La tutela cautelare nei processi di regolazione della crisi

Danilo Galletti
05 Settembre 2019

Il Codice della crisi disegna finalmente strumenti di tutela cautelare strumentali all'assicurazione degli effetti pratici futuri tanto della procedura liquidatoria, quanto della procedura “conservativa”, lasciando al Giudice ampia discrezionalità in ordine al contenuto della tutela. A tale risultato era peraltro già pervenuta l'evoluzione giurisprudenziale, sfruttando gli spazi di libertà lasciati dal sistema.

L'art. 54, comma 1, CCII, prevede una tutela cautelare avente la funzione di “assicurare provvisoriamente gli effetti” tanto della sentenza che apre la liquidazione giudiziale, quanto di quella che omologa il concordato preventivo o gli accordi di ristrutturazione.

Ciò nell'ambito del procedimento “unitario” volto all'apertura di tali procedure, regolato dagli artt. 40 ss.

L'istanza, rimessa all'iniziativa della “parte”, ha per oggetto l'emissione di “provvedimenti cautelari, inclusa la nomina di un custode dell'azienda o del patrimonio, che appaiano, secondo le circostanze, più idonei” a conseguire i risultati di cui sopra.

Il recepimento del modello di cui all'art. 700 c.p.c. è evidente, ed assicura al Giudice ampi poteri, nonché la necessaria elasticità nel foggiare il contenuto del provvedimento adattandolo alle peculiarità concrete del contesto, senza essere rigidamente vincolato all'oggetto specifico delle richieste di parte, anche se pur sempre nell'ambito del principio della domanda di cui all'art. 99 c.p.c.

L'art. 55, comma 2, disegna poi un modello procedimentale sostanzialmente identico a quello di cui all'art. 669-sexies c.p.c., così rendendo ora esplicita la possibilità di ottenere tutela anche inaudita altera parte; i restanti profili saranno invece regolati dal procedimento cautelare uniforme; così deve ritenersi anche per il tema, prima assai discusso, della reclamabilità, che sarà assicurata ora dall'art. 669-terdecies c.p.c. nei confronti dei provvedimenti dal magistrato assegnatario, che sarà il Giudice Relatore, se già individuato come tale, oppure un altro Giudice designato dal Presidente (art. 55, comma 1).

La strumentalità, carattere essenziale per qualsiasi procedimento cautelare, sembra essere stata tratteggiata in un modo affatto peculiare: benché infatti la norma menzioni l'esigenza di “assicurare provvisoriamente gli effetti della sentenza”, mi pare evidente che in realtà il Legislatore non intendesse riferirsi tanto agli effetti giuridici dell'atto in senso stretto, che promanano cioè direttamente dallo stesso, quanto agli effetti pratici che trovano nella sentenza non già la loro fonte, bensì la loro premessa.

La sentenza in questione infatti non è un mero esercizio della giurisdizione di cognizione, che risolve una controversia fra privati, accertando un diritto, ma costituisce l'atto che dà l'avvio ad un ulteriore procedimento, che ha un suo scopo specifico.

Qualcosa di simile, d'altro canto, si registra in ordine all'esercizio della tutela cautelare strumentalmente ad altri processi di tipo non cognitorio, come ad es. per i processi esecutivi.

Gli effetti da assicurare pertanto sono quelli relativi agli atti che saranno compiuti nell'ambito di tale procedimento, soprattutto dagli organi nominandi, nei limiti ovviamente in cui essi siano prevedibili e tratteggiabili in questa fase, e vanno percepiti in termini di risultati pratici da conseguire, non di effetti posti in essere istantaneamente.

D'altro canto non si capirebbe diversamente quale strumentalità possa immaginarsi rispetto alla sentenza che omologa il concordato o l'accordo, che di per sé non producono effetti giuridici rilevanti che possano o debbano essere fatti salvi.

Non si tratta dunque di una tutela anticipatoria, in quanto essa non replica gli effetti giuridici del provvedimento finale, ma può essere foggiata in modo più libero, così da assicurarne l'idoneità a non compromettere l'attuazione degli obiettivi pratici della procedura insorgenda.

In tal modo mi sembra che possano essere deenfatizzate talune questioni processuali che altrimenti potrebbero porsi, e la cui soluzione in senso restrittivo potrebbe limitare non poco l'efficacia dell'istituto.

Così, non mi pare che possa costituire un problema, in questa prospettiva, la notoria tipicità delle tutele costitutive (art. 2908 c.c.): la tutela provvisoria infatti non potrà assicurare effetti che sono possibili o non prevedibili nella successiva procedura, ma per il resto potrà esplicarsi con modalità in gran parte atipiche, senza limiti preconcetti o precostituiti.

Ancora, non mi pare che si debba escludere a priori la possibilità di emettere provvedimenti che incidano sulla governance societaria: da un lato la nuova norma menziona espressamente la possibilità di nominare un “custode dell'azienda o del patrimonio”, ma dall'altro ciò non sembra dover amputare le più ampie possibilità offerte dalla tutela “atipica”, la cui maggiore libertà risulta anzi esaltata dalla soppressione dell'aggettivo “o conservativi” dopo “cautelari” rispetto al testo dell'art. 15, comma 8, l.fall.

Così, è certo vero che neanche col fallimento (e nemmeno oggi con la liquidazione giudiziale) gli amministratori cessano dalla carica, ma non si vede perché non possano essere foggiate tutele cautelari che agiscano medio tempore sui poteri degli amministratori in carica a più livelli: o inibendo il compimento di certi atti, eventualmente rimesso all'autorizzazione del Giudice, oppure sospendendo l'esercizio di certi poteri, anche rappresentativi, che vengano attribuiti sino alla decisione finale ad un soggetto nominato dal Tribunale (e la cui nomina sia opportunamente resa ostensibile tramite il Registro delle Imprese); o addirittura, nei casi più gravi, giungendo sino alla revoca degli amministratori in carica, con nomina di altri designati dal Tribunale.

Non costituisce infatti un ostacolo la “strumentalità”, posto che la stessa, come si diceva, va vista in relazione agli effetti pratici della successiva procedura insorgenda, non agli effetti giuridici della sentenza.

Sarà dunque il Tribunale a foggiare il contenuto della tutela, avendo cura di attribuire ai soggetti dallo stesso nominato poteri congrui in relazione agli scopi perseguiti, e non eccedenti rispetto agli stessi. Così ad es. per l'esercizio dell'impresa in previsione del futuro esercizio provvisorio fallimentare (Trib. Vicenza, 15 gennaio 2018).

Risulterà dunque normale riattribuire i poteri relativi all'esercizio dell'impresa ed alla disponibilità del patrimonio; non in ordine ai poteri relativi all'organizzazione della società, se non per quelli strumentali ad aspetti rilevanti anche per il futuro processo regolatorio della crisi, aspetti che risultano intonsi dalla procedura addirittura nella liquidazione giudiziale (anche se il principio di “neutralità organizzativa” è stato invero molto attenuato dalla Riforma).

Mentre resterà credo oggetto di dibattito la possibilità per l'amministratore nominato dal Tribunale di rappresentare nel giudizio a quo la società, e di assumere ogni iniziativa anche processuale in ordine alla regolazione della crisi, posto che il potere in questione, com'è noto, spetta sì agli amministratori (art. 152 l.fall.), ma nulla dice la legge in ordine alla loro sostituzione giudiziale.

Ove residuassero dei “vuoti” di potere, potrebbe forse soccorrere la nomina di un curatore speciale (v. ad es. in tal senso Trib. Trento, 6 maggio 2016).

Problematica appare la circostanza per cui tali tutele cautelari sono espressamente disegnate per la sola fase processuale che precede l'apertura della procedura: ma se ciò risulta evidentemente congruo rispetto alla liquidazione giudiziale, non altrettanto può dirsi per la fase che segue all'apertura del concordato, ove pure potrebbe sorgere la necessità di “assicurare” gli effetti pratici della futura omologazione.

Ritengo che in tal caso, vista la difficoltà di fare applicazione analogica dell'art. 54, e la ancora minore fruibilità dell'art. 700 c.p.c., si renderà opportuno che i legittimati facciano istanza per l'apertura della liquidazione giudiziale, che verrà riunita necessariamente al concordato (art. 7); in tale contesto processuale potrà essere così proposta la richiesta cautelare, sempre ai sensi dell'art. 54, ma in via strumentale alla futura liquidazione giudiziale, non al concordato.

Il che però farà sì che le esigenze cautelari soddisfatte potranno essere solo quelle che presuppongono una prognosi negativa in ordine al successo della regolazione “conservativa”.

Ad una tale soluzione era già pervenuta la giurisprudenza, in un caso in cui l'istruttoria prefallimentare era stata riunita al procedimento concordatario, secondo i dettami di Cass. Sez. Un., n. 9935/2015, che sono stati in sostanza recepiti dall'art. 7 CCII (v. Trib. Catania, 28 febbraio 2019, in Fallimento, 2019, p. 1062).

D'altro canto nemmeno la sospensione del processo, ed a maggior ragione la semplice e pratica impossibilità di trattare il processo per motivi legati alla pendenza di altra azione connessa, è di ostacolo all'esercizio della tutela cautelare.

Non mi pare del resto che nemmeno l'obbligo di dare priorità nella trattazione alle domande non “liquidatorie” (posto dal già citato art. 7 CCII) sia di ostacolo all'esercizio della tutela cautelare, che presuppone comunque una delibazione negativa in ordine ai presupposti di proseguibilità del procedimento regolatorio alternativo alla liquidazione, prognosi per cui tuttavia non si possa attendere la pronunzia definitiva del Tribunale: il Giudice non può infatti aprire la liquidazione prima di aver chiuso l'altro procedimento regolatorio, che è “prioritario”, ma ciò non implica che non possa nel frattempo “assicurarne gli effetti”.

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