Codice Civile art. 1666 - Verifica e pagamento di singole partite.

Francesco Agnino

Verifica e pagamento di singole partite.

[I]. Se si tratta di opera da eseguire per partite, ciascuno dei contraenti può chiedere che la verifica avvenga per le singole partite. In tal caso l'appaltatore può domandare il pagamento in proporzione dell'opera eseguita.

[II]. Il pagamento fa presumere l'accettazione della parte di opera pagata; non produce questo effetto il versamento di semplici acconti [181 trans.].

 

Inquadramento

La norma prevede una verifica ed un collaudo parziali, per consentire alle parti di accertare per tempo se l'opera risponde a quanto pattuito e, se così non è, non proseguire nell'esecuzione dell'opera stessa.

Scomponibilità dell'opera

L'appalto di opera da eseguire per partite ex art. 1666, che postula che l'opera sia scomponibile per volontà delle parti (esplicita o implicita) in frazioni, dotata ciascuna di una propria individualità, non è configurabile nel caso in cui le parti abbiano previsto un sistema rateale di pagamento del prezzo mediante acconti correlati alla graduale esecuzione dell'opera, con la conseguente impossibilità di ritenere la constatazione di ciascuno stato di avanzamento dei lavori equivalente alla verifica delle singole partite ai sensi dell'art. 1666 (Cass. n. 8752/1993).

In tema di appalto, la norma di cui all'art. 1666, comma 2 c.c. si riferisce specificamente ai contratti relativi ad opere da eseguire per partite, nei quali sia la verifica, sia il pagamento, sia, infine, l'accettazione della (parte di) opera — che può anche avere una sua autonomia funzionale e che, comunque, forma oggetto di autonoma consegna, sebbene rientrante nell'oggetto generale del contratto — riguardano le singole partite, delle quali, una volta eseguito il pagamento da parte del committente, si presume l'accettazione senza riserve da parte di costui, e non si applica, per converso, agli appalti che non risultano essere stati convenuti ed eseguiti per partito (Cass. n. 13132/2003).

Tale norma, infatti, si riferisce specificamente ai contratti di appalto di opere da eseguire per partite nei quali sia la verifica che il pagamento che l'accettazione della (parte di) opera — che può anche avere una sua autonomia funzionale ed economica e che, comunque, forma oggetto di autonoma consegna, sebbene rientrante nell'oggetto generale del contratto — riguardano le singole partite delle quali, una volta avvenuto il pagamento da parte del committente, si presuma l'accettazione senza riserve da parte di costui del lotto consegnato.

La ratio specifica di detta norma è del tutto evidente ed è volta ad evitare la possibilità di contestazione per un tempo indefinito delle consegne di beni o servizi oggetto di contratti di appalto che, di norma, si protraggono nel tempo, il che inciderebbe negativamente sulla celerità, la facilità e la buona fede negli scambi.

Da questi brevi rilievi risulta evidente la inapplicabilità della norma dell'art. 1666 c.c. a tutti gli appalti non risulta essere stata eseguito per partite.

La giurisprudenza di merito ha precisato che nell'appalto, qualora siano presenti dei vizi occulti o non immediatamente rilevabili, la prescrizione del diritto alla garanzia decorre dalla scoperta dei vizi: tale scoperta si ritiene appurata nel giorno in cui il committente abbia avuto conoscenza della loro dipendenza dalla imperfetta esecuzione dell'appalto, con l'esecuzione delle necessarie indagini tecniche e con accertamento rimesso al giudice del merito ed insindacabile in sede di legittimità, salvo che per vizi di motivazione (Trib. Roma, 17 febbraio 2023, n. 2781).

Nella responsabilità dell'appaltatore per vizi la risoluzione del contratto d'appalto può essere dichiarata soltanto se i vizi dell'opera sono tali da renderla del tutto inidonea alla sua destinazione; la possibilità di chiedere la risoluzione del contratto di appalto è, pertanto, ammessa nella sola ipotesi in cui l'opera, considerata nella sua unicità e complessità, sia assolutamente inadatta alla destinazione sua propria in quanto affetta da vizi che incidono in misura notevole sulla struttura e funzionalità della medesima sì da impedire che essa fornisca la sua normale utilità (Trib. Napoli, 8 maggio 2024, n. 1456).

 

Appalti pubblici

Nella cessione di credito l'effetto traslativo immediato è escluso quando la cessione abbia ad oggetto crediti futuri, perché in tal caso l'effetto reale, cioè il trasferimento del credito, si verifica solo e quando il credito futuro verrà ad esistenza, e la cessione ha, quindi, mero effetto obbligatorio (Cass. n. 10141/1998; Cass. n. 11516/1993; Cass. n. 3241/1977).

La Corte di cassazione ha affermato che stante il principio della postnumerazione codificato dall'art. 1665, ultimo comma c.c., nei contratti d'appalto l'obbligazione del committente di pagare il corrispettivo sorge solo quando l'opera è stata accettata, a nulla rilevando che, prima di quel momento, l'appaltatore abbia messo a disposizione il risultato della sua prestazione (Cass. n. 1962/1980; Cass. n. 11516/1993; Cass. n. 10141/1998).

Tuttavia, più recentemente la Corte di cassazione ha ancora osservato che l'art. 1665, ultimo comma c.c. non è norma imperativa, ma dispositiva — come si desume dall'espressa salvezza di una diversa pattuizione o di usi contrari. Di conseguenza anche la parziale esecuzione dei lavori appaltati, secondo le specifiche previsioni contrattuali, può determinare l'insorgere del diritto dell'appaltatore al corrispettivo. Qualora tra la stipula del contratto di appalto e il maturare dell'ultimo rateo di pagamento intervenga cessione del credito e il debitore ceduto manifesti volontà contraria all'accettazione, il giudice di merito deve accertare, sulla base delle clausole contrattuali, se il credito dell'appaltatore per il corrispettivo sia venuto ad esistenza, pro quota, in data antecedente o successiva alla manifestazione di volontà del debitore e se l'effetto traslativo della cessione si sia o meno, consolidato precedentemente ad essa (Cass. n. 979/2002).

I giudici di legittimità hanno poi ancora ritenuto, con riferimento ai contratti di appalto di opere pubbliche, che soltanto l'approvazione del collaudo da parte della P.A. pone fine all'appalto, costituendo essa lo strumento legale attraverso il quale l'amministrazione fa proprie le conclusioni del collaudatore ed esprime la volontà di accettare l'opera liquidando il credito dell'appaltatore, atteso che proprio per effetto dell'accettazione senza riserve sorge il vincolo a carico della P.A., per quanto concerne la liquidazione del corrispettivo, di considerare inoppugnabile la determinazione espressa nell'atto di collaudo, così esaurendosi ogni profilo del rapporto intercorso tra le parti.

La Corte di cassazione ha aggiunto che il sopradescritto regime non cessa di operare nell'ipotesi di fallimento dell'appaltatore in relazione alla disciplina dettata dalla l. fall. art. 81, atteso che detta norma attiene agli effetti della dichiarazione di fallimento su di un contratto di appalto in corso, ma non rileva al fine di stabilire quando l'appalto possa considerarsi concluso e quando il credito dell'appaltatore sia sorto (Cass. n. 13261/2000).

Quest'ultima decisione, dopo aver richiamato il già ricordato principio della postnumerazione codificato dall'art. 1665, ultimo comma c.c., in forza del quale l'obbligazione del committente di pagare il corrispettivo sorge solo quando l'opera è stata accettata, ha osservato che la prestazione può considerarsi compiuta solo al momento dell'accettazione — e non al momento in cui l'opera è ultimata — perché solo in questo momento il committente è in grado di verificare se l'obbligazione dell'appaltatore sia stata interamente e regolarmente eseguita.

Per gli appalti di opere pubbliche il legislatore all'ultimazione dei lavori ha attribuito i limitati effetti di cui r.d. n. 350/1895, art. 62 e ss. (si veda in termini non dissimili il successivo d.P.R. n. 554/1999, il cui art. 231 ha abrogato il r.d. n. 350/1895) — redazione del conto finale da parte del direttore dei lavori, trasmissione dello stesso all'appaltatore per l'approvazione e l'eventuale apposizione di reclami o di riserve, relazione finale dell'ingegnere capo — che confermano come l'appalto in tale momento sia tuttora in corso. Per altro verso, a tale evento nonché alla consegna dell'opera prima del collaudo, non è applicabile neppure la presunzione di accettazione di cui all'art. 1665, comma 4 c.c. (Cass. n. 1146/1982), giacché, alla stregua della disciplina del capitolato generale (d.P.R. n. 1063/1962) e dei capitolati speciali relativi alle opere pubbliche, la consegna di un'opera siffatta non può che intendersi effettuata con riserva di verifica, quando non è ancora intervenuto il collaudo: costituente dunque esso solo, l'atto formale indispensabile ai fini dell'accettazione dell'opera stessa da parte della P.A.

Il collaudo, infatti, ha la duplice funzione di accertare la conformità dell'opera alle prescrizioni concordate e di liquidarne il corrispettivo, e pertanto investe sia il controllo tecnico dell'esecuzione, sia la liquidazione finale del compenso spettante all'appaltatore, indispensabili per definire i rapporti intercorrenti tra le parti: tale duplicità di scopi è chiaramente espressa dall'art. 91 r.d. n. 350/1895, che impone di verificare in sede di collaudo non solo se l'opera fu eseguita a regola d'arte, secondo le prescrizioni tecniche prestabilite ed in conformità del contratto e delle varianti debitamente approvate, ma anche se i dati risultanti dai conti e dai documenti giustificativi corrispondono tra loro e con le risultanze di fatto, se i prezzi attribuiti ed i compensi determinati nella liquidazione finale sono regolati secondo le previsioni contrattuali, se nella gestione delle opere ad economia si è avuto cura degli interessi dell'Amministrazione. E, corrispondentemente l'art. 100, dello stesso r.d., nel determinare il contenuto della relazione che il collaudatore è tenuto a svolgere, prescrive che questa indichi in forma particolareggiata le valutazioni sulla collaudabilità dell'opera, le modificazioni da introdursi nel conto finale, la liquidazione delle penali e delle multe, il credito liquido dell'appaltatore, disponendo anche che lo stesso collaudatore esponga in relazione separata e segreta il suo parere sulle domande dell'impresa iscritte regolarmente nel registro di contabilità e nel conto finale.

Analogamente, si può aggiungere, del già citato art. 199, comma 2, lett. c), d.P.R. n. 554/1999,, prevede che l'organo di collaudo «dichiara, salve le rettifiche che può apportare l'ufficio tecnico di revisione, il conto liquido dell'appaltatore e la collaudabilità dell'opera o del lavoro e sotto quali condizioni». Ed il comma 3, della norma precisa che il certificato di collaudo, redatto secondo le modalità specificate dalla norma stessa, ha carattere provvisorio ed assume carattere definitivo decorsi due anni dalla data della relativa emissione ovvero dal termine stabilito nel capitolato speciale per detta emissione. Decorsi due anni il collaudo si intende approvato ancorché l'atto formale di approvazione non sia intervenuto entro due mesi dalla scadenza del termine.

Questo quadro normativo, osserva Cass. n. 13261/2000 facendo riferimento alla disciplina anteriore alla l. n. 109/1994, è completato da ulteriori disposizioni, pur esse comprovanti senza possibilità di dubbio che fino al collaudo l'appalto deve considerarsi ancora «in corso», in quanto: a) art. 16 d.P.R. n. 1063/1962, pur dopo l'ultimazione dei lavori pone a carico dell'appaltatore l'obbligo di provvedere alla custodia ed alla manutenzione delle opere già completate: obbligo che, per converso, cessa secondo la norma soltanto a seguito del collaudo (Cass. n. 990/1995; Cass. n.2203/1988); b) il r.d., art. 102, (poi art. 197, comma 2, d.P.R. n. 554/1999,) nell'ipotesi in cui nella visita di collaudo si riscontrino difetti o mancanze riguardo alla esecuzione dei lavori di poca entità e riparabili in breve tempo, attribuisce al collaudatore il potere di prescrivere all'impresa gli specifici lavori di riparazione e di completamento da eseguirsi, così smentendo sotto altro profilo anche l'assunto per cui prima di tale momento (e, comunque, prima della visita indicata dalla norma) l'opera possa considerarsi «completata»; c) art. 44 d.P.R. n. 1063/1962, ha posto la regola che l'imprenditore può agire per far valere il suo diritto al saldo finale, allo svincolo della cauzione e ad eventuali compensi aggiuntivi, o comunque a tutela delle proprie ragioni, solo dopo che l'Amministrazione, a norma dell'art. 109 r.d. n. 350/1895, abbia deliberato sull'approvazione del collaudo. Allo stesso modo, si può aggiungere che l'art. 205 d.P.R. n. 554/1999, prevede il pagamento della rata di saldo non oltre il novantesimo giorno dall'emissione del certificato di collaudo provvisorio ovvero del certificato di regolare esecuzione, previa garanzia fideiussoria.

Tale pagamento, inoltre, non costituisce presunzione di accettazione dell'opera ai sensi dell'art. 1666 c.c., comma 2; d) infine, la l. 2248/1865, art. 351, All. f, dopo avere stabilito il divieto, avente identica finalità di quello contenuto nel precedente art. 339, di concedere alcun sequestro ai creditori degli appaltatori di opere pubbliche sul prezzo di appalto «durante la esecuzione delle stesse opere», aggiunge che detto divieto cessa «dopo la definitiva collaudazione dell'opera», nella quale all'evidenza identifica la conclusione del rapporto, così giustificandosi il venir meno della particolare ragione di tutela apprestata, invece, alla stazione appaltante durante l'esecuzione del contratto.

Va tuttavia osservato che ai sensi degli artt. 33 e 35 d.P.R. n. 1063/1962, capitolato generale d'appalto del Ministero LL.PP., pacificamente applicabile al contratto d'appalto oggetto di causa, l'appaltatore aveva diritto ad ottenere pagamenti in conto del corrispettivo dell'appalto e gli interessi di mora in caso di ritardo. Inoltre l'art. 1 l. n. 700/1974, stabilisce il diritto dell'appaltatore di ottenere la corresponsione da parte della stazione appaltante di acconti per revisione prezzi nella misura dell'85% dell'ammontare dell'importo revisionale. Anche in tal caso, ai sensi del comma 2, della norma, è previsto il diritto alla corresponsione degli interessi di mora ai sensi dell'art. 35 del Capitolato generale di appalto per le opere pubbliche. Infine ai sensi dell'art. 2 l. n. 741/1981, poi abrogato dal d.P.R. n. 554/1999, art. 231, era prevista la corresponsione anche del residuo 15% della revisione prezzi nei termini e per gli effetti stabiliti dalla l. n. 700/1974, con la conseguenza che anche in tal caso erano dovuti gli interessi di mora.

Tale disciplina è stata successivamente confermata dall'art. 26 l. n. 109/1994, nel testo introdotto dall'art. 9, comma 44 l. n. 415/1998, in caso di ritardo nella emissione dei certificati di pagamento o dei titoli di spesa relativi agli acconti, rispetto alle condizioni e ai termini stabiliti dal capitolato speciale, che non dovevano comunque superare quelli fissati dal capitolato generale. Analoga disciplina, relativa sia al pagamento delle rate di acconto che al saldo dei lavori è stata poi dettata dall'art. 30 d.m. n. 145/2000, Regolamento recante il capitolato generale d'appalto dei lavori pubblici, ai sensi della l. n. 109/1994, art. 3, comma 5, e successive modificazioni (si veda però d.lgs. n. 163/2006, art. 256, comma 1, che ha abrogato l'intero provvedimento, a decorrere dal 1° luglio 2006 e, per la disciplina transitoria, d.l. n. 173/2006, art. 1-octies, comma 2, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 228/226, e le successive modificazioni di cui al d.lgs. n. 6/2007).

Con riferimento alla disciplina applicabile, ratione temporis, la Corte di cassazione ha affermato che il diritto dell'appaltatore agli interessi per il ritardo nel pagamento degli acconti, a norma del d.P.R. n. 1063/1962, art. 35, sorge automaticamente per il semplice inutile decorso di specifici termini e non è richiesto, per il suo perfezionamento, né un atto di costituzione in mora, né la iscrizione di riserve, né la fatturazione, la quale ultima costituisce un adempimento fiscale dell'appaltatore la cui mancanza non legittima il ritardo nel pagamento (Cass. n. 11215/2005).

Ancora si è osservato che tutte le rate comportanti pagamenti in acconto, ivi compresa l'ultima, presuppongono che l'opera sia ancora in corso, e devono essere versate per il solo fatto che l'ammontare dei lavori abbia raggiunto l'importo contrattualmente previsto e che la direzione dei lavori abbia certificato il relativo stato di avanzamento; la rata di saldo, invece, è dovuta (se e) dopo che i lavori siano stati ultimati e l'intera opera sia stata realizzata e collaudata positivamente (ovvero sia scaduto il periodo entro cui il collaudo avrebbe dovuto essere eseguito), ed il relativo pagamento ha carattere eventuale, essendo subordinato alla condizione che, effettuati i conteggi conclusivi, sussistano ancora poste attive a favore dell'imprenditore, costituenti appunto il saldo del corrispettivo pattuito e non ancora versato in corso d'opera (Cass. n. 14460/2004).

L'appaltatore ha dunque, in forza delle disposizioni richiamate, un vero e proprio diritto soggettivo alla corresponsione degli acconti prezzo a fronte degli stati avanzamento lavori ed agli importi relativi alla revisione prezzi, come risulta evidente dal fatto che la mancata corresponsione da parte dell'Amministrazione determina per il solo fatto del ritardo l'obbligo di corresponsione degli interessi di mora.

In questo modo il legislatore ha stabilito una deroga al principio della postnumerazione stabilito dalla disciplina generale in tema di appalto e confermato dalle disposizioni speciali in tema di appalto di opere pubbliche che si sono prima richiamate, con la conseguenza che vantando l'appaltatore un vero e proprio diritto soggettivo alla corresponsione degli acconti a fronte degli stati avanzamento lavori e della revisione prezzi, per questa parte il credito è certo, liquido ed esigibile, sì che correttamente la Corte d'appello ha escluso che la cessione avesse effetti soltanto obbligatori e che, essendo intervenuta nelle more la liquidazione coatta della società cedente, l'effetto traslativo non avesse potuto determinarsi in virtù del vincolo d'indisponibilità sul patrimonio dell'imprenditore in liquidazione coatta amministrativa conseguente all'apertura della procedura concorsuale.

Deve quindi ribadirsi che per quanto concerne il credito derivante dal quarto stato avanzamento lavori e per la revisione prezzi la cessione ha prodotto effetti immediati, stante il diritto dell'appaltatore a percepire immediatamente, come si è visto, il corrispettivo dalla stazione appaltante, prima del collaudo dell'opera, in deroga al principio di postnumerazione (Cass. n. 13768/2007).

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