Codice Civile art. 2356 - Responsabilità in caso di trasferimento di azioni non liberate (1).

Mauro Di Marzio

Responsabilità in caso di trasferimento di azioni non liberate (1).

[I]. Coloro che hanno trasferito azioni non liberate sono obbligati in solido con gli acquirenti per l'ammontare dei versamenti ancora dovuti, per il periodo di tre anni dall'annotazione del trasferimento nel libro dei soci.

[II]. Il pagamento non può essere ad essi domandato se non nel caso in cui la richiesta al possessore dell'azione sia rimasta infruttuosa.

(1)Articolo sostituito dall' art. 1 d.lg. 17 gennaio 2003, n. 6 , con effetto dal 1° gennaio 2004. La legge ha modificato l’intero capo V, ed è stata poi modificata e integrata dal d.lg 6 febbraio 2004, n. 37, la cui disciplina transitoria è dettata dall'art. 6. Il testo dell'articolo recitava: «[I]. Coloro che hanno trasferito azioni non liberate sono obbligati solidalmente con gli acquirenti per l'ammontare dei versamenti ancora dovuti, per il periodo di tre anni dal trasferimento. [II]. Il pagamento non può essere ad essi domandato se non nel caso in cui la richiesta al possessore dell'azione sia rimasta infruttuosa»

Inquadramento

Gli artt. 2354-2356 c.c. sono dedicati alle caratteristiche dei titoli azionari ed alla loro circolazione. Le azioni sono titoli di credito causali connotati da un carattere di letteralità incompleta. Quantunque l'art. 2353 c.c. contempli ancora la possibilità di emettere titoli al portatore, il legislatore ha da tempo sancito la necessaria nominatività delle azioni ex art. 1 r.d.l. n. 1148/1941) con le eccezioni delle azioni delle Sicav (art. 45, comma 4 d.lgs. n. 58/1998) e delle azioni di risparmio (art. 145, comma 3 TUF).

Il regime di nominatività obbligatoria dei titoli azionari, introdotto sull'intero territorio nazionale con il d.P.R. n. 600/1973, emesso in attuazione della legge delega n. 825/1971, ha reso impossibile, sin dal momento della sua entrata in vigore, l'emissione di nuove azioni al portatore, per ciò stesso escludendo ogni ulteriore vigenza della legge della Regione Sardegna n. 10/1957, la quale, fino a quel momento, aveva consentito all'Amministrazione regionale di autorizzare l'emissione di titoli siffatti al fine di creare o gestire nuovi impianti industriali nel territorio della Regione. Il sopravvenuto regime di nominatività obbligatoria dei titoli azionari, tuttavia, non preclude all'Amministrazione regionale, la quale abbia ricevuto in epoca anteriore il deposito cauzionale di azioni al portatore a garanzia dell'adempimento degli obblighi imposti al privato in base alla predetta legge reg., di procedere, in presenza delle previste condizioni (come la non realizzazione delle opere e degli impianti progettati nel previsto termine), all'incameramento della cauzione, e ciò stante l'irrilevanza del sopravvenuto obbligo di conversione di tali titoli rispetto alla loro funzione cauzionale, considerato che le azioni al portatore costituivano (almeno sino alla scadenza del termine per la loro utile conversione in titoli nominativi) beni atti alla circolazione, dotati di valore economico, e quindi idonei a svolgere l'indicata funzione (Cass. S.U., n. 14854/2006).

Circolazione delle azioni

L'art. 2355 c.c. disciplina l'efficacia del trasferimento delle azioni non tra i contraenti, ma nei rapporti tra l'azionista e la società: la norma regola cioè il trasferimento delle azioni in caso di mancata emissione dei titoli.

La società per azioni, difatti, può non emettere documenti azionari. In tal caso, il primo comma della disposizione stabilisce che il trasferimento delle azioni ha effetto nei confronti della società dal momento dell'iscrizione nel libro dei soci (Dal Soglio, 309; Ghionni Crivelli Visconti, 1010). La società è tenuta a provvedere a detta iscrizione su istanza degli interessati (Dal Soglio, 314; Giannelli, 2008, 548).

Trasferimento delle azioni

Secondo l'opinione che sembra essere prevalente, opera, con riguardo al trasferimento delle proprietà delle azioni, il principio del consenso sancito dall'art. 1376 c.c.: e, cioè, la proprietà dei titoli si trasferisce per effetto del consenso (Ferrara, Corsi, Gli imprenditori e le società, Milano, 2011, 387). È stato tuttavia anche sostenuto che per il trasferimento della proprietà sarebbe necessaria la trasmissione del possesso, in mancanza della quale il contratto avrebbe effetti meramente obbligatori (Delli Priscoli, 33).

La S.C., accogliendo il primo orientamento, ha affermato che l'effettuazione del c.d. transfert previsto dall'art. 2022, comma 1 c.c. non costituisce condizione di validità dell'acquisto o di produzione dell'effetto traslativo della proprietà del titolo, ma attiene alla fase esecutiva, certificativa e pubblicitaria del trasferimento, incidendo soltanto sulla legittimazione del nuovo socio; quest'ultimo, peraltro, pur non potendo esercitare alcun diritto sino a quando non si sia provveduto alle predette formalità (salvo quello di partecipare alle assemblee con le modalità previste dall'art. 4 l. n. 1745/1962), è pur sempre titolare del diritto di proprietà sul titolo, per il cui trasferimento non è quindi necessaria la redazione del c.d. fissato bollato, imposta per ragioni fiscali inerenti alla conclusione dei contratti di borsa, e non avente neppure una funzione surrogatoria o complementare rispetto all'esecuzione del transfert, ma solo di ulteriore documentazione di una cessione meramente consensuale (Cass. n. 17088/2008; Cass. n. 13106/2004; Cass. n. 1117/1998; Cass. n. 9314/1995).

Mentre le azioni al portatore si trasferiscono mediante consegna del documento, secondo la regola di cui all'art. 2003 c.c., le azioni nominative, le quali richiedono di essere intestate ad una persona fisica o giuridica, intestazione che deve essere effettuata direttamente sul titolo e deve risultare nel libro dei soci, si trasferiscono mediante transfert — ossia con l'annotazione del nuovo titolare, a cura della società emittente, sul titolo e nel libro soci — o girata ai sensi degli artt. 2022 e 2023 c.c. e 2, comma 1 r.d. n. 239/1942.

Occorre quindi chiarire che la cessione delle azioni di una società di capitali ha come oggetto immediato la partecipazione sociale e solo indirettamente la quota parte del patrimonio sociale che tale partecipazione rappresenta: sicché il reale valore dei titoli, in quanto rapportato alla consistenza patrimoniale della società, assume rilievo solo per effetto di una specifica obbligazione assunta dal cedente. Osserva a riguardo la S.C. che le carenze, o i vizi relativi alle caratteristiche e al valore dei beni ricompresi nel patrimonio sociale possono giustificare l'annullamento del contratto per errore o, ai sensi dell'art. 1497 c.c., la risoluzione per difetto di qualità della cosa venduta, solo se il cedente abbia fornito specifiche garanzie contrattuali, ovvero nel caso di dolo di un contraente, quando il mendacio o le omissioni sulla situazione patrimoniale della società siano accompagnate da malizie e astuzie volte a realizzare l'inganno e idonee, in concreto, a sorprendere una persona di normale diligenza (Cass. n. 15706/2008; Cass. n. 16031/2007; Cass. n. 26690/2006). Dunque, in caso di compravendita delle azioni di una società, che si assume stipulata ad un prezzo non corrispondente al loro effettivo valore, senza che il venditore abbia prestato alcuna garanzia in ordine alla situazione patrimoniale della società stessa, il valore economico dell'azione non rientra tra le qualità di cui all'art. 1429, n. 2 c.c., relativo all'errore essenziale. Pertanto, non è configurabile un'azione di annullamento della compravendita basata su una pretesa revisione del prezzo tramite la revisione di atti contabili (bilancio e conto profitti e perdite) per dimostrare quello che non è altro che un errore di valutazione da parte dell'acquirente, anche quando il bilancio della società pubblicato prima della vendita sia falso e nasconda una situazione tale da rendere applicabili le norme in materia di riduzione e perdita del capitale sociale (Cass. n. 16031/2007).

Limiti alla circolazione delle azioni

In linea generale le azioni, attesa la loro natura di titoli di credito, possono essere liberamente fatte oggetto di trasferimenti. Tuttavia, oltre ai limiti legali talora previsti (p. es. artt. 2343 comma 3, 2345, comma 2 c.c.), limiti alla circolazione delle azioni possono essere stabiliti con l'atto costitutivo o in accordi parasociali. Quanto ai primi, occorre rammentare che, secondo, ai sensi l'art. 2355-bis c.c., lo statuto può vietare il trasferimento delle azioni per un periodo non superiore a cinque anni dalla costituzione della società o dal momento in cui il divieto viene introdotto.

Un limite al trasferimento delle azioni può discendere altresì dalla clausola di prelazione, la quale si impone al socio che voglia cedere le azioni di offrirle preventivamente agli altri soci e di preferirli ai terzi a parità di condizioni (Busi, 453; Vattermoli, 175, Stanghellini, 148).

Secondo la S.C. la clausola statutaria di prelazione o di gradimento, ai sensi della quale la cessione delle quote deve essere preventivamente consentita dagli altri soci, cui spetta un diritto di prelazione all'acquisto a parità di condizioni, è applicabile solo alla cessione effettuata a favore di terzi e non a quella ad altri soci, poiché la previsione del gradimento non presenta alcuna autonomia rispetto a quella della prelazione e quindi l'applicazione congiunta è riferibile solo alle ipotesi in cui, cedendo le quote a terzi, si rende necessaria la valutazione dei soggetti interessati e l'eventuale esercizio della prelazione (Cass. n. 7857/1997). È fondamentale osservare che il patto di prelazione inserito nello statuto di una società di capitali (a differenza della prelazione meramente convenzionale discendente ad esempio da un patto parasociale) ed avente ad oggetto l'acquisto delle azioni sociali, in quanto preordinato a garantire un particolare assetto proprietario, ha efficacia reale e, in caso di violazione, è opponibile anche al terzo acquirente (Cass. n. 12956/2016; Cass. n. 12797/2012). La violazione della clausola statutaria contenente un patto di prelazione comporta dunque, in ragione della sua efficacia reale, l'inopponibilità ai soci e alla società della cessione della partecipazione sociale, nonché l'obbligo di risarcimento del danno. Essa non determina, invece, l'attribuzione del retratto, in quanto forma di tutela che deve essere espressamente prevista dalla legge, non suscettibile di analogia (Cass. n. 24559/2015). L'opponibilità del patto di prelazione ha cioè efficacia erga omnes e può essere fatta valere dalla società rifiutando di riconoscere quale socio l'acquirente della partecipazione e dal socio pretermesso che ha manifestato l'intenzione di acquistare, alle stesse condizioni concordate fra il socio alienante e il terzo acquirente, la partecipazione alienata (Trib. Milano 9 marzo 2015, in ilsocietario.it).

Nella giurisprudenza di merito è stato affermato che la clausola di prelazione deve essere oggetto di una interpretazione tendenzialmente restrittiva. Il tenore letterale dell'art. 2355-bis, comma 1 c.c. depone nel senso di inquadrare la clausola di prelazione come regola di organizzazione della società, stabilendo che il trasferimento della partecipazione sociale abbia effetto nei confronti della stessa solo in seguito ad una precisa procedura prevista nello statuto e voluta dai soci (cfr., in particolare, Cass. n. 12370/2014). La clausola di prelazione deve, pertanto, essere oggetto di una interpretazione tendenzialmente restrittiva sulla base di due importanti considerazioni: da un lato, la ricostruzione del contenuto di tali limiti statutari richiede un'attenta lettura e interpretazione del relativo testo, non essendo disponibile un'analitica regolamentazione suppletiva dei medesimi; dall'altro lato, questa stessa attività interpretativa deve essere condotta nella consapevolezza del delicato bilanciamento tra la natura, in linea di principio, eccezionale di ogni vincolo alla circolazione delle azioni, rispetto alla regola generale della libera trasferibilità, e la tutela sostanziale degli interessi in gioco (Trib. Roma 9 maggio 2017).

Responsabilità per il trasferimento di azioni non liberate

L'art. 2356 c.c. introduce una forma di responsabilità solidale, tra l'alienante di azioni non liberate e l'acquirente delle stesse per il pagamento dei versamenti ancora dovuti, con il limite temporale, per l'alienante, di tre anni con decorrenza dall'annotazione del trasferimento nel libro soci.

La società è sottoposta ad un onere di preventiva richiesta e non di escussione (Campobasso, 187).

Bibliografia

V. sub art. 2346 c.c.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario