Codice Civile art. 1755 - Provvigione.

Caterina Costabile

Provvigione.

[I]. Il mediatore ha diritto alla provvigione da ciascuna delle parti [2950], se l'affare [1351] è concluso per effetto del suo intervento [1173].

[II]. La misura della provvigione e la proporzione in cui questa deve gravare su ciascuna delle parti, in mancanza di patto, di tariffe professionali o di usi, sono determinate dal giudice secondo equità (1).

(1) V. art. 6 l. 3 febbraio 1989, n. 39.

Inquadramento

Il diritto del mediatore alla provvigione si ricollega all'efficacia del suo intervento nel favorire la conclusione dell'affare: il fondamento del diritto al compenso in favore del mediatore risiede, invero, nella circostanza che l'attività di mediazione — che si concreta nella messa in relazione delle parti — costituisce l'antecedente indispensabile per pervenire, attraverso fasi e vicende successive, alla conclusione dell'affare.

Il diritto alla provvigione sorge tutte le volte in cui la conclusione dell'affare sia in rapporto causale con l'attività intermediatrice (Guidotti, 2005, 190; Marini, in Comm. S., 1992, 97; Rolfi, 89), senza che sia richiesto un nesso causale diretto ed esclusivo tra l'attività del mediatore e la conclusione dell'affare, essendo sufficiente, che il mediatore — anche se non intervenuto in tutte le fasi della trattativa — abbia messo in relazione le stesse, in modo tale da realizzare l'antecedente indispensabile per pervenire alla conclusione del contratto, secondo i principi della causalità adeguata.

Ai fini della configurabilità del rapporto di mediazione non è necessaria l'esistenza di un preventivo conferimento di incarico per la ricerca di un acquirente o di un venditore, ma è sufficiente che la parte abbia accettato l'attività del mediatore avvantaggiandosene. Il rapporto di mediazione, inteso come interposizione neutrale tra due o più persone per agevolare la conclusione di un determinato affare, non postula, infatti, necessariamente un preventivo accordo delle parti sulla persona del mediatore, ma è configurabile pure in relazione ad una materiale attività intermediatrice che i contraenti accettano anche soltanto tacitamente, utilizzandone i risultati ai fini della stipula del contratto: sicché, ove il rapporto di mediazione sia sorto per incarico di una delle parti, ma abbia avuto poi l'acquiescenza dell'altra, quest'ultima resta del pari vincolata verso il mediatore (Cass. II, n. 7029/2021).

La S.C. reputa necessario affinché il mediatore abbia diritto alla provvigione non solo che l'affare sia stato concluso anche grazie al suo intervento, ma anche che vi sia la consapevolezza di ciò nella parte intermediata da cui la provvigione è pretesa. In caso contrario si consentirebbe, difatti, il sorgere di un'obbligazione nel patrimonio della parte intermediata per effetto di una volontà altrui e non di un comportamento riconducibile all'obbligato, neppure in termini di mancato rifiuto di profittarne; prospettiva accolta dall'ordinamento, quando ne ricorrano i presupposti, nei diversi casi della gestione d'affari e dell'arricchimento senza causa (Cass. III, n. 8126/2009). Ne consegue che la prova di tale conoscenza incombe, ai sensi dell'art. 2697, sul mediatore che voglia far valere in giudizio il diritto alla provvigione (Cass. II, n. 11776/2019).

Il mediatore può domandare il pagamento della provvigione alla persona che gli ha affidato l'incarico e ha condotto le trattative, la quale risponde in proprio, tranne che abbia dichiarato fin dall'origine di agire in rappresentanza di un terzo (Cass. II, n. 11655/2018).

Il pagamento della provvigione, allorquando una delle parti contraenti sia costituita da più soggetti in ragione della comunione nel diritto alienato o acquistato, grava su tutti i contitolari, quand'anche taluno di essi non abbia conferito l'incarico né abbia preso parte alla fase delle trattative, avendo comunque utilizzato i risultati dell'attività del mediatore, ed ha natura solidale, in applicazione della regola generale che vale per tutte le obbligazioni assunte da più soggetti, riferendosi la regola della ripartizione pro quota di cui all'art. 1755 alla provvigione dovuta dalla parte acquirente e dalla parte alienante (Cass. II, n. 2389/2024).

La conclusione dell'affare

Ad avviso della dottrina, per «conclusione dell'affare», dalla quale a norma dell'art. 1755 sorge il diritto alla provvigione del mediatore, deve intendersi il compimento di un'operazione di natura economica generatrice di un rapporto obbligatorio tra le parti. Si considera concluso l'affare tutte le volte in cui ci sia un negozio idoneo a garantire sul piano giuridico il raggiungimento del risultato economico perseguito dalle parti, sia direttamente che indirettamente attraverso la nascita di uno o più rapporti obbligatori. L'opinione maggioritaria ritiene che l'affare possa considerarsi concluso quando, per l'intervento del mediatore, le parti abbiano posto in essere un vincolo giuridico produttivo di azione in giudizio per l'adempimento dell'obbligo assunto o, in mancanza, per il risarcimento dei danni (Carraro, 258; Cataudella, 10).

Anche la giurisprudenza ritiene che per conclusione dell'affare debba intendersi il compimento di un'operazione di natura economica generatrice di un rapporto obbligatorio tra le parti, di un atto in virtù del quale sia costituito un vincolo che dia diritto di agire per l'adempimento o, in difetto, per il risarcimento del danno (Cass. III, n. 923/2017; Cass. VI, n. 24399/2015; Cass. III, n. 8676/2009).

Di conseguenza, mentre un contratto preliminare di compravendita deve considerarsi atto conclusivo dell'affare, idoneo, per l'effetto, a far sorgere in capo al mediatore il diritto alla provvigione (Cass. VI, n. 24397/2015; Cass. III, n. 22273/2010), non così avviene per la puntuazione (Cass. III, n. 11539/2013) o la mera sottoscrizione della proposta di acquisto (Cass. II, n. 2385/2023).

La S.C. ha in alcune pronunce evidenziato che anche l'accordo preliminare di preliminare può considerarsi atto conclusivo dell'affare, inteso come qualsiasi operazione di natura economica generatrice di un rapporto obbligatorio tra le parti, di un fatto — cioè — in virtù del quale sia costituito un vincolo che dia diritto di agire per l'adempimento dei patti stipulati o, in difetto, per il risarcimento del danno (Cass. III, n. 30083/2019Cass. III, n. 923/2017). Mentre in altre ha ritenuto che il cd. "preliminare di preliminare" non viene a costituire un affare idoneo, ex artt. 1754 e 1755 c.c., a fondare il diritto alla provvigione in capo al mediatore che abbia messo in contatto le parti in quanto, in caso di inadempimento,  la parte non inadempiente non può agire per l'esecuzione specifica del negozio o per il risarcimento del danno, bensì unicamente per il risarcimento del danno derivante dalla mancata prosecuzione delle trattative, e quindi dalla violazione dell'obbligo a contrattare (Cass. II, n. 31431/2023).

I giudici di legittimità hanno, inoltre, chiarito che l'identità dell'affare proposto con quello concluso non è esclusa quando le parti sostituiscano altri a sé nella stipulazione conclusiva, purché vi sia un legame, anche se non necessariamente di rappresentanza, tra la parte originaria — che resta debitrice nei confronti del mediatore, per avere costei avuto rapporti con lo stesso — e quella con cui è stato successivamente concluso, tale da giustificare, nell'ambito dei reciproci rapporti economici, lo spostamento della trattativa o la stessa conclusione dell'affare su un altro soggetto (Cass. II, n. 6552/2018).

Nesso di causalità

In tema di mediazione, il diritto alla provvigione sorge tutte le volte in cui la conclusione dell'affare sia in rapporto causale con l'attività intermediatrice (Guidotti, 2005, 190; Marini, in Comm. S., 1992, 97; Rolfi, 89), senza che sia richiesto un nesso causale diretto ed esclusivo tra l'attività del mediatore e la conclusione dell'affare, essendo sufficiente, che il mediatore — anche se non intervenuto in tutte le fasi della trattativa — abbia messo in relazione le stesse, in modo tale da realizzare l'antecedente indispensabile per pervenire alla conclusione del contratto, secondo i principi della causalità adeguata.

É del tutto pacifico in giurisprudenza il principio in virtù del quale il diritto del mediatore alla provvigione sorge tutte le volte in cui la conclusione dell'affare sia in rapporto causale con l'attività intermediatrice senza che sia richiesto che tra l'attività del mediatore e la conclusione dell'affare sussista un nesso eziologico diretto ed esclusivo, in quanto è sufficiente che, anche in presenza di un processo di formazione della volontà delle parti contraenti complesso e protratto nel tempo, la messa in relazione delle stesse costituisca l'antecedente indispensabile per pervenire, pure attraverso fasi e vicende successive, alla conclusione dell'affare medesimo secondo i principi della causalità adeguata (Cass. II, n. 21559/2018; Cass. III, n. 25851/2014; Cass. III, n. 3438/2002). Di conseguenza, la prestazione del mediatore può esaurirsi nel ritrovamento e nella indicazione di uno dei contraenti, indipendentemente dal suo intervento nelle varie fasi delle trattative sino alla stipulazione del contratto, sempre che questo possa ritenersi conseguenza prossima o remota dell'opera dell'intermediario tale che senza essa, secondo il principio della causalità adeguata, il contratto stesso non si sarebbe concluso (Cass. VI, n. 3134/2022;Cass. III, n. 28231/2005).

Risulta, dunque, necessario che la conclusione dell'affare sia effetto causato adeguatamente dal suo intervento, senza che il mettere in relazione delle parti tra di loro ad opera del mediatore sia sufficiente di per sé a conferire all'intervento di questi il carattere di adeguatezza, né che l'intervento di un secondo mediatore sia sufficiente di per sé a privare ex post l'opera del primo mediatore di tale qualità di adeguatezza (Cass. II, n. 3165/2023).

Facendo applicazione dei summenzionati principi, si è ritenuto che l'intervento di un secondo mediatore non interrompe di per sé il nesso di causalità tra l'attività del primo e la conclusione dell'affare (Cass. II, n. 869/2018).

La giurisprudenza ha inoltre evidenziato che non sussiste il diritto alla provvigione in capo al mediatore quando ad una prima fase delle trattative, avviate con il suo intervento e non pervenuta ad un risultato positivo, segua la ripresa delle stesse per effetto di iniziative nuove, assolutamente non ricollegabili con le precedenti o da queste condizionate, sicché possa escludersi l'utilità dell'originario intervento del mediatore ai fini della conclusione del contratto (Cass. III, n. 1120/2015; Cass. III, n. 6703/2001).

L'affare che costituisce il diritto alla provvigione del mediatore è quello che dal mediatore è stato proposto alle parti, sicché, nel caso che queste concludano successivamente un affare diverso da quello originariamente proposto dal mediatore, viene meno ogni nesso di causalità tra l'attività da quest'ultimo espletata e l'affare ed il conseguente obbligo delle parti di pagare la provvigione (Cass. III, n. 4196/1996).

In alcune pronunce di legittimità si è ritenuto che il diritto alla provvigione deve essere riconosciuto anche quando l'attività del mediatore non sia stato il fattore determinante ed esclusivo della conclusione dell'affare, essendo sufficiente, rispetto a questo, che la menzionata attività presenti il carattere della completezza. Non assumendo in proposito rilevanza, una volta realizzatosi l'affare, gli originari ripensamenti di una delle parti del rapporto di mediazione, i quali appartenendo alla sfera interna delle determinazioni della parte stessa, non possono incidere sull'efficienza causale esclusiva o concorrente dell'opera del mediatore (Cass. III, n. 9078/2001; Cass. III, n. 297/1996).

La S.C. ha recentemente ritenuto che la clausola che attribuisca al mediatore il diritto alla provvigione anche in caso di recesso da parte del venditore può presumersi vessatoria quando il compenso non trova giustificazione nella prestazione svolta dal mediatore: è compito del giudice di merito valutare se una qualche attività sia stata svolta dal mediatore attraverso le attività propedeutiche e necessarie per la ricerca di soggetti interessati all'acquisto del bene (Cass. II, n. 19565/2020).

Iscrizione all'albo

A seguito dell'entrata in vigore della l. n. 39/1989, l'attività di mediazione può essere svolta solo in presenza dei requisiti prescritti dalla predetta legge e, pertanto, il mediatore consegue il diritto alla provvigione solo se iscritto nei registri da essa contemplati.

Invero, a norma dell'art. 8, comma 1 l. n. 39/1989, chiunque eserciti l'attività di mediazione senza essere iscritto al ruolo è tenuto, oltre al pagamento della relativa sanzione amministrativa, anche alla restituzione alle parti contraenti delle provvigioni percepite (Cass. III, n. 10205/2011).

Se l'attività di mediazione è esercitata in forma societaria, nel ruolo devono iscriversi, oltre alla società in proprio, anche il legale rappresentante, colui che dalla società è preposto a tale ramo di attività, gli ausiliari che svolgono attività per conto della società i quali devono possedere i requisiti per l'iscrizione.

L'onere della prova dell'iscrizione nell'albo dei mediatori può essere assolto mediante la prova per testimoni o anche per presunzioni (Cass. III, n. 26292/2007): a tal fine, può valere il modulo di proposta di acquisto predisposto dal mediatore, dal quale risulti la suddetta iscrizione (Cass. III, n. 11539/2013).

Criteri per la quantificazione della provvigione

La quantificazione del compenso spettante al mediatore e la misura in cui esso va distribuito tra i contraenti deve avvenire sulla base di criteri espressamente fissati dalla legge.

L'art. 1755, comma 2, prevede infatti che la misura della provvigione e la proporzione in cui questa deve gravare su ciascuna delle parti va individuata seguendo una gerarchia delle fonti che pone al primo posto la determinazione convenzionale, seguita dalla determinazione secondo le tariffe, gli usi o infine l'equità.

Pertanto, la misura della provvigione deve essere determinata dal giudice secondo equità solo se le parti non ne abbiano stabilito la misura e se non è provata l'esistenza di tariffe professionali e di usi locali (Cass. III, n. 8216/2004).

I giudici di legittimità hanno all'uopo chiarito che l'art. 6 cpv. l. n. 39/1989, dispone che, in mancanza di patto, la misura e la proporzione predette sono determinate dalle giunte camerali, sentito il parere della commissione provinciale di cui all'art. 7 e tenendo conto degli usi locali. Tale norma ha inteso non già sostituire l'art. 1755 cpv., ma solo integrarlo nella parte relativa alla determinazione, secondo le suindicate modalità, delle tariffe professionali, con la conseguenza che la gerarchia delle fonti, indicate nella norma codicistica, resta con detta integrazione sostanzialmente ferma. In difetto di patto o di tariffe professionali gli usi per quanto indicati dal citato art. 6 ai menzionati effetti delle delibere demandate alle giunte camerali, restano pur sempre, in difetto di queste e, prima ancora, della diversa volontà delle parti, la terza fonte, tuttora in vigore per la determinazione della misura della provvigione (Cass. III, n. 13656/2012).

In tema di mediazione, vige il principio generale per cui da un medesimo rapporto mediatorio, nascente da un contratto cd. di mediazione propria o da un contratto di mandato (cd. mediazione impropria), sorge il diritto ad un unico compenso, e ciò anche se, in successione di tempo, siano intervenute una mediazione tipica ed una atipica; tuttavia, ad avviso della S.C., il diritto alla provvigione, per l'espletamento fattivo e con esito positivo di una intermediazione, può coesistere con il diritto a percepire una somma ulteriore per lo stesso affare qualora il cliente non abbia accettato una precedente proposta conforme alle istruzioni date e nell'atto di conferimento dell'incarico sia stato espressamente pattuito il pagamento, in tale caso, di una penale corrispondente alla provvigione o comunque ad essa proporzionata (Cass. III, n. 21758/2016).

Bibliografia

Carraro, La mediazione, Padova, 1960; Cataudella, Mediazione, in Enc. giur., XIX, Roma, 1990; Giordano, Struttura essenziale della mediazione, in Riv. dir. comm. 1957, I, 214; Guidotti, Ancora in tema di mediazione, in Giur. comm. 2005, 2, 176; Guidotti, La mediazione, in Contr. impr., 2004, 927; Minasi, Mediazione, in Enc. dir., XXVI, Milano, 1976; Rolfi, Il mediatore ed il diritto alla provvigione, in Giur. mer. 2011, 1, 85; Sesti, Responsabilità aquiliana del mediatore-mandatario nei confronti del soggetto promissario acquirente del bene, in Resp. civ. e prev.2009, 11, 2286.

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