Decreto legislativo - 24/02/1998 - n. 58 art. 132 - Acquisto di azioni proprie e della società controllante.Acquisto di azioni proprie e della società controllante. Art. 132 1. Gli acquisti di azioni proprie, operati ai sensi degli articoli 2357 e 2357-bis, primo comma, numero 1), del codice civile, da società con azioni quotate, devono essere effettuati in modo da assicurare la parità di trattamento tra gli azionisti, secondo modalità stabilite dalla CONSOB con proprio regolamento1. 2. Il comma 1 si applica anche agli acquisti di azioni quotate effettuati ai sensi dell'articolo 2359-bis del codice civile da parte di una società controllata. 3. I commi 1 e 2 non si applicano agli acquisti di azioni proprie o della società controllante possedute da dipendenti della società emittente, di società controllate o della società controllante e assegnate o sottoscritte a norma degli articoli 2349 e 2441, ottavo comma, del codice civile, ovvero rivenienti da piani di compenso approvati ai sensi dell'articolo 114-bis2. 3 -bis . Le disposizioni del presente articolo si applicano anche agli acquisti di azioni proprie effettuati da emittenti che hanno richiesto o autorizzato la negoziazione di azioni di propria emissione su un sistema multilaterale di negoziazione italiano, o da società controllate3.
[1] Comma sostituito dall'articolo 9, comma 1, della legge 18 aprile 2005, n. 62 (Legge comunitaria 2004). [2] Comma modificato dall' articolo 2, comma 1, del D.Lgs. 29 novembre 2010, n. 224. [3] Comma aggiunto dall'articolo 3, comma 11, del D.Lgs. 10 agosto 2018, n. 107. InquadramentoIn linea di principio è possibile che la società per azioni acquisti azioni proprie, attesa la loro natura di titoli di credito (Campobasso, 244). Il legislatore guarda tuttavia con disfavore a tale eventualità, e conseguentemente la disciplina restrittivamente, avuto riguardo alla criticità di una simile operazione sotto diversi aspetti: si sottolinea difatti che l'acquisto di azioni proprie finirebbe per incidere sull'integrità del capitale sociale, giacché l'acquisto finirebbe per tradursi in una indiretta restituzione di capitale ai soci (Frè-Sbisà, 368); si aggiunge che l'acquisto di azioni proprie potrebbe ripercuotersi negativamente sul corretto funzionamento della società, dal momento che gli amministratori e, attraverso questi ultimi, la maggioranza azionaria, disporrebbe, a spese del patrimonio sociale, di una massa di diritti di voto; si evidenzia altresì che l'operazione in esame produrrebbe ricadute negative anche sul mercato dei titoli perché potrebbe dar luogo a manovre speculative dirette ad alterare le quotazioni delle azioni (Campobasso, 247). La norma stabilisce dunque che la società può procedere all'acquisto di azioni proprie purché: 1) le somme impiegate per l'acquisto non eccedano l'ammontare degli utili distribuibili e delle riserve disponibili risultanti dall'ultimo bilancio approvato; 2) si tratti di azioni interamente liberate; 3) l'acquisto venga autorizzato dall'assemblea, che ne fissa le modalità, indicando in particolare il numero massimo di azioni da acquistare, la durata, non superiore ai diciotto mesi, per la quale l'autorizzazione è accordata, il corrispettivo minimo ed il corrispettivo massimo; 4) per le sole società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, il valore nominale non superi complessivamente il 10% del capitale sociale. Casi speciali di acquisto delle proprie azioniL'art. 2357-bis c.c. contempla talune ipotesi particolari riguardo alle quali non trovano applicazione i limiti altrimenti previsti per l'acquisto delle azioni proprie. In particolare detti limiti sono inapplicabili quando l'acquisto avviene in esecuzione di una delibera assembleare di riduzione del capitale sociale da attuarsi mediante riscatto e annullamento di azioni, poiché in tal caso l'acquisto di azioni proprie costituisce soltanto una modalità di attuazione della riduzione, assoggettata alla disciplina di cui all'art. 2445 (Campobasso, 249). Disciplina delle proprie azioniL'art. 2357-ter c.c. si giustifica con l'intento perseguito dal legislatore di evitare la creazione di ingiustificate posizioni di vantaggio degli amministratori, finalità ottenuta attraverso la sterilizzazione dei diritti amministrativi derivanti dalla titolarità di azioni proprie (Campobasso, 250). Pertanto, il diritto di voto e gli altri diritti amministrativi sono sospesi. Viceversa, il diritto agli utili e il diritto di opzione sono riconosciuti (Bione, 375). Inoltre, gli amministratori non possono disporre delle azioni proprie se non dietro autorizzazione dell'assemblea, la quale deve stabilire le relative modalità e, precisamente, tutte le indicazioni stabilite per l'autorizzazione all'acquisto. Il comma 3 della stessa disposizione, entrato in vigore l'1 gennaio 2016, e che si applica ai bilanci relativi agli esercizi finanziari successivi, preclude l'iscrizione delle azioni proprie nell'attivo immobilizzato. Divieto di sottoscrizione delle proprie azioni.L'art. 2357-quater c.c. stabilisce un divieto assoluto di sottoscrizione delle azioni proprie da parte della società, destinato ad operare sia in sede di costituzione della medesima che in sede di aumento di capitale. La norma, in particolare, colpisce sia la sottoscrizione diretta da parte della società, sia la sottoscrizione indiretta, compiuta da terzi in nome proprio, ma per conto della società (Campobasso, 245). In base a quanto stabiliscono i commi secondo e terzo della stessa norma, la sottoscrizione da parte della società non è nulla, ma le azioni si intendono sottoscritte dai soggetti resisi autori della violazione del divieto, i quali sono come tale tenuti alla liberazione delle azioni (Campobasso, 245). In particolare, nell'ipotesi di sottoscrizione diretta, le azioni si intendono sottoscritte dai promotori e dai soci fondatori o, in caso di aumento del capitale sociale, dagli amministratori; nell'ipotesi di sottoscrizione indiretta, colui che abbia sottoscritto le azioni in nome proprio ma per conto della società è considerato a tutti gli effetti sottoscrittore per conto proprio. Altre operazioni sulle proprie azioniL'art. 2358 c.c. si riferisce ad altre operazioni sulle azioni proprie, ossia all'assistenza finanziaria per l'acquisto o la sottoscrizione di azioni proprie e all'accettazione di azioni proprie in garanzia. Il divieto di assistenza finanziaria per l'acquisto di azioni proprie è volto alla tutela dell'effettività del patrimonio sociale, e come tale ha carattere assoluto ed inderogabile. Ha stabilito la S.C. che, in tema di società per azioni, il divieto di assistenza finanziaria per l'acquisto di azioni proprie stabilito dall'art. 2358 c.c., in quanto diretto alla tutela dell'effettività del patrimonio sociale, ha carattere assoluto e va inteso in senso ampio. Ne consegue che è vietata qualsiasi forma di agevolazione finanziaria — avvenga essa prima o dopo l'acquisto — atteso che assume rilevanza il nesso strumentale tra il prestito o la garanzia e l'acquisto di azioni proprie, funzionale al raggiungimento da parte della società dello scopo vietato (Cass. n. 15398/2013, in fattispecie in cui era stato concesso un mutuo dopo l'acquisto delle azioni, ma a quest'ultimo strumentale). Per il resto, è stato affermato nella giurisprudenza di merito che l'art. 2358 c.c., con le espressioni prestiti e garanzie si riferisce ad istituti che assolvano una funzione tipica di garanzia e richiede che essi vengano impiegati allo scopo di favorire l'acquisto di azioni, con la conseguenza che le opzioni di vendita delle azioni non possono essere considerate una forma di assistenza finanziaria, nemmeno indiretta, concessa dalla società nel senso previsto da tale norma (Trib. Verona 26 maggio 2014, in Banca, borsa, tit. cred., 2015, 733). Lo stesso art. 2358 c.c. reca inoltre un divieto assoluto per la società di accettare direttamente o indirettamente azioni proprie in garanzia, con conseguente nullità della costituzione in garanzia (Campobasso, 253). I divieti menzionati non trovano applicazione a fronte di operazioni effettuate per favorire l'acquisto di azioni da parte di dipendenti della società o di quelli di società controllanti o controllate e sempre che le somme impiegate e le garanzie prestate siano contenute nei limiti degli utili distribuibili e delle riserve disponibili risultanti dall'ultimo bilancio regolarmente approvato (Campobasso, 253). Il leveraged buy-outCi si riferisce, con la formula leveraged buy-out, ad un'eterogenea tipologia di operazioni dirette all'acquisizione di una società, c.d. società target, mediante lo sfruttamento della capacità di indebitamento della medesima società bersaglio: operazioni, seppur eterogenee, tutte caratterizzate, dunque, dall'impiego dell'effetto di c.d. «leva finanziaria», diretto allo scopo di pervenire all'acquisizione non già mediante mezzi finanziari propri, bensì attraverso un indebitamento destinato infine a ricadere sulla società acquisita. L'elemento caratterizzante la figura è cioè rappresentato dalla traslazione dell'indebitamento contratto per portare a termine l'acquisizione dalla società acquirente alla società target (Montalenti, 20, ove si sottolinea che «il risultato sostanziale dell'operazione in qualsiasi forma essa si realizzi consiste ... nel far gravare sulla società acquisita il debito per l'acquisizione»). Il leveraged buy-out, in definitiva, determina lo «spostamento a valle del debito, portandolo sui libri dell'acquisita» (Vender, 73), sicché si realizza a prezzo della «copertura del leverage con le attività che erano proprie della società bersaglio» (Pardolesi, 405). Il tutto, sovente, non senza un intuitivo atteggiamento critico nei riguardi del leveraged buy-out, autorevolmente definito come «una tra le più audaci operazioni di arrembaggio alle fortune altrui che siano state inventate dalla fertile fantasia degli operatori nordamericani» (Cottino, 324). Considerata l'eterogeneità delle possibili operazioni, cui si è accennato, si discorre di leveraged buy-out come di una mera «etichetta» (Bertini, 1441), e si afferma che tale locuzione dovrebbe essere «senz'altro bandita dal lessico giuridico ... italiano: oltre a generare confusione, essa rende particolarmente ostica la ricostruzione dell'effettivo significato degli interventi giurisprudenziali» (Dolmetta, 239). Ed invero, il leveraged buy-out, può realizzarsi attraverso differenziate modalità operative (Ciampaglia, 1149; Papi Rossi, 36; Chieffi, 545), suscettibili di molteplici varianti, che non è questa la sede per approfondire. La principale criticità connessa al leveraged buy-out era in passato ravvisata nella sua attitudine ad infrangere i limiti all'acquisto di azioni proprie (art. 2357 c.c.) ed ancor più nel suo possibile utilizzo quale strumento di aggiramento del divieto posto dall'art. 2358 c.c., secondo cui la società non può accordare prestiti, né fornire garanzie per l'acquisto o la sottoscrizione delle proprie azioni. Dopodiché il leveraged buy-out è stato ammesso nell'ordinamento con la riforma del diritto societario del 2003, che ha fugato i dubbi concernenti la figura. La riforma ha però subordinato la liceità della operazione all'adempimento di precisi oneri. In particolare, gli amministratori delle società interessate all'operazione devono predisporre un piano economico e finanziario, confortato da una relazione di esperti che ne attesti la ragionevolezza, nel quale devono essere indicate le fonti delle risorse finanziarie e devono essere descritti gli obiettivi che si intendono raggiungere. BibliografiaV. sub art. 2346 c.c. |