Codice Civile art. 1661 - Variazioni ordinate dal committente.Variazioni ordinate dal committente. [I]. Il committente può apportare variazioni al progetto, purché il loro ammontare non superi il sesto del prezzo complessivo convenuto. L'appaltatore ha diritto al compenso per i maggiori lavori eseguiti, anche se il prezzo dell'opera era stato determinato globalmente. [II]. La disposizione del comma precedente non si applica quando le variazioni, pur essendo contenute nei limiti suddetti, importano notevoli modificazioni della natura dell'opera o dei quantitativi nelle singole categorie di lavori previste nel contratto per l'esecuzione dell'opera medesima. InquadramentoPoiché l'opera è realizzata a favore del committente, egli può anche richiedere ed ottenere modifiche ad essa ma, a salvaguardia della posizione dell'appaltatore, entro determinati limiti e, comunque, purché quest'ultimo ne riceva il corrispettivo. Le varianti eseguibiliIn tema di varianti al progetto nell'esecuzione di un appalto d'opere, l'art. 1661 c.c. prevede che il committente possa richiedere all'appaltatore l'esecuzione di tali varianti nei limiti del sesto del prezzo originario e l'appaltatore sia obbligato ad eseguirle con diritto al compenso per i maggiori lavori eseguiti, salvo che esse comportino «notevoli modificazioni della natura dell'opera». Ne consegue che, nell'ipotesi delle «notevoli» varianti dell'opera, non trova applicazione l'art. 1661 citato, ma viene in discussione la sussistenza stessa del diritto del committente di richiedere dette varianti, là dove, però, una volta che le opere richieste siano eseguite dall'appaltatore, quest'ultimo ha diritto a richiedere il riconoscimento di corrispettivi ulteriori rispetto al prezzo di appalto originariamente concordato (Cass. n. 9796/2011). Inoltre, si è osservato che nel contratto di appalto, le variazioni al progetto che il committente, ai sensi dell'art. 1661 ha il potere di apportare assumendone i costi, quando queste non importino notevoli modificazioni della natura dell'opera o dei quantitativi delle singole categorie dei lavori e l'ammontare dei relativi costi non superi il sesto del prezzo convenuto, non determinano, di per sé, la sostituzione del precedente contratto con uno diverso, ma solo la parziale modifica dell'oggetto della prestazione dovuta dall'appaltatore e l'obbligazione del committente di pagamento degli eventuali costi aggiuntivi, né implicano rinuncia del committente al termine di consegna dei lavori stabilito nel contratto, con conseguente applicabilità della disciplina dell'art. 1183, ma, a meno che non sia dimostrato, in concreto, un diverso e specifico accordo tra le parti e che non si tratti di variazioni di notevole entità che, comportando un importante mutamento del piano dei lavori, rendano inesigibile l'adempimento nell'originario termine, possono assumere rilievo solo come eventuale causa di ritardo non imputabile all'appaltatore e di giustificazione della inosservanza di quel termine pattuito (Cass. n. 2290/1995). In tema di appalto, il regime delle variazioni dell'opera muta, a seconda che le stesse siano dovute all'iniziativa dell'appaltatore o a quella del committente. Solo nel primo caso l'articolo 1659 c.c. richiede che le modifiche siano autorizzate dal committente e che l'autorizzazione risulti da atto scritto ad substantiam; nel secondo caso, l'articolo 1661 c.c. consente all'appaltatore, secondo i principi generali, di provare con tutti i mezzi consentiti, incluse le presunzioni, che le variazioni siano state richieste dal committente (Cass. n. 15351/2024). L'appalto di opere pubbliche, come si desume dallo stesso art. 1655 c.c., comporta che l'appaltatore assuma il compimento di un'opera «con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione» proprie ed a proprio rischio; sicché la più qualificata dottrina e la giurisprudenza hanno ritenuto che tale organizzazione postuli anzitutto l'impianto di un cantiere sul luogo di esecuzione dell'opera per un periodo di tempo pari alla durata dei lavori, perciò gravante esclusivamente sull'appaltatore sulla cui consistenza e sul cui funzionamento all'amministrazione committente non consentito di interferire. È del pari noto che il cantiere richiede le c.d. opere provvisionali fra cui rientrano proprio le strade, le piste di servizio nonché le vie di accesso e quant'altro risulti funzionale all'esecuzione dei lavori; e che seppure il relativo approntamento costituisce un costo di impianto e di esercizio, variabile nei singoli appalti in dipendenza di diversi fattori, la relativa spesa è disciplinata dall'art. 16 d.P.R. n. 1063/1962 (ora art. 5 d.m. n. 145/2000) che ne elenca specificamente le possibili componenti e la pone espressamente a carico dell'appaltatore, includendola fra quelle che devono determinare la formazione del prezzo dell'appalto (Cass. n. 28429/2011). Sicché la sola tutela attribuita all'appaltatore in caso di costi ulteriori ed imprevedibili è quella dell'art. 1467 c.c. che gli consente, ricorrendo le condizioni ivi previste, di domandare la risoluzione del contratto; ovvero la richiesta di indennizzo di cui all'art. 1664 c.c. Pretesi comportamenti e/o inadempimenti della stazione appaltante non possono poi essere fatti valere ad alcun titolo dall'imprenditore allorché siano antecedenti alla consegna dei lavori ovvero alla stessa sostanzialmente contestuali, come nella specie ha prospettato la ricorrente con particolare riferimento alla variante progettuale inerente alla rotazione del fabbricato ed alla situazione dei luoghi riguardanti il cantiere ed i suoi accessi: poiché detti inadempimenti trovano sia nell'art. 10 r.d. n. 350/1895, sia nel capitolato generale di cui al d.P.R. n. 1063/1962 una disciplina peculiare che li sottrae alla normativa generale dettata in tema di inadempimento contrattuale dal codice civile, disponendo anche l'art. 10 del Capitolato, che in tali casi, così come in quello di mancata consegna dei lavori da parte del committente, è conferito all'appaltatore non il diritto di risolvere il rapporto né di richiedere prestazioni risarcitorie ai sensi dell'art. 1453 c.c., ma unicamente la «facoltà» di presentare istanza di recesso dal contratto ed il diritto di pretendere, se tale istanza non è accolta, un compenso per i maggiori oneri dipendenti dal ritardo oltre a un congruo prolungamento dal termine originariamente fissato. Con la conseguenza — più volte posta in evidenza dalla giurisprudenza, che la riconoscibilità di un risarcimento all'appaltatore può venire in esame solo se questi abbia previamente esercitato la facoltà di recesso dal contratto, dovendosi altrimenti presumere che egli consideri ancora eseguibile il contratto senza ulteriori oneri (Cass. n. 22112/2015; Cass. n. 2983/2013; Cass. n. 4780/2012; Cass. n. 26916/2008). Il tutto senza considerare che la dichiarazione dell'impresa necessariamente richiesta dall'art. 1 d.P.R. n. 1063/1962, di aver esaminato la situazione dei luoghi e di averne valutato i riflessi sull'esecuzione dell'opera, lungi dal costituire una mera clausola di stile o dal risolversi in un riconoscimento della remuneratività dei prezzi dell'appalto, si traduce in un'attestazione della presa di conoscenza delle condizioni locali e di tutte le circostanze che possono influire sull'esecuzione dell'opera: perciò ponendo a carico dell'appaltatore un preciso dovere cognitivo, cui corrisponde una altrettanto precisa responsabilità che le preclude qualsiasi richiesta di ulteriori corrispettivi e/o risarcimenti in ordine ad esse (Cass. 10074/2015; Cass. n. 3932/2008; Cass. n. 13734/2003). Principi similari disciplinano gli aumenti dei lavori o le variazioni richiesti dalla stazione appaltante che superino il quinto dell'importo delle opere contrattualmente previste, in quanto: a) già l'art. 344 della legge sui lavori pubblici 2248 del 1865, All. 7 in conformità al principio dell'invariabilità dei prezzi dell'appalto posto dall'art. 326 e ribadito dall'art. 342, comma 2, disponeva l'obbligo dell'appaltatore di eseguire i maggiori lavori richiesti dalla stazione appaltante fino ad 1/5 dell'importo originario «allo stesse condizioni del contratto», attribuendo a quest'ultimo nell'ipotesi in cui tale importo venisse superato il solo diritto di risolvere il contratto; b) da questa disciplina, sostanzialmente riprodotta dall' art. 11 r.d. n. 2440/1923 («Al di là di questo limita «gli ha diritto alla risoluzione del contratto») nonché dall'art. 120 r.d. n. 827/1924 (»... ove non si avvalga del diritto alla risoluzione del contratto...»), dottrina e giurisprudenza hanno tratto la regola, ormai del tutto consolidata, che in caso di superamento di 5/6 delle opere contrattualmente previste, il legislatore abbia riservato all'impresa appaltatrice una alternativa netta che non consente il ricorso a terze vie, fra il diritto di risolvere il contratto e la volontà di assoggettarsi all'aumento in base agli originari prezzi contrattuali: opzione quest'ultima ribadita espressamente dal menzionato art. 120 dal quale è peraltro considerata conseguenza automatica ove l'appaltatore non si sia avvalso della risoluzione del contratto; c) siffatto regime contenente identica alternativa è stato trasfuso nei primi due commi dell'art. 14 d.P.R. n. 1063/1962, (Cass. n. 5794/1993), la cui applicazione comporta la conseguenza che nel caso di opere eccedenti il quinto di cui si discute, anche quest'ultima norma ha mantenuto ferma l'attribuzione all'appaltatore di un diritto soggettivo perfetto alla risoluzione del contratto, onda evitargliene l'ulteriore esecuzione «senza... indennità alcuna» (comma 1): diritto perciò pieno ed assolutamente indipendente dal comportamento e/o da iniziative procedimentali della stazione appaltante e riservato, quanto all'esercizio, esclusivamente a scelte discrezionali ed insindacabili dell'appaltatore. Vero è che l'art. 14, comma 4, in aggiunta alla menzionata opzione, ha introdotto la possibilità di modifica consensuale dal contratto in ordine al prezzo dei lavori aggiuntivi, attribuita questa volta al comportamento congiunto di entrambi i contraenti. Ma in nessun caso detta possibilità, che nel caso concreto non si è pacificamente avverata, comporta il riconoscimento in favore dell'appaltatore di un diritto alla prosecuzione del contratto a prezzi aggiornati ovvero a ulteriori risarcimenti, né tanto meno quello di modificare unilateralmente i patti e le condizioni del contratto originario (la norma gli conferisce soltanto la facoltà di proporre «diverse condizioni» del contratto), o addirittura di prorogarne la durata nonché di sospenderne l'esecuzione in attesa di conoscere le determinazioni dell'amministrazione sull'aumento dei lavori (Cass. n. 10165/2016). Il committente che in corso d'opera modifica il progetto e costringe l'appaltatore ad una spesa maggiore, per il protrarsi dei lavori o per il maggior costo del materiale e della manodopera impiegata, ha l'obbligo (art. 1661 c.c.) di pagargli un compenso maggiore: il sinallagma funzionale fa sì che l'aumento di una delle due prestazioni comporti l'aumento anche l'altra. Il supplemento è dovuto a titolo di prezzo, cioè di corrispettivo contrattuale, e non di semplice indennità per atto lecito, o di risarcimento del danno, come ha avuto modo di chiarire la dottrina; ed una volta liquidato, non rimane distinto, quanto a natura giuridica, dal prezzo originario, ma, insieme con quest'ultimo, si pone come semplice componente di un nuovo prezzo complessivo, perché unica, giuridicamente, è l'opera di cui entrambe le voci costituiscono il corrispettivo. L'obbligo del committente di pagare all'appaltatore il prezzo dell'appalto, ossia la somma di danaro che costituisce il corrispettivo della prestazione di quest'ultimo, ha la sua matrice nel contratto, ed integra dunque un debito di valuta. Tale prezzo non muta natura giuridica se viene revisionato, vuoi per fatti non imputabili al committente (art. 1664 c.c.), vuoi per le variazioni del progetto che egli ha facoltà di disporre in corso d'opera, come innanzi si è detto (Cass. n. 7468/2013;Cass. n. 4779/2005; Cass. n. 2146/2003; Cass. n. 3393/1999). Varianti eseguite e ritardiQuando, nel corso dell'esecuzione del contratto d'appalto, il committente abbia richiesto all'appaltatore notevoli ed importanti variazioni del progetto, il termine di consegna e la penale per il ritardo, pattuiti nel contratto, vengono meno per effetto del mutamento dell'originario piano dei lavori; perché la penale conservi efficacia, occorre che le parti di comune accordo fissino un nuovo termine. In mancanza, incombe al committente, che persegua il risarcimento del danno da ritardata consegna dell'opera, l'onere di fornire la prova della colpa dell'appaltatore (Cass. n. 7242/2001). In altri termini, si produce l'elisione di termine e penale stabiliti nel contratto d'appalto a fronte di variazioni «notevoli ed importanti del progetto» richieste ed ottenute dal committente, trova ragione nell'«importante mutamento» (Cass. n. 2290/1995) ovvero nello «sconvolgimento» (Cass. n. 20484/2011), del piano originario dei lavori, a ciò correlandosi la considerazione per cui, proprio nelle fattispecie caratterizzate dalle modifiche progettuali anzidette, ordinate dal committente, non opera l'art. 1661, ma viene in discussione la sussistenza stessa del diritto del committente di richiedere dette varianti, là dove, però, una volta che le opere richieste siano eseguite dall'appaltatore, quest'ultimo ha diritto a richiedere il riconoscimento di corrispettivi ulteriori rispetto al prezzo di appalto originariamente concordato (Cass. n. 9796/2001). Per consolidato orientamento di legittimità in ipotesi di contratto di appalto, ove vengano pattuiti un termine di consegna ed una penale a carico dell'appaltatore per il ritardo, trova applicazione il principio secondo cui tali convenzioni devono intendersi superate se, nel corso dell'esecuzione delle opere, il committente abbia richiesto ed ottenuto importanti e notevoli variazioni dell'iniziale progetto. In detta ipotesi, verificandosi lo sconvolgimento del piano dei lavori cui è ancorato il termine stabilito, affinché la penale conservi efficacia deve essere fissato di comune accordo un nuovo termine. In mancanza, secondo i principi generali sull'onere della prova, incombe al committente, il quale persegue il risarcimento dei danni da ritardata consegna dell'opera, l'onere di fornire la dimostrazione del colpevole ritardo addebitabile all'appaltatore (Cass. n. 7242/2001: ove, in un contratto di appalto, vengano pattuiti un termine di consegna ed una penale a carico dell'appaltatore per il ritardo, tali convenzioni devono intendersi superate se, nel corso dell'esecuzione delle opere, il committente abbia richiesto ed ottenuto importanti e notevoli variazioni dell'iniziale progetto. In detta ipotesi, verificandosi lo sconvolgimento del piano dei lavori cui è ancorato il termine stabilito, affinché la penale conservi efficacia deve essere fissato di comune accordo un nuovo termine. In mancanza, secondo i principi generali sull'onere della prova, incombe al committente, il quale persegue il risarcimento dei danni da ritardata consegna dell'opera, l'onere di fornire la dimostrazione del colpevole ritardo addebitabile all'appaltatore. Nella specie le ricorrenti, non solo non hanno provato né chiesto di provare il concorso degli indicati elementi, ma non hanno mai mosso alcuna contestazione all'appaltatore, fino alla data del presente giudizio, circa l'epoca della consegna dell'opera. Da ciò, i giudici del merito hanno logicamente e correttamente dedotto che lo stesso committente, dato il rivoluzionamento del piano dei lavori per effetto delle importanti opere aggiuntive richieste, abbia ritenuto superati i termini inizialmente stabiliti e la connessa pattuizione di penale. In relazione alla lamentata erronea applicazione dei principi regolatori della disciplina dell'inadempimento contrattuale occorre rilevare che è pacifico nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo cui, nei contratti a prestazioni corrispettive ed in caso di denuncia di inadempienze reciproche, il giudice deve procedere ad un giudizio di comparazione in ordine al comportamento di ambo le parti per stabilire quale di esse, con riferimento ai rispettivi interessi ed all'oggettiva entità degli inadempimenti, si sia resa responsabile delle trasgressioni maggiormente rilevanti e causa del comportamento della controparte nonché della conseguente alterazione del sinallagma; e che, nel procedere a tale giudizio comparativo, non può attribuirsi efficacia determinante al mero dato cronologico della anteriorità di un inadempimento rispetto ad un altro, ma deve essere valutata l'importanza delle singole inadempienze, nel loro rapporto di dipendenza e di proporzionalità. Tale accertamento, prendendo le mosse dalla valutazione dei fatti e delle prove, rientra nei poteri del giudice del merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato (Cass. n. 4260/1996; Cass. n. 7206/1999; Cass. n. 1168/2000). Il diritto al compenso ex art. 1660 c.c., postula che le variazioni determinate da necessità tecniche sia superiore a 1/6 del prezzo pattuito; per quel che riguarda l'ipotesi di cui all'art. 1661 c.c., comma 1, va considerato che il riconoscimento all'appaltatore del compenso supplementare previsto da tale norma per variazioni al progetto ordinate dal committente, postula la dimostrazione della consistenza e del costo delle opere inizialmente pattuite, in quanto solo se a seguito delle variazioni risultino opere di costo maggiore trova fondamento la pretesa inerente a tale supplemento, sicché, ai fini della liquidazione di questo, non è sufficiente lo accertamento di una eccedenza del costo delle opere realmente compiute rispetto al prezzo pattuito globalmente, ma occorre, invece, che l'eccedenza sussista tra il costo delle opere inizialmente pattuite ed il costo di quelle realmente eseguite (Cass. n. 25035/2015). L'onere di provare l'entità ed il costo sia delle opere eseguite a seguito delle variazioni, che delle opere progettate, incombe sull'appaltatore, con la conseguenza che, in mancanza di detta prova, il supplemento suindicato non può essere attribuito (Cass. n. 4911/1983; Cass. n. 2206/1966). Nel caso in cui il committente abbia tempestivamente eccepito la difformità dell'opera rispetto al progetto di contratto e abbia coltivato ritualmente l'eccezione anche in grado d'appello, spetterà all'appaltatore eccepire e provare trattarsi di variante approvata dal direttore dei lavori (Cass. 4077/2024). In tema di regime probatorio delle variazioni apportate all'opera in un contratto di appalto, se le modifiche sono dovute all'iniziativa dell'appaltatore, l'art. 1659 c.c. richiede che siano autorizzate dal committente e che l'autorizzazione sia attestata da un atto scritto ad substantiam, diversamente, se le variazioni sono richieste dal committente, l'art. 1661 c.c. permette all'appaltatore di provare con tutti i mezzi consentiti, incluse le presunzioni, che tali variazioni sono state richieste dal committente (Cass. n. 21823/2024). 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