Codice Civile art. 1710 - Diligenza del mandatario.Diligenza del mandatario. [I]. Il mandatario è tenuto a eseguire il mandato [1856 1, 2030, 2392 1, 2407 1] con la diligenza del buon padre di famiglia [1176 1]; ma se il mandato è gratuito, la responsabilità per colpa è valutata con minor rigore [1768 2]. [II]. Il mandatario è tenuto a rendere note al mandante le circostanze sopravvenute che possono determinare la revoca [1723 ss.] o la modificazione del mandato. InquadramentoIl comma 1 è applicazione del principio che stabilisce che il debitore deve adempiere con la diligenza ordinaria. Tuttavia, se il mandatario non riceve un compenso per la propria opera, è opportuno far gravare su di lui una minor responsabilità. Il comma 2 è espressione di un dovere di collaborazione che incombe sul mandatario e che gli impone di comunicare al mandante le circostanze che possono incidere sullo svolgimento dell'incarico, in modo che questi possa assumere le determinazioni che ritiene necessarie. Diligenza del mandatarioIn tema di mandato, grava sul mandatario l'obbligo di compiere gli atti giuridici previsti dal contratto con la diligenza del buon padre di famiglia (art. 1710 c.c.), che si identifica con quella diligenza che è lecito attendersi da qualunque soggetto di media avvedutezza e accortezza, consapevole dei propri impegni e delle relative responsabilità. Pertanto, è sulla scorta di tale criterio, di generale applicazione in tema di adempimento delle obbligazioni (art. 1176 c.c.), che deve valutarsi la condotta del mandatario, onde stabilire se egli sia venuto meno alle sue obbligazioni nei confronti del mandante, sicché, se a giustificazione dell'eventuale inadempimento venga addotto il fatto del terzo, per liberarlo da responsabilità è necessario che tale fatto sia del tutto estraneo ad ogni suo obbligo di ordinaria diligenza, nel senso che egli non abbia omesso di sperimentare quei rimedi che, nel caso concreto, e nei limiti segnati dal criterio della diligenza del buon padre di famiglia, avrebbero dovuto apparirgli necessari o utili per rimuovere l'ostacolo all'esecuzione dell'obbligo assunto ex contractu (Cass. n. 11419/2009, nella specie, relativa ad un mandato inerente un contratto di fornitura di informazioni e prestazioni a pagamento per il servizio Videotel, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata per insufficiente motivazione con particolare riferimento alla parte in cui aveva escluso la sussistenza di un obbligo a carico della S.I.P. di comunicare alla ricorrente i nominativi dei titolari delle utenze telefoniche da cui era avvenuto il collegamento al servizio Videotel per il quale la stessa S.I.P. aveva ritenuto sussistenti ragioni tali da giustificare il mancato pagamento del servizio, senza che, peraltro, a giustificazione dell'omissione di tale obbligo, potesse farsi riferimento al necessario rispetto di un assunto dovere di riservatezza, che, in tale ambito, non trovava, invero, fondamento in alcuna fonte normativa o regolamentare). Pertanto, in tema di contratto di mandato, nel caso di obbligazioni inerenti l'esercizio di un'attività professionale, la diligenza del mandatario deve essere valutata ai sensi dell'art. 1176, comma 2 c.c. e non alla stregua di un generico riferimento ad una «diligenza qualificata» che non trovi fondamento nella natura dell'attività esercitata (Cass. n. 14664/2015, nella specie la S.C., in ordine ad un mandato avente ad oggetto l'acquisto di una vettura usata, ha cassato la sentenza impugnata che aveva ritenuto l'inadempimento del mandatario, non concessionario di automobili, per l'asserito difetto di una generica «diligenza qualificata», senza neppure considerare che l'acquisto era avvenuto presso una concessionaria di veicoli). La responsabilità della banca nei confronti del cliente, per aver dato esecuzione a un ordine di bonifico perfettamente falsificato, pervenuto alla banca tramite canali inusuali, non può essere esclusa con riguardo al riscontro della conformità della firma allo specimen, atteso che, in presenza di circostanze del caso concreto, che suggeriscano, secondo le regole di diligenza cui è tenuto il mandatario, ulteriori controlli, l'omissione di questi integra colpa ed è quindi ostativa alla configurabilità di una situazione di apparenza giustificativa di un esonero da detta responsabilità (Cass. n. 23580/2017; Cass. n. 1764/1988, con riferimento all'esecuzione di un ordine di bonifico a mezzo telex; Cass. n. 21613/2013, con riguardo a un ordine di emissione e consegna di assegni circolari in favore di soggetto delegato dal titolare del conto corrente, impartito attraverso una telefonata da parte della società titolare del conto, ma proveniente da persona non individuata). In tema di condominio, si è osservato che l'art. 63 disp. att. c.c. non prevede un obbligo, ma solo una facoltà di agire in via monitoria contro i condomini morosi («può ottenere decreto di ingiunzione...») e, pertanto, non merita censura la decisione impugnata laddove ha escluso la violazione dell'obbligo di diligenza da parte dell'amministratore per essersi comunque attivato nella raccolta dei fondi, avendo comunque messo in mora gli inadempienti (Cass. n. 24920/2017 ove si è rilevato che l'indagine circa l'osservanza o meno da parte del mandatario degli obblighi di diligenza del buon padre di famiglia che lo stesso è tenuto ad osservare exartt. 1708 e 1710 c.c. — anche in relazione agli atti preparatori, strumentali e successivi all'esecuzione del mandato — è affidata al giudice del merito, con riferimento al caso concreto ed alla stregua degli elementi forniti dalle parti, il cui risultato, fondato sulla valutazione dei fatti e delle prove, è insindacabile in sede di legittimità). Infatti, l'amministratore ha, nei riguardi dei partecipanti al condominio, una rappresentanza volontaria, in mancanza di un ente giuridico con una rappresentanza organica, talché i poteri di lui sono quelli di un comune mandatario, conferitigli, come stabilito dall'art. 1131 c.c., sia dal regolamento di condominio sia dalla assemblea condominiale (Cass. n. 8339/2014; Cass. n. 14589/2011). Nell'esercizio delle funzioni assume le veste del mandatario e pertanto è gravato dall'obbligo di eseguire il mandato conferitogli con la diligenza del buon padre di famiglia a norma dell'art. 1710 c.c. Pertanto, nella ipotesi in cui l'amministratore abbia più volte sollecitato, anche per iscritto, i condomini morosi al versamento delle quote condominiali, deve escludersi ogni responsabilità a suo carico, avendo egli la facoltà e non l'obbligo di ricorrere all'emissione di un decreto ingiuntivo nei riguardi dei condomini morosi (Cass. n. 24920/2017). Tale conclusione appare corretta perché l'art. 63 disp. att. c.c. non prevede un obbligo, ma solo una facoltà di agire in via monitoria contro i condomini morosi ("può ottenere decreto di ingiunzione...») e pertanto non può essere contestata alcuna violazione dell'obbligo di diligenza da parte dell'amministratore che comunque si sia attivato nella raccolta dei fondi, avendo comunque messo in mora gli inadempienti (e l'indagine circa l'osservanza o meno da parte del mandatario degli obblighi di diligenza del buon padre di famiglia che lo stesso è tenuto ad osservare exartt. 1708 e 1710 c.c. — anche in relazione agli atti preparatori, strumentali e successivi all'esecuzione del mandato — è affidata al giudice del merito, il cui risultato, fondato sulla valutazione dei fatti e delle prove, è insindacabile in sede di legittimità (Cass. n. 13513/2002). Il giudice di legittimità ha ribadito quanto già affermato dalla costante giurisprudenza antel. n. 220/2012, ovvero che il rapporto tra amministratore e condominio va inquadrato nell'ambito del mandato ed è disciplinato, per il caso di specie, dall'art. 1710 c.c. concernente le modalità di esecuzione dello stesso secondo la diligenza del buon padre di famiglia. Detto rapporto, inoltre, non cambia neppure se l'amministratore è stato designato dal Tribunale ai sensi dell'art. 1129, comma 1 c.c. (Cass. n. 21966/2017). È stato, inoltre, evidenziato che il rappresentante dell'ente gode dei poteri attribuitigli dalla legge (artt. 1130 e 1131 c.c.) tanto in forza della volontà assembleare, quanto del regolamento di condominio. Rispetto a quest'ultimo va osservato che, secondo la giurisprudenza, la sussistenza di una clausola regolamentare, che imponga all'amministratore di mettere in atto una formale richiesta di adempimento a chi non è in regola verso il condominio, non preclude il ricorso alla via monitoria per il recupero delle somme non versate. La mancanza di una diffida stragiudiziale, infatti, può determinare — al più — la violazione di una regola di condotta, che fa discendere in capo all'amministratore medesimo una responsabilità da inesatto adempimento (Cass. n. 9181/2013). Il rappresentante dell'ente, infatti, non è titolare di un potere generale di spesa che gli consenta di sopperire, con proprie risorse, alla mancanza di fondi nelle casse comuni, trattandosi di prerogativa riservata all'assemblea, sia in termini di approvazione dei bilanci, sia per quanto concerne la valutazione dell'opportunità delle anticipazioni effettuate dall'amministratore, salvo il caso di lavori urgenti previsti dagli artt. 1130 e 1135 c.c. (Cass. n. 14197/2011). Peraltro, non si può ignorare che le morosità in ambito condominiale non nascono all'improvviso ma si formano nel tempo, favorite spesso anche dall'inerzia degli amministratori i quali, invece di azionare tempestivamente il procedimento monitorio sopperiscono in alcuni casi, del tutto improvvidamente, con fondi propri. Da ultimo, anche se una delle attribuzioni fondamentali in capo all'amministratore è quella di « riscuotere i contributi ed erogare le spese occorrentiper la manutenzione ordinaria delle parti comuni dell'edificio e per l'esercizio dei servizi comuni» (art. 1130, comma 1, n. 2 c.c.) me consegue che per conseguire il fine voluto dal legislatore l'amministratore, che non abbia violato l'art. 1710 c.c., non è obbligato a richiedere decreto ingiuntivo di pagamento. Tale soluzione si fonda sul significato letterale dell'art. 63, comma 1 disp. att. c.c., che utilizza il verbo «può» e non «deve», lasciando all'amministratore la facoltà di ricorrere a tale strumento per recuperare i fondi per il condominio. Strumento che, spesso, non viene utilizzato poiché i costi del decreto ingiuntivo, anche con riferimento alle competenze spettanti al difensore del condominio, non sempre sono di poco conto e, proprio per questo, non affrontabili se le casse dell'Ente, sono incapienti. Nella giurisprudenza di merito si è rilevato che ai sensi dell'art. 1710 c.c., l'amministratore del condominio è tenuto a eseguire gli obblighi contrattualmente assunti con la diligenza del buon padre di famiglia, ovverosia quella che è lecito attendersi da qualunque soggetto di media avvedutezza e accortezza, ed è sulla scorta di tale criterio, di generale applicazione in tema di adempimento delle obbligazioni (art. 1176) che deve valutarsi la condotta del mandatario, onde stabilire se egli sia venuto meno alle sue obbligazioni nei confronti del mandante (Trib. Monza 18 agosto 2016, n. 2279). Deve essere accolta la domanda di un condominio volto ad ottenere la condanna dell'ex amministratore per condotte di mala gestio con riguardo all'inadempimento degli obblighi di rendiconto e di restituzione correlati alla cessazione dell'incarico. Nel caso di specie il Tribunale ha considerato indebita la percezione di emolumenti da parte dell'ex amministratore in mancanza di una delibera assembleare che stabilisca direttamente o per relationem al contratto un compenso straordinario a favore dell'amministratore per lavori specifici o per attività specifiche", percezione ingiustificata nonostante la "presunzione di onerosità del mandato ex art. 1709 c.c. (Trib. Milano, 1 gennaio 2023). Gli amministratori di un'associazione sono responsabili verso la stessa secondo le norme del mandato. Questi dunque, ai sensi dell'art. 1710 c.c., devono adempiere alle proprie obbligazioni spiegando la diligenza del bonus pater familias, quella cioè che è legittimo attendere da qualunque soggetto di media avvedutezza ed accortezza. Tale diligenza va valutata in relazione alla volontà del mandante e perciò, in relazione alle finalità previste dallo statuto, per il cui raggiungimento l'organo gestorio è stato istituito. Occorre altresì tenere conto che, trattandosi di obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale, la diligenza va valutata anche con riguardo alla natura dell'attività esercitata, come richiesto dall'art. 1176, comma 2 c.c. (Trib. Milano 28 marzo 2017, n. 3598). La violazione di detti canoni di diligenza è foriera di responsabilità in capo agli amministratori nei confronti dell'ente. Tale responsabilità ha natura contrattuale, giacché trova fondamento nello statuto dell'associazione, fonte dei doveri e dei poteri dell'organo gestorio. Il comportamento degli amministratori va pertanto valutato alla luce dei principi generali che regolano l'inadempimento contrattuale ed il risarcimento del danno. Ne discende che, quanto alla ripartizione dell'onere probatorio, spetta al creditore provare la fonte del proprio diritto, limitandosi ad allegare la circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto deve provare il fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento (Cass. S.U., n. 13533/2001). La l. n. 157/1995, art. 11, nel disciplinare la partecipazione di raggruppamenti temporanei d'imprese alle gare per l'aggiudicazione di appalti pubblici di servizi, prescrive espressamente la sottoscrizione congiunta dell'offerta da parte delle imprese raggruppate (comma secondo), imponendo alle stesse di conferire mandato con rappresentanza, speciale, gratuito ed irrevocabile ad una di esse, definita capogruppo (commi 4 e 5), ed attribuendo a quest'ultima la rappresentanza, anche processuale, delle imprese mandanti nei riguardi dell'Amministrazione per tutte le operazioni e gli atti di qualsiasi natura dipendenti dal contratto, anche dopo l'eventuale collaudo, fino all'estinzione del rapporto (comma 6). L'esame di tale disciplina rende evidente che il mandato all'impresa capogruppo non è conferito né a termine né a tempo indeterminato, ma in vista del compimento di un determinato affare, consistente nella partecipazione alla gara e, in caso di aggiudicazione, nella stipulazione e nell'esecuzione del contratto di appalto, fino alla naturale conclusione del relativo rapporto, potendosi protrarre anche oltre, nell'ipotesi in cui lo svolgimento del servizio dia luogo a controversie con l'Amministrazione committente. In tal senso depongono chiaramente la natura speciale dell'incarico, avente portata anche processuale, ed il suo collegamento con la presentazione di un'offerta congiunta, per effetto della quale le imprese riunite sì pongono, nei rapporti con la stazione appaltante ed ancor prima dell'aggiudicazione, come un gruppo unitario, rappresentato dalla capogruppo, assumendo una responsabilità solidale, come previsto dall'art. 11, comma 3, ma conservando la propria autonomia sotto il profilo gestionale, fiscale e previdenziale, come precisato dal comma settimo, secondo cui il rapporto di mandato non determina di per sé organizzazione o associazione tra le imprese. In quanto attribuito per un determinato affare, l'incarico conferito alla impresa capogruppo è destinato ad estinguersi, ai sensi dell'art. 1722 c.c., n. 1, con l'esaurimento dell'affare per il quale è stato conferito, ciò che si verifica, nella fase di scelta del contraente, nel caso in cui la procedura pervenga alla sua naturale conclusione, con l'aggiudicazione dell'appalto in favore di altro concorrente, oppure nel caso in cui essa s'interrompa definitivamente, con l'abbandono da parte della stazione appaltante, non potendosi automaticamente ricollegare il medesimo effetto al ritardo nell'espletamento della gara ed alla conseguente scadenza del termine di efficacia delle offerte. Tale scadenza, infatti, comporta soltanto l'attribuzione alle imprese concorrenti del diritto potestativo di svincolarsi dalle rispettive offerte, ma non incide sull'efficacia di queste ultime, la quale dipende esclusivamente dall'interesse dell'Amministrazione alla prosecuzione della gara; la previsione del termine risponde essenzialmente all'esigenza di preservare la remuneratività delle offerte, preventivata al tempo della presentazione delle stesse, fino al momento dell'effettiva aggiudicazione, e quindi di consentire alle imprese di svincolarsi dall'efficacia negoziale delle offerte, allorquando, per il tempo trascorso, esse non possano più considerarsi remunerative, alla stregua delle mutate condizioni di mercato; l'intervenuta scadenza del termine non esclude pertanto il mantenimento dell'offerta, qualora l'impresa che l'ha presentata la consideri ancora remunerativa, nè impedisce all'Amministrazione di procedere alla valutazione della stessa, ove intenda condurre ugualmente a termine la gara (Cons. St. n. 4884/2013; Cons. St. n. 1169/2013; Cons. St. n. 9/2009). In tale contesto, la natura congiunta dell'offerta presentata dalle imprese raggruppate, presupponendo una determinazione concordata delle relative condizioni, e quindi una valutazione integrata della loro remuneratività, alla stregua delle rispettive caratteristiche produttive e gestionali, comporta che la decisione di mantenere o meno l'offerta, a seguito della scadenza del termine previsto dal bando di gara, non possa essere presa unilateralmente da una di esse, ma debba essere anch'essa concordata tra tutte le partecipanti al raggruppamento. Nessun rilievo può assumere, a tal fine, l'affidamento riposto dalle singole imprese in ordine all'acquisita facoltà di svincolarsi dall'efficacia negoziale dell'offerta, essendo ciascuna di esse tenuta ad agire, nel perseguimento dei propri interessi, in modo da preservare quelli delle altre, in conformità dei doveri di correttezza e buona fede su di essa gravanti nell'adempimento dell'accordo raggiunto in ordine alla partecipazione congiunta alla gara. Con particolare riguardo all'impresa mandataria, poi, se è vero che il potere di rappresentanza conferitole ai fini della partecipazione alla gara le consente di comunicare direttamente con la stazione appaltante, e quindi di manifestarle la volontà di ritirare l'offerta, con effetti immediati nei confronti delle altre imprese riunite, è anche vero, però, che essa non può pretendere d'imporre in tal modo le proprie determinazioni a queste ultime, essendo tenuta, oltre che a rispettare gli accordi intercorsi con le stesse ai fini della partecipazione alla gara, ad informarle di ogni circostanza potenzialmente influente sull'esecuzione dell'incarico e ad attenersi alle istruzioni ricevute dalle mandanti, in adempimento dell'obbligo di diligenza previsto dall'art. 1710 c.c. Né è condivisibile l'obiezione secondo cui l'impresa capogruppo sarebbe libera di sottrarsi in qualsiasi momento all'adempimento degli obblighi connessi all'esecuzione dell'incarico attraverso l'esercizio della facoltà, riconosciutale dall'art. 1727 c.c., di rinunciare al mandato: indipendentemente dalla considerazione che, nei rapporti con il mandante, tale rinuncia non dispensa il mandatario dall'obbligo di risarcire i danni, a meno che non sia sorretta da una giusta causa, la ratio della l. n. 157/1995, art. 11, comma 5, consistente nell'assicurare la stabilità del raggruppamento d'imprese, a tutela della stazione appaltante, consente infatti di estendere anche all'ipotesi della rinunzia, non espressamente contemplata, la disciplina dettata per la revoca del mandato, che, escludendone l'efficacia nei confronti dell'amministrazione, anche nel caso in cui sussista una giusta causa, impone all'impresa capogruppo di continuare a rappresentare il raggruppamento, nonostante l'intervenuta rinunzia (Cass. n. 11940/2018). In tema di conto corrente bancario, ancorché all'istituto di credito non faccia capo un dovere generale di monitorare la regolarità delle operazioni ordinate dal cliente, nondimeno – in applicazione dei doveri di esecuzione del mandato secondo buona fede – ad esso è ascritto un obbligo di protezione che, ogni qualvolta l'operazione appaia ictu oculi anomala e non rispondente agli interessi del correntista, impone di rifiutarne l'esecuzione o, quantomeno, di informare il cliente (Cass. n. 30588/2023). Le obbligazioni accessorie del mandatario di dare comunicazioni od informazioni al mandante in ordine a dati eventi ex art. 1710, comma 2 c.c.; 1712, comma 1 c.c.; 1718, comma 3 c.c.; 1732, comma 3 c.c., suppongono l'esistenza di una più ampia obbligazione del mandatario di dare notizia al mandante di tutti i fatti rilevanti ai fini dello svolgimento del rapporto, come espressione dei generali doveri di diligenza ex art. 1710 e 1176 c.c., e di buona fede ex art. 1175 e 1375, c.c., cui il gestore deve sempre uniformarsi nell'esecuzione dell'incarico. Pertanto, se la banca è tenuta al preciso obbligo di informare prontamente il correntista dell'esecuzione degli ordini e di tutti gli atti esecutivi del mandato, la cui singola notizia possa ritenersi ragionevolmente di rilievo per il medesimo correntista, nell'assenza di circostanze capaci di attribuire carattere di univocità all'apparenza, possono sussistere fondati motivi di sospetto che obbligano la banca-mandataria ad informare immediatamente il correntista prima di dare corso all'operazione, per ricevere le istruzioni del caso (Trib. Bari 20 aprile 2011). Al rapporto che si instaura fra l'ente locale ed il servizio di tesoreria si applica la disciplina del mandato, che impone al mandatario di eseguire le istruzioni con la diligenza tipica che il rapporto richiede e che la stessa professionalità del mandatario impone, con la conseguenza che, in caso di indicazioni incongrue da parte del mandante, è obbligo del tesoriere rilevare e comunicare al mandante l'incongruenza o l'errore commesso (Cass., n. 7883/2024, nella specie, la S.C., accogliendo il ricorso, ha affermato la responsabilità del tesoriere il quale, nell'ambito di una procedura di pignoramento presso terzi, pur avendo ricevuto dal Comune, terzo pignorato, l'ordine di eseguire due distinti bonifici, l'uno in favore del creditore pignorante, per la somma pignorata, e l'altro nei confronti del debitore esecutato, per il residuo dovuto, non aveva rilevato l'incongruità dell'indicazione del medesimo codice "iban" per entrambi ed aveva così effettuato un unico bonifico dell'intero importo a favore del debitore esecutato, esponendo l'ente locale ad una ulteriore richiesta di pagamento da parte del creditore). BibliografiaBaldi, Venezia, Il contratto di agenzia. La concessione di vendita. Il franchising, Milano, 2015; Bavetta, Mandato (negozio giuridico) (dir. priv.), in Enc. dir., XXV, Milano, 1975; Bile, Il mandato, la commissione, la spedizione, Roma, 1961; Campagna, La posizione del mandatario nel mandato ad acquistare beni mobili, in Riv. dir. civ. 1974, I, 7 ss.; Ferri, Manuale di diritto commerciale, Torino, 1976; Formiggini, Commissione, in Enc. dir., VII, Milano, 1960; Minervini, Commissione, in Nss. Dig. it., III, Torino, 1967; Natoli, La rappresentanza, Milano, 1977; Pugliatti, Studi sulla rappresentanza, Milano, 1965; Romano, Vendita. Contratto estimatorio, Milano, 1961; Rotondi, Rotondi, L'agenzia nella giurisprudenza, Milano, 2004; Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1997; Saracini, Toffoletto, Il contratto di agenzia, artt. 1742-1753, Milano, 2014. |