Codice Civile art. 1368 - Pratiche generali interpretative.

Gian Andrea Chiesi

Pratiche generali interpretative.

[I]. Le clausole ambigue s'interpretano secondo ciò che si pratica generalmente nel luogo in cui il contratto è stato concluso.

[II]. Nei contratti in cui una delle parti è un imprenditore [2082], le clausole ambigue s'interpretano secondo ciò che si pratica generalmente nel luogo in cui è la sede dell'impresa.

Inquadramento

I criteri di interpretazione previsti dal codice civile sono di duplice natura, nel senso che un primo gruppo di norme (artt. 1362-1365 c.c.) regola l'interpretazione soggettiva (o storica), diretta ad accertare la comune intenzione delle parti mentre un secondo gruppo (artt. 1366-1371 c.c.) disciplina l'interpretazione oggettiva, la quale si propone di dare al contratto (o a sue singole clausole) il significato meglio rispondente ai valori di obiettiva ragionevolezza, equità e funzionalità, alla quale si fa ricorso quando la comune intenzione dei contraenti, pur dopo l'applicazione dei criteri appartenenti al primo gruppo, resta oscura o di dubbio significato.

L'art. 1368 c.c. detta un criterio di interpretazione delle clausole ambigue, prevedendo il ricorso alle pratiche interpretative generali diffuse e consolidate in un certo ambiente ed in un certo periodo: la ratio di tale previsione può essere facilmente rinvenuta nella considerazione che il loro rispetto corrisponde al comportamento ordinario e normale dei soggetti che le rispettano.

Nel fare riferimento alle pratiche generalizzate degli affari, costantemente applicate in termini generali in un dato luogo o settore di affari la norma fa riferimento agli usi interpretativi e, in specie, a quelli generali e non anche a quelli individuali, gli usi, cioè, cui le parti normalmente si attengono nella conclusione di negozi e che pure hanno la loro rilevanza ma sotto il diverso ambito di operatività dell'art. 1362 c.c., quale chiave di lettura del comportamento delle parti anteriore o successivo alla conclusione del contratto

Natura dell'interpretazione ex art. 1368 c.c.

L'uso interpretativo consiste in quei comportamenti dai quali sia possibile ricavare il significato che soggetti di un determinato luogo attribuiscono a certe espressioni — in sé astrattamente polisense — inserite all'interno dei contratti: non occorre, ovviamente, che tali usi siano praticati da tutti i membri di una certa collettività, ma la loro osservanza «su larga scala» consente di escludere dal novero degli usi interpretativi gli usi cd. speciali, riferiti, cioè, ad una determinata categoria di contraenti e sganciati da un determinato ambito territoriale (Oppo, 100).

La conclusione è avvalorata in giurisprudenza, per la quale l'art. 1368 c.c. fa riferimento agli usi generalizzati in un determinato settore e luogo e non già alla prassi istituitasi tra le parti in occasione di precedenti contrattazioni (Cass. n. 3342/1968).

Gli usi interpretativi di cui all'art. 1368 c.c. costituiscono un criterio ermeneutico di carattere oggettivo e sussidiario, il quale presuppone, secondo l'espresso tenore letterale della stessa disposizione (che riferisce l'applicabilità di tale criterio alle «clausole ambigue»), una persistente incertezza in ordine all'identificazione dell'effettiva volontà delle parti, rimanendo, pertanto, escluso allorché questa risulti determinata o determinabile, senza margini di dubbio, attraverso l'adozione di prioritari criteri legali di ermeneutica, come quelli (artt. da 1362 a 1365 c.c.) che regolano l'interpretazione soggettiva (o storica) del contratto. In sostanza, avendo valenza sussidiaria, trattandosi di un criterio di interpretazione oggettiva che può essere utilizzato solo quando non sia stata rinvenuta alcuna soluzione interpretativa alla luce dell'utilizzazione dei criteri di interpretazione soggettiva, il criterio ermeneutico ex art. 1368 c.c. non è invocabile con riferimento alle clausole che non presentino elementi di ambiguità. Conforme, in giurisprudenza, è l'indirizzo di Cass. sez. lav., n. 6752/1991.

Per altro verso, avendo dette pratiche interpretative carattere negoziale e non normativo, è onere della parte dedurre l'esistenza, il contenuto e la non corretta applicazione di determinati usi, che siano stati oggetto di specifica allegazione nel giudizio di merito (Cass. II, n. 6601/2012).

Segue. La natura degli usi interpretativi generali

Si registra una diversità di vedute tra chi ritiene che gli usi ex art. 138 c.c. gli stessi possano essere assimilati agli usi negoziali, disciplinati dall'art. 1340 c.c., giacché al pari di questi fanno riferimento alle regole interpretative che si praticano nel luogo in cui il contratto è concluso e chi, al contrario, ritiene che si tratti di fattispecie diverse.

Opta per la sostanziale equiparazione la giurisprudenza, per la quale (Cass. III, n. 3342/1968) la legge prevede due distinte categorie di usi, quelli normativi o giuridici, fonte sussidiaria di diritti nelle materie non regolate dalla legge e con funzioni integrative del contenuto delle norme scritte, e gli usi negoziali, interpretativi o integrativi della volontà dei contraenti incompletamente od ambiguamente espressa, in forza di clausole comunemente adottate nella località o nella zona in cui il contratto e concluso, e che possono, quindi, essere applicate normalmente ai negozi conclusi da contraenti che appartengano ad una determinata categoria di operatori economici, ove siano implicitamente od esplicitamente richiamati dalle parti. Analogamente si è osservato (Cass. I, n. 5942/1981) che gli usi interpretativi o negoziali costituiscono un mezzo di chiarimento e di interpretazione della volontà delle parti contraenti quando questa sia ambiguamente espressa o manchino i relativi patti.

In quanto usi negoziali, gli usi interpretativi generali divergono dagli usi normativi.

L'elaborazione dottrinaria consente di tracciare, infatti, una serie di differenze sostanziali tra le due categorie di usi: 1) le clausole d'uso consistono in quelle pratiche che non abbiano ancora raggiunto la costante applicazione e la diffusione idonea a trasformarle in norme pienamente distaccate dalla volontà dei singoli contraenti e non siano idonee a conseguire una tale indipendenza dalla volontà di questi, perché, essendo contrarie a norme dispositive di legge, possono trarre efficacia solo da tale volontà (Osti, 530); 2) gli usi negoziali non si intendono inseriti nel contratto, qualora risulti che le parti non li abbiano voluti mentre, relativamente agli usi normativi, l'art. 1374 c.c., usando la locuzione «obbliga», ne presuppone l'imperatività e, quindi, l'inderogabilità (Messineo, 940); 3) le clausole d'uso influiscono sulla formazione del contratto mentre gli usi normativi incidono su un contratto già formato, integrandone gli effetti, non dissimilmente da quanto fanno la legge e l'equità; 4) la consuetudine ha un'applicazione generalizzata mentre l'uso negoziale ha un'applicazione più delimitata, ossia settoriale (Scognamiglio, 235; 5) gli usi negoziali peccano, diversamente da quelli normativi, dell'elemento soggettivo dell'opinio iuris ac necessitatis; 6) la violazione degli usi negoziali non consente il ricorso giudiziale in sede di legittimità, ammesso, al contrario, per la violazione degli usi normativi (Mirabelli, 126).

Conforme la giurisprudenza, per la quale (Cass. I, n. 12507/1999) la configurabilità di un uso normativo richiede due requisiti, l'uno — di natura oggettiva — consistente nella uniforme e costante ripetizione di un dato comportamento, l'altro — di natura soggettiva o psicologica — consistente nella consapevolezza di prestare osservanza, operando in un certo modo, ad una norma giuridica, di modo che venga a configurarsi una norma — sia pure di rango terziario, in quanto subordinata alla legge ed ai regolamenti — avente i caratteri della generalità e della astrattezza. L'esigenza del requisito soggettivo deve reputarsi imprescindibile, posto che altrimenti si ridurrebbe il fenomeno consuetudinario al rango della mera prassi. In termini anche Cass. I, n. 4498/2002. È invece discusso, in giurisprudenza, se gli usi normativi possano essere distinti dagli usi negoziali sulla base delle norme che, rispettivamente, li richiamano: in senso favorevole a tale soluzione Cass. I, n. 76/1988, mentre esclude tale possibilità Cass. sez. lav., n. 86/1986 per cui l'uso negoziale rileva anch'esso sotto il profilo dell'integrazione contrattuale

Ambito di applicabilità della previsione

Gli usi interpretativi cui fare riferimento nell'applicazione dell'art. 1368 c.c. sono quelli riferiti al luogo in cui il contratto è stato concluso.

Si evidenzia che, ove si tratti di contratti conclusi con un imprenditore, si deve avere riguardo alle pratiche interpretative del luogo in cui ha sede l'impresa; ove sussistano più sedi in luoghi diversi, deve darsi prevalenza al luogo della sede principale mentre, nel conflitto tra sede formale e sede effettiva, prevale la seconda, salvo che non sia invocato l'interesse a far valere la sede registrata a favore della parte in buona fede (Oppo, 77). Qualora entrambe le parti del contratto siano imprenditori, troverà applicazione l'uso interpretativo del luogo in cui il contratto è stato concluso (Carresi, 545), salvo che le imprese non abbiano sede nel medesimo luogo.

Ugualmente si applicherà l'uso del luogo di formazione del contratto qualora, pur essendo una delle parti un imprenditore, non si tratti di contratto d'impresa, ossia di contratto che abbia attinenza con l'attività imprenditoriale esercitata dalla parte (Carresi, 545).

Controversa è la loro rilevabilità di ufficio.

In senso contrario si osserva che, non avendo gli usi interpretativi natura normativa, è preclusa la possibilità del giudice di rilevarli d'ufficio, non operando il principio iura novit curia.

La giurisprudenza appare tuttavia ondivaga sul punto, giacché mentre da un lato si precisa che la parte che richiede l'applicazione di un uso interpretativo deve fornire la prova della sua esistenza e del relativo contenuto, salvo che esso non sia noto al giudice (Cass. n. 2970/1962), dall'altro si osserva, in senso contrario, che avendo dette pratiche interpretative carattere negoziale e non normativo, è onere della parte dedurre l'esistenza, il contenuto e la non corretta applicazione di determinati usi, che siano stati oggetto di specifica allegazione nel giudizio di merito (Cass. II, n. 6601/2012)..

Bibliografia

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