Codice Civile art. 1919 - Assicurazione sulla vita propria o di un terzo.Assicurazione sulla vita propria o di un terzo. [I]. L'assicurazione può essere stipulata sulla vita propria o su quella di un terzo. [II]. L'assicurazione contratta per il caso di morte di un terzo non è valida se questi o il suo legale rappresentante non dà il consenso alla conclusione del contratto. Il consenso deve essere provato per iscritto [2725]. InquadramentoL'assicurazione sulla vita è il contratto con il quale l'assicuratore si obbliga, in corrispettivo di un premio unico o periodico, a pagare un capitale o una rendita al verificarsi di un evento attinente alla vita umana ovvero ad un termine fisso, nel quale ultimo caso l'obbligo di pagamento del premio cessa ove si verifichi premorienza (Donati, 569; Gasperoni, 2). L'assicurazione sulla vita presenta nella pratica una varietà di forme che possono essere ricondotte a tre modelli: a) assicurazione per il caso di morte; b) l'assicurazione per il caso vita; c) l'assicurazione mista. Nel caso in cui l'assicurazione venga stipulata per il caso di morte di un terzo, il secondo comma dell'art. 1919 dispone che la stessa non è valida se questi o il suo rappresentante legale non presta in forma scritta il consenso alla conclusione del contratto. La riconducibilità o meno dell'assicurazione sulla vita ad un concetto unitario di assicurazione, comprensivo anche di quella contro i danni, è discussa in dottrina (in arg. v. Rossetti, 2013, 637). L'esito positivo del problema risiede nella possibilità di rintracciare nell'assicurazione sulla vita quel carattere indennitario caratteristico dell'assicurazione contro i danni. La giurisprudenza ha escluso la funzione indennitaria dell'assicurazione sulla vita evidenziando che la stessa ha di regola finalità di risparmio e di capitalizzazione (Cass. III, n. 12353/2006) e, pertanto, ritiene non assimilabili l'assicurazione sulla vita e quella sui danni (Cass. III, n. 12353/2006). I giudici di legittimità hanno, altresì, ritenuto che nell'assicurazione sulla vita ove l'evento che concreta la realizzazione del rischio assicurato costituisca altresì la conseguenza del fatto illecito di un terzo, l'indennità assicurativa si cumula con il risarcimento, sottraendosi alla regola della "compensatio lucri cum damno", perché si è di fronte ad una forma di risparmio posta in essere dall'assicurato sopportando l'onere dei premi, e l'indennità, vera e propria contropartita di quei premi, svolge una funzione diversa da quella risarcitoria ed è corrisposta per un interesse che non è quello di beneficiare il danneggiante (Cass. III, n. 9380/2021). La S.C. ha, inoltre, di recente chiarito che nel contratto di assicurazione della vita la clausola che esclude la copertura per l'evento morte dovuto a determinate cause, preventivamente individuate, delimitando il rischio garantito, attiene all'oggetto del contratto, e non è una clausola limitativa della responsabilità, con la conseguenza che non deve essere specificamente approvata per iscritto ai sensi dell'art. 1341, e che non rientra nell'ambito della tutela del consumatore contro le clausole abusive, perché l'art. 34 cod. cons. esclude che la valutazione del carattere vessatorio della clausola possa essere riferita all'oggetto del contratto e all'adeguatezza del corrispettivo (Cass. III, n. 1261/2024). Il contratto di assicurazione sulla vita svolge una funzione di risparmio previdenziale, collegato ad un evento incerto attinente alla vita umana (Scalfi, 345). La polizza vita può, peraltro, atteggiarsi a prodotto finanziario, per adeguarsi a nuove esigenze di sicurezza assicurativa, purché venga salvaguardato l'essenziale contenuto del contratto come «operazione di risparmio in relazione all'aleatorietà della durata della vita umana». Recentemente si assiste alla sempre maggiore diffusione di formule (polizze «indicizzate», «rivalutabili», «variabili»), che, accentuando la componente finanziaria insita nella struttura contrattuale, mirano a tutelare la polizza dall'incidenza della svalutazione monetaria. Tesi moniste o dualisteLa riconducibilità o meno dell'assicurazione sulla vita ad un concetto unitario di assicurazione, comprensivo anche di quella contro i danni, risulta discussa. Una parte della dottrina ritiene che entrambi tipi di assicurazione appartengano al medesimo ceppo e presentino degli elementi comuni: sarebbe, di conseguenza, possibile elaborare una concezione unitaria del contratto di assicurazione. Tra le teorie moniste (in arg. v. Rossetti, 2013, 637; Scalfi, 341 ss.) la più nota è sicuramente la teoria indennitaria che ritiene sussistente un nucleo causale comune tra i contratti di assicurazione contro i danni e quelli sulla vita, dato per l'appunto dalla funzione indennitaria che deve consentire, nel primo tipo di assicurazione, il ripristino di un valore patrimoniale, e nel secondo, di indennizzare il beneficiario di un danno patrimoniale (sia che questo consista nell'evento naturale «morte» o sopravvivenza ad una certa età, sia che questo consista nella mancata percezione di un guadagno in considerazione di tali eventi) (Buttaro, Assicurazione (contratto di), 1958, 444). Alcuni autori hanno sostenuto che la funzione unitaria del contratto di assicurazione riposerebbe nella copertura di un bisogno eventuale. La dottrina tedesca ha, invece, elaborato una nozione unitaria del contratto di assicurazione considerando la prestazione dell'assicuratore come una forma di trasferimento del rischio. Altri autori individuano nell'impresa un elemento costitutivo del contratto di assicurazione in quanto strumento necessario per la realizzazione dell'operazione economica contrattuale (cd. teoria dell'impresa). Secondo una diversa impostazione dottrinale, i contratti di assicurazione contro i danni presentano differenze sostanziali rispetto ai contratti di assicurazione sulla vita con conseguente impossibilità di ricondurli ad un unico genus contrattuale definibile come assicurazione trattandosi di due species diverse. Queste teorie sono, pertanto, dette pluraliste ed affidano la funzione indennitaria alla sola assicurazione danni e la funzione di risparmio previdenziale al contratto vita (Donati, Volpe Putzolu, 103; La Torre, 327). In particolare, si evidenzia che la prestazione dell'assicuratore varia col variare del tipo di rischio assicurato con la conseguenza che l'assicurazione vita, avendo ad oggetto un rischio del tutto diverso rispetto all'assicurazione danni, costituisce un contratto funzionalmente diverso rispetto a quest'ultimo (Rossetti, 2013, 639). La posizione della giurisprudenza La giurisprudenza di legittimità ritiene non assimilabili l'assicurazione sulla vita e quella sui danni, aderendo dunque alla teoria pluralista. La S.C. ha invero rimarcato che dalla definizione normativa di cui all'art. 1882 sembrerebbe risultare una dicotomia di generi assicurativi: l'uno, quello dell'assicurazione contro i danni, caratterizzato dalla previsione di un «sinistro»; l'altro, quello dell'assicurazione sulla vita, caratterizzato, invece, dalla previsione, di un «evento attinente alla vita umana». Di conseguenza, nella prima ipotesi il rapporto assicurativo ha scopo indennitario, nella seconda, invece, ha scopo di risparmio e capitalizzazione (Cass. III, n. 12353/2006; Cass. III, n. 1941/1971). La sostanziale adesione alle tesi dualistiche sembra indirettamente confermata anche dalle S.U. che, chiamate a valutare l'applicabilità o meno dell'art. 1910 alle assicurazioni contro gli infortuni, hanno affermato che l'assicurazione sulla vita è sottratta al principio indennitario (ovvero al principio in virtù del quale l'indennizzo non può eccedere il danno effettivamente patito dall'assicurato), in tal modo smentendo uno dei capisaldi della teoria indennitaria, secondo cui anche nell'assicurazione sulla vita sarebbe ravvisabile un danno (Cass. S.U., n. 5119/2002). Lo schema negozialeIl contratto di assicurazione sulla vita è un contratto sinallagmatico, anche nell'ipotesi in cui l'evento non si sia verificato e l'assicuratore sia esonerato dal pagamento del capitale o della rendita, in quanto l'obbligazione assunta da quest'ultimo consiste nella mera copertura del rischio previsto; si parla a proposito di sinallagma genetico (Donati 35). È un contratto aleatorio, in quanto il vantaggio o lo svantaggio derivante dal medesimo non può essere noto né perfettamente valutabile al momento della sua conclusione (Buttaro, 617; Gasperoni, 3). Risulta di durata in quanto, in tutte le tipologie, grava sull'assicuratore l'obbligo di mantenere in funzione la propria organizzazione al fine di assicurare, al momento del verificarsi dell'evento, la prestazione promessa. Le tipologie di contratto di assicurazione sulla vitaL'assicurazione sulla vita presenta nella pratica una varietà di forme che possono essere ricondotte a tre modelli: a) assicurazione per il caso di morte: in detta ipotesi l'assicuratore si obbliga, dietro il pagamento di un premio annuo (o vitalizio o temporaneo), si impegna ad effettuare la prestazione al momento della morte dell'assicurato in qualunque momento si verifichi (assicurazione vita intera) o solo entro un certo termine (assicurazione temporanea); b) l'assicurazione per il caso vita: la stessa si distingue a seconda che l'assicuratore sia tenuto a pagare una somma se la persona considerata è ancora in vita ad una data prestabilita (assicurazione di capitale differito) o una rendita a partire dalla conclusione del contratto o da un termine posteriore fino alla morte dell'assicurato o fino a un momento prestabilito, in cui quest'ultimo deve essere ancora in vita (assicurazione di una rendita vitalizia immediata, differita o temporanea); c) l'assicurazione mista: in siffatta ipotesi la prestazione dell'assicuratore è dovuta in un dato momento solo in ipotesi di sopravvivenza dell'assicurato, con pagamento di un capitale in caso di sua premorienza. La causaIl contratto di assicurazione sulla vita svolge una funzione di previdenza (Salandra, in Comm. S.B., 1966, 185) o, più precisamente, di risparmio previdenziale, collegato ad un evento incerto attinente alla vita umana (Scalfi, 345). La polizza vita può, peraltro, atteggiarsi a prodotto finanziario, per adeguarsi a nuove esigenze di sicurezza assicurativa, purché venga salvaguardato l'essenziale contenuto del contratto come «operazione di risparmio in relazione all'aleatorietà della durata della vita umana». Recentemente si assiste alla sempre maggiore diffusione di formule (polizze «indicizzate», «rivalutabili», «variabili»), che, accentuando la componente finanziaria insita nella struttura contrattuale, mirano a tutelare la polizza dall'incidenza della svalutazione monetaria. Sono polizze indicizzate quelle in cui le somme dovute da entrambe le parti (vale a dire premio e somma assicurata) vengono rivalutate di anno in anno in base a parametri selezionati pattiziamente (di regola indice ufficiale del costo della vita; indice Istat). Le polizze rivalutabili e variabili sono caratterizzate dal fatto che, accanto a prestazioni minime garantite, l'assicuratore si obbliga a versare anche parte dei rendimenti e/o il valore degli investimenti delle riserve matematiche. In particolare, nelle polizze rivalutabili l'assetto contrattuale prevede che il capitale assicurato venga rivalutato annualmente con riferimento al rendimento della riserva matematica relativa a tali contratti, che forma oggetto di gestione separata. In altri termini la somma assicurata viene determinata con riferimento al rendimento di una gestione di valori mobiliari tenuta dallo stesso assicuratore e separata secondo certi criteri contabili. Nei contratti di assicurazione variabili le prestazioni contrattuali sono ancorate all'andamento del valore di un fondo di investimento, che può essere interno o esterno all'impresa assicuratrice, sicché l'assicurato non partecipa soltanto al reddito della riserva matematica gestita separatamente, ma anche all'incremento o alla riduzione del valore del fondo. Particolare diffusione hanno avuto le polizze unit linked (caratterizzate da ciò che i premi sono investiti in un paniere di fondi di investimento diversamente composti — azionari, obbligazionari, monetari) ed index linked (in cui il capitale assicurato è rivalutato in relazione ad un indice di borsa individuato in contratto). La S.C. ha all'uopo rimarcato che il contratto di assicurazione sulla vita è tale solo qualora rechi la garanzia della conservazione del capitale alla scadenza. In difetto, il suddetto contratto deve considerarsi un investimento finanziario, con la conseguente applicazione del T.U.F. e del regolamento Consob. Infatti, se il rischio è posto interamente in capo al soggetto assicurato, si ricade in una fattispecie contrattuale diversa dall'assicurazione sulla vita ove l'intermediario è tenuto a rispettare le regole di leale comportamento previste dalla normativa. Inoltre, la natura speculativa e non assicurativa del prodotto comporta una diversa applicazione della disciplina in ambito successorio e fiscale (Cass. III, n. 10333/2018; Cass. III, n. 6061/2012). I Giudici di legittimità hanno di recente chiarito che nelle polizze "unit linked", caratterizzate dalla componente causale mista, finanziaria ed assicurativa sulla vita, anche ove sia prevalente la causa finanziaria, la parte qualificata come assicurativa deve rispondere ai principi dettati dal codice civile, delle assicurazioni e della normativa secondaria ad essi collegata, con particolare riferimento al rischio demografico rispetto al quale il giudice di merito deve valutare l'entità della copertura assicurativa, desumibile dall'ammontare del premio versato dal contraente rispetto al capitale garantito, dall'orizzonte temporale e dalla tipologia dell'investimento (Cass. III, n. 6319/2019. Nella specie la Corte ha ritenuto che erroneamente il giudice del merito non avesse preso in esame l'esiguità del rischio demografico contrattualmente previsto in relazione all'equilibrio delle prestazioni che veniva sostanzialmente vanificato). Le partiIl contratto di assicurazione sulla vita può essere stipulato solo dalle imprese assicurative in possesso dei requisiti fissati dall'art. 14 d.lgs. n. 209/2005. Il contraente è il soggetto che stipula il contratto di assicurazione (indipendentemente che sia titolare o meno dell'interesse esposto al rischio) e sul quale gravano le obbligazioni (principali e accessorie) derivanti dal contratto (Gasperoni, 5). L'assicurato è la persona sulla cui vita è contratta l'assicurazione, altrimenti detto «portatore di rischio», ovvero la persona fisica dalla cui morte o sopravvivenza dipende l'obbligo dell'assicuratore di pagare l'indennizzo (Rossetti, 837). Quando il contraente non coincide col portatore di rischio si ha un'assicurazione sulla vita altrui. Il beneficiario è il soggetto in favore del quale, al verificarsi dell'evento dedotto in contratto, l'assicuratore dovrà versare il capitale o la rendita (Buttaro, 620). Il beneficiario coincide con il contraente nell'assicurazione sulla vita propria per il caso di vita, mentre non può mai sussistere coincidenza nel caso in cui l'assicurazione sulla vita propria sia stata stipulata per il caso di morte. Il beneficiario può coincidere col contraente nell'assicurazione sulla vita propria mista. Nel contratto di assicurazione sulla vita per il caso di morte può essere designato, quale beneficiario, lo stesso portatore del rischio, con conseguente devoluzione "mortis causa" dell'indennizzo ai suoi eredi (Cass. III, n. 21863/2022. In applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto che il contratto di assicurazione sulla vita del mutuatario il quale preveda che, in caso di morte di quest'ultimo, l'indennizzo sia dovuto alla banca mutuante, e nello stesso tempo che il versamento dell'indennizzo medesimo estingua il credito residuo del mutante, senza diritto dell'assicurazione di surrogarsi alla banca, è volto a soddisfare gli interessi convergenti della banca al rimborso del mutuo e del mutuatario e dei suoi eredi a non restare esposti all'esecuzione della banca, con la conseguenza che, in caso di inadempimento dell'assicuratore, gli eredi del mutuatario sono legittimati a domandarne la condanna al pagamento dell'indennizzo in favore della banca). Il consenso del terzoNel caso in cui l'assicurazione venga stipulata per il caso di morte di un terzo, il secondo comma dell'art. 1919 dispone che la stessa non è valida se questi o il suo rappresentante legale non presta il consenso alla conclusione del contratto. La ratio del richiesto consenso non risiede nella necessità di provare l'interesse del contraente all'esistenza in vita di costui ma viene generalmente ritrovata in un motivo di carattere etico, e ciò al fine di evitare che l'assicurazione si traduca in un incentivo all'omicidio della persona su cui grava il rischio (Salandra, in Comm. S.B., 1966, 320). Il consenso deve rivestire la forma scritta ad probationem. Dubbia è la natura del consenso qualificato da alcuni autori come dichiarazione unilaterale di volontà avente come destinatario il contraente (Donati, 589; Gasperoni, 6) e da altri come una autorizzazione volta a rimuovere il divieto legale (Polotti di Zumaglia, 442). La dichiarazione di consenso deve essere preventiva o contestuale alla conclusione del contratto. Discussa è la possibilità di riconoscere efficacia a una dichiarazione di consenso successiva alla stipula. La stessa non è ammessa da quegli autori che considerano il consenso un elemento intrinseco del contratto la cui mancanza ne determina la nullità (Donati, 1956, 591); viene invece ammessa da coloro che ritengono che la sua assenza determina unicamente l'annullabilità del contratto (Salandra, ult. cit.). La S.C. ha ritenuto che ai fini della validità di un contratto c.d. unit linked, il quale si sostanzia in un investimento finanziario in forma di polizza vita, non è richiesto il consenso in forma scritta dell'assicurato, ai sensi dell'art. 1919, comma 2, qualora questi coincida con il beneficiario (Cass. III, n. 3707/2018). I Giudici di legittimità hanno, difatti, sottolineato che l'art. 1919, comma 2, nel subordinare la validità dell'assicurazione contratta per il caso di morte di un terzo al consenso scritto del medesimo, si riferisce all'ipotesi in cui il terzo si venga a trovare nella posizione di mero portatore del rischio, mentre i benefici del contratto assicurativo spettino esclusivamente al contraente o a persona da questo designata nel proprio interesse, sicchè la necessità del consenso del terzo non sussiste quando il beneficiario dell'assicurazione non sia il contraente ma il terzo stesso, ovvero i suoi eredi o comunque soggetti da lui indicati, configurandosi in tal caso un'assicurazione sulla vita a favore di un terzo, regolata dall'art. 1891. L'applicabilità degli artt. 1892 e 1893Poiché nell'assicurazione sulla vita del terzo è costui che fornisce la descrizione precontrattuale del rischio ci è interrogati in ordine alla applicabilità degli artt. 1892 e 1893 in tema di dichiarazioni inesatte e reticenze. In dottrina è ampiamente discussa la rilevanza delle dichiarazioni inesatte o reticenti rese dal terzo, anche in presenza di un espresso patto di polizza (in arg. v. Buttaro, 645; Gasperoni, 8; Salandra, in Comm. S.B., 1966, 256). La giurisprudenza ha ritenuto che, qualora il contraente di un'assicurazione sulla vita del terzo sia consapevole della falsità delle dichiarazioni rese da quest'ultimo in ordine alle circostanze del rischio assicurato ovvero, pur essendone ignaro, abbia riconosciuto per patto espresso che il consenso dell'assicuratore al contratto è basato anche sulla veridicità delle dichiarazioni del terzo, queste è come se provenissero dal contraente: nel primo caso perché egli stesso è partecipe dell'altrui falsità o reticenza; nel secondo caso perché, riconoscendo la subordinazione del consenso e, quindi, dell'obbligazione dell'assicuratore all'esatta descrizione del rischio da parte del terzo, assume convenzionalmente — e validamente — le conseguenze che dalla condotta dolosa o colposa del dichiarante derivino in ordine al contratto. In entrambi i casi l'assicuratore potrà, dunque, valersi dei rimedi concessigli dagli artt. 1892 e 1893 (Cass. I, n. 1779/1977). BibliografiaButtaro, voce Assicurazione sulla vita, in Enc. dir., III, Milano, 1958; Donati, Trattato del diritto delle assicurazioni private, Milano, III, 1956; Donati, Volpe Putzolu, Manuale di Diritto delle Assicurazioni, Milano, 2002; Gasperoni, Assicurazione sulla vita, in Enc. giur., III, 1988; La Torre, Le Assicurazioni, Milano, 2007; Polotti di Zumaglia, Vita (assicurazione sulla), in Dig. comm., XVI, Torino, 1999; Rossetti, Il Diritto delle Assicurazioni, III, L'assicurazione sulla vita, Padova, 2013. |