Codice Civile art. 1369 - Espressioni con più sensi.Espressioni con più sensi. [I]. Le espressioni che possono avere più sensi devono, nel dubbio, essere intese nel senso più conveniente alla natura e all'oggetto del contratto. InquadramentoI criteri di interpretazione previsti dal codice civile sono di duplice natura, nel senso che un primo gruppo di norme (artt. 1362-1365 c.c.) regola l'interpretazione soggettiva (o storica), diretta ad accertare la comune intenzione delle parti mentre un secondo gruppo (artt. 1366-1371 c.c.) disciplina l'interpretazione oggettiva, la quale si propone di dare al contratto (o a sue singole clausole) il significato meglio rispondente ai valori di obiettiva ragionevolezza, equità e funzionalità, alla quale si fa ricorso quando la comune intenzione dei contraenti, pur dopo l'applicazione dei criteri appartenenti al primo gruppo, resta oscura o di dubbio significato. L'art. 1369 c.c. si occupa delle espressioni polisense, chiarendo che esse vanno intese in relazione alla natura ed al contenuto del contratto: si vuole, cioè, che la terminologia usata dalle parti sia indirizzata verso un'interpretazione coerente ed armonizzata con l'oggetto o lo scopo pratico del contratto. In sostanza, nel caso di espressioni caratterizzata da una molteplicità di significati, tutti indirizzati verso il conseguimento di un risultato giuridicamente utile (diversamente, infatti, troverebbe applicazione il criterio dell'interpretazione conservativa dettato dall'art. 1367 c.c.), se non sia possibile dirimere altrimenti il dubbio circa l'effetto voluto dalle parti, nel rintracciare la comune intenzione delle parti deve farsi riferimento al senso più conveniente rispetto alla natura e all'oggetto del contratto Natura dell'interpretazione ex art. 1369 c.c.Secondo la parte maggioritaria della dottrina il criterio in esame ha valenza oggettiva e sussidiaria (Carresi, 545), ma non manca chi ritiene che si verserebbe addirittura in presenza di un criterio — peraltro fondamentale — di interpretazione soggettiva, essendo necessario, onde indagare la comune volontà delle parti, tenere in debito conto la causa concreta dell'affare (Mirabelli, 280): il richiamo alla causa concreta ed all'oggetto del contratto determina l'esistenza di un legame indissolubile con la comune intenzione dei contraenti, con la conseguenza ulteriore che ne discende per cui l'art. 1369 c.c., pur topograficamente collocato tra i criteri di interpretazione oggettiva, disciplinerebbe, in realtà, un'ulteriore criterio di interpretazione soggettiva. Considerata la mutata natura della causa (oggi ricostruita in termini di causa in concreto), la più recente giurisprudenza, affermato che l'elemento letterale, sebbene centrale nella ricerca della reale volontà delle parti, deve essere riguardato alla stregua di ulteriori criteri ermeneutici e, segnatamente, di quello funzionale, che attribuisce rilievo alla «ragione pratica» del contratto, in conformità agli interessi che le parti hanno inteso tutelare mediante la stipulazione negoziale (Cass. III, n. 17718/2018) e della buona fede, che si specifica nel significato di lealtà e si concreta nel non suscitare falsi affidamenti e nel non contestare ragionevoli affidamenti ingenerati nella controparte (Cass. III, n. 6675/2018), giunge infine alla conclusione per cui la comune intenzione dei contraenti deve essere ricercata avendo riguardo al senso letterale delle parole da verificare alla luce dell'intero contesto negoziale ai sensi dell'art. 1363 c.c., nonché ai criteri d'interpretazione soggettiva di cui agli artt. 1369 e 1366 c.c., e volti, rispettivamente, a consentire l'accertamento del significato dell'accordo in coerenza con la relativa ragione pratica o causa concreta e ad escludere — mediante comportamento improntato a lealtà ed a salvaguardia dell'altrui interesse — interpretazioni cavillose deponenti per un significato in contrasto con gli interessi che le parti hanno voluto tutelare mediante la stipulazione negoziale (Cass. II, n. 7927/2017). Risulta in tal modo superato l'orientamento granitico che escludeva che si trattasse di un criterio di interpretazione soggettiva (Cass. III, n. 226/1964) e che fondava tale conclusione sulla considerazione per cui il criterio ex art. 1369 c.c. concernerebbe le clausole ambigue e quelle nelle quali sussiste un'involontaria inadeguatezza delle formule usate dalle parti rispetto alla realtà, non riguardando le ipotesi in cui non ricorre alcuna ambiguità e le espressioni usate rispondono pienamente alla comune intenzione dei contraenti (Cass. I, n. 217/1965). Nello stesso senso Cass. II, n. 3671/2024: sebbene centrale nella ricerca della reale volontà delle parti, l'elemento letterale non va considerato isolatamente, ma in correlazione con gli altri criteri ermeneutici e primariamente quello funzionale, in coerenza cioè con gli interessi che le parti hanno specificamente inteso tutelare ("causa concreta") mediante la stipulazione con la quale convenzionalmente determinano la disciplina accettata come vincolante del loro rapporto contrattuale. Quanto ai termini in cui si sostanzia il criterio ermeneutico posto dall'art. 1369 c.c., si è chiarito che la maggiore convenienza rispetto alla natura e all'oggetto dell'accordo può consentire un'interpretazione delle clausole contrattuali in ragione del principio di coerenza con l'ordinamento statale, comportante la necessità che l'accordo sia letto in coerenza con gli istituti legali su cui viene ad incidere, con il conseguente rifiuto di opzioni interpretative dirette a contraddirne le relative discipline ed a porsi in contrasto con norme inderogabili volte a tutelare interessi indisponibili, nonché in una prospettiva di realizzazione del giusto bilanciamento tra contrapposti interessi (Cass. sez. lav., n. 12271/2003) Ambito di applicabilità della previsioneSi trova affermato in dottrina che la norma non si applica ai negozi familiari né agli atti di ultima volontà (Santoro Passarelli, 234).. 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