Il privilegio nella liquidazione del patrimonio

10 Ottobre 2019

Nella liquidazione del patrimonio (art. 14-ter L. n. 3/2012), ho ricevuto una domanda di insinuazione al passivo per un debito derivante da finanziamento chirografario (prestito personale) poi rinegoziato per il residuo con rilascio di cambiali (allegate in originale alla domanda e a scadere da oggi fino al 2024). Il creditore chiede il privilegio pari al residuo piano cambiario. Ha diritto al privilegio?

Nella liquidazione del patrimonio (art. 14-ter L. n. 3/2012), ho ricevuto una domanda di insinuazione al passivo per un debito derivante da finanziamento chirografario (prestito personale) poi rinegoziato per il residuo con rilascio di cambiali (allegate in originale alla domanda e a scadere da oggi fino al 2024). Il creditore chiede il privilegio pari al residuo piano cambiario. Ha diritto al privilegio?

Le cause legittime di prelazione, di cui fanno parte i privilegi, concorrono all'applicazione del principio della par condicio creditorum (il cui principale appiglio normativo è costituito dall'art. 2741 c.c., in base al quale tutti i creditori hanno eguale diritto ad essere soddisfatti sul patrimonio del debitore, salve le cause legittime di prelazione) che nelle procedure collettive diventa regola assoluta. In tal senso, l'art. 111 l.fall. individua un preciso ordine gerarchico nella distribuzione delle somme derivanti della liquidazione degli asset patrimoniali del debitore, ordine che va dai creditori prededucibili ai chirografari, da soddisfarsi solamente allorché sia stata pagata l'intera classe prelatizia.

Orbene, dal quesito appare evidente che il rapporto concluso tra il debitore dell'obbligazione pecuniaria e il debitore (ora in sovraindebitamento) non aveva ragioni di prelazione, dovendosi escludere, in particolare, il privilegio.

Sempre leggendo il quesito, sembra che la richiesta del creditore di vedersi riconosciuto un trattamento poziore nella distribuzione del ricavato dalla liquidazione sia giustificato da due fattori: la rinegoziazione del pagamento; l'emissione di cambiali.

Per quanto riguarda la rinegoziazione, sembra potersi serenamente concludere che la ridefinizione per opera delle parti del piano di rientro di un debito non possa modificarne la natura del negozio in forza del quale il debito è sorto. Pertanto, ove il credito non beneficiasse di un privilegio in origine, la volontà delle parti sulle modalità di pagamento non può derogarne la relativa disciplina.

Per quanto riguarda il titolo cambiario, non pare che l'emissione dello stesso possa alterare le cause legittime di prelazione. È pur vero che tra le caratteristiche peculiari del titolo di credito di cui si discute vi è l'astrattezza, intesa come autonomia del titolo dal rapporto sottostante, tuttavia il carattere in questione ha validità per i terzi e non, invece, tra il solvens e l'accipiens.

In questo senso, il pagamento mediante l'emissione di titoli cambiari non sposta le caratteristiche del credito, il quale rimane al chirografo.


È anche vero che tale connotazione non comporta l'impossibilità delle due parti del rapporto sostanziale di eccepire circostanze derivanti da quest'ultimo per contrastare

Si prendono le mosse dalla situazione patrimoniale dei due coniugi, così da chiarire – preliminarmente – come si atteggi la stessa nei confronti delle obbligazioni contratte dai singoli. In merito, è stato specificato come il regime prescelto dai coniugi sia la separazione dei beni, il ché implica il mantenimento della proprietà esclusiva dei beni di pertinenza di ciascun soggetto, oltre che di ogni acquisto che abbia effettuato in costanza di matrimonio. In questo modo, le obbligazioni contratte rimangono a carico del patrimonio del titolare, senza rischio di imputazione del relativo obbligo alla comunione.

Nel caso in analisi, il mutuo di uno è stato garantito da ipoteca data dall'altro coniuge, che, come visto, si mantiene terzo rispetto al rapporto contrattuale instaurato tra il mutuante e il mutuato. Ci si interroga, quindi, sulla posizione del terzo datore di ipoteca per comprendere i diritti di questo successivamente ad un'espropriazione del bene, subita per effetto dell'inadempimento del debitore garantito.

La disciplina della fattispecie si può trovare all'art. 2871 c.c., ove si prescrive il diritto di regresso del terzo datore di ipoteca nei confronti del debitore principale dell'obbligazione, allorché il primo abbia sofferto l'espropriazione del bene dato in garanzia. Nel momento in cui, dunque, il bene fuoriesca dal patrimonio del terzo garante, nel medesimo patrimonio sorge un diritto di credito nei confronti del debitore che deve essere soddisfatto.

Rimane da accertare l'ammontare di tale diritto, posto che il regresso potrebbe – in astratto – connotarsi a seconda delle diverse circostanze che contraddistinguono la fattispecie. A tal riguardo, giova considerare che un'autorevole voce di dottrina del passato (enunciante un principio ancora attuale e seguito) secondo la quale il regresso generatosi dall'escussione della garanzia immobiliare trova fondamento sul principio dell'arricchimento, cosicché il diritto del garante è limitato alla parte di debito da cui il debitore rimane effettivamente liberato (Rubino, L'ipoteca immobiliare e mobiliare, in Tr. C. M., Milano, 1956). Così argomentando, il terzo datore di ipoteca escussa avrebbe il diritto ad una somma pari a quella che il creditore ha conseguito, oltre gli interessi sulla stessa, le spese dell'espropriazione o del pagamento volontario.

Se quella descritta è la disciplina in materia, si può concludere confermando l'ipotesi prevista dal quesito. Nel caso in cui il debitore principale dovesse trovarsi in una procedura di liquidazione dei beni prevista dalla disciplina del sovraindebitamento, il terzo datore di ipoteca dovrebbe certamente procedere a far valere le proprie ragioni all'interno dello stesso procedimento, chiedendo la corresponsione di una somma pari al prezzo di aggiudicazione dell'immobile oltre agli interessi e spese derivanti dalla subita espropriazione.

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