Memoria di costituzione nel procedimento di impugnazione del diniego di rimborso fondato su accertata violazione del diritto unionale.

Nicola Graziano

Inquadramento

Il rimborso dei tributi riconosciuti incompatibili con norme comunitarie è disciplinato dall'art. 29 della l. n. 428/1990 ed è assoggettato, secondo tale prescrizione normativa, ad un termine di prescrizione triennale. L'Ufficio, per difendersi nel procedimento introdotto dal predetto ricorso, utilizza quale atto la memoria di costituzione.

Formula

CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA DI PRIMO GRADO DI ...

Ricorso n. ... / ...

MEMORIA DI COSTITUZIONE

PER

L'Agenzia delle Entrate - Direzione Provinciale di ... , con sede in ... ( ... ), alla via ... , C.F. ... , in persona del legale rappresentante pro - tempore, Dott. ... , con il patrocinio dell'Avvocatura dello Stato, nella persona dell'avv. ... ,

-opposta-

CONTRO

la società ... con sede legale in ... ( ... ), P.IVA ... , in persona del legale rappresentante pro - tempore sig. ... , nato a ... ( ... ), residente in ... ( ... ), C.F. ... , ed elettivamente domiciliata in ... ( ... ), alla via ... , ... , presso lo studio dell'avv. ... (C.F. ... ), che lo rappresenta e difende.

FATTO

In data ... la società ... presentava istanza al competente Ufficio di ... , con la quale formulava richiesta di rimborso di somme (pari ad Euro ... ) versate, a titolo di ... (ad esempio, a titolo di imposta di consumo sugli oli lubrificanti), per gli anni ... , sulla base di previsione normativa ritenuta contraria all'ordinamento comunitario.

In seno a tale istanza, la ricorrente rappresentava che la Corte di Giustizia ha dichiarato - con sentenza ... - la contrarietà della normativa interna con quella unionale.

La società ricorrente, rilevato che l'Agenzia delle Entrate esprimeva, con provvedimento del ... , notificato il ... , il proprio diniego rispetto alla presentata istanza, con ricorso del ... proponeva opposizione per i seguenti motivi: ...

L'opponente, dunque, con il citato ricorso chiedeva:

a) disporre la condanna dell'Ufficio al rimborso dell' imposta illegittimamente versata per contrasto della normativa interna con quella unionale, pari ad Euro ... , oltre interessi come per legge;

b) condannare l'Ufficio al pagamento delle spese processuali.

CHIEDE

all'Ill.ma Corte Tributaria adita di dichiarare l'inammissibilità e l'infondatezza del ricorso proposto dalla società ... , alla stregua dei motivi sopra esposti.

Con vittoria di spese e competenze di lite.

Si depositano i seguenti documenti:

1. ... ;

2. ... ;

3. ... ;

4. ... .

Il difensore dichiara di voler ricevere le comunicazioni e le notificazioni inerenti il procedimento presso il seguente numero di fax ... e/o presso l'indirizzo di posta elettronica certificata ...

Luogo, data ...

Firma Difensore ...

Commento

Il sistema tributario italiano è vincolato, oltre che dalle fonti interne di produzione, dalle norme tributarie del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea (TFUE) e dalle norme comunitarie di diritto privato (contenute, ad esempio nei regolamenti).

In particolare, pur non essendo prevista una competenza generale dell'Unione Europea in ambito fiscale né un autonomo sistema di imposte europeo, esistono alcuni principi volti a garantire la libera concorrenza, quali il divieto di dazi doganali e restrizioni quantitative all'entrata o uscita dagli Stati membri.

Inoltre, va sottolineato che - ai sensi dell'art. 113 TFUE - è attribuito al Consiglio il potere di adottare (per le sole imposte indirette) il potere di adottare disposizioni volte ad armonizzare la normativa nazionale.

Il rimborso fondato su accertata violazione del diritto unionale è disciplinato dall'art. 29 l. n. 428/1990, che prevede un termine di prescrizione triennale per la richiesta di rimborso.

Tale ultima disposizione, tuttavia, va però coordinata con la recentissima pronuncia della Corte di Cassazione, depositata il 28 maggio 2019, n. 14548 che ribadisce il principio di diritto, già affermato nella pronuncia della Cass. n. 13676/2014 delle Sezioni Unite, secondo cui il termine di decadenza per il rimborso delle imposte sui redditi, previsto dall'art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 e decorrente dalla data del versamento o da quella in cui la ritenuta è stata operata, opera anche nel caso in cui l'imposta sia stata pagata sulla base di una norma successivamente dichiarata in contrasto con il diritto dell'Unione europea da una sentenza della Corte di giustizia, atteso che l'efficacia retroattiva di detta pronuncia - come quella che assiste la declaratoria di illegittimità costituzionale - incontra il limite dei rapporti esauriti, ipotizzabile allorché sia maturata una causa di prescrizione o decadenza, trattandosi di istituti posti a presidio del principio della certezza del diritto e delle situazioni giuridiche.

Il comma 2 della disposizione normativa prima citata prevede che i diritti doganali all'importazione, le imposte di fabbricazione, le imposte di consumo, il sovrapprezzo dello zucchero e i diritti erariali riscossi in applicazione di disposizioni nazionali incompatibili con norme comunitarie siano rimborsati a meno che il relativo onere non sia stato trasferito su altri soggetti, circostanza che non può essere assunta dagli uffici tributari a mezzo di presunzioni. La formulazione di tale disposizione è stata più volte oggetto di censure da parte della Corte comunitaria. Nelle numerose pronunce in materia i giudici di Lussemburgo avevano condannato lo Stato italiano per aver legislativamente introdotto termini e condizioni di prova a carico del contribuente che rendevano di fatto impossibile o eccessivamente difficile il rimborso dei tributi riscossi in violazione del diritto comunitario.

Tra di esse è risultata rilevante per il caso di specie la sentenza Dilexport in cui si affermava, sempre con riguardo all'interpretazione dell'art. 29, secondo comma, della l. n. 428/1990, che il diritto comunitario osta a che uno Stato membro assoggetti il rimborso di diritti doganali e di imposte incompatibili con il diritto comunitario a una condizione, quale la mancata ripercussione di tali diritti e imposte su altri soggetti, che spetterebbe all'amministrazione ricorrente provare. Analogamente, con la sentenza Comateb, la Corte stabiliva che, sebbene la questione della traslazione o meno, in ogni singolo caso, di un'imposta indiretta costituisca una questione di fatto rientrante nella competenza del giudice nazionale, che potrà valutare liberamente le prove fornite al riguardo, non è ammissibile che per le imposte indirette esista una presunzione secondo cui vi è stata traslazione e che spetti al contribuente fornire la prova contraria.

La Corte di giustizia, analizzando il modo in cui l'art. 29, secondo comma, della l. n. 428/1990 è stato interpretato dai giudici italiani ed applicato dall'amministrazione finanziaria sino al 2000, ha rilevato che tale prassi non era conforme alla giurisprudenza comunitaria in quanto rendeva molto difficile, se non impossibile, il rimborso alle imprese dei tributi illegittimi.

Merita di essere segnalata in questa sede, per la sua portata indubbiamente innovativa, la sentenza della Corte di giustizia CE Commissione contro Italia del 9 dicembre 2003 (Corte di giustizia, C- 129/00) di condanna dello Stato italiano per inadempimento agli obblighi scaturenti dal Trattato per non aver restituito alle imprese contribuenti i tributi indebitamente riscossi in violazione del diritto comunitario.

La sentenza assume rilevanza per due motivi principali: da un lato, costituisce un'importante affermazione del principio comunitario di effettività e dall'altro perché la condanna è rivolta alla magistratura ed all'amministrazione pubblica italiana.

Al riguardo, si osserva infatti che - diversamente dal passato in cui l'Italia era stata condannata dalla Corte di Giustizia a causa della legislazione italiana i cui termini e condizioni troppo restrittivi di fatto frustravano il diritto al rimborso delle imprese - questa volta viene puntato il dito contro la magistratura e le amministrazioni pubbliche della Repubblica per il modo in cui avrebbero interpretato ed applicato le norme sul rimborso: per un decennio quasi nessuna impresa richiedente ha ottenuto la restituzione per via amministrativa di tributi riscossi dallo Stato italiano in violazione del diritto comunitario e solo in pochissimi casi i contribuenti hanno ottenuto soddisfazione di tale diritto dai giudici italiani.

Per quanto riguarda, invece, il rimborso di tributi illegittimamente percepiti ma non rilevanti per il diritto comunitario, con l'art. 19, primo e secondo comma, del d.l. n. 688/1982 (Misure urgenti in materia di entrate fiscali), convertito in l. n. 873/1982, si stabiliva la presunzione legale di traslazione del tributo a terzi che il contribuente doveva vincere fornendo prova contraria.

A livello nazionale, infatti, solo nel 2002 la Corte Costituzionale è arrivata a sancire l'incostituzionalità di tale norma. Sino al 2002, il legislatore e le corti giustificavano l'esistenza di tale presunzione, sostenendo la necessità di evitare un arricchimento senza causa a vantaggio di tali contribuenti e a danno della collettività. Come giustamente affermato dalla medesima Corte Costituzionale nel 2002, tale ragionamento era fondamentalmente ed originariamente viziato, dal momento che non si poteva qualificare come arricchimento senza causa la restituzione all'imprenditore di somme che lo Stato aveva illegittimamente da lui preteso.

L'Ufficio, per difendersi nel procedimento introdotto dal predetto ricorso, utilizza quale atto la memoria di costituzione.

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