L’affidamento diretto di un servizio a una società partecipata non qualifica la gestione come “in house”

10 Luglio 2019

È legittima la procedura avviata da due Comuni volta all'esternalizzazione di un servizio da svolgere nel loro territorio, anche se esiste una società partecipata dagli stessi Enti, peraltro derivante dalla trasformazione di un precedente Consorzio di Comuni, preposta alla gestione dello stesso servizio, purché tale società sia risultata affidataria in ragione di affidamenti (nella specie diretti) e non della sua natura di società in house.

Il caso. La vicenda trae origine da una gara bandita da due Comuni della Provincia di Pavia per l'affidamento del servizio d'igiene ambientale.

Avverso gli atti di gara e la successiva aggiudicazione proponeva ricorso (e poi motivi aggiunti) una società partecipata da una serie di Comuni della Provincia di Pavia, preposta alla gestione – in affidamento diretto – del servizio d'igiene ambientale e derivante dalla trasformazione di un precedente Consorzio di Comuni fra cui si annoveravano anche quelli che hanno bandito la gara oggetto d'impugnazione.

Nel rigettare il ricorso, il T.A.R. per la Lombardia ha respinto, in particolare, le doglianze della società ricorrente circa l'asserita violazione dell'art. 42 del d.lgs. n. 267 del 2000, in quanto, i due Comuni avrebbero avviato la procedura in questione senza che i rispettivi consigli comunali avessero deliberato sulle modalità organizzative del servizio. Infatti, la ricorrente sosteneva di essere affidataria in house del servizio di igiene ambientale nei suddetti Comuni. Tale ricostruzione, tuttavia, non è stata accolta dal T.A.R.

Il requisito del controllo analogo per la configurazione della gestione come “in house”. Il T.A.R. giudicante, nel respingere il primo motivo di ricorso, ha accertato l'effettiva natura della società partecipata ricorrente, non ritenendola riconducibile alla categoria delle società in house.

Ricorda il g.a. che tale figura è stata disciplinata dal legislatore agli artt. 5 e 192 del d.lgs. n. 50 del 2016 e all'art. 16 d.lgs. n. 175 del 2016.

Stante l'art. 5 co. 1 del codice, è possibile l'affidamento “in house” a una persona giuridica se l'amministrazione aggiudicatrice o l'ente aggiudicatore esercitano sulla persona giuridica stessa un “controllo analogo a quello che esercita sui propri servizi”: occorre, dunque, che la società in house costituisca una sorta di ente strumentale della stazione appaltante, praticamente quasi un suo “braccio operativo”.

La giurisprudenza amministrativa ha più volte evidenziato la necessità che il requisito del controllo analogo sia accertato in concreto: “il controllo analogo richiesto per configurare l'in house providing si sostanzia in un'influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti della società controllata, tale per cui quest'ultima, pur costituendo una persona giuridica distinta dall'ente pubblico partecipante, in realtà ne costituisce una mera articolazione organizzativa priva di effettiva autonomiaCons. Stato, sez. V, 16 novembre 2018, n. 6456).

Nel caso di specie, tuttavia, il g.a. ha escluso la natura di affidataria in house della società ricorrente.

Infatti, lo Statuto della società consente l'ingresso nel capitale sociale di privati, purché la partecipazione pubblica non scenda sotto il 50%: teoricamente, è quindi ammessa la possibilità per i privati di detenere la metà del capitale sociale, consentendo loro di esercitare quel potere di veto e di controllo che, ai sensi art. 5, co. 3 del d.lgs. n. 50 del 2016, esclude la natura di società in house della persona giuridica. Manca inoltre un meccanismo di controllo sulla cessione delle azioni a favore di soggetti privati.

Alla luce delle suesposte considerazioni – e data l'assenza in capo agli Enti partecipanti, al di là del numero di azioni possedute, di poteri penetranti di controllo sull'andamento della società e sull'approvazione degli atti fondamentali della medesima – non può considerarsi integrato il requisito del “controllo analogo”.

Di conseguenza, la società ricorrente non può che essere considerata come una “mera” società partecipata (seppur con la partecipazione dei Comuni che hanno bandito la gara oggetto d'impugnazione), in passato affidataria diretta del servizio, con rinnovi annuali, senza, peraltro, alcuna stipulazione di un formale contratto, ma sulla base di un piano finanziario redatto dai Comuni e di una ripartizione di costi predisposta dalla stessa società.

Del tutto legittima è, quindi, la scelta dei Comuni – concretatesi, inoltre, in due deliberazioni consiliari – di esternalizzare la gestione del servizio d'igiene ambientale.

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