Il diritto del curatore al contraddittorio secondo lo Statuto del contribuente

29 Maggio 2019

L'art. 12, comma 7, L. 212/2000 (cd. Statuto del contribuente), rubricato “Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali”, dispone che nel rispetto del principio di collaborazione fra Amministrazione e contribuente, quest'ultimo, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura dei controlli, può comunicare all'ente impositore nei sessanta giorni successivi ogni propria osservazione e/o richiesta.

L'art. 12, comma 7, L. 212/2000 (cd. Statuto del contribuente), rubricato “Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali”, dispone che nel rispetto del principio di collaborazione fra Amministrazione e contribuente, quest'ultimo, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura dei controlli, può comunicare all'ente impositore nei sessanta giorni successivi ogni propria osservazione e/o richiesta.

Tale disposizione prevede, espressamente, che l'ente impositore non possa emettere l'avviso di accertamento prima della scadenza del menzionato termine, a meno che non vi siano circostanze di particolare e motivata urgenza.

Tale regola, per effetto dell'art. 2, comma 1, L. n. 212/2000, si applica a qualsiasi accesso, ispezione, verifica eseguita presso i locali destinati all'esercizio dell'attività economica e/o professionale del contribuente.

La norma in oggetto non è invece applicabile agli accertamenti che non prendano avvio da accessi, ispezioni e/o verifiche presso i locali sede d'esercizio dell'attività del contribuente, come nel caso – ad esempio – dei controlli incentrati su indagini finanziarie (Cass. civ., sez. VI, ord. del 26 maggio 2016, n. 10908).

Dall'applicazione dell'art. 2, comma 7, dello Statuto del contribuente derivano due conseguenze: la prima, che rappresenta un obbligo per l'Amministrazione finanziaria, la seconda, un diritto per il soggetto passivo d'imposta.

Da un lato, è necessario che, conclusasi la verifica fiscale, l'ente impositore enuclei i relativi risultati in un processo verbale di constatazione; dall'altro, il contribuente deve poter accedere al contraddittorio nei sessanta giorni successivi, presentando ogni propria osservazione difensiva.

Il mancato rispetto della norma in oggetto – e, dunque, ove l'atto impositivo venga emesso prima che sia decorso il termine di sessanta giorni dalla chiusura del processo verbale – comporta la nullità dell'accertamento, per violazione di legge.

In questo senso, secondo le Sezioni unite, il mancato rispetto del termine determina l'illegittimità dell'avviso di accertamento, dal momento che tale termine è “posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva” (Cass., civ. sez. un., 29 luglio 2013, n. 18184).

Affinché l'atto impositivo emesso ante tempus sia valido è dunque necessario che vi siano ragioni di particolare urgenza – e ciò anche se le stesse, purché sussistenti, non siano espressamente indicate nell'atto (Cass., civ. sez. V, 13 luglio 2012, n. 11944).

Peraltro, in presenza di contestazioni da parte del contribuente, l'ente impositore deve dar prova dei motivi che abbiano legittimato l'emissione dell'avviso di accertamento in via anticipata (Cass., civ. sez. V, 14 novembre 2014, n. 24316).

Sotto un profilo generale, non integra il requisito di particolare urgenza il fatto che i termini previsti dalla legge per il compimento dell'iter accertativo siano in scadenza (non assume rilevanza l'interesse generale al corretto svolgimento dell'azione erariale).

La particolare urgenza deve infatti attenere ad un fatto direttamente e specificamente riconducibile al rapporto oggetto del procedimento tributario (Cass., civ. sez. V, 16 marzo 2016, n. 5149).

Venendo al fallimento, l'apertura del concorso nei confronti del contribuente soggetto a verifica tributaria rappresenta, secondo la Corte di Cassazione, un motivo di particolare urgenza.

L'emissione dell'atto impositivo ante tempus è giustificato, ad esempio, dalla necessità per l'ente erariale di procurarsi con tempestività il titolo in base al quale richiedere l'ammissione al passivo (Cass., civ. sez. V, 28 giugno 2016, n. 13294).

Peraltro, secondo la Suprema Corte, al di là del fatto che la partecipazione al concorso può avvenire anche in via tardiva, ex art. 101 l. fall., ulteriori ragioni di necessità sono pur ravvisabili nell'interesse a monitorare l'operato degli organi della procedura, così come a contestare eventualmente le altre posizioni creditorie concorrenti.

Del resto, non vi sarebbe alcuna lesione del principio d'eguaglianza ex art. 3 Cost. rispetto ad una possibile discriminazione fra contribuente in bonis e contribuente sottoposto a fallimento, dal momento che “la diversità delle due posizioni giustifica la diversità del loro trattamento” (Cass., civ. sez. V, 11 aprile 2018, n. 8892).

Se il termine ex art. 12, comma 7, L. n. 212/2000 è giustificabile nella prospettiva del contribuente in bonis, avendo egli piena facoltà di esperire il contraddittorio, lo stesso non potrebbe assumere alcuna rilevanza (recte, utilità) nell'ambito del concorso.

Il curatore non avrebbe infatti possibilità di rispettare il termine in oggetto, non potendo svolgere, in via autonoma, alcuna attività defensionale in ordine al rapporto tributario, se non nei limiti di quanto autorizzato dagl'organi della procedura (Cass. civ., sez. I, ord. 5 febbraio 2019, n. 3294).

Si può ritenere che la Corte di Cassazione, con il sopra ricordato orientamento che tende a ritenere inapplicabile al fallimento la norma ex art. 12, comma 7, Statuto del contribuente, abbia effettuato un bilanciamento fra gli interessi in gioco.

Da un lato, l'interesse erariale a prender parte tempestivamente alla procedura concorsuale attraverso la presentazione della domanda d'ammissione al passivo del fallimento, fondata sull'atto impositivo.

Dall'altro lato, l'interesse della curatela fallimentare a che non venga (oltremisura) compromesso il proprio diritto di difesa rispetto agli atti amministrativi frutto dell'esercizio della potestà impositiva.

Diritto di difesa il quale, nel caso di fallimento, deve invero intendersi come posto a tutela delle ragioni di tutti i creditori (carattere “universale” del concorso).

In questo quadro, non sembrerebbe giustificabile una diversità di trattamento fra la posizione del contribuente in bonis rispetto a quella del contribuente fallito.

Se è vero che il curatore è terzo rispetto agli atti compiuti dal debitore, “ereditandone” i rapporti giuridici senza avervi preso parte, tuttavia, con riferimento al rapporto giuridico d'imposta, le prerogative del soggetto passivo non vengono a decadere con l'apertura del concorso.

In primo luogo, secondo la stessa prassi ministeriale, per effetto dello spossessamento viene a verificarsi una sorta di surrogazione, se non successione, della curatela fallimentare rispetto alla posizione del contribuente (Ris. Agenzia Entrate n. 18/E del 2 febbraio 2007).

In questa prospettiva, l'Amministrazione finanziaria ritiene che il curatore sia tenuto ad adempiere non solo gli obblighi “propri”, previsti, come tali, dalla norma fiscale (principio di tassatività), ma anche gli obblighi di pertinenza del debitore, pur in assenza di disposizioni legislative in tal senso.

In secondo luogo, il venir meno della facoltà per il debitore di disporre del proprio patrimonio d'impresa non impedisce che il presupposto d'imposta si configuri in capo allo stesso contribuente, con effetti che si riverberano peraltro sul patrimonio acquisito al fallimento.

Apertosi il concorso, non muta dunque il soggetto passivo d'imposta, che resta il contribuente fallito, bensì, esclusivamente, il soggetto legittimato a compiere gli atti correlati al rapporto tributario.

Tale soggetto è il curatore fallimentare.

Egli opera quale soggetto “deputato” ex lege a compiere gli atti di natura tributaria che producano effetti nell'ambito della sfera patrimoniale del fallito, assumendo, rispetto al debitore, una funzione sostanzialmente sostitutiva.

E per quanto il curatore abbia peculiarità tutte proprie rispetto al contribuente, anche a motivo della rilevanza pubblicistica del concorso, egli conserva le prerogative del secondo ai fini dell'espletamento delle attività difensive, attesa l'incidenza del rapporto giuridico d'imposta rispetto al patrimonio fallimentare.

In questo quadro, appare meritevole di tutela il diritto della curatela – e, dunque, dell'intera massa dei creditori – a dar corso ad ogni più compiuto contraddittorio, da espletarsi nei sessanta giorni dalla chiusura della verifica fiscale, onde produrre all'ente impositore ogni elemento utile ai fini del compimento del procedimento tributario.

E ciò al fine di evitare, nel rispetto dei principi di collaborazione posti a fondamento dello Statuto del contribuente, oltreché dei principi costituzionali di buon andamento ed imparzialità della pubblica amministrazione, che venga emesso un avviso di accertamento – in ipotesi – infondato.

La legittima aspettativa erariale di prender parte tempestivamente al concorso, anticipando la chiusura del procedimento tributario rispetto al termine ex art. 12, comma 7, L. n. 212/2000, non parrebbe dunque idonea a comprimere il diritto di difesa della curatela, ultima destinataria, nella prospettiva concorsuale, degli effetti dell'accertamento.

Del resto, il termine di sessanta giorni previsto dall'art. 12, comma 7, L. n. 212/2000 appare congruo e sufficiente affinché il curatore possa riferire agli organi della procedura circa Il merito del rapporto tributario, e poter così ricevere dagli stessi, nei termini necessari, ogni eventuale autorizzazione a compiere attività difensionale.

Peraltro, a ben vedere, tale attività difensiva – partecipazione al contraddittorio, incontri con l'ufficio finanziario, presentazione di memorie –, non comportando l'esercizio di un potere dispositivo di natura patrimoniale, pur rientra nelle facoltà amministrative del curatore, per quanto sotto la vigilanza degli organi della procedura.

L'autorizzazione del giudice delegato si renderà, invece, necessaria qualora, all'esito del contraddittorio, la curatela fallimentare intenda proporre ricorso giurisdizionale avverso l'avviso di accertamento, ex art. 25, comma 1, l. fall., ovvero decida, alternativamente, di non procedere alla sua impugnazione.

Riteniamo, in conclusione, che vi siano spazi per una diversa valutazione del rapporto fra interesse erariale, pur sempre tutelato dai tratti marcatamente processualistici del concorso, ed interesse della curatela, nella propria funzione di garanzia rispetto alla massa, a che sia compiutamente esperito il contraddittorio ante causam in ordine all'attività accertativa, nel rispetto del diritto di difesa, costituzionalmente garantito.

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