Decreto legislativo - 24/02/1998 - n. 58 art. 127 sexies - Azioni a voto plurimo 1 . Art. 127-sexies.

Mauro Di Marzio

Azioni a voto plurimo 1.

Art. 127-sexies.

1. In deroga all'articolo 2351, quarto comma, del codice civile, gli statuti non possono prevedere l'emissione di azioni a voto plurimo.

2. Le azioni a voto plurimo emesse anteriormente all'inizio delle negoziazioni in un mercato regolamentato mantengono le loro caratteristiche e diritti. Se lo statuto non dispone diversamente, al fine di mantenere inalterato il rapporto tra le varie categorie di azioni, le societa' che hanno emesso azioni a voto plurimo ovvero le societa' risultanti dalla fusione o dalla scissione di tali societa' possono procedere all'emissione di azioni a voto plurimo con le medesime caratteristiche e diritti di quelle gia' emesse limitatamente ai casi di:

a) aumento di capitale ai sensi dell'articolo 2442 del codice civile ovvero mediante nuovi conferimenti senza esclusione o limitazione del diritto d'opzione;

b) fusione o scissione.

3. Nel caso previsto dal comma 2 gli statuti non possono prevedere ulteriori maggiorazioni del diritto di voto a favore di singole categorie di azioni ne' ai sensi dell'articolo 127-quinquies.

[1] Articolo inserito dall'articolo 20, comma 1, lettera aa-bis) del D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni dalla Legge 11 agosto 2014, n. 116.

Inquadramento

Dall'azione discende il diritto di voto, ossia il principale diritto amministrativo, che consiste nel diritto del socio di concorrere, attraverso la manifestazione della propria volontà, all'assunzione delle deliberazioni assembleari (Cian, Sandei, 2015, 938).

Il comma 2 consente però allo statuto di creare azioni senza diritto di voto, con diritto di voto limitato a particolari argomenti, con diritto di voto subordinato al verificarsi di particolari condizioni non meramente potestative. La medesima disposizione non pone alcun limite dal punto di vista contenutistico in ordine a tali tipologie di azioni, ma solo quantitativo, giacché il valore di tali azioni non può superare la metà del capitale sociale.

Il diritto di voto può, ad esempio, essere limitato all'approvazione del bilancio, alla distribuzione degli utili, alla nomina ed alla revoca degli amministratori (Angelillis, Vitali, 422) o del collegio sindacale, all'autorizzazione all'esercizio dell'azione sociale di responsabilità, ovvero alle deliberazioni concernenti le operazioni sul capitale o le operazioni straordinarie. Per quanto riguarda la previsione di condizione, la disposizione stabilisce che non può trattarsi di condizioni meramente potestative, poiché il diritto di voto non può essere subordinato, anche in via indiretta, al mero benestare degli organi societari cui spetta il compito di verificare l'avveramento della condizione (Magliulo, 95).

Le azioni con voto plurimo.

Con il d.l. n. 91/2014 conv. in l. n. 116/2014 è stato eliminato il divieto, precedentemente vigente, di emissione di azioni con diritto a voto maggiore dell'unità. È stato dunque previsto che lo statuto possa prevedere la creazione di azioni con diritto di voto plurimo, anche per particolari argomenti o subordinato al verificarsi di particolari condizioni non meramente potestative, con il limite che ciascuna azione a voto plurimo può disporre fino a un massimo di tre voti.

Il legislatore ha in tal modo inteso introdurre una nuova categoria di azioni ai sensi dell'art. 2348 c.c. che si affianca a quelle già contemplate dal medesimo codice (Abriani, in Giustiziacivile.com, § 3). È stata inoltre giudicata legittima la previsione di un moltiplicatore variabile: ad esempio mediante il riconoscimento di un diritto di voto doppio nelle deliberazioni dell'assemblea ordinaria e triplo in quelle dell'assemblea straordinaria (Abriani, op. loc. cit.).

È sorta questione se, in presenza di azioni con voto plurimo, i quorum costitutivi debbano continuare a calcolarsi sul capitale nominale con la conseguenza che ciascuna azione dovrà essere computata in ragione del valore nominale ovvero se debbano riferirsi al numero complessivo dei voti, e non delle azioni, con l'esito di riconoscere alle azioni a voto plurimo una rilevanza plurima in ordine non solo alla approvazione della deliberazione assembleare, ma anche, ed ancor prima, alla costituzione dell'assemblea (Ferri, 2015, 761).

In uno studio del Consiglio notarile milanese, leggibile all'indirizzo www.consiglionotarilemilano.it, è stato affermato che, in presenza di azioni a voto plurimo, a voto limitato o senza diritto di voto, ai fini del calcolo dei quorum richiesti dalla legge e dallo statuto per la costituzione dell'assemblea ordinaria e straordinaria e per l'assunzione delle relative deliberazioni, si computa il numero dei voti spettanti alle azioni e non il numero delle azioni o la parte di capitale da esse rappresentata, salva una diversa disposizione statutaria. In caso di azioni il cui diritto di voto è suscettibile di variazione in dipendenza di situazioni soggettive dell'azionista, è stato ritenuto che: i) ai fini del calcolo dei quorum il cui denominatore sia costituito dal capitale sociale «totale», si debba computare il numero dei voti spettanti a tutte le azioni emesse, al momento dell'assemblea, tenendo conto delle situazioni soggettive risultanti alla società in forza dei criteri applicabili a seconda delle tecniche di legittimazione e circolazione delle azioni di volta in volta applicabili; ii) ai fini del calcolo dei quorum il cui denominatore sia costituito dal capitale sociale «rappresentato in assemblea», si debba computare il numero dei voti effettivamente spettanti alle azioni intervenute in assemblea; il tutto fatto salvo il disposto degli artt. 2368, comma 3, e 2357-ter, comma 2 c.c. A fondamento di tale affermazione è stato osservato che la regola «un'azione, un voto», in seguito alla modifica dell'art. 2351 c.c., ad opera del d.l. 91/2014, è derogabile sia verso il basso che verso l'alto. Verso il basso, può essere ridotto o anche eliminato il numero di voti spettanti a ciascuna azione, fermo restando il limite complessivo delle azioni a voto non pieno (art. 2351, comma 2 c.c.). Verso l'alto, può essere aumentato il numero di voti spettanti a ciascuna azione, sino al limite massimo di tre voti per azione (art. 2351, comma 4 c.c.). Tanto la riduzione quanto l'incremento del numero dei voti possono essere configurati dallo statuto in modalità diverse: possono essere fissi o variabili nel tempo, possono riguardare tutte le deliberazioni o alcune di esse, così come possono dipendere da condizioni non meramente potestative (come espressamente previsto dall'art. 2351, comma 3 c.c., per la riduzione del voto, da ritenersi applicabile anche all'ipotesi di incremento del voto). Tali condizioni possono a loro volta riguardare in modo «oggettivo» tutte le azioni a cui si applica la diminuzione o l'incremento del voto (ad esempio il raggiungimento o il mancato raggiungimento di determinati risultati economici da parte della società, il verificarsi di determinati eventi riguardanti la società o altre vicende previste dallo statuto), così come possono dipendere da situazioni «soggettive» legate al titolare delle azioni (ad esempio la sussistenza o meno di determinati requisiti soggettivi dell'azionista, quali la forma giuridica o l'età, oppure il numero di azioni possedute dall'azionista, etc.). In tutti questi casi di azioni a voto «quantitativamente» diverso occorre pertanto adeguare i criteri coi quali si procede sia al computo delle azioni che al calcolo dei quorum. La massima poc'anzi trascritta afferma la necessità di sostituire il numero delle azioni con il numero dei voti ad esse spettanti. Il che significa che in presenza di «azioni a voto quantitativamente diverso»: i) quando la base di calcolo è data dal capitale totale si deve prendere a riferimento il numero totale dei voti spettanti alle azioni emesse al momento della riunione assembleare; ii) quando invece la base di calcolo è costituita dal «capitale rappresentato», si deve prendere a riferimento il numero totale dei voti spettanti alle azioni intervenute. Tale criterio rappresenta il logico corollario della regola dettata espressamente dalla legge per una delle ipotesi di «azioni a voto quantitativamente diverso», ossia le azioni senza voto, ai sensi dell'art. 2368, comma 1 c.c.

Il voto degli strumenti finanziari partecipativi

L'art. 2351, ultimo comma c.c., introduce la possibilità di attribuire agli strumenti finanziari il diritto di voto su argomenti specificatamente indicati e che ad essi può essere riservata, secondo le modalità previste dallo statuto, la nomina di un componente indipendente del consiglio di amministrazione (o del consiglio di sorveglianza) e di un sindaco. La disposizione la letta insieme con l'ultimo comma dell'art. 2346 c.c., il quale ammette l'emissione di strumenti finanziari forniti di diritti patrimoniali o anche di diritti amministrativi, escluso il voto nell'assemblea generale degli azionisti.

Anche a questo proposito merita rammentare l'autorevole parere del Consiglio notarile milanese (leggibile all'indirizzo www.consiglionotarilemilano.it), secondo cui il «diritto di voto su argomenti specificamente indicati», che può essere attribuito agli strumenti finanziari partecipativi in forza della previsione dell'art. 2351, comma 5 c.c., non può dare luogo ad un'unica deliberazione formata con il conteggio indiscriminato, e riferito ad un'unica base di calcolo, delle presenze e dei voti degli azionisti e dei titolari di strumenti finanziari partecipativi. Qualora lo statuto (o il regolamento allegato allo statuto) preveda che la volontà dei titolari degli strumenti finanziari partecipativi debba formarsi in modo collegiale, pertanto, il loro diritto di voto deve essere esercitato nell'ambito di un'assemblea separata da quella degli azionisti o quanto meno deve dar luogo a una deliberazione formata con un conteggio separato dei voti degli strumenti finanziari partecipativi, a prescindere dal fatto che lo statuto (o il regolamento ad esso allegato) disponga che la riunione degli azionisti e dei titolari di strumenti finanziari partecipativi debba o possa avvenire contestualmente nel medesimo luogo. Gli «argomenti specificamente indicati» sui quali può essere previsto il voto dei titolari di strumenti finanziari partecipativi possono consistere in particolare: i) nell'esercizio di diritti e prerogative autonomamente concessi alla collettività degli strumenti finanziari partecipativi (come ad esempio la nomina di un componente degli organi sociali); ii) nell'approvazione di determinate deliberazioni di competenza dell'assemblea ordinaria o straordinaria degli azionisti, fatta eccezione per le materie per le quali la legge non consente la previsione di maggioranze più elevate (ossia l'approvazione del bilancio e la nomina e la revoca delle cariche sociali, ai sensi dell'art. 2369, comma 4 c.c.); iii) nell'autorizzazione al compimento di determinati atti da parte degli amministratori, a prescindere dal fatto che lo statuto preveda o meno l'autorizzazione dell'assemblea ordinaria ai sensi dell'art. 2364, comma 1, n. 5 c.c., in riferimento ai medesimi atti di amministrazione. All'assemblea dei titolari degli strumenti finanziari partecipativi si applica la disciplina dell'assemblea straordinaria, in forza del rinvio operato dall'art. 2376, comma 2 c.c., nei casi in cui essa debba riunirsi per l'approvazione delle deliberazioni dell'assemblea degli azionisti che pregiudicano i diritti di una categoria di strumenti finanziari partecipativi, ai sensi del primo comma dello stesso art. 2376 c.c. In ogni altro caso, lo statuto può liberamente disciplinare i profili procedurali e formali delle riunioni assembleari dei titolari di strumenti finanziari partecipativi, fermo restando che, in mancanza di apposita previsione a tal riguardo, si deve ritenere applicabile la disciplina delle assemblee straordinarie, per analogia con quanto disposto dallo stesso art. 2376 c.c. e dall'art. 2415, comma 3 c.c., per le assemblee degli obbligazionisti.

Bibliografia

V. sub art. 2346 c.c.

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