Codice Civile art. 1728 - Morte o incapacità del mandante o del mandatario .Morte o incapacità del mandante o del mandatario. [I]. Quando il mandato si estingue per morte o per incapacità sopravvenuta [1425] del mandante, il mandatario che ha iniziato l'esecuzione deve continuarla, se vi è pericolo nel ritardo. [II]. Quando il mandato si estingue per morte o per sopravvenuta incapacità [1425] del mandatario, i suoi eredi ovvero colui che lo rappresenta o lo assiste, se hanno conoscenza del mandato, devono avvertire prontamente il mandante e prendere intanto nell'interesse di questo i provvedimenti richiesti dalle circostanze. InquadramentoSe viene meno una delle parti del contratto esso, di regola, si estingue, e ciò in considerazione della sua natura di contratto intuitus personae. Se, tuttavia, l'evento colpisce il mandante, il mandatario è tenuto a garantire la continuità dell'incarico ad evitare che il patrimonio del mandante possa subire un pregiudizio dal ritardo. Se, invece, l'evento colpisce il mandatario il mandante potrebbe non esserne a conoscenza e, quindi, gli eredi del primo devono avvertirlo ma anche agire in modo che tale evento non gli arrechi un danno. Applicazione della norma in caso di fallimentoL'art. 1728, comma 2 il quale, per il caso di estinzione del mandato per sopravvenuta incapacità del mandatario, fa carico a colui che lo rappresenta di avvertire prontamente il mandante, nonché di prendere, prima che tale avvertimento giunga a conoscenza del mandante stesso, i provvedimenti richiesti dalle circostanze, trova applicazione, per analogia, nel caso di estinzione del mandato per l'instaurarsi di fallimento od altra analoga procedura concorsuale a carico del mandatario, nel senso che i suddetti obblighi gravano sul curatore del fallimento, o sugli altri organi delle procedure concorsuali assimilate (Cass. n. 5527/1981). Analogamente, deve osservarsi che, ai sensi del vigente art. 43, comma 3 l. fall., così come riformulato a seguito della modifica apportata dall'art. 41 d.lgs. n. 5/2006, «l'apertura del fallimento determina l'interruzione del processo». Si tratta quindi di una norma speciale, che con specifico riferimento al fallimento, detta una disciplina derogatoria rispetto a quella generale posta dall'art. 300 c.p.c. per tutti gli altri eventi interruttivi: in particolare, se la norma generale dell'art. 300 c.p.c. prevede che l'evento interruttivo debba essere dichiarato dal procuratore della parte, ed in mancanza il Giudice non può interrompere il processo, nel particolare caso specifico dell'evento interruttivo rappresentato dal fallimento, ai sensi dell'art. 43 l. fall. l'interruzione è automatica e prescinde dalla dichiarazione della parte. Il problema che si pone è allora quello di comprendere da quando decorra il dies a quo per riassumere il processo, rendendo compatibile la natura automatica dell'interruzione con l'esigenza che il termine per riassumere decorra solo dalla conoscenza dell'evento, secondo l'insegnamento di Corte cost. n. 17/2010. Proprio per il mancato bilanciamento tra tali due esigenze, risultano inappaganti le due contrapposte tesi inizialmente formulate, che ritenevano di far decorrere il termine, comunque ed in ogni caso, dalla pronuncia di fallimento, così valorizzando la natura automatica dell'interruzione ma obliterando l'esigenza della reale conoscenza dell'evento; ovvero dalla declaratoria di interruzione da parte del Giudice, semplicemente divenuta obbligatoria e non più subordinata alla richiesta della parte ex art. 300 c.p.c., così valorizzando il dato della reale conoscenza dell'evento ma sminuendo quello della natura automatica dell'interruzione. La giurisprudenza ha quindi aderito ad una più condivisibile posizione mediana, facendo decorrere il termine per riassumere dalla conoscenza legale dell'evento interruttivo. È stato così chiarito che, a seguito del fallimento, l'interruzione è sottratta all'ordinario regime dettato in materia dall'art. 300 c.p.c., è automatica e deve essere dichiarata dal Giudice non appena sia venuto a conoscenza dell'evento, ma ciò non significa che «la parte non fallita è tenuta alla riassunzione del processo nei confronti del curatore indipendentemente dal fatto che l'interruzione sia stata o meno dichiarata», in assenza di conoscenza legale dell'evento (Cass. n. 5288/2017). Medesime considerazioni valgono anche con riferimento alla procedura, posto che «al fine del decorso del termine per la riassunzione, non è sufficiente la sola conoscenza da parte del curatore fallimentare dell'evento interruttivo rappresentato dalla dichiarazione di fallimento, ma è necessaria anche la conoscenza dello specifico giudizio sul quale detto effetto interruttivo è in concreto destinato ad operare. La conoscenza deve inoltre essere legale, cioè acquisita non in via di mero fatto, ma per il tramite di una dichiarazione, notificazione o certificazione rappresentativa dell'evento che determina l'interruzione del processo, assistita da fede privilegiata» (Cass. n. 27165/2016; Cass. n. 6331/2013; Cass. n. 5650/2013). Consegue che la declaratoria di fallimento, in quanto tale, non è di per sé idonea a far decorrere il termine per riassumere il processo, e ciò né con riferimento alla controparte, atteso che la stessa potrebbe non essere a conoscenza dell'evento, né con riferimento al curatore, il quale è certamente a conoscenza dell'evento ma potrebbe non conoscere l'esistenza del singolo processo sul quale l'evento interruttivo deve operare: occorre quindi, secondo la citata giurisprudenza, tanto con riferimento alla parte non fallita, quanto con riferimento al curatore, una «conoscenza legale, cioè acquisita non in via di mero fatto, ma per il tramite di una dichiarazione, notificazione o certificazione rappresentativa dell'evento che determina l'interruzione del processo, assistita da fede privilegiata. Secondo il condivisibile insegnamento della Suprema Corte, atto idoneo a determinare il decorso del termine per la riassunzione è «la dichiarazione resa dal difensore» nel processo, «stante l'obbligo gravante sul procuratore della parte poi dichiarata fallita, quale mandatario, di rendere nota la circostanza alla curatela, obbligo scaturente dalla disciplina sostanziale in tema di mandato ed in particolare dal combinato disposto dagli artt. 1728 e 1710 c.c., come sottolineato da Corte cost. n. 136/1992» (Cass. n. 6331/2013; Cass. n. 5650/2013). Pertanto, secondo l'insegnamento della Suprema Corte, è dalla dichiarazione resa dal difensore che decorre il termine per riassumere da parte della curatela, in ragione «dell'obbligo gravante sul procuratore della parte poi dichiarata fallita, quale mandatario, di rendere nota la circostanza alla curatela. BibliografiaBaldi, Venezia, Il contratto di agenzia. La concessione di vendita. 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