Ius superveniens
29 Ottobre 2019
Inquadramento
Con l'espressione ius superveniens si fa riferimento al sopravvenire di una nuova norma giuridica destinata a regolare una situazione giuridica controversa, vuoi che la controversia sia ancora in atto, vuoi che non sia più tale, per essere stata pronunciata sentenza definitiva, che abbia acquistato autorità di cosa giudicata ai sensi dell'art. 2909 c.c. Quanto a quest'ultimo aspetto si tratta di stabilire se ed entro quali limiti lo ius superveniens sia in grado di incidere sul giudicato già formatosi, per il che, come si vedrà, occorre distinguere tra situazioni istantanee, le quali non vengono in linea di principio incise dalla nuova norma, non solo se essa disponga soltanto per il futuro, ma anche se abbia un connotato di retroattività, e situazioni permanenti o di durata, riguardo alle quali, ferma l'intangibilità del giudicato in relazione al periodo pregresso, può accadere che lo ius superveniens dispieghi effetti sul periodo a venire. Quanto agli effetti dello ius superveniens sui processi in corso, non v'è dubbio, in generale, che esso debba trovare applicazione. E, tuttavia, occorrono significative precisazioni con riguardo a particolari contesti, quali il sopravvenire della nuova norma nel corso del giudizio di cassazione ovvero in quello di rinvio a seguito di cassazione. Ius superveniens e giudicato
Il formarsi del giudicato sostanziale determina l'incontrovertibilità dell'esistenza o inesistenza della situazione giuridica oggetto di decisione. Ma, com'è ovvio, il giudicato può rendere incontestabile la situazione qual'essa è in un determinato momento, quello, appunto, della pronuncia, ma nulla può dire circa il futuro di detta situazione, e tantomeno può assumere rilievo per i fini dell'applicabilità di una norma ancora di là da venire. In generale, il problema dell'attitudine dello ius superveniens ad incidere sul giudicato si pone si pone con riguardo ad una nuova norma che abbia carattere di retroattività o, analogamente, ad una norma interpretativa, come tale intrinsecamente retroattiva, oltre che con riguardo alle pronunce di illegittimità costituzionale, le quali travolgono ex tunc la norma giuridica dichiarata incostituzionale, dal momento che la dichiarazione di incostituzionalità fa sì che la norma non possa dispiegare alcun effetto sin dalla sua entrata in vigore. Ebbene, la nuova norma retroattiva per sua natura incide sul periodo anteriore alla entrata in vigore, e, così, almeno potenzialmente, sull'arco temporale riguardo al quale il giudicato si è formato. Viceversa, ove la nuova norma non sia retroattiva, ma, secondo la regola generale, disponga soltanto per il futuro, nessun conflitto può sorgere tra essa e l'accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato, salvo non si versi in ipotesi, come si vedrà, di situazioni destinate a permanere nel tempo. Secondo un'opinione inveterata e del tutto indiscussa e ferma, lo ius superveniens, quantunque retroattivo, non incide sui rapporti esauriti, tra i quali debbono ricomprendersi i rapporti coperti da giudicato. Il medesimo principio opera con riguardo al caso della dichiarazione di illegittimità costituzionale, come si desume, a contrario, dall'art. 30, comma 4, della legge n. 87 del 1953, ove è stabilito che: «Quando in applicazione della norma dichiarata incostituzionale è stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, ne cessano la esecuzione e tutti gli effetti penali». Lo ius superveniens — ha ad esempio affermato la Suprema Corte — non può travolgere il giudicato già formatosi, la cui intangibilità rappresenta un principio fondamentale nel nostro sistema giuridico, quando il giudicato stesso abbia carattere sostanziale — consegua, cioè, a pronunce che, oltre a essere passate formalmente in giudicato, incidano sul diritto fatto valere in giudizio, anche risolvendo solo questioni preliminari di merito —, o quando le nuove norme riguardino un oggetto che poteva essere dedotto nel precedente giudizio, ovvero quando il legislatore non abbia specificamente esteso le nuove disposizioni anche ai rapporti già definiti con sentenza passata in giudicato (Cass. civ., 4 febbraio 2004, n. 2091). Ancora, in tema di limiti cronologici del giudicato sostanziale, e salvo diversa espressa previsione del legislatore intesa a travolgere i giudicati già formatisi, la sopravvenienza di una legge interpretativa che contraddica l'interpretazione recepita nella sentenza irrevocabile vale a evidenziare l'ingiustizia di questa, ma non a comprometterne il valore, che è indipendente dall'esattezza della statuizione con essa resa, senza che, perciò solo, sia configurabile l'illegittimità costituzionale dell'art. 2909 c.c. per violazione dei diritti di difesa e del principio di uguaglianza (Cass. civ., 11 aprile 2000, n. 4630). E così, per converso, sempre a titolo di esempio, si è detto, con riguardo ad un'ipotesi di pronuncia di incostituzionalità, che la dichiarazione di incostituzionalità dell'art. 7 legge n. 431 del 1998, il quale richiedeva, per l'esecuzione del provvedimento di rilascio dell'immobile locato, la dimostrazione dell'adempimento di taluni obblighi fiscali, produce l'effetto anche relativamente ai rapporti giuridici sorti anteriormente, purché ancora pendenti e cioè non esauriti in forza di giudicato (Cass. civ., 31 maggio 2005, n. 11604, la quale ha così accolto il ricorso avverso la decisione di accoglimento dell'opposizione agli atti esecutivi fondata sull'inefficacia del precetto per carenza delle indicazioni di cui al predetto art. 7). Nello stesso senso, più di recente, è stato affermato che l'intervenuta declaratoria di illegittimità costituzionale dell'art. 53, comma 15, del d.lgs. n. 165/2001 (Corte cost. n. 98 del 2015) produce effetti anche sui giudizi in corso, in ragione dell'efficacia retroattiva — salva l'avvenuta formazione del giudicato — delle pronunce di accoglimento della Corte costituzionale, inibendo pertanto l'applicazione della sanzione ivi prevista a carico degli enti conferenti incarichi retribuiti a dipendenti pubblici senza la previa autorizzazione dell'amministrazione di appartenenza, per il caso di omessa comunicazione dei compensi corrisposti Cass. civ., 7 maggio 2019, n. 11953).
Sicché, come emerge dal dato giurisprudenziale citato, intanto la norma retroattiva può dispiegare effetto sui rapporti coperti da giudicato, in quanto la stessa norma contenga un'apposita previsione in tal senso. Resta tuttavia impregiudicata la questione se una norma di tal fatta non risulti poi contraria a Costituzione: in un caso in cui la norma sopravvenuta travolgeva provvedimenti di condanna definitivi, pronunciati nei riguardi di un determinato soggetto, la Corte costituzionale ha difatti osservato come tale disposizione violasse «le attribuzioni costituzionali dell'autorità giudiziaria cui spetta la tutela dei diritti (artt. 102 e 113 Cost.). Infatti non vi è dubbio che l'emissione di provvedimenti idonei ad acquistare autorità di giudicato costituisca uno dei principali strumenti per la realizzazione del suindicato compito. Nel contempo, le disposizioni denunciate contrastano con gli artt. 3 e 24 Cost., in quanto in parte vanificano i risultati dell'attività difensiva svolta, sulla cui definitività i creditori … potevano fare ragionevole affidamento» (Corte cost., 7 novembre 2007, n. 364).
Situazioni giuridiche permanenti o di durata
Il ragionamento fin qui fatto vale per le situazioni giuridiche c.d. istantanee, non per quelle di carattere permanenti o di durata: si pensi per un verso alla titolarità di diritti assoluti, come tali permanenti (diritti reali, diritti della personalità ecc.), per altro verso alla stipulazione di contratti di durata, come la locazione. In queste ipotesi il giudicato si forma con riguardo a situazioni non esaurite al momento della pronuncia, ma destinate a protrarsi in futuro: sicché il formarsi giudicato, come si accennava, non può escludere l'applicazione di una nuova norma al momento ancora non promulgata. Una norma successiva al giudicato, quantunque retroattiva, non dispiega alcun effetto in relazione all'arco temporale antecedente al suo formarsi, secondo quanto si è già visto. Con riguardo invece all'arco temporale successivo, lo ius superveniens, indipendentemente dalla retroattività, possiede, almeno in linea di principio, attitudine a regolare la situazione giuridica di durata, e dunque ad incidere sul contenuto dei diritti, obblighi, facoltà e doveri, di cui essa si compone. Eccone un esempio. L'art. 7 della legge n. 412/1991 (che, interpretando autenticamente l'art. 20 l. n. 958/1986, ha previsto che per servizio militare valutabile ai fini della citata norma deve intendersi solo quello in corso alla data di entrata in vigore della suddetta legge o quello prestato successivamente, che devono pertanto cessare i trattamenti economici e previdenziali praticati a seguito di interpretazioni difformi, e che le somme già erogate devono essere riassorbite con i futuri miglioramenti dovuti sul trattamento di attività e quiescenza) fa riferimento alle somme erogate in virtù di sentenze pronunciate in giudizi ancora in corso, in riforma delle quali, attraverso lo strumento delle impugnazioni consentite, è applicabile d'ufficio lo ius superveniens, e non già alle differenze retributive riconosciute con sentenza passata in giudicato, dovendosi in tal caso ritenere che la norma di interpretazione autentica sia applicabile alle vicende oggetto di sentenza definitiva solo in relazione al periodo non preso in considerazione dall'accertamento del giudice intervenuto con autorità di cosa giudicata (Cass. civ., 14 luglio 2004, n. 12986). Val quanto dire che il giudicato impedisce che la nuova norma rimetta in discussione la situazione del periodo fino al suo formarsi del giudicato, ma non preclude la proposizione di una domanda giudiziale diretta a ad ottenere una nuova statuizione concernente il periodo posteriore: e cioè la nuova norma ben può incidere sul segmento temporale posteriore alla sua entrata in vigore. Occorrono però alcune precisazioni, che prescindono, peraltro, dall'essere stata pronunciata al riguardo sentenza passata in giudicato: immaginiamo, volendo ricorrere ad un semplice esempio, di aver stipulato oggi un contratto di locazione non abitativa in forma verbale, non essendo al riguardo prevista la forma scritta ad substantiam; e supponiamo che domani il legislatore imponga la forma scritta al pari di quanto è previsto per le locazioni abitative; ciò renderà forse invalido quel contratto che, al momento della sua stipulazione, poteva effettivamente concludersi verbalmente?
In altri termini, nel caso in cui si verifichi una successione di leggi nel tempo, la nuova legge non può incidere negativamente sul fatto generatore del diritto, le cui condizioni di esistenza restano definitivamente regolate dalla legge abrogata, ma può legittimamente disciplinare gli effetti giuridici che derivano dal predetto fatto generatore, in quanto diano luogo a situazioni che si protraggano nel tempo successivo alla sua entrata in vigore. Laddove vengano dettate regole volte direttamente a disciplinare gli accordi negoziali, e cioè il fatto generatore del diritto, tale normativa non può trovare applicazione (ai sensi dell'art. 11 disp. prel. c.c.) ai rapporti sorti anteriormente alla sua entrata in vigore. Secondo la teoria del «fatto compiuto», la legge nuova può invece essere applicata «ai fatti, agli status ed alle situazioni esistenti o sopravvenute alla data della sua entrata in vigore, ancorché conseguenti ad un fatto passato, quando essi, ai fini della disciplina disposta dalla nuova legge, debbano essere presi in considerazione in se stessi, prescindendosi totalmente dal collegamento con il fatto che li ha generati, in modo che resti escluso che, attraverso tale applicazione, sia modificata la disciplina giuridica del fatto generatore» (Cass. civ.,3marzo2000,n.2433; Cass. civ.,28settembre2002,n.14073; Cass. civ.,28aprile1998, n.4327). Vale in definitiva la regola secondo cui lo ius superveniens si applica immediatamente qualora esso disciplini rapporti conclusi sotto il vigore di una normativa precedente, ma che sono destinati a produrre i loro effetti, in ragione della loro durata, anche successivamente, sempre che tali effetti negoziali, rispetto al fatto generatore, «siano distinti ontologicamente e funzionalmente» (Cass. civ., 11 luglio 1975, n. 2743). In altre parole, perché lo ius superveniens assistito dalla sanzione di nullità faccia sì che tale sanzione trovi applicazione nei confronti dei rapporti in corso, occorre che esso vada a disciplinare non già il momento genetico dell'obbligazione, ma gli effetti negoziali destinati a prodursi nel corso del rapporto. E così per esempio, «poiché il rapporto di locazione che consegue all'assegnazione di un alloggio di edilizia residenziale pubblica è un rapporto di durata, trova ad esso applicazione il principio secondo cui la legge sopravvenuta disciplina il rapporto giuridico in corso allorché esso, sebbene sorto anteriormente, non abbia ancora esaurito i propri effetti e purché la norma innovatrice non sia diretta a regolare il fatto generatore del rapporto, ma il suo perdurare nel tempo» (Cass. civ., 8 marzo 2001, n. 3385). Ius superveniens e giudizio di cassazione
Nessun dubbio sussiste, in generale, sull'applicabilità dello ius superveniens da parte della Corte di cassazione, in pendenza del giudizio di legittimità, quando esso sia rilevante ai fini della decisione: ed infatti, se è vero che lo ius superveniens non incide sul giudicato, è per converso altrettanto vero, simmetricamente, che esso non può non applicarsi alle situazioni giuridiche ancora controverse, mancando ancora la pronuncia della sentenza tale da determinare il formarsi del giudicato. È però discusso l'ambito entro cui lo ius superveniens assume rilievo, tenuto conto dei peculiari caratteri del giudizio di cassazione. Qualora lo ius superveniens sia entrato in vigore durante il giudizio di legittimità, e cioè successivamente all'introduzione del ricorso per cassazione, esso va applicato dalla Corte, anche d'ufficio: sempre, però, che assuma rilievo rispetto alle questioni fatte oggetto di censura con i motivi di ricorso. È stato ad esempio affermato che nel giudizio di legittimità, lo ius superveniens, che introduca una nuova disciplina del rapporto controverso, può trovare di regola applicazione solo alla duplice condizione che, da un lato, la sopravvenienza sia posteriore alla proposizione del ricorso per cassazione, e ciò perché, in tale ipotesi, il ricorrente non ha potuto tener conto dei mutamenti operatisi successivamente nei presupposti legali che condizionano la disciplina dei singoli casi concreti; e, dall'altro lato, la normativa sopraggiunta sia pertinente rispetto alle questioni agitate nel ricorso, posto che i principi generali dell'ordinamento in materia di processo per cassazione — e soprattutto quello che impone che la funzione di legittimità sia esercitata attraverso l'individuazione delle censure espresse nei motivi di ricorso e sulla base di esse — impediscono di rilevare d'ufficio (o a seguito di segnalazione fatta dalla parte mediante memoria difensiva ai sensi dell'art. 378 c.p.c.) regole di giudizio determinate dalla sopravvenienza di disposizioni, ancorché dotate di efficacia retroattiva, afferenti ad un profilo della norma applicata che non sia stato investito, neppure indirettamente, dai motivi di ricorso e che concernano quindi una questione non sottoposta al giudice di legittimità (Cass. civ., 8 maggio 2006, n. 10547 , che ha ritenuto l'applicabilità, nel giudizio di cassazione relativo a causa concernente la pretesa decadenza del contribuente dalle agevolazioni fiscali previste dalla legge 6 agosto 1954, n. 604 a favore della piccola proprietà contadina, dello ius superveniens costituito dall'art. 11 del d.lgs. 18 maggio 2001, n. 228, che, con disposizione retroattiva, ha ridotto da dieci a cinque anni il periodo di decadenza dai benefici in materia di formazione e arrotondamento della proprietà coltivatrice; nello stesso senso Cass. civ., 24 luglio 2018, n. 19617, che ha applicato l'art. 8, comma 1, del d.l. n. 16/2012, conv. dalla l. n. 44/2012, modificativa del regime di indeducibilità, ai fini delle imposte dirette, dei costi relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti, operante ai sensi del successivo comma 3 anche per i fatti pregressi ; v. sul tema Cass. civ., 27 febbraio 2004, n. 4070; Cass. civ., 25 giugno 2004, n. 11894; Cass. civ., 8 maggio 2006, n. 10574; Cass. civ., 28 luglio 2011, n. 16266; Cass. civ., 19 maggio 2014, n. 10937; Cass. civ., 15 aprile 2015, n. 7632; Cass. civ., 9 luglio 2015, n. 14291). In un caso di grande rilievo pratico, volendo aggiungere un ulteriore esempio, è stato detto che nel giudizio di legittimità, instaurato a seguito di ricorso contro la sentenza della corte d'appello che abbia ritenuto edificabile il suolo espropriato e liquidato l'indennità in base alla regola del valore venale, i nuovi criteri dell'art. 5-bis del d.l. n. 333/1933, conv. nella l. n. 359/1992, sono applicabili quali ius superveniens (e determinano la cassazione con rinvio della decisione impugnata) anche quando il ricorrente non sollevi questioni sulla legge applicabile, ma contesti solo la quantificazione in concreto dell'indennità, in quanto in ordine all'individuazione del criterio legale di stima non è concepibile la formazione di un giudicato autonomo — così come la pronunzia sulla legge applicabile al rapporto controverso non può costituire giudicato autonomo rispetto a quello sul rapporto —, né l'acquiescenza allo stesso, dato che il bene della vita alla cui attribuzione tende l'opponente alla stima è l'indennità, liquidata nella misura di legge, non già l'indicato criterio legale; né potendo considerarsi nuova la relativa questione, atteso che il giudice, nella ricerca dei criteri legali, non incontra, nei limiti della domanda, alcun vincolo derivante dalle deduzioni delle parti e che nella complessa fattispecie dell'indennità espropriativa non è possibile separare i profili di fatto da quelli di diritto (Cass. civ., Sez. Un., 22 novembre 1994, n. 9872). L'applicazione della normativa sopravvenuta non deve inoltre determinare la reformatio in peius della pronuncia impugnata, giacché, in forza del principio dispositivo e di quello dell'interesse ad agire, la decisione non può essere più sfavorevole all'impugnante e più favorevole alla controparte di quanto non sia stata la sentenza gravata (Cass. civ., 9 marzo 2015, n. 4676; Cass. civ., 27 giugno 2011, n. 14.127). Qualora, invece, la nuova norma abbia acquistato vigore non già in pendenza del giudizio di legittimità, ma nell'arco temporale compreso tra la pubblicazione della sentenza impugnata e la proposizione del ricorso, l'applicazione dello ius superveniens richiede la domanda della parte interessata. È in proposito sorta questione se, con il ricorso per cassazione, il ricorrente possa limitarsi a richiedere l'applicazione della norma sopravvenuta ovvero se detta applicazione richiede la formulazione di motivi che investano la decisione del giudice di merito, indipendentemente dalla modificazione intervenuta nel quadro normativo. In particolare, la Suprema Corte (Cass. civ., 9 luglio 2015, n. 14340) ha sollecitato l'intervento del Sezioni Unite sulla questione relativa all'applicabilità ai giudizi in corso dell'art. 32, commi 5 e 7, della legge n. 183/2010, per i quali, in caso di conversione a tempo indeterminato del contratto a termine, è dovuto il versamento di un'indennità omnicomprensiva tra 2,5 e 12 mensilità, e, più specificamente, se le nuove disposizioni siano applicabili quando lo ius superveniens sia entrato in vigore successivamente alla pronuncia resa in appello, ma prima della proposizione del ricorso in sede di legittimità. Nell'ordinanza di rimessione è stato osservato che, secondo alcune decisioni, qualora la nuova disciplina sia intervenuta nel lasso di tempo tra la decisione impugnata e la proposizione del ricorso per cassazione, può essere chiesta l'applicazione della nuova norma, sia che tale motivo sia stato l'unico svolto avverso le conseguenze risarcitorie della sentenza impugnata, sia qualora siano state avanzate ulteriori doglianze sulle modalità di determinazione delle somme da corrispondere; secondo altre decisioni, viceversa, qualora sia invocata l'applicazione dello ius superveniens, è necessario che il ricorsa investa specificamente le conseguenze patrimoniali dell'accertata nullità della clausola di durata, non potendosi chiedere l'applicazione diretta della nuova disciplina.
Ciò sta a significare, dunque, che lo ius superveniens si applica alla condizione necessaria e sufficiente che il ricorrente per cassazione ne abbiano fatto richiesta. Nella stessa decisione si è inoltre chiarito che il ricorso per cassazione per violazione di legge sopravvenuta retroattiva incontra il limite del giudicato, che, tuttavia, ove sia stato proposto appello, sebbene limitatamente al capo della sentenza concernente l'illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro, non è configurabile in ordine al capo concernente le conseguenze risarcitorie, legato al primo da un nesso di causalità imprescindibile, atteso che, in base al combinato disposto degli artt. 329, comma 2, e 336, comma 1, c.p.c., l'impugnazione nei confronti della parte principale della decisione impedisce la formazione del giudicato interno sulla parte da essa dipendente. Ius superveniens e giudizio di rinvio
Quanto al rilievo da attribuire allo ius superveniens in caso di cassazione con rinvio e fermo l'orientamento secondo cui a norma dell'art. 384, comma 1, c.p.c., l'enunciazione del principio di diritto vincola il giudice di rinvio che ad esso deve uniformarsi, anche qualora, nel corso del processo, siano intervenuti mutamenti della giurisprudenza di legittimità, sicché anche la Corte di cassazione, nuovamente investita del ricorso avverso la sentenza pronunciata dal giudice di merito, deve giudicare sulla base del principio di diritto precedentemente enunciato, e applicato dal giudice di rinvio, senza possibilità di modificarlo, neppure sulla base di un nuovo orientamento giurisprudenziale della stessa Corte, salvo che la norma da applicare in relazione al principio di diritto enunciato risulti successivamente abrogata, modificata o sostituita per effetto di ius superveniens, comprensivo sia dell'emanazione di una norma di interpretazione autentica, sia della dichiarazione di illegittimità costituzionale (Cass. civ., 17 marzo 2014, n. 6086), sia dei mutamenti normativi prodotti dalle sentenze della Corte di giustizia, che hanno efficacia immediata nell'ordinamento nazionale (Cass. civ., 12 settembre 2014, n. 19301; Cass. civ., 24 maggio 2005, n. 10939). In particolare, l'efficacia vincolante delle sentenze di cassazione con rinvio presuppone il permanere della disciplina normativa in base alla quale è stato pronunciato il principio di diritto, che pertanto viene meno allorché quella disciplina sia stata successivamente abrogata, modificata o sostituita per effetto di ius superveninens. Pertanto, ad esempio, in tema di risarcimento del danno nei casi di conversione del contratto di lavoro a tempo determinato, lo ius superveniens di cui all'art. 32, commi 5, 6 e 7 della legge 4 novembre 2010, n. 183, si applica anche in sede di giudizio di rinvio, sempre che sulla questione risarcitoria non sia intervenuto il giudicato interno (Cass. civ., 12 novembre 2014, n. 24129; Cass. civ., 4 febbraio 2015, n. 1995; Cass. civ., 4 febbraio 2015, n. 2052). Riferimenti
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