capogruppo, assumendo una responsabilità solidale, come previsto dall'art. 11, comma 3, ma conservando la propria autonomia sotto il profilo gestionale, fiscale e previdenziale, come precisato dal comma settimo, secondo cui il rapporto di mandato non determina di per sé organizzazione o associazione tra le imprese.

In quanto attribuito per un determinato affare, l'incarico conferito alla impresa capogruppo è destinato ad estinguersi, ai sensi dell'art. 1722, n. 1, c.c. con l'esaurimento dell'affare per il quale è stato conferito, ciò che si verifica, nella fase di scelta del contraente, nel caso in cui la procedura pervenga alla sua naturale conclusione, con l'aggiudicazione dell'appalto in favore di altro concorrente, oppure nel caso in cui essa s'interrompa definitivamente, con l'abbandono da parte della stazione appaltante, non potendosi automaticamente ricollegare il medesimo effetto al ritardo nell'espletamento della gara ed alla conseguente scadenza del termine di efficacia delle offerte. Tale scadenza, infatti, comporta soltanto l'attribuzione alle imprese concorrenti del diritto potestativo di svincolarsi dalle rispettive offerte, ma non incide sull'efficacia di queste ultime, la quale dipende esclusivamente dall'interesse dell'Amministrazione alla prosecuzione della gara; la previsione del termine risponde essenzialmente all'esigenza di preservare la remuneratività delle offerte, preventivata al tempo della presentazione delle stesse, fino al momento dell'effettiva aggiudicazione, e quindi di consentire alle imprese di svincolarsi dall'efficacia negoziale delle offerte, allorquando, per il tempo trascorso, esse non possano più considerarsi remunerative, alla stregua delle mutate condizioni di mercato; l'intervenuta scadenza del termine non esclude pertanto il mantenimento dell'offerta, qualora l'impresa che l'ha presentata la consideri ancora remunerativa, nè impedisce all'Amministrazione di procedere alla valutazione della stessa, ove intenda condurre ugualmente a termine la gara (Cons. St. n. 4884/2013; Cons. St. n. 1169/2013; Cons. St. n. 9/2009).

In tale contesto, la natura congiunta dell'offerta presentata dalle imprese raggruppate, presupponendo una determinazione concordata delle relative condizioni, e quindi una valutazione integrata della loro remuneratività, alla stregua delle rispettive caratteristiche produttive e gestionali, comporta che la decisione di mantenere o meno l'offerta, a seguito della scadenza del termine previsto dal bando di gara, non possa essere presa unilateralmente da una di esse, ma debba essere anch'essa concordata tra tutte le partecipanti al raggruppamento. Nessun rilievo può assumere, a tal fine, l'affidamento riposto dalle singole imprese in ordine all'acquisita facoltà di svincolarsi dall'efficacia negoziale dell'offerta, essendo ciascuna di esse tenuta ad agire, nel perseguimento dei propri interessi, in modo da preservare quelli delle altre, in conformità dei doveri di correttezza e buona fede su di essa gravanti nell'adempimento dell'accordo raggiunto in ordine alla partecipazione congiunta alla gara. Con particolare riguardo all'impresa mandataria, poi, se è vero che il potere di rappresentanza conferitole ai fini della partecipazione alla gara le consente di comunicare direttamente con la stazione appaltante, e quindi di manifestarle la volontà di ritirare l'offerta, con effetti immediati nei confronti delle altre imprese riunite, è anche vero, però, che essa non può pretendere d'imporre in tal modo le proprie determinazioni a queste ultime, essendo tenuta, oltre che a rispettare gli accordi intercorsi con le stesse ai fini della partecipazione alla gara, ad informarle di ogni circostanza potenzialmente influente sull'esecuzione dell'incarico e ad attenersi alle istruzioni ricevute dalle mandanti, in adempimento dell'obbligo di diligenza previsto dall'art. 1710 c.c. Né è condivisibile l'obiezione secondo cui l'impresa capogruppo sarebbe libera di sottrarsi in qualsiasi momento all'adempimento degli obblighi connessi all'esecuzione dell'incarico attraverso l'esercizio della facoltà, riconosciutale dall'art. 1727 c.c., di rinunciare al mandato: indipendentemente dalla considerazione che, nei rapporti con il mandante, tale rinuncia non dispensa il mandatario dall'obbligo di risarcire i danni, a meno che non sia sorretta da una giusta causa, la ratio della l. n. 157/1995, art. 11, comma 5, consistente nell'assicurare la stabilità del raggruppamento d'imprese, a tutela della stazione appaltante, consente infatti di estendere anche all'ipotesi della rinunzia, non espressamente contemplata, la disciplina dettata per la revoca del mandato, che, escludendone l'efficacia nei confronti dell'amministrazione, anche nel caso in cui sussista una giusta causa, impone all'impresa capogruppo di continuare a rappresentare il raggruppamento, nonostante l'intervenuta rinunzia (Cass. n. 11940/2018).

Applicazioni in tema di società di capitali

La procura conferita al difensore dall'amministratore di una società di persone per ogni stato e grado della causa è valida anche per il giudizio di appello e resta tale anche se l'amministratore, dopo il rilascio della procura e prima della proposizione dell'impugnazione, è cessato dalla carica (Cass. n. 11635/2001). Principio che si ricollega a quello, più generale, secondo cui la sostituzione della persona titolare dell'organo avente il potere di rappresentare in giudizio la persona giuridica non è causa di estinzione dell'efficacia della procura alle liti, la quale continua a operare a meno che non sia revocata dal nuovo rappresentante legale (Cass. n. 6292/1998; Cass. n. 15506/2004; Cass. n. 5319/2007).

Sotto altro aspetto, pur volendo equiparare il rapporto tra società e amministratore al contratto di mandato, va rilevato che l'applicazione delle relative norme per analogia potrebbe avvenire, in base al principio ubi lex non dixit non voluit, solo in assenza di disposizioni dell'ordinamento societario per la fattispecie data. Deve, al contrario, rilevarsi che, in materia, vi è una disposizione chiara e completa, i.e. l'art. 2385 c.c., a tenore del quale: l'amministratore che rinunzia all'ufficio deve darne comunicazione scritta al consiglio d'amministrazione e al presidente del collegio sindacale. La rinunzia ha effetto immediato, se rimane in carica la maggioranza del consiglio di amministrazione, o, in caso contrario, dal momento in cui la maggioranza del consiglio si è ricostituita in seguito all'accettazione dei nuovi amministratori. La cessazione degli amministratori per scadenza del termine ha effetto dal momento in cui il consiglio di amministrazione è stato ricostituito. La cessazione degli amministratori dall'ufficio per qualsiasi causa deve essere iscritta entro trenta giorni nel registro delle imprese a cura del collegio sindacale».

La norma nulla stabilisce in ordine alle ragioni del recesso, laddove la ricorrenza di una giusta causa è prevista nella diversa e nient'affatto speculare ipotesi della revoca dell'amministratore da parte della società. Il difetto di previsione della giusta causa di recesso dell'amministratore, in altri termini, equivale semplicemente a un difetto di protezione giuridica dell'interesse eventuale della società alla continuità dell'attività gestoria, peraltro facilmente suscettibile di essere soddisfatto con l'immediata sostituzione dell'amministratore dimissionario e la nomina di altro amministratore. Detto «difetto» da luogo, tutt'al più, a una cosiddetta lacuna impropria, vale a dire a un vuoto normativo eventualmente inopportuno, o contrario alla coscienza sociale, e perciò (ove effettivamente avvertito come tale) da colmare (solo) attraverso un intervento del legislatore; esso non da invece luogo a una lacuna in senso proprio, che è come dire a una situazione normativa incompleta, o incoerente, ossia, ancora, a un caso dubbio che, ai sensi dell'art. 12 preleggi, comma 2, richiede l'interpretazione analogica. E, infatti, mentre è evidente che l'assenza di giuridica tutela dell'amministratore della società di capitali sarebbe priva di giustificazione, al contrario nessuna vulnerazione grave a principi generali, da evitare attraverso l'applicazione analogica dell'art. 1720 c.c., si prospetta nella norma di cui all'art. 2385 c.c.

In definitiva, che il difetto di previsione della giusta causa di rinuncia degli amministratori alla carica equivale a sua implicita esclusione, appare evidente dal fatto che l'art. 2385 c.c. — dispone a scopo esauriente ed esclusivo.

Può dunque affermarsi che i poteri di rappresentanza dell'amministratore di società di capitale cessano per effetto di un valido atto di rinuncia, senza che si renda a tal fine necessaria, salvo specifico patto, la sussistenza di una giusta causa o l'accettazione di quell'atto da parte dei soci (Cass. n. 21563/2008).

Bibliografia

Baldi, Venezia, Il contratto di agenzia. La concessione di vendita. Il franchising, Milano, 2015; Bavetta, Mandato (negozio giuridico) (dir. priv.), in Enc. dir., XXV, Milano, 1975; Bile, Il mandato, la commissione, la spedizione, Roma, 1961; Campagna, La posizione del mandatario nel mandato ad acquistare beni mobili, in Riv. dir. civ., 1974, I, 7 ss.; Ferri, Manuale di diritto commerciale, Torino, 1976; Formiggini, Commissione, in Enc. dir., VII, Milano, 1960; Minervini, Commissione, in N.ss. Dig. it., III, Torino, 1967; Natoli, La rappresentanza, Milano, 1977; Pugliatti, Studi sulla rappresentanza, Milano, 1965; Romano, Vendita. Contratto estimatorio, Milano, 1961; Rotondi, Rotondi, L'agenzia nella giurisprudenza, Milano, 2004; Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1997; Saracini, Toffoletto, Il contratto di agenzia, artt. 1742-1753, Milano, 2014.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario