Codice Civile art. 1746 - Obblighi dell'agente.Obblighi dell'agente. [I]. Nell'esecuzione dell'incarico l'agente deve tutelare gli interessi del preponente e agire con lealtà e buona fede. In particolare, deve adempiere l'incarico affidatogli in conformità delle istruzioni ricevute e fornire al preponente le informazioni riguardanti le condizioni del mercato nella zona assegnatagli, e ogni altra informazione utile per valutare la convenienza dei singoli affari. È nullo ogni patto contrario (1). [II]. Egli deve altresì osservare gli obblighi che incombono al commissionario [1731 ss.] ad eccezione di quelli di cui all'articolo 1736, in quanto non siano esclusi dalla natura del contratto di agenzia (2). [III]. È vietato il patto che ponga a carico dell'agente una responsabilità, anche solo parziale, per l'inadempimento del terzo. È però consentito eccezionalmente alle parti di concordare di volta in volta la concessione di una apposita garanzia da parte dell'agente, purché ciò avvenga con riferimento a singoli affari, di particolare natura ed importo, individualmente determinati; l'obbligo di garanzia assunto dall'agente non sia di ammontare più elevato della provvigione che per quell'affare l'agente medesimo avrebbe diritto a percepire; sia previsto per l'agente un apposito corrispettivo (3). (1) Comma così sostituito dall'art. 2 d.lg. 15 febbraio 1999, n. 65. Il comma era così formulato: «L'agente deve adempiere l'incarico affidatogli in conformità delle istruzioni ricevute e fornire al preponente le informazioni riguardanti le condizioni del mercato nella zona assegnatagli, e ogni altra informazione utile per valutare la convenienza dei singoli affari». (2) Comma così modificato dall'art. 28 1 l. 21 dicembre 1999, n. 526. (3) Comma inserito dall'art. 282 l. n. 526, cit. InquadramentoIl comma 1 stabilisce che l'agente deve agire con la diligenza del buon padre di famiglia quale specificazione dell'art. 1176. L'applicazione delle norme in tema di commissione si giustifica in considerazione dell'analogia della posizione che rivestono agente e commissionario. Infine, la norma vieta una generale pattuizione, a carico dell'agente, dello star del credere, per evitare che questi possa vincolarsi in modo indeterminato a garanzia di una obbligazione altrui al fine di conservare la propria posizione lavorativa. L'art. 1746 c.c., impone all'agente di tutelare gli interessi del preponente e di agire con lealtà e buona fede nell'esecuzione dell'incarico. Tale norma, quindi, non impedisce all'agente, o al subagente, vincolato da un contratto a tempo indeterminato suscettibile di disdetta, di ricercare soluzioni professionali alternative, che vengano in concreto a risultare pregiudizievoli per il preponente — si pensi all'ipotesi tipica e frequente dell'acquisizione di un mandato di agenzia da parte di un'impresa in concorrenza con l'originario preponente — se non impiega mezzi o modalità che siano di per sé qualificabili come scorretti, vuoi ai fini dell'acquisizione del nuovo incarico professionale, vuoi nell'esecuzione del medesimo, sulla base di principi di carattere generale e in particolare dei principi di correttezza e buona fede di cui all'art. 1175 c.c., che contempla genericamente i rapporti tra creditore e debitore, e di cui all'art. 1375 c.c. — che, peraltro, di nuovo fa riferimento all'esecuzione del contratto —, oppure delle regole in tema di concorrenza sleale tra imprenditori (Cass. n. 10728/2006). Obblighi a carico dell'agenteAi sensi dell'art. 1746 c.c. è imposto all'agente di tutelare gli interessi del preponente e di agire con lealtà e buona fede nell'esecuzione dell'incarico. Tuttavia, tale norma non impedisce all'agente — così come al subagente — vincolato da un contratto a tempo indeterminato suscettibile di disdetta, di ricercare soluzioni professionali alternative, che vengano in concreto a risultare pregiudizievoli per il preponente (come nel caso, non infrequente, dell'acquisizione di un mandato di agenzia da parte di un'impresa in concorrenza con l'originario preponente), se non impiega mezzi e modalità che siano di per sé qualificabili come scorretti, vuoi ai fini dell'acquisizione del nuovo incarico professionale, vuoi nell'esecuzione del medesimo, sulla base dei principi di carattere generale in materia contrattuale e, specificamente, di quelli di correttezza e di buona fede nell'esecuzione del rapporto di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., ovvero delle regole in tema di concorrenza sleale tra imprenditori. Né, alla stregua di ciò, può ritenersi di per sé scorretto il comportamento di un subagente che, intenzionato a porre fine al rapporto in corso con l'agente, ne metta al corrente l'imprenditore preponente, offrendo l'occasione al medesimo di valutare le conseguenze di tale ipotesi ed a se stesso la possibilità di comunicare la propria eventuale disponibilità ad assumere un incarico diretto, sempreché non siano posti in essere mezzi di per sé scorretti, poiché, in difetto di precise pattuizioni in proposito, non è ravvisabile un obbligo di fedeltà in capo al subagente nei confronti dell'agente suo preponente che vieti iniziative di questo genere, compiute con il rispetto del principio generale della correttezza (Cass. n. 10728/2006, nella specie, la S.C., enunciando il richiamato principio, ha rigettato il ricorso proposto dall'agente e confermato la sentenza impugnata, con la quale era stato escluso che il comportamento del subagente avesse comportato violazione di obblighi derivanti dal contratto di subagenzia, considerato che l'obbligo di cooperazione dell'agente ai fini del raggiungimento degli interessi del suo preponente non comprendeva l'obbligo di restare per sempre vincolato al medesimo, così come neanche il canone generale di correttezza e buona fede poteva impedire all'agente, in mancanza di specifiche clausole contrattuali, di cercare una sistemazione migliore ed eventualmente anche di proporre, nel caso del subagente, le proprie prestazioni direttamente al mandante del proprio preponente). L'obbligo imposto all'agente dall'art. 1746 c.c. di fornire al preponente informazioni sulle condizioni di mercato nella zona assegnatagli nonché ogni altra informazione utile per valutare la convenienza dei singoli affari, (che si traduce nell'obbligo di informare in generale sullo sviluppo della concorrenza e sulle reali prospettive di penetrazione del mercato) pur avendo carattere secondario e strumentale rispetto all'obbligo principale dell'agente di promuovere la conclusione di affari, può assumere in concreto una rilevanza tale da giustificare, in caso di sua violazione, la risoluzione del rapporto per colpa dell'agente, come avviene quando — secondo la valutazione insindacabile del giudice di merito — l'omissione delle informazioni o l'inesattezza di quelle fornite siano suscettibili di provocare gravi conseguenze negative sull'andamento commerciale dell'impresa preponente (Cass. n. 7644/1996, nella fattispecie la sentenza impugnata — confermata dalla Suprema Corte — aveva ritenuto che integrasse una inadempienza grave da parte dell'agente la mancata comunicazione del fatto che il proprio figlio aveva intrapreso nella medesima zona un'attività di agente per una ditta concorrente, contattando per conto della nuova società tutti i clienti del padre, ed utilizzando a tale fine l'elenco dei clienti, i locali lavorativi e il recapito telefonico del proprio genitore). Inoltre, al fine di distinguere tra rapporto di lavoro subordinato e rapporto di agenzia deve considerarsi che elementi peculiari di quest'ultimo sono rappresentati dall'organizzazione da parte dell'agente di una struttura imprenditoriale, anche a livello soltanto embrionale, e dall'assunzione da parte dello stesso (e non già del preponente) del rischio per l'attività promozionale svolta, che si manifesta nell'autonomia dell'agente nella scelta dei tempi e dei modi della stessa, pur nel rispetto —secondo il disposto dall'art. 1746 c.c. — delle istruzioni ricevute dal preponente, ancorché con la predeterminazione solo indicativa degli itinerari, mensili o settimanali, da percorrere ovvero del numero di clienti da visitare, e dell'obbligo di giornaliera informazione preventiva (Cass. n. 96969/2009; Cass. n. 9060/2004, che ribadisce che il rapporto di agenzia ha per oggetto lo svolgimento a favore del preponente di un'attività economica esercitata con organizzazione di mezzi e assunzione del rischio da parte dell'agente, che è legato da un semplice rapporto di collaborazione con il preponente, al quale deve fornire le informazioni utili al fine di valutare la convenienza degli affari, laddove oggetto del rapporto di lavoro subordinato è la prestazione, in regime di subordinazione, di energie lavorative, il cui risultato rientra esclusivamente nella sfera giuridica dell'imprenditore, che sopporta il rischio dell'attività svolta). Sicché, al fine di distinguere tra rapporto di lavoro subordinato e rapporto di agenzia deve considerarsi che elementi peculiari di quest'ultimo sono rappresentati dall'organizzazione da parte dell'agente di una struttura imprenditoriale, anche a livello soltanto embrionale, e dall'assunzione da parte dello stesso (e non già del preponente) del rischio per l'attività promozionale svolta, che si manifesta nell'autonomia dell'agente nella scelta dei tempi e dei modi della stessa, pur nel rispetto — secondo il disposto dall'art. 1746 c.c. — delle istruzioni ricevute dal preponente, ancorché con la predeterminazione solo indicativa degli itinerari, mensili o settimanali, da percorrere ovvero del numero di clienti da visitare, e dell'obbligo di giornaliera informazione preventiva (Cass. n. 12756/2003: nella specie, la sentenza impugnata, confermata dalla S.C., ha, con motivazione adeguata e immune da vizi, ritenuto sussistente tra le parti un rapporto di lavoro subordinato in considerazione dell'accertata mancanza di assunzione a proprio carico, da parte del lavoratore, delle spese di gestione dell'attività e della insussistenza della capacità di autodeterminazione e quindi di una qualsiasi forma, sia pur minima, di organizzazione dell'impresa e di assunzione di rischio). Il rapporto di agenzia — che è di natura autonoma — non è incompatibile con la soggezione dell'attività lavorativa dell'agente a direttive e istruzioni nonché a controlli, amministrativi e tecnici, più o meno penetranti, in relazione alla natura dell'attività ed all'interesse del preponente, né con l'obbligo dell'agente di visitare e di istruire altri collaboratori, né con l'obbligo del preponente medesimo di rimborsare talune spese sostenute dall'agente e neppure con l'obbligo di quest'ultimo di riferire quotidianamente al preponente (Cass. n. 11264/2011, nella specie la sentenza impugnata, confermata dalla S.C., aveva ritenuto che tra le parti era intercorso un rapporto di agenzia ancorché le clausole del contratto stipulato e le concrete modalità del rapporto avessero evidenziato la presenza delle predette circostanze e, in particolare, che l'agente doveva dar conto giornalmente del lavoro svolto e doveva seguire un itinerario preordinato dalla ditta preponente). Agenzia e clausola dello star del credereSi pone la necessità di delineare, preliminarmente, taluni cenni in ordine allo star del credere, istituto storicamente peculiare del rapporto di commissione cui originariamente ineriva. Si trattava, invero, di una forma di garanzia data al committente dal commissionario cui solo erano note la persona e la solvibilità del terzo contraente. Lo star del credere, già previsto come ipotesi pattizia dal codice di commercio, ha trovato ingresso nel codice civile del 1942 che, all'art. 1736 c.c., fa ad esso espresso riferimento configurandolo come ipotesi pattizia e statuendo che il commissionario risponde nei confronti del committente dell'esecuzione dell'affare, avendo nel contempo un diritto ad uno speciale compenso o ad una maggiore commissione. In tale prospettiva il commissionario, in quanto mandatario del committente, per conto del quale agisce, si fa garante nei suoi confronti della «bonitas» del terzo contraente. Di qui, la natura fidejussoria che la prevalente dottrina conferisce all'istituto dello star del credere in relazione al contratto di commissione. Nel contratto di agenzia, al quale l'istituto dello star del credere è stato esteso, invece, esso non è disciplinato specificamente e direttamente dal codice civile, essendo regolato come istituto eventuale e pattizio dagli Accordi Economici Collettivi che ne limitano specificamente la misura; ciò diversamente dal contratto di commissione, in cui lo star del credere, per quanto innanzi detto, inerisce normalmente al rapporto in virtù di usi o di accordi contrattuali, costituendo una garanzia totale per l'adempimento delle obbligazioni del terzo. Autorevole dottrina non manca, poi, di rilevare, quale ulteriore motivo di discrimine in ordine alla funzione dell'istituto in parola nell'ambito dei diversi contesti negoziali ai quali si è fatto riferimento, come nel contratto di agenzia, lo star del credere si atteggi quale penale per il comportamento negligente dell'agente che ha procurato affari con terzi risultati inadempienti, con cui viene definito il risarcimento del danno sofferto per l'inadempimento da parte del terzo. In definitiva, l'agente è tenuto allo star del credere, esclusivamente per patto, ed in ottemperanza alle norme degli Accordi Economici Collettivi aventi efficacia erga omnes (art. 7 A.E.C. 20 giugno 1956) secondo cui l'onere pattuito a carico dell'agente non può superare il 20% della perdita subita dal preponente, misura ridotta dagli accordi economici collettivi aventi validità di convenzione privatistica (9 giugno 1988 settore commercio e 16 novembre 1988 settore industria) nella misura del 15%. Nell'ottica descritta, mette conto considerare che non assume rilievo ai fini della tesi accreditata dall'agente in ordine alla applicabilità alla fattispecie dell'art. 1736 c.c., (e recepita, con apodittica motivazione, dai giudici del gravame), il richiamo contenuto nell'art. 1746 c.c., comma 2, secondo il quale l'agente «deve osservare altresì gli obblighi che incombono al commissionario, in quanto non siano esclusi dalla natura del contratto di agenzia» (nel testo anteriore alla novella di cui all'art. 28 l. n. 526/1999). Premesso che nello specifico, rinviene applicazione il testo della disposizione codicistica qui richiamato, atteso che la rinnovata disciplina introdotta dalla l. n. 526/2009 — la quale vieta la stipula di un patto che ponga a carico dell'agente una responsabilità anche solo parziale per l'inadempimento del terzo, consentendo eccezionalmente e a precise condizioni, la concessione di apposita garanzia da parte dell'agente per singoli affari — sì applica unicamente ai patti stipulati successivamente alla sua entrata in vigore (Cass. n. 7644/2012; Cass. n. 15062/2008), non possono che riaffermarsi i concetti sinora esposti in ordine alla differenza ontologica dei principi che disciplinano gli istituti del contratto di commissione e di agenzia, ed alla insussistenza dei presupposti per una applicazione in via analogica, delle garanzie approntate dall'art. 1736 c.c. Si tratta di principi, per quanto innanzi detto, che avvalorati dalla più autorevole dottrina, sono stati ribaditi dalla giurisprudenza prevalente di legittimità secondo cui “al contratto di agenzia non può applicarsi in via analogica l'art. 1736 c.c., in tema di contratto di commissione, poiché la responsabilità dell'agente per lo «star del credere» è disciplinata in modo specifico dall'A.E.C. 20 giugno 1956, reso obbligatorio erga omnes dal d.P.R. n. 1450/1961, che limita la responsabilità dell'agente senza ulteriore compenso al 20% della perdita subita dal preponente” (Cass. n. 4461/2015; Cass. n. 12879/1999; Cass. n. 7002/1986; Cass. n. 1448/1973), ovvero dalla più favorevole disciplina posta nei successivi accordi collettivi del settore (qualora le parti vi abbiano aderito), che adottano il più ristretto limite del 15% (Cass. n. 3902/1999). Inoltre, in tema di contratto d'agenzia, la deduzione relativa all'esclusione di un determinato rapporto dall'applicazione della regola dello «star del credere», non ha natura giuridica di eccezione in senso stretto ma esclusivamente di argomentazione difensiva, essendo diretta ad escludere che un fatto specifico, tempestivamente allegato, possa dare origine al diritto dedotto in giudizio. Tale deduzione, pertanto, può essere formulata in qualsiasi fase del giudizio di primo e di secondo grado, anche oltre i termini perentori di cui all'art. 183 c.p.c. e, quindi, anche in comparsa conclusionale ed in grado di appello, senza incorrere nei limiti di cui all'art. 345 c.p.c. (Cass. n. 25607/2011). BibliografiaBaldi, Venezia, Il contratto di agenzia. La concessione di vendita. Il franchising, Milano, 2015; Bavetta, Mandato (negozio giuridico) (dir. priv.), in Enc. dir., XXV, Milano, 1975; Bile, Il mandato, la commissione, la spedizione, Roma, 1961; Campagna, La posizione del mandatario nel mandato ad acquistare beni mobili, in Riv. dir. civ., 1974, I, 7 ss.; Ferri, Manuale di diritto commerciale, Torino, 1976; Formiggini, Commissione, in Enc. dir., VII, Milano, 1960; Minervini, Commissione, in N.ss. Dig. it., III, Torino, 1967; Natoli, La rappresentanza, Milano, 1977; Pugliatti, Studi sulla rappresentanza, Milano, 1965; Romano, Vendita. Contratto estimatorio, Milano, 1961; Rotondi-Rotondi, L'agenzia nella giurisprudenza, Milano, 2004; Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1997; Saracini, Toffoletto, Il contratto di agenzia, artt. 1742-1753, Milano, 2014. |