Codice Civile art. 1667 - Difformità e vizi dell'opera.

Francesco Agnino

Difformità e vizi dell'opera.

[I]. L'appaltatore è tenuto alla garanzia per le difformità e i vizi dell'opera [1668]. La garanzia non è dovuta se il committente ha accettato l'opera e le difformità o i vizi erano da lui conosciuti o erano riconoscibili, purché, in questo caso, non siano stati in mala fede taciuti dall'appaltatore.

[II]. Il committente deve, a pena di decadenza, denunziare all'appaltatore le difformità o i vizi entro sessanta giorni dalla scoperta. La denunzia non è necessaria se l'appaltatore ha riconosciuto le difformità o i vizi o se li ha occultati.

[III]. L'azione contro l'appaltatore si prescrive in due anni dal giorno della consegna dell'opera. Il committente convenuto per il pagamento può sempre far valere la garanzia, purché le difformità o i vizi siano stati denunziati entro sessanta giorni dalla scoperta e prima che siano decorsi i due anni dalla consegna [181 trans.].

Inquadramento

La norma si spiega considerando che il committente ha diritto alla consegna di un'opera immune da vizi: pertanto, l'appaltatore risponde della loro presenza. Tuttavia, la certezza dei rapporti giuridici impone precisi termini di prescrizione e decadenza per far valere tali vizi. Infine, la norma stabilisce l'imprescrittibilità della eccezione per far valere i vizi dell'opera, in quanto, altrimenti, l'appaltatore potrebbe attendere fino allo scadere del termine ed agire per ottenere il prezzo ed il committente non potrebbe opporsi.

Il disposto dell'art. 1667 c.c., secondo il quale l'appaltatore è tenuto alla garanzia per le difformità e vizi dell'opera, e il committente deve, a pena di decadenza, denunciare all'appaltatore le difformità o i vizi entro sessanta dalla scoperta e la denuncia non è necessaria se l'appaltatore ha riconosciuto le difformità o i vizi; invece l'azione si prescrive entro due anni dal giorno di consegna dell'opera.

Inoltre l'impegno dell'appaltatore a provvedere alla eliminazione dei vizi dell'opera da lui realizzata sostanzia un implicito, unilaterale riconoscimento dell'esistenza di tali vizi, ed integra gli estremi di una obbligazione nuova, rispetto quella originaria di garanzia, svincolata dai termini di decadenza e di prescrizione di cui all'art. 1667 c.c., e, dunque, soggetta all'ordinario termine prescrizionale di dieci anni (Cass. n. 10364/1997; Cass. n. 1320/2001; Cass. n. 19560/2009).

Tale principio è stato di recente ribadito dalla S.C.:  l'appaltatore,  attivandosi  per rimuovere i vizi denunciati dal committente, tiene una condotta che costituisce tacito riconoscimento di quei vizi, e che –senza novare l'originaria obbligazione gravante sull'appaltatore– ha l'effetto di svincolare il diritto alla garanzia del committente dai termini di decadenza e prescrizione di cui all' art. 1667 c.c.  (Cass. n. 30786/2023).

Presupposti per l'operatività della norma

La consolidata giurisprudenza di legittimità rileva che in tema di appalto la responsabilità dell'assuntore del lavoro inerente alla garanzia per vizi e difformità dell'opera eseguita, prevista dagli artt. 1667 e ss., può configurarsi unicamente quando lo stesso, nell'intervenuto completamento dei lavori, consegni alla controparte un'opera realizzata nel mancato rispetto dei patti o non a regola d'arte, mentre nel caso di non integrale esecuzione dei lavori o di ritardo o rifiuto della consegna del risultato di questi a carico dell'appaltatore può operare unicamente la comune responsabilità per inadempimento contrattuale di cui agli artt. 1453 ss. c.c. (Cass. n. 1186/2015; Cass. n. 8103/2006).

Con riguardo ai vizi dell'opera conosciuti o riconoscibili, il committente che non abbia accettato l'opera medesima non è tenuto ad alcun adempimento, a pena di decadenza, per far valere la garanzia dell'appaltatore poiché, ai sensi dell'art. 1667, comma 1 c.c., solo tale accettazione comporta liberazione da quella garanzia (Cass. n. 14136/2016).

Alla stregua dell'enunciato, condivisibile, principio va ribadito che l'applicabilità dell'art. 1667 comma 2 c.c. riguarda solo l'appalto esaurito con l'ultimazione dell'opera.

Sotto altro aspetto, la predisposizione del progetto da parte del committente, il quale abbia fornito anche indicazioni in ordine alla sua realizzazione, non è di per sé sufficiente ad escludere la responsabilità dell'appaltatore, tanto nei confronti del committente quanto nei confronti dei terzi, in quanto, dovendo adempiere la propria prestazione con la diligenza e la perizia richieste dalla natura dell'opera commissionata, egli è tenuto a controllare la bontà del progetto e delle disposizioni impartitegli, nonché a segnalare eventuali carenze ed errori, tali da impedire l'esecuzione dei lavori a regola d'arte: tale principio, dal quale può farsi discendere la legittimità del rifiuto di proseguire i lavori in mancanza delle opportune modiche progettuali, non può peraltro trovare applicazione qualora, come nella specie, risulti provato che, a fronte del dissenso manifestato dall'appaltatore, il committente abbia insistito affinché l'opera fosse realizzata in conformità del progetto o abbia ribadito le indicazioni fornite, venendo in tal caso meno ogni margine di autonomia e discrezionalità dell'appaltatore, ridotto al rango di nudus minister (Cass. n. 8016/2012; Cass. n. 28605/2008).

Inoltre, la circostanza che il venditore sia anche il costruttore del bene compravenduto, non vale ad attribuirgli le veste di appaltatore nei confronti dell'acquirente e a quest'ultimo la qualità di committente nei confronti del primo. L'acquirente non può pertanto esercitare l'azione per ottenere l'adempimento del contratto d'appalto e l'eliminazione dei difetti dell'opera a norma degli artt. 1667 e 1668 c.c., spettando tale azione esclusivamente al committente del contratto d'appalto di natura contrattuale, diversamente di quella prevista dall'art. 1669 c.c., di natura extracontrattuale operante non solo a carico dell'appaltatore nei confronti del committente, ma anche a carico del costruttore nei confronti dell'acquirente (Cass. n. 26574/2017; Cass. n. 11540/1992).

Quanto agli aspetti risarcitori, la Cassazione ha affermato che la garanzia per vizi nel contratto di appalto, a norma degli artt. 1667 e 1668 c.c., comporta il diritto del committente ad ottenere l'integrale risarcimento del danno in modo tale da garantire allo stesso l'eadem res debita ovvero l'effettiva corrispondenza dell'opera alla struttura e alla destinazione concordate nel contratto, sicché sono a carico dell'appaltatore tutte le conseguenze dell'inesatto adempimento. Ne consegue che, nel caso in cui le spese sostenute dal committente per il suo intervento riparatorio non abbiano consentito la eliminazione permanente dei vizi ed il superamento definitivo del pregiudizio lamentato, l'appaltatore è tenuto a sopportare l'intero peso economico in modo da garantire il risultato preventivamente concordato con l'esatta esecuzione del contratto di appalto e non solo quello derivante dalle spese per far fronte temporaneamente ai vizi insorti (Cass. n. 31975/2023).

Applicazione dei principi generali

La Corte di cassazione ha ripetutamente precisato che in tema di inadempimento del contratto di appalto, le disposizioni speciali di cui agli artt. 1667, 1668 e 1669, integrano — senza escluderne l'applicazione — i principi generali in materia di inadempimento delle obbligazioni, con la conseguenza che, nel caso in cui l'opera sia stata realizzata in violazione delle prescrizioni pattuite o delle regole tecniche, il committente, convenuto per il pagamento del prezzo, può — al fine di paralizzare la pretesa avversaria — opporre le difformità e i vizi — dell'opera, in virtù del principio inadimplenti non est adimplendum, richiamato dal secondo periodo dell'ultimo comma dell'art. 1667, anche quando non abbia proposto, in via riconvenzionale, la domanda di garanzia o la stessa sia prescritta (Cass. n. 4446/2012).

Il committente convenuto per il pagamento del corrispettivo non ha possibilità di opporre le difformità e i vizi dell'opera, in virtù del principio inadimplenti non est adimplendum, se i vizi o le difformità non siano stati denunciati nei tempi previsti. D'altra parte, se così non fosse, verrebbe vanificata la portata dell'art. 2226, e/o dell'art. 1667, cioè, la necessità di una tempestiva denuncia dei vizi e delle difformità da parte del committente, perché sarebbe facilmente superabile (Cass. n. 24400/2015).

In tal senso si è precisato che in tema di inadempimento del contratto d'appalto, laddove l'opera risulti ultimata, il committente, convenuto per il pagamento, può opporre all'appaltatore le difformità ed i vizi dell'opera, in virtù del principio inadimpleti non est adimplendum al quale si ricollega la più specifica disposizione dettata dal secondo periodo dell'ultimo comma dell'art. 1667 c.c., analoga a quella di portata generale di cui all'art. 1460 c.c. in materia di contratti a prestazioni corrispettive, anche quando la domanda di garanzia sarebbe prescritta ed, indipendentemente, dalla contestuale proposizione, in via riconvenzionale, di detta domanda, che può anche mancare, senza pregiudizio alcuno per la proponibilità dell'eccezione in esame (Cass. n. 7041/2023).

In tema di contratto d'appalto, le disposizioni specifiche previste dagli artt. 1667 e 1668, applicabili nel caso di opera completa ma affetta da vizi o difformità, integrano e non escludono i principi generali in tema di inadempimento contrattuale, applicabili, questi ultimi, quando non ricorrono i presupposti delle norme speciali. Rimangono perciò applicabili, i principi riguardanti la responsabilità dell'appaltatore secondo gli artt. 1453 e 1455 nel caso in cui l'opera non sia stata eseguita o non sia stata completata o l'appaltatore abbia realizzato l'opera con ritardo o, pur avendo eseguito l'opera, si rifiuti di consegnarla; sicché, in caso di ritardo nel completamento dell'opera, la domanda di pagamento della relativa penale non è assoggettata ai termini prescrizionali previsti per l'azione per vizi (Cass. n. 9198/2018).

In caso di opera incompleta, costituisce orientamento consolidato quello secondo cui, nell'ipotesi in cui l'appaltatore non abbia portato a termine l'esecuzione dell'opera commissionata, restando inadempiente all'obbligazione assunta con il contratto, la disciplina applicabile nei suoi confronti è senz'altro quella generale in materia di inadempimento contrattuale, dettata dagli artt. 1453 e 1455 c.c., laddove la speciale garanzia prevista dagli artt. 1667 e 1668 c.c. trova applicazione nella diversa ipotesi in cui l'opera sia stata portata a termine, ma presenti vizi, difformità o difetti (Cass. n. 8103/2006; Cass. n. 13983/2011; Cass. n. 1186/2015).

Questo indirizzo è stato poi, nel corso degli anni, tralaticiamente esteso anche all'ipotesi di rovina e difetti di cose immobili disciplinata dall'art. 1669 c.c. (Cass. n. 10255/1998; Cass. n. 9849/2003; Cass. n. 9333/2004). Alla luce di tale ampliamento, il principio che si legge scolpito nelle massime è il seguente: le disposizioni speciali in tema di inadempimento del contratto di appalto (artt. 1667,1668 e 1669 c.c.) integrano, ma non escludono, l'applicazione dei principi generali in materia di inadempimento contrattuale che sono applicabili quando non ricorrano i presupposti delle norme speciali, nel senso che la comune responsabilità dell'appaltatore exartt. 1453 e 1455 c.c. sorge allorquando egli non esegue interamente l'opera o, se l'ha eseguita, si rifiuta di consegnarla o vi procede con ritardo rispetto al termine di esecuzione pattuito, mentre la differente responsabilità dell'appaltatore, inerente alla garanzia per i vizi o difformità dell'opera, prevista dagli artt. 1667 e 1668 c.c., ricorre quando il suddetto ha violato le prescrizioni pattuite per l'esecuzione dell'opera o le regole imposte dalla tecnica. Pertanto, nel caso di omesso completamento dell'opera, anche se questa per la parte eseguita risulti difettosa o difforme, non è consentito, al fine di accertare la responsabilità dell'appaltatore per inesatto adempimento, far ricorso alla disciplina della suindicata garanzia che richiede necessariamente il totale compimento dell'opera (Cass. n. 28233/2017).

In definitiva, si è formato il diffuso convincimento secondo cui, in tema di inadempimento del contratto di appalto, le disposizioni speciali di cui agli artt. 1667,1668 e 1669 c.c., indifferentemente intese, integrino — senza escluderne l'applicazione — i principi generali in materia di inadempimento delle obbligazioni (Cass. n. 4446/2012).

Anche di recente è stato ribadito che l'ambito della responsabilità, posta dall'art. 1669 c.c. a carico dell'appaltatore per rovina o difetti della costruzione, in mancanza di limitazioni legali, deve ritenersi coincidere con quello generale della responsabilità extracontrattuale (Cass. n. 4319/2016) o, comunque, della responsabilità non contrattuale (trattandosi di una norma non di favore, diretta a limitare la responsabilità del costruttore, bensì finalizzata ad assicurare una più efficace tutela del committente, dei suoi aventi causa e dei terzi in generale), con carattere di specialità rispetto al disposto dell'art. 2043 c.c. (Cass. S.U., n. 284/2012) e sancita per ragioni e finalità di interesse generale (Cass. n. 7634/2006).

In proposito, è opportuno evidenziare che la responsabilità per fatto lecito dannoso non ha carattere eccezionale, poiché l'espressione «ordinamento giuridico» che accompagna, nell'art. 1173 c.c., il riferimento alla terza specie di fonti delle obbligazioni, ossia quelle che derivano «da ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell'ordinamento giuridico», non si risolve in una mera indicazione riassuntiva di un elenco chiuso costituito da tutte le altre fonti nominate (diverse dal contratto o dal fatto illecito), ma consente un'apertura all'analogia, ovvero alla possibilità che taluni accadimenti, ulteriori rispetto a quelli previsti dalla legge, siano ritenuti idonei alla produzione di obbligazioni alla luce dei principi e dei criteri desumibili dall'ordinamento considerato nella sua interezza, complessità ed evoluzione (Cass. n. 25292/2015). È in questo contesto normativo che, a ben vedere, sono situabili le obbligazioni derivanti, nell'ambito di un rapporto di appalto, dalla rovina di cose immobili.

La disciplina generale dettata in tema di risoluzione del contratto per inadempimento è integrata solo dalle disposizioni contenute negli artt. 1667 e 1668 sul piano della comune responsabilità contrattuale (Cass. n. 1186/2015).

Ma, allora, da tale inquadramento deriva, come necessario corollario logico, che le norme generali dettate in tema di risoluzione contrattuale per inadempimento non sono tout court estensibili alla fattispecie disciplinata dall'art. 1669.

Ulteriore conseguenza del predetto inquadramento giuridico è rappresentata dal fatto che quest'ultima disposizione è applicabile anche nel caso in cui l'opera commissionata non sia stata portata a termine.

Inoltre, se la realizzazione di un'opera arreca a terzi danni provocati non da una malaccorta esecuzione, bensì da un vizio del progetto fornito dal committente, sussiste la concorrente responsabilità risarcitoria dell'appaltatore e del committente stesso: il  primo è tenuto al risarcimento quando, con la diligenza professionale  ex art. 1176, comma  2, c.c., si sarebbe potuto avvedere del vizio progettuale e non l'abbia fatto; il secondo è sempre obbligato al risarcimento dei terzi danneggiati per aver ordinato l'esecuzione di un progetto malamente concepito (Cass . n. 12882/2020, nella specie, la S.C. ha con fermato la sentenza di merito, che, con riferimento ai danni subiti da un fondo in conseguenza della realizzazione di un impianto di depurazione delle acque, aveva ravvisato la concorrente responsabilità dell'ente locale committente per aver approvato un progetto che si era rivelato inidoneo a impedire l'anomalo deflusso delle acque).

In tema di risarcibilità dei danni conseguiti da inadempimento, nell'ipotesi di responsabilità contrattuale, o da fatto illecito, il nesso di causalità va inteso in modo da ricomprendere nel risarcimento anche i danni indiretti e mediati che si presentino come effetto normale secondo il principio della regolarità causale, con la conseguenza che, ai fini del sorgere dell'obbligazione di risarcimento, il rapporto fra inadempimento (o illecito) ed evento può anche non essere diretto ed immediato se, ferme restando le altre condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo, sempre che, nel momento in cui si produce l'evento causante, le conseguenze dannose di esso non appaiano del tutto inverosimili (Cass. n. 3051/2025).

Riparto dell'onere della prova

La tempestività della denuncia è elemento costitutivo del diritto di garanzia spettante al committente, di modo che è suo l'onere di dimostrarla (Cass. n. 10579/2012, ove si è affermato che in tema di appalto, allorché l'appaltatore eccepisca la decadenza del committente dalla garanzia di cui all'art. 1667 per i vizi dell'opera, incombe su questi l'onere di dimostrare di averli tempestivamente denunziati, costituendo tale denuncia una condizione dell'azione; Cass. n. 10412/1997).

Ne consegue che, analogamente a quanto già affermato in materia di appalto (Cass. n. 10579/2012), anche in tema di contratto d'opera, allorché il prestatore d'opera eccepisca la decadenza del committente dalla garanzia di cui all'art. 2226, per i vizi dell'opera, incombe sul committente l'onere di dimostrare di averli tempestivamente denunziati, costituendo tale denuncia una condizione dell'azione.

Va altresì rilevato che l'eccezione di decadenza del committente dalla garanzia di cui all'art. 2226, ha carattere preliminare rispetto alle questioni inerenti all'effettiva esistenza dei vizi dedotti dal committente. La decadenza, infatti, paralizza il diritto del committente a far valere la garanzia per vizi, precludendo ogni indagine sul fondamento della pretesa fatta valere nei confronti del prestatore d'opera; sicché la relativa eccezione non può non essere esaminata prima di ogni altra questione che attenga al merito della pretesa stessa (Cass. n. 4908/2015).

La data di consegna è decisiva in quanto solo dopo di essa può aversi la scoperta delle difformità o dei vizi, entro sessanta giorni dalla quale ultima il committente deve, a pena di decadenza, denunciarli all'appaltatore (Cass. n. 1748/2018, Cass. n. 6970/1982 che sottolinea che la scoperta presuppone l'avvenuta consegna).

In tema di contratto di appalto, ove il committente convenuto in giudizio dall'appaltatore per il pagamento del corrispettivo sollevi l'eccezione generale di inadempimento, spetta all'appaltatore provare l'esatto adempimento della propria obbligazione mentre, ove il committente (che abbia la disponibilità fisica e giuridica dell'opera) proponga domanda di garanzia speciale per le difformità e vizi, spetta allo stesso appaltante dimostrare l'esistenza di tali difformità e vizi e delle conseguenze dannose lamentate  (Cass. n 1701/2025).

Obbligo di eliminazione dei vizi.

Nel 2005 le S.U. della Corte Suprema, componendo il contrasto (che in realtà ritennero sostanzialmente insussistente) con altre pronunce che, in materia di vendita, avevano escluso che il c.d. riconoscimento operoso avesse efficacia novativa, avevano corretto la più volte affermata, in precedenza, novazione dell'originaria obbligazione di garanzia (Cass. S.U., n. 13294/2005). L'impegno del venditore di eliminare i vizi che rendano il bene inidoneo all'uso cui è destinato (ovvero che ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore economico), osservarono le S.U., di per sé non dà vita ad una nuova obbligazione estintiva sostitutiva (novazione oggettiva: art. 1230 c.c.) dell'originaria obbligazione di garanzia (art. 1490 c.c.), ma consente al compratore di non soggiacere ai termini di decadenza ed alle condizioni di cui all'art. 1495 c.c., ai fini dell'esercizio delle azioni (risoluzione del contratto o riduzione del prezzo) previste in suo favore (art. 1492 c.c.), sostanziandosi tale impegno in un riconoscimento del debito, interruttivo della prescrizione (art. 2944 c.c.); infatti, solo in presenza di un accordo delle parti (espresso o per facta concludentia), il cui accertamento è riservato al giudice di merito, inteso ad estinguere l'originaria obbligazione di garanzia e a sostituirla con una nuova per oggetto o titolo, l'impegno del venditore di eliminare i vizi dà luogo ad una novazione oggettiva.

Ritennero al riguardo le S.U. che l'impegno del venditore a riparare la cosa viziata non avesse affatto valore novativo della precedente obbligazione, ma attuativo della stessa, nel senso che esso è esclusivamente preordinato ad attuare il risultato economico che il compratore si prefigurava di ottenere dal contratto di compravendita. L'impegno del venditore non rappresentava un quid novi con effetto estintivo — modificativo della garanzia, ma semplicemente un quid pluris volto ad ampliarne le modalità di attuazione, nel senso di consentire al compratore di essere svincolato dalle condizioni e dai termini di cui all'art. 1495 c.c., particolarmente brevi, come la prescrizione annuale, rispetto a quella decennale. Sicché dato l'impegno assunto dal venditore con il riconoscimento operoso, il compratore doveva considerarsi svincolato dai termini e dalle condizioni per l'esercizio delle azioni edilizie, atteso che queste non vengono da lui esercitate in pendenza degli interventi del venditore finalizzati all'eliminazione dei vizi redibitori, al fine di evitare di frapporre ostacoli, secondo la regola della correttezza (art. 1175 c.c.), alla realizzazione della prestazione cui il venditore è tenuto.

Fecero seguito nel medesimo solco altre sentenze che pure ribadirono che l'appaltatore, attivandosi per rimuovere i vizi denunciati dal committente, tiene una condotta che costituisce tacito riconoscimento di quei vizi, e che — senza novare l'originaria obbligazione gravante sull'appaltatore — ha l'effetto di svincolare il diritto alla garanzia del committente dai termini di decadenza e prescrizione di cui all'art. 1667 c.c. (Cass. n. 11457/2007; Cass. n. 6263/2012).

Nel 2012 due ordinanze di rimessione alle S.U., una in materia di vendita (Cass. n. 4844/2012) l'altra in materia di contratto d'opera (Cass. n. 17497/2012), sollecitarono una più chiara presa di posizione sulla sorte del termine di prescrizione dell'obbligazione derivante dal c.d. riconoscimento operoso. E cioè se tale impegno comportasse la non necessità della denuncia dei vizi nei termini di decadenza e, con riferimento alla prescrizione, soltanto un'interruzione della stessa, destinata a decorrere ex novo secondo il regime speciale o in base al termine ordinario decennale.

Provvedendo solo sulla prima delle ordinanze di rimessione (in materia di vendita) le Sezioni Unite con sentenza Cass. S.U., n. 19702/2012 affermarono che in tema di garanzia per i vizi della cosa venduta, di cui all'art. 1490 c.c., qualora il venditore si impegni ad eliminare i vizi e l'impegno sia accettato dal compratore, sorge un'autonoma obbligazione di facere, che, ove non estingua per novazione la garanzia originaria, a questa si affianca, rimanendo ad essa esterna e, quindi, non alterandone la disciplina. Ne consegue che, in tale ipotesi, anche considerato il divieto dei patti modificativi della prescrizione, sancito dall'art. 2936 c.c., l'originario diritto del compratore alla riduzione del prezzo e alla risoluzione del contratto resta soggetto alla prescrizione annuale, di cui all'art. 1495 c.c., mentre l'ulteriore suo diritto all'eliminazione dei vizi ricade nella prescrizione ordinaria decennale.

Quanto alla seconda ordinanza di rimessione (quella in materia di contratto d'opera), gli atti furono restituiti alla seconda sezione, che con sentenza Cass. n. 13613/2013 prese atto che i principi appena ribaditi dalle S.U. avevano una valenza generale indipendente dalla tipologia contrattuale di riferimento, per cui anche in materia d'appalto e di contratto d'opera, il riconoscimento operoso costituisce fonte di un'autonoma obbligazione di facere, la quale si affianca all'originaria obbligazione di garanzia, senza estinguerla, a meno di uno specifico accordo novativo, e rimane, pertanto, soggetta non ai termini di prescrizione e decadenza stabiliti per quella garanzia, ma all'ordinario termine di prescrizione decennale fissato per l'inadempimento contrattuale.

Nel medesimo senso, da ultimo e con riguardo al contratto d'opera, si è espressa infine la sentenza Cass. n. 4908/2015.

In tema di appalto tale indirizzo ha trovato seguito.

Si è affermato che è vero che l'eliminazione dei vizi da parte dell'appaltatore (a differenza della vendita non consumeristica) rientra nel contenuto della garanzia ex art. 1668 c.c., sicché l'estensione del dictum delle S.U. alla materia dell'appalto non produrrebbe altro effetto che una proroga convenzionale della prescrizione, in violazione dell'art. 2936 c.c. Infatti, mentre nella vendita la prescrizione decennale dell'impegno di riparazione va da sé, in quanto tale obbligazione non rientra nel contenuto della garanzia tipica e dunque non soggiace al relativo termine breve, diversa è la situazione nell'appalto, in cui l'obbligo di riparazione è incluso nella previsione dell'art. 1668 c.c.

Tuttavia il sistema è agevolmente ricomponibile nella sua coerenza. Già nella motivazione di Cass. S.U. n. 13294/2005 si osservava acutamente che (s)i tratta di assegnare un significato, ai fini dell'esercizio delle azioni edilizie e del relativo termine prescrizionale, alla circostanza che fra le parti è in corso, per l'impegno assunto dal venditore, un tentativo di far ottenere al compratore il risultato che egli aveva il diritto di conseguire fin dalla conclusione del contratto di compravendita. E altro significato non può essere che quello di svincolare il compratore dai termini e condizioni per l'esercizio delle azioni edilizie, atteso che queste non vengono da lui esercitate in pendenza degli interventi del venditore finalizzati all'eliminazione dei vizi redibitori, al fine di evitare di frapporre ostacoli, secondo la regola della correttezza (art. 1175 c.c.), alla realizzazione della prestazione cui il venditore è tenuto.

Rapportando tali considerazioni all'appalto, si rileva che quando l'appaltatore non riconosce alcun difetto dell'opera, non vi è un termine d'adempimento in corso e dunque la prescrizione breve di cui all'art. 1667, comma 3 c.c., non trova ostacoli applicativi. Ma quando l'appaltatore riconoscendo il difetto si impegna a un (ri)facere per eliminarlo, il medesimo termine di prescrizione biennale dalla consegna, decorrendo in base all'art. 2944 c.c., dal riconoscimento stesso, sarebbe non già pieno, ma decurtato del tempo necessario all'appaltatore per rifare l'opera (in tutto o in parte). Ne deriva che detta prescrizione breve, mentre è compatibile con un'obbligazione già eseguita e di cui si discuta soltanto la conformità ex art. 1668 c.c., non è conciliabile con un'obbligazione contrattuale non ancora adempiuta e che necessita dei propri tempi tecnici di esecuzione. Ed allora ben si spiega l'applicabilità della prescrizione ordinaria, in difetto di un'altra che abbia pari base legale (Cass. n. 62/2018).

Bibliografia

AA.VV., L'appalto privato, Trattato diretto da Costanza, Torino, 2000; Amore, Appalto e claim, Padova, 2007; Cagnasso, Appalto nel diritto privato, in Dig. disc. priv., I, Torino, 1987; Capozzi, Dei singoli contratti, Milano, 1988; Cianflone, Giovannini, L'appalto di opere pubbliche, Milano, 2003; De Tilla, L'appalto privato, Il diritto immobiliare, Milano, 2007; Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 2013; Iudica, Appalto pubblico e privato. Problemi e giurisprudenza attuali, Padova, 1997; Lapertosa, Responsabilità e garanzia nell'appalto privato, in AA.VV., Appalto pubblico e privato. Problemi e giurisprudenza attuali, a cura di Iudica, Padova, 1997; Lucchini-Guastalla, Le risoluzioni di diritto per inadempimento dell'appaltatore, Milano, 2002; Luminoso, Codice dell'appalto privato, Milano, 2010; Mangini, Rudan Bricola, Il contratto di appalto. Il contratto di somministrazione, in Giur. sist. civ. e comm., fondata da W. Bigiavi, Torino, 1972; Mascarello, Il contratto di appalto, Milano, 2002; Moscarini, L'appalto, Tr. Res., XI, Torino, 1984; Musolino, Appalto pubblico e privato, a cura di Cendon, I, Torino, 2001; Pedrazzi, Responsabilità decennale del costruttore venditore, gravi difetti dell'immobile e termine di decadenza, in Danno e resp. 1998; Ponzanelli, Le clausole di esonero dalla responsabilità civile, Milano, 1984; Rubino, Appalto privato, in Nss. D.I., I, 1, Torino, 1957; Savanna, La responsabilità dell'appaltatore, Torino, 2004; Ugas, Appalto e intuitus personae, in Codice dell'appalto privato, a cura di Luminoso, Milano, 2010

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario