Illegittimo l'obbligo di riassunzione totale del personale del precedente gestore ricavabile dalla lettura complessiva della legge di gara
29 Luglio 2019
Le clausole e i criteri stabiliti dalla legge di gara non possono comportare alcun obbligo di assumere a tempo indeterminato ed in forma automatica e generalizzata il totale del personale già utilizzato dalla precedente affidataria giacche' l'obbligo di riassorbimento dei lavoratori alle dipendenze dell'appaltatore uscente (nello stesso posto di lavoro e nel contesto dello stesso appalto) deve essere compatibile con l'organizzazione della nuova aggiudicataria.
Il caso La questione sottoposta all'attenzione del Collegio aveva ad oggetto la previsione di una clausola sociale all'interno di un bando di gara per l'affidamento del servizio di assistenza scolastica specialistica agli alunni con disabilità.
Il bando, infatti, imponeva un obbligo di riassunzione pari al 50% del personale utilizzato dal precedente gestore del servizio e stabiliva, inoltre, un criterio di valutazione delle offerte tale da premiare, in termini di punteggio (sino a un massimo di 25 punti sui 50 totali) il concorrente che si fosse impegnato a riassorbire il maggior numero del suddetto personale.
Secondo l'appellante il giudice di prima cure (TAR Lazio, Roma, 15 marzo 2019, n. 3479) aveva errato nel ritenere legittima tale previsione.
La soluzione del Collegio. Il Consiglio di Stato, in primo luogo, ha condiviso il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui la “clausola sociale” (in tal caso prevista sotto forma di clausola di riassorbimento), ammessa dall'art. 50 del c.c.p., deve essere interpretata in maniera conforme ai principi nazionali e comunitari di libertà di iniziativa imprenditoriale e di libera concorrenza. Se così non fosse tale tipologia di clausola risulterebbe lesiva della concorrenza in quanto tesa a limitare (in maniera sproporzionata) la platea dei partecipanti, nonché violativa della libertà d'impresa, riconosciuta e garantita dall'art. 41 Cost.
In altre parole, tale clausola deve essere interpretata in modo da non limitare la libertà di iniziativa economica e, comunque, evitando di attribuirle un effetto automaticamente escludente. Di conseguenza, l'obbligo di riassorbimento dei lavoratori alle dipendenze dell'appaltatore uscente, nello stesso posto di lavoro e nel contesto dello stesso appalto, deve essere reso compatibile con l'organizzazione di impresa prescelta dall'imprenditore subentrante e non può comportare alcun obbligo per l'impresa aggiudicataria di un appalto pubblico di assumere a tempo indeterminato ed in forma automatica e generalizzata il totale del personale già utilizzato dalla precedente impresa o società affidataria (Cons. Stato, Sez. III, 7 gennaio 2019, n. 142; Id., 5 maggio 2017, n. 2078; Cons. Stato, Sez. V, 17 gennaio 2018, n. 272; Cons. Stato, 7 giugno 2016, n. 2433; CGUE 9 dicembre 2004 C-460/2003; CGUE, 14 luglio 2005 C-386/2003).
Nel caso di specie il bando imponeva di riassumere, a pena di esclusione dalla gara, solo il 50 % dei lavoratori impiegati dal precedente gestore del servizio; tuttavia, a detta del Collegio, il contestuale operare di tale clausola e del criterio di valutazione dell'offerta tecnica previsto (volto a premiare la riassunzione del maggior numero dei detti lavoratori, con l'assegnazione di un punteggio addirittura pari alla metà (25 punti) di quello complessivamente attribuibile, al concorrente che si fosse impegnato a riassorbire tutto il restante 50% del personale in parola) produce effetti sostanzialmente analoghi a quelli di una clausola sociale di riassunzione pressoché totalitaria. Tale previsione condiziona in maniera significativa e “oltremodo rilevante” le scelte dell'imprenditore in merito alle modalità che lo stesso ritiene più appropriate di allocazione dei fattori di produzione imponendogli “un vincolo incompatibile con la libertà d'impresa, poiché idoneo a comprimere i valori di cui all'articolo 41, Cost. in modo eccessivo rispetto a quanto ragionevolmente esigibile nei confronti dell'operatore economico, il quale finirebbe per dover impropriamente assumere obblighi sostanzialmente riconducibili alle politiche attive del lavoro” (Cons. Stato, Sez. V, 28 agosto 2017, n. 4079).
In conlusione, il Collegio ha accolto l'appello. |