Codice Civile art. 1668 - Contenuto della garanzia per difetti dell'opera.Contenuto della garanzia per difetti dell'opera. [I]. Il committente può chiedere che le difformità o i vizi siano eliminati a spese dell'appaltatore, oppure che il prezzo sia proporzionalmente diminuito, salvo il risarcimento del danno nel caso di colpa dell'appaltatore [1223]. [II]. Se però le difformità o i vizi dell'opera sono tali da renderla del tutto inadatta alla sua destinazione, il committente può chiedere la risoluzione del contratto [2226 3; 181 trans.]. InquadramentoNel caso di appalto il legislatore consente che il committente, oltre che la risoluzione del contratto e la riduzione del prezzo, possa agire per l'eliminazione dei vizi: questo, che è espressione del più generale principio di conservazione del contratto, si spiega in quanto la natura dell'opera può giustificare che essa non sia totalmente rifiutata e nemmeno accettata nello stato in cui si trova (ad esempio un immobile: per il committente potrebbe essere inutilizzabile se non conforme alle regole dell'arte ma egli potrebbe non voler attendere tempi lunghi per farlo edificare da altri). In tema di appalto, l'art. 1668, nell'enunciare il contenuto della garanzia prevista dall'art. 1667 c.c., attribuisce al committente, oltre all'azione per l'eliminazione dei vizi dell'opera a spese dell'appaltatore o di riduzione del prezzo, anche quella di risoluzione del contratto, salvo il risarcimento del danno in caso di colpa dell'appaltatore; sicché, trattandosi di azioni comunque riferibili alla responsabilità connessa alla garanzia per vizi o difformità dell'opera e destinate ad integrarne il contenuto, i termini di prescrizione e di decadenza di cui al citato art. 1667 si applicano anche all'azione di risoluzione del contratto ex art. 1668, comma 2, poiché il legislatore ha inteso contemperare l'esigenza della tutela del committente a conseguire un'opera immune da difformità e vizi con l'interesse dell'appaltatore ad un accertamento sollecito delle eventuali contestazioni in ordine a un suo inadempimento nell'esecuzione della prestazione (Cass. n. 3199/2016; Cass. n. 815/2016). Natura della azioneLa tutela apprestata al committente si inquadra nell'ambito della normale responsabilità contrattuale per inadempimento e pertanto, qualora l'appaltatore non provveda direttamente alla eliminazione dei vizi e dei difetti dell'opera, il committente può sempre chiedere il risarcimento del danno, nella misura corrispondente alla spesa necessaria alla eliminazione dei vizi, senza alcuna necessità del previo esperimento dell'azione di condanna alla esecuzione specifica (Cass. n. 9033/2006). È innegabile che i rimedi prefigurati all'art. 1668, comma 1, hanno natura, valenza di strumenti di riparazione (Cass. n. 4839/1988, secondo cui l'azione di riduzione del prezzo dell'appalto, prevista dall'art. 1668, comma 1, pur avendo natura diversa da quella di risarcimento dei danni prevista dalla medesima norma, è anch'essa un rimedio che tende a riparare le conseguenze di un inadempimento contrattuale; pertanto, la somma liquidata a tale titolo non è soggetta al principio nominalistico ed è perciò rivalutabile in relazione al diminuito potere di acquisto della moneta). Del resto, per la Corte di cassazione, qualora l'inadempimento dell'appaltatore si concretizzi in vizi o difformità dell'opera, i rimedi accordati al committente sono quelli previsti dalla norma speciale dell'art. 1668, (prevalente sulle regole generali dell'art. 1453), ai sensi del quale, se il committente medesimo opti per la eliminazione di detti vizi a cura e spese dell'appaltatore, anziché per la riduzione del prezzo, l'azione risarcitoria resta utilizzabile solo in via integrativa, per il pregiudizio che non sia eliminabile attraverso tale nuovo intervento dell'appaltatore (Cass. n. 2073/1988). In questi termini pur i rimedi speciali di cui all'art. 1668, devono soggiacere alle regole cardini in tema di risarcimento del danno espresse dagli insegnamenti di legittimità. Ovvero dall'insegnamento a tenore del quale il risarcimento del danno per inadempienza contrattuale deve ristabilire l'equilibrio economico turbato, mettendo il creditore nella stessa situazione economica nella quale si sarebbe trovato se il fatto illecito (inadempienza) non si fosse verificato, e, quindi, la somma liquidata a titolo di risarcimento deve essere equivalente all'effettivo valore dell'utilità perduta (Cass. n. 2458/1980). Ovvero dall'insegnamento a tenore del quale in tema di risarcimento del danno, la compensazione del pregiudizio arrecato e la restaurazione della situazione patrimoniale del soggetto leso non possono risolversi in un vantaggio, dovendo la determinazione delle conseguenze patrimoniali negative limitarsi alla perdita subita ed al mancato guadagno (Cass. n. 12578/1995, ove, sulla scorta dell'affermato principio, si puntualizza che, nel caso in cui il committente, in seguito all'inadempimento del contratto d'appalto, abbia fatto eseguire da altri la prestazione non esattamente adempiuta dall'appaltatore, con il compimento di un'opera di maggior pregio, in virtù dell'impiego di materiali più costosi di quelli previsti nell'originario contratto d'appalto, il risarcimento del danno per l'inadempimento non s'estende a compensare il costo dei materiali più onerosi di quelli pattuiti). Ovvero dall'insegnamento a tenore del quale in tema di appalto il risarcimento del danno in caso di vizi dell'opera appaltata, rimedio alternativo ed autonomo rispetto alle tutele (riduzione del prezzo e risoluzione) approntate a favore del committente dall'art. 1668, e normalmente consistente nel ristoro delle spese sopportate dall'appaltante per provvedere, a cura di terzi, ai lavori ripristinatoli, deve essere raccordato con la particolare natura dell'opus commissionato; ne consegue che, se l'oggetto dell'appalto sia costituito dalla realizzazione di una res, gli interventi emendativi si rapportano all'opera come sarebbe dovuta risultare, ove realizzata a regola d'arte; mentre, se oggetto dell'appalto sia l'esecuzione di un'attività sul bene del committente, alla luce dei medesimi criteri di proporzionalità tra oggetto dell'appalto e danno, il risarcimento non può concretarsi in un radicale intervento di ripristino della cosa (come avvenuto nella specie, per la messa a punto dei motori di un natante), facendo altrimenti conseguire al danneggiato una res qualitativamente migliore rispetto a quella anteriore, nella quale pure l'originario oggetto dell'appalto viene ricompreso (Cass. n. 19103/2012; Cass. n. 4161/2015). In tema di appalto, l'impegno dell'appaltatore ad eliminare i vizi della cosa o dell'opera costituisce, alla stregua dei principi generali non dipendenti dalla natura del singolo contratto, fonte di un'autonoma obbligazione di facere, la quale si affianca all'originaria obbligazione di garanzia, senza estinguerla, a meno di uno specifico accordo novativo; tale obbligazione, pertanto, è soggetta non già ai termini di prescrizione e decadenza stabiliti per quella di garanzia, ma all'ordinario termine di prescrizione decennale fissato per l'inadempimento contrattuale (Cass. n. 62/2018). Quanto agli aspetti risarcitori, la Cassazione ha affermato che la garanzia per vizi nel contratto di appalto, a norma degli artt. 1667 e 1668 c.c., comporta il diritto del committente ad ottenere l'integrale risarcimento del danno in modo tale da garantire allo stesso l'eadem res debita ovvero l'effettiva corrispondenza dell'opera alla struttura e alla destinazione concordate nel contratto, sicché sono a carico dell'appaltatore tutte le conseguenze dell'inesatto adempimento. Ne consegue che, nel caso in cui le spese sostenute dal committente per il suo intervento riparatorio non abbiano consentito la eliminazione permanente dei vizi ed il superamento definitivo del pregiudizio lamentato, l'appaltatore è tenuto a sopportare l'intero peso economico in modo da garantire il risultato preventivamente concordato con l'esatta esecuzione del contratto di appalto e non solo quello derivante dalle spese per far fronte temporaneamente ai vizi insorti (Cass. n. 31975/2023). Presupposti per l'operatività della normaLa garanzia spettante in favore del committente ai sensi dell'art. 1668, contempla, alternativamente, l'azione di esatto adempimento, mediante l'eliminazione delle difformità e dei vizi dell'opera a spese dell'appaltatore, la riduzione del prezzo (comma 1), ovvero la risoluzione del contratto (comma 2). Quest'ultima azione, a differenza delle altre due che presuppongono unicamente l'inesatto adempimento, si basa su di una sola condizione ulteriore, costituita dall'essere le difformità o i vizi tali da rendere l'opera del tutto inadatta alla sua destinazione. Tale condizione, a sua volta, non richiede affatto né che l'appaltatore sia stato previamente posto in condizione di eliminare i difetti, né che l'eventuale tentativo sia stato esperito senza esito, di guisa che è del tutto irrilevante, ai fini dell'accoglimento dell'azione di risoluzione, che l'opera sia stata smantellata dal committente senza consentire all'appaltatore di emendarne i vizi o le difformità. Infine, per la dimostrazione dei vizi redibitori il legislatore non chiede una prova legale consistente in un esame tecnico dell'opera ancora in essere, ben potendone essere accertata l'inidoneità alla destinazione sua propria attraverso la prova storica (Cass. n. 15093/2013). Inoltre, in tema di appalto, quando sia richiesta l'eliminazione dei vizi per le opere già eseguite, ma non ancora ultimate, è esclusa l'operatività della speciale garanzia ex art. 1668, la quale presuppone il totale compimento dell'opera, mentre può essere fatta valere la comune responsabilità contrattuale ex artt. 1453 e 1455 c.c., non preclusa dalle disposizioni di cui agli artt. 1667 e 1668, in quali integrano, senza negarli, i normali rimedi in materia di inadempimento contrattuale (Cass. n. 1186/2015). Pertanto, in presenza di vizi costruttivi che, senza pregiudicare in assoluto la normale destinazione dell'opera, ne limitano in modo notevole l'ordinario godimento, il committente può agire ai sensi dell'art. 1668, contro l'appaltatore anche, soltanto con l'azione di risarcimento, senza, cioè, chiedere anche la risoluzione del contratto (Cass. n. 10772/1995; Cass. n. 909/1995; Cass. n. 19825/2014). In questa ipotesi, qualora il committente, rilevata l'esistenza di vizi dell'opera, non ne pretenda l'eliminazione diretta da parte dell'esecutore del lavoro, chiedendo, invece, il risarcimento del danno per l'inesatto adempimento, il credito dell'appaltatore per il corrispettivo permane invariato (Cass. n. 6009/2012). Peraltro, in tema di appalto, l'art. 1668, comma 1 c.c. si interpreta nel senso che l'appaltatore ha l'obbligo di eseguire gli interventi di correzione e di riparazione dell'opera senza diritto ad alcun ulteriore compenso — salva la possibilità, per il committente, in caso di rifiuto del primo, di avvalersi del procedimento per l'esecuzione forzata degli obblighi di fare — e non anche che i vizi debbono necessariamente essere eliminati da un terzo, ponendosi a carico dell'appaltatore il solo rimborso delle spese (Cass. n. 19482/2014). Inoltre, la circostanza che il venditore sia anche il costruttore del bene compravenduto, non vale ad attribuirgli le veste di appaltatore nei confronti dell'acquirente e a quest'ultimo la qualità di committente nei confronti del primo. L'acquirente non può pertanto esercitare l'azione per ottenere l'adempimento del contratto d'appalto e l'eliminazione dei difetti dell'opera a norma degli artt. 1667 e 1668 c.c., spettando tale azione esclusivamente al committente del contratto d'appalto di natura contrattuale, diversamente di quella prevista dall'art. 1669 c.c., di natura extracontrattuale operante non solo a carico dell'appaltatore nei confronti del committente, ma anche a carico del costruttore nei confronti dell'acquirente (Cass. n. 26574/2017; Cass. n. 11540/1992). Da ultimo si deve evidenziare che ai fini della risoluzione del contratto di appalto per i vizi dell'opera si richiede un inadempimento più grave di quello richiesto per la risoluzione della compravendita per i vizi della cosa, atteso che, mentre per l'art. 1668, comma 2, la risoluzione può essere dichiarata soltanto se i vizi dell'opera sono tali da renderla del tutto inidonea alla sua destinazione, l'art. 1490 stabilisce che la risoluzione va pronunciata per i vizi che diminuiscano in modo apprezzabile il valore della cosa, in aderenza alla norma generale di cui all'art. 1455, secondo cui l'inadempimento non deve essere di scarsa importanza, avuto riguardo all'interesse del creditore. Pertanto la possibilità di chiedere la risoluzione del contratto di appalto è ammessa nella sola ipotesi in cui l'opera, considerata nella sua unicità e complessità, sia assolutamente inadatta alla destinazione sua propria in quanto affetta da vizi che incidono in misura notevole — sulla struttura e funzionalità della medesima sì da impedire che essa fornisca la sua normale utilità, mentre se i vizi e le difformità sono facilmente e sicuramente eliminabili, il committente può solo richiedere, a sua scelta, uno dei provvedimenti previsti dal primo comma dell'art. 1668 c.c., salvo il risarcimento del danno nel caso di colpa dell'appaltatore. A tal fine, la valutazione delle difformità o dei vizi deve avvenire in base a criteri obiettivi, ossia considerando la destinazione che l'opera riceverebbe dalla generalità delle persone, mentre deve essere compiuta con criteri subiettivi quando la possibilità di un particolare impiego o di un determinato rendimento siano dedotti in contratto. (Cass. n. 5250/2004). In tema di contratto d'appalto, le disposizioni specifiche previste dagli artt. 1667 e 1668 c.c., applicabili nel caso di opera completa ma affetta da vizi o difformità, integrano e non escludono i principi generali in tema di inadempimento contrattuale, applicabili, questi ultimi, quando non ricorrono i presupposti delle norme speciali. Rimangono perciò applicabili, i principi riguardanti la responsabilità dell'appaltatore secondo gli artt. 1453 e 1455 c.c. nel caso in cui l'opera non sia stata eseguita o non sia stata completata o l'appaltatore abbia realizzato l'opera con ritardo o, pur avendo eseguito l'opera, si rifiuti di consegnarla; sicché, in caso di ritardo nel completamento dell'opera, la domanda di pagamento della relativa penale non è assoggettata ai termini prescrizionali previsti per l'azione per vizi (Cass. n. 9198/2018). In caso di opera incompleta, costituisce orientamento consolidato quello secondo cui, nell'ipotesi in cui l'appaltatore non abbia portato a termine l'esecuzione dell'opera commissionata, restando inadempiente all'obbligazione assunta con il contratto, la disciplina applicabile nei suoi confronti è senz'altro quella generale in materia di inadempimento contrattuale, dettata dagli artt. 1453 e 1455 c.c., laddove la speciale garanzia prevista dagli artt. 1667 e 1668 c.c. trova applicazione nella diversa ipotesi in cui l'opera sia stata portata a termine, ma presenti vizi, difformità o difetti (Cass. n. 8103/2006; Cass. n. 13983/2011; Cass. n. 1186/2015). Questo indirizzo è stato poi, nel corso degli anni, tralaticiamente esteso anche all'ipotesi di rovina e difetti di cose immobili disciplinata dall'art. 1669 c.c. (Cass. n. 10255/1998; Cass. n. 9849/2003; Cass. n. 9333/2004). Alla luce di tale ampliamento, il principio che si legge scolpito nelle massime è il seguente: le disposizioni speciali in tema di inadempimento del contratto di appalto (artt. 1667,1668 e 1669 c.c.) integrano, ma non escludono, l'applicazione dei principi generali in materia di inadempimento contrattuale che sono applicabili quando non ricorrano i presupposti delle norme speciali, nel senso che la comune responsabilità dell'appaltatore ex artt. 1453 e 1455 c.c. sorge allorquando egli non esegue interamente l'opera o, se l'ha eseguita, si rifiuta di consegnarla o vi procede con ritardo rispetto al termine di esecuzione pattuito, mentre la differente responsabilità dell'appaltatore, inerente alla garanzia per i vizi o difformità dell'opera, prevista dagli artt. 1667 e 1668 c.c., ricorre quando il suddetto ha violato le prescrizioni pattuite per l'esecuzione dell'opera o le regole imposte dalla tecnica. Pertanto, nel caso di omesso completamento dell'opera, anche se questa per la parte eseguita risulti difettosa o difforme, non è consentito, al fine di accertare la responsabilità dell'appaltatore per inesatto adempimento, far ricorso alla disciplina della suindicata garanzia che richiede necessariamente il totale compimento dell'opera (Cass. n. 28233/2017). In definitiva, si è formato il diffuso convincimento secondo cui, in tema di inadempimento del contratto di appalto, le disposizioni speciali di cui agli artt. 1667, 1668 e 1669 c.c., indifferentemente intese, integrino — senza escluderne l'applicazione — i principi generali in materia di inadempimento delle obbligazioni (Cass. n. 4446/2012). Anche di recente è stato ribadito che l'ambito della responsabilità, posta dall'art. 1669 c.c. a carico dell'appaltatore per rovina o difetti della costruzione, in mancanza di limitazioni legali, deve ritenersi coincidere con quello generale della responsabilità extracontrattuale (Cass. n. 4319/2016) o, comunque, della responsabilità non contrattuale (trattandosi di una norma non di favore, diretta a limitare la responsabilità del costruttore, bensì finalizzata ad assicurare una più efficace tutela del committente, dei suoi aventi causa e dei terzi in generale), con carattere di specialità rispetto al disposto dell'art. 2043 c.c. (Cass. S.U., n. 2284/2012) e sancita per ragioni e finalità di interesse generale (Cass. n. 7634/2006). In proposito, è opportuno evidenziare che la responsabilità per fatto lecito dannoso non ha carattere eccezionale, poiché l'espressione «ordinamento giuridico» che accompagna, nell'art. 1173 c.c., il riferimento alla terza specie di fonti delle obbligazioni, ossia quelle che derivano «da ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell'ordinamento giuridico», non si risolve in una mera indicazione riassuntiva di un elenco chiuso costituito da tutte le altre fonti nominate (diverse dal contratto o dal fatto illecito), ma consente un'apertura all'analogia, ovvero alla possibilità che taluni accadimenti, ulteriori rispetto a quelli previsti dalla legge, siano ritenuti idonei alla produzione di obbligazioni alla luce dei principi e dei criteri desumibili dall'ordinamento considerato nella sua interezza, complessità ed evoluzione (Cass. n. 25292/2015). È in questo contesto normativo che, a ben vedere, sono situabili le obbligazioni derivanti, nell'ambito di un rapporto di appalto, dalla rovina di cose immobili. La disciplina generale dettata in tema di risoluzione del contratto per inadempimento è integrata solo dalle disposizioni contenute negli artt. 1667 e 1668 c.c. sul piano della comune responsabilità contrattuale (Cass. n. 1186/2015). Ma, allora, da tale inquadramento deriva, come necessario corollario logico, che le norme generali dettate in tema di risoluzione contrattuale per inadempimento dagli artt. 1453 c.c. e ss. non sono tout court estensibili alla fattispecie disciplinata dall'art. 1669 c.c. Ulteriore conseguenza del predetto inquadramento giuridico è rappresentata dal fatto che quest'ultima disposizione è applicabile anche nel caso in cui l'opera commissionata non sia stata portata a termine. Aspetti processualiLa Corte di cassazione ha più volte affermato che nel contratto di appalto il committente, che lamenti difformità o difetti dell'opera, può richiedere, a norma dell'art. 1668 c.c., comma 1, che le difformità o i difetti siano eliminati a spese dell'appaltatore mediante condanna da eseguirsi nelle forme previste dall'esecuzione forzata degli obblighi di fare (art. 2931 c.c.), oppure che il corrispettivo sia ridotto e, in aggiunta o in alternativa, che gli venga risarcito il danno derivante dalle difformità o dai vizi (Cass. n. 2346/1995; Cass. n. 289/1999; Cass. n. 6181/2011). La medesima giurisprudenza ha precisato che, da un lato, si pone la domanda risarcitoria, che partecipa della natura dell'azione di eliminazione dei vizi, proposta quando quest'ultima non sia utilizzabile, dall'altro quella diretta all'attribuzione del risarcimento per equivalente rispetto alla mancata eliminazione dei vizi che il committente possa proporre utilmente, ma resti senza esito (domanda risarcitoria, l'ultima, svolta spesso in subordine rispetto alla mancata esecuzione specifica della condanna all'eliminazione dei vizi): la prima — come esplicitato dalla norma — postula la colpa dell'appaltatore ed è utilizzabile per il ristoro del pregiudizio che non sia eliminabile mediante un nuovo intervento dell'appaltatore stesso (come nel caso di danni a persone o a cose, o di spese di rifacimento che il committente abbia provveduto a fare eseguire direttamente); la seconda, che prescinde dalla colpa dell'appaltatore tenuto comunque alla garanzia ex art. 1667 c.c., tende a conseguire un minus rispetto alla reintegrazione in forma specifica che l'art. 1668 c.c. accorda in prima battuta, della quale rappresenta il sostitutivo legale, mediante la prestazione della eadem res debita (e all'uopo la giurisprudenza non ne impone nemmeno la esplicita formulazione, sicché tale domanda risarcitoria deve ritenersi ricompresa, anche se non esplicitata, nella domanda di eliminazione delle difformità o dei vizi: Cass. n. 2346/1995; Cass. n. 289/1999; Cass. n. 6181/2011). Non può al riguardo non richiamarsi l'indirizzo giurisprudenziale che riporta all'azione di riduzione del corrispettivo (non già corrisposto) la domanda del committente che volesse riservare a sé o a propri incaricati l'eliminazione dei vizi, richiedendosi comunque, in tale visione, che la riduzione del corrispettivo e il risarcimento del danno ulteriore causato dall'opera non siano insieme di entità maggiore del corrispettivo pattuito, salvo il diritto alla eventuale rivalutazione monetaria (Cass. n. 1334/1996; Cass. n. 4839/1988). Ciò — prescindendo da ogni considerazione circa detto limite su cui non è necessario soffermarsi — evidenzia, per quanto qui rileva, lo stretto nesso — ai fini del ristabilimento dell'equilibrio economico del rapporto — tra pagamento del corrispettivo dell'appalto che ha condotto all'opera viziata e quantum risarcitorio, sia ai fini dell'individuazione dell'azione esperibile (a seconda se il corrispettivo sia stato o meno corrisposto) che della monetizzazione dei rispettivi crediti e debiti. Con riguardo a tale ultimo aspetto la giurisprudenza di legittimità non ha mancato di sottolineare anche da altro punto di vista l'interrelazione tra il pagamento del corrispettivo all'appaltatore la cui opera abbia evidenziato vizi e il risarcimento dei danni per l'eliminazione di essi: in particolare nel caso, più comune, in cui il committente abbia sospeso la prestazione di pagamento dopo aver denunciato i vizi, questa corte (Cass. n. 644/1999; Cass. n. 5496/2002; Cass. n. 6009/2012) ha sottolineato che qualora il committente, rilevata l'esistenza di vizi nell'opera non ne pretenda l'eliminazione diretta da parte dell'esecutore del lavoro, chiedendo, invece, il risarcimento del danno per l'inesatto adempimento, il credito dell'appaltatore per il corrispettivo permane invariato. Pertanto, nel contratto di appalto il committente che lamenti difformità o difetti dell'opera può richiedere, a norma dell'art. 1668, comma 1 c.c., che le difformità o i difetti siano eliminati a spese dell'appaltatore mediante condanna da eseguirsi nelle forme previste dall'art. 2931 c.c. oppure che il prezzo sia ridotto e, in aggiunta o in alternativa, che gli venga risarcito il danno derivante dalle difformità o dai vizi. Infatti la prima, che postula la colpa dell'appaltatore, è utilizzabile per il ristoro del pregiudizio che non sia eliminabile mediante un nuovo intervento dell'appaltatore, come nel caso di danni a persone o cose o di spese di rifacimento che il committente abbia provveduto a fare eseguire direttamente; la seconda, che prescinde dalla colpa dell'appaltatore comunque tenuto alla garanzia, tende a conseguire un minus rispetto alla reintegrazione in forma specifica, della quale rappresenta il sostitutivo legale mediante la prestazione della eadem res debita, sicché deve ritenersi ricompresa, anche se non esplicitata, nella domanda di eliminazione delle difformità o dei vizi (Cass. n. 289/1999; Cass. n. 2346/1995). La S.C. ha precisato che in tema di inadempimento del contratto d'appalto, laddove l'opera risulti ultimata, il committente, convenuto per il pagamento, può opporre all'appaltatore le difformità ed i vizi dell'opera, in virtù del principio inadimpleti non est adimplendum al quale si ricollega la più specifica disposizione dettata dal secondo periodo dell'ultimo comma dell'art. 1667 c.c., analoga a quella di portata generale di cui all'art. 1460 c.c. in materia di contratti a prestazioni corrispettive, anche quando la domanda di garanzia sarebbe prescritta ed, indipendentemente, dalla contestuale proposizione, in via riconvenzionale, di detta domanda, che può anche mancare, senza pregiudizio alcuno per la proponibilità dell'eccezione in esame (Cass. n. 7041/2023). 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