Concordato in continuità indiretta parziale: l’assenso dei lavoratori esclusi potrebbe costare caro?
05 Novembre 2019
Approfondendo l'art. 84, comma 1, C.C.I. viene da chiedersi se il vantaggio offerto dal legislatore nel caso di concordato in continuità indiretta parziale in termini di risparmio di risorse da garantire al ceto chirografario (in misura pari ad almeno il 20% oltre al 10% di risorse esterne, come impone il comma 4) non finirà per costare caro. Il concordato in continuità indiretta viene annoverato in modo esplicito, dal comma 4-bis dell'art. 47 legge n. 428/1990 modificato dall'art. 368 C.C.I., tra le procedure concorsuali finalizzate al risanamento dell'impresa, per le quali i rapporti di lavoro devono essere integralmente trasferiti al cessionario, potendo tutt'al più subire modifiche sotto il profilo delle condizioni di lavoro (orario, retribuzione, mansioni). Del resto, questo è l'approdo raggiunto dalla giurisprudenza di merito che, esaminando proprio tale tipo di fattispecie (seppure nella vigenza del comma 4-bis dell'art. 47 nella versione non ancora modificata dall'art. 368 del C.C.I.), ha chiaramente escluso la possibilità di licenziare i dipendenti esclusi dalla vicenda circolatoria il cui fine non sia la liquidazione dei beni del cedente (cfr. in tal senso: Trib. Padova 27/03/2014 e Trib. Alessandria 18/12/2015, nonché Trib. Milano 25/07/2017).
Ne consegue che i licenziamenti dei dipendenti il cui rapporto non venga trasferito al cessionario potrebbero essere illegittimi, e dunque la riduzione del personale potrà ottenersi solo con il consenso dei lavoratori: se dunque da un lato la continuità indiretta con trasferimento parziale dei rapporti di lavoro consentirà di essere esentati dall'incremento di risorse esterne del dieci per cento e dalla soglia minima di soddisfacimento dei creditori chirografari pari ad almeno il venti per cento, dall'altro imporrà di incentivare l'esodo dei lavoratori esclusi che dovranno prestare il benestare alla risoluzione del rapporto di lavoro. Si rende allora necessario ottenere il consenso di quei lavoratori il cui rapporto di lavoro non viene trasferito dall'uno all'altro. Se così dev'essere, ci si può aspettare che i lavoratori esclusi dal passaggio e/o le loro organizzazioni sindacali in sede di esame congiunto ex art. 47 alzeranno la posta della trattativa pretendendo che parte del risparmio di risorse derivante dal fatto che il concordato viene considerato in continuità anziché liquidatorio (quel 30% tra risorse interne ed esterne ex art. 84, comma 4, appunto) dovrà essere versato ai lavoratori quale incentivo all'esodo. Questo scenario sarà comunque da verificare di volta in volta e dipenderà dalle situazioni concrete che si presenteranno. Potrà ad esempio accadere che i lavoratori esclusi non potranno rivendicare il diritto al trasferimento in quanto addetti ad un reparto aziendale autonomo che non viene fatto rientrare nel perimetro della cessione. Tuttavia, la loro eventuale fungibilità con i dipendenti addetti al ramo trasferito aprirà la strada a contestazioni motivate dal mancato passaggio ai sensi dell'art. 2112 c.c., con conseguente pretesa di un incentivo all'esodo elevato: non solo per la rinuncia al diritto inderogabile assicurato vigorosamente dalla legge, ma anche per la consapevolezza del risparmio di risorse garantito dall'operazione in continuità indiretta.
Una cosa simile succedeva del resto nel corso delle trattative sindacali nell'ambito dell'esame congiunto delle procedure di licenziamento collettivo prima dell'introduzione della NASpI: ai sensi dell'art. 5, comma 4, legge 223/91 (abrogato dalla Legge Fornero n. 92/2018 con decorrenza 01/01/2017) "per ciascun lavoratore l'impresa è tenuta a versare in 30 rate mensili una somma pari a 6 volte il trattamento mensile iniziale di mobilità al lavoratore, che si riduce della metà quando la dichiarazione di eccedenza del personale di cui all'art. 4, comma 9, abbia formato oggetto di accordo sindacale". Ed era frequente la legittima richiesta del sindacato di subordinare l'accordo al fatto che le risorse in tutto o in parte risparmiate venissero destinate ad incentivare i lavoratori dichiarati in esubero.
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