L’obbligo dichiarativo a carico dell’operatore economico deve arrestarsi alla soglia della c.d. “ragionevole esigibilità”
02 Marzo 2020
Massima
Ai sensi dell'art. 80 comma 5, lett. c), D.Lgs. n. 50 del 2016 (“Codice dei Contratti Pubblici”), la “non veridicità” delle dichiarazioni fornite dall'operatore economico alla stazione appaltante presuppone l'esistenza, a latere oggettivo, di un obbligo di informazione e di dichiarazione, sufficientemente specifico e determinato, e relativo a fatti (e non già a giudizi o “qualificazioni”); a latere soggettivo, nella coscienza e volontà di rendere una dichiarazione falsa e, dunque, il dolo generico dell'agente e non già il dolo specifico, essendo irrilevanti le concrete intenzioni dell'agente, non essendo richiesto l'animus nocendi o decipiendi; di guisa che non potrà parlarsi di contegno mendace in caso di mera negligenza, leggerezza o disattenzione, essendo sconosciuta al nostro ordinamento la figura del falso documentale colposo. Il caso
La vicenda trae origine dall'impugnazione, da parte del concorrente primo classificato, del provvedimento di revoca dell'aggiudicazione definitiva di una gara per la realizzazione di opere di adeguamento alle disposizioni di prevenzione incendi di un immobile. La stazione appaltante, nello specifico, contestava all'ATI aggiudicataria di aver reso false dichiarazioni relativamente ad alcuni – seppur datati – illeciti professionali emersi in seguito alle consultazioni del casellario informatico ANAC. Per quanto qui di interesse, invece, la ricorrente sosteneva, ex multis: (i) l'irrilevanza degli episodi “omessi”, in quanto verificatisi in tempo risalente, oltre il triennio antecedente la pubblicazione del bando e, dunque, non aventi carattere ostativo ai sensi dell'art. 80, comma 10, del D.Lgs. 50/16 (di qui l'inesistenza dell'obbligo dichiarativo di un episodio annotato nel casellario e, dunque, in alcun modo occultabile); (ii) l'inapplicabilità della causa di esclusione contemplata all'art. 80, comma 5, lett. f-bis, del Codice dei Contratti Pubblici, laddove si tratti di omissione di dichiarazioni (di circostanze asseritamente irrilevanti) e non già di dichiarazioni false o non veritiere. Alla luce di quanto dedotto, il TAR ha accolto il ricorso, ritenendo contrastante con il principio di proporzionalità una esclusione che trovi fondamento in un provvedimento sanzionatorio in danno dell'operatore economico adottato più di tre anni prima della pubblicazione del bando di gara. I giudici meneghini, poi, hanno altresì rilevato che l'obbligo di dichiarare potenziali cause escludenti dovrebbe arrestarsi alla soglia della c.d. “ragionevole esigibilità”. La questione
La questione giuridica sottesa alla decisione in commento riguarda la delimitazione della portata – e dunque l'accertamento dell'effettiva latitudine – dell'obbligo dichiarativo in capo agli operatori economici con riferimento, nello specifico, ai c.d. “gravi illeciti professionali”. Con la sentenza in esame, in particolare, il TAR Lombardia – allacciando indissolubilmente il limite temporale di cui all'art. 80, comma 10, del Codice dei Contratti Pubblici alla potestà discrezionale di esclusione di cui all'art. 80, comma 5, lett. c) cit. – ha ribaltato il principio giurisprudenziale, consolidatosi nel tempo, secondo cui gli operatori economici devono dichiarare “ogni episodio della loro vita idoneo a valutare l'integrità professionale degli stessi da parte della stazione appaltante”. Anche sulla scorta della giurisprudenza formatasi in materia di dichiarazioni false e mendaci o incomplete e irregolari, i giudici meneghini si sono interrogati circa la possibilità che l'obbligo di dichiarare eventuali cause escludenti possa arrestarsi alla soglia della c.d. “ragionevole esigibilità” e debba, per gli effetti, essere escluso ove un siffatto obbligo non sia chiaramente percepibile, individuato o lumeggiato né dalle norme di legge né, tantomeno, dalla lex specialis. Le soluzioni giuridiche
In via preliminare, il TAR ha proceduto ad un certosino scrutinio della legittimità dell'operato dell'ATI aggiudicataria, vale a dire, nello specifico, della retta individuazione e delimitazione dell'obbligo dichiarativo (asseritamente infranto) gravante in capo ai partecipanti ad una procedura ad evidenza pubblica. Ciò al fine (i) a latere oggettivo, di “causalmente orientare”, cioè di selezionare, le informazioni in abstracto suscettibili di arrecare una propria utilitas all'azione della stazione appaltante; (ii) a latere soggettivo, di individuare il contegno ragionevolmente esigibile in capo all'operatore che partecipa alla gara, pur tenendo conto della soglia di diligenza particolarmente elevata che ne deve informare l'agere (si veda art. 1176, comma 2, c.c.). Il TAR ha, poi, specificato che «le informazioni da fornire alla stazione appaltante – ed i correlati obblighi gravanti in capo ai concorrenti – sono quelle che, anche solo in linea di principio, l'Amministrazione dovrebbe ottenere per poter esplicare appieno, plena cognitio, la propria potestas di conduzione della gara e di aggiudicazione della pubblica commessa all'offerente “migliore”, anche perché pienamente affidabile sotto il profilo della onorabilità e professionalità». Inoltre, il Collegio milanese ha ulteriormente chiarito l'effettiva portata dell'art. 80, comma 10, del Codice dei Contratti Pubblici, delimitando e circoscrivendo l'efficacia temporale della valenza ostativa delle sentenze di condanna e degli atti di “accertamento definitivo” posti a carico di un operatore economico. In questi casi, infatti, secondo il TAR, si è in presenza del fenomeno della c.d. “digressione dell'atto in fatto”: vale a dire che «la sentenza o il provvedimento amministrativo di accertamento della violazione sono presi in considerazione da altra norma, e ad altri fini, per dedurne un giudizio normativo di “incapacità” o di “inaffidabilità” per un determinato periodo temporale». Ciò premesso, tuttavia, i giudici meneghini hanno sottolineato come l'individuazione del contenuto dell'obbligo dichiarativo – in relazione all'atipica e residuale clausola di esclusione contemplata all'art. 80, comma 5, lett. c), del Codice dei Contratti Pubblici – sia, invece, particolarmente problematica. Come noto, la norma in esame attribuisce alla stazione appaltante la «potestà di regolazione e di divisamento degli interessi, e dunque di disposizione dell'effetto giuridico, stabilendo che ad essa compete la esclusione dalla gara allorquando sia data dimostrazione con mezzi adeguati che l'operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità». La norma, nello specifico, elenca altresì una serie di condotte che la stazione appaltante, nell'esercizio della propria discrezionalità, può sussumere nella nozione di “gravi illeciti professionali” incidenti sulla affidabilità ed “onorabilità” del partecipante; condotte, poste in essere in passato dall'operatore, tali da minare o a mettere in dubbio la sua “integrità ed affidabilità” (ex multis, Cons. St., sez. V, 12 aprile 2019, n. 2407). Orbene, secondo i giudici amministrativi, l'elasticità della norma di attribuzione e l'ampiezza della discrezionalità demandata alla stazione appaltante non possono non riverberarsi sulla latitudine dell'obbligo di dichiarazione e di informazione gravante in capo al partecipante alla procedura. A tal proposito, dunque, rileverebbero: (i) l'onere di provare, da parte della stazione appaltante, l'esistenza di situazioni idonee a minare la “affidabilità” ovvero ad incrinare o a mettere in dubbio la affidabilità del partecipante; (ii) i reciproci obblighi di buona fede, correttezza e solidarietà (artt. 2 e 97 Cost., art. 1175 c.c.) connotanti il rapporto tra consociati dal momento del loro primo contatto sociale qualificato, che a fortiori caratterizzano il rapporto tra la stazione appaltante e gli aspiranti aggiudicatari, sin dal momento della emanazione del bando e della presentazione della domanda; (iii) la tutela dell'affidamento legittimo; (iv) il principio della parità di trattamento, in virtù del quale gli operatori partecipanti (o che intendono partecipare) ad una pubblica gara devono disporre delle stesse opportunità ed essere messi nelle condizioni di conoscere esattamente i vincoli procedurali ed essere assicurati del fatto che gli stessi requisiti valgono per tutti (si veda anche CGUE, 14 dicembre 2016 n. C-171-15); (v) il principio di trasparenza, che implica che «tutte le condizioni e le modalità della procedura di aggiudicazione siano formulate in maniera chiara, precisa e univoca nel bando di gara o nel capitolato d'oneri, così da permettere a tutti gli offerenti ragionevolmente informati e normalmente diligenti di comprenderne l'esatta portata e di interpretarle allo stesso modo»(CGUE, 14 dicembre 2016, cit.). Di qui l'onere per la stazione appaltante di chiarire, sin da subito, nella disciplina di gara l'effettiva portata e natura delle informazioni all'uopo richieste, che possono anche variare «a seconda della natura dell'appalto, del contesto economico e sociale di riferimento, della presumibile composizione della platea degli aspiranti aggiudicatari, delle stesse valutazioni di opportunità ex ante formulate dalla Amministrazione. E ciò anche in ossequio al principio di auto responsabilità, precipitato degli obblighi di buona fede e correttezza che reciprocamente gravano sulle parti del rapporto o del contatto». Pur non ignorando l'esistenza di statuizioni giurisdizionali, in forza delle quali i concorrenti «devono dichiarare ogni episodio della vita professionale astrattamente rilevante ai fini della esclusione, pena la impossibilità per la stazione appaltante di verificare l'effettiva rilevanza di tali episodi sul piano della ‘integrità professionale' dell'operatore economico» (Cons. St., sez. III, 22 maggio 2019, n. 3331), il TAR Milano ha, poi, ulteriormente precisato che se è vero che la natura non veritiera o falsa di una dichiarazione può realizzarsi anche attraverso la omissione o la incompletezza (reticenza) delle informazioni fornite, tuttavia, in base alle generali categorie penalistiche che non possono non venire in rilievo anche in subiecta materia, la non veridicità delle dichiarazioni fornite dalla impresa alla stazione appaltante deve presupporre l'esistenza: a) a latere oggettivo, di un obbligo di informazione e di dichiarazione, sufficientemente specifico e determinato, e relativo a fatti (e non già a giudizi o “qualificazioni”); b) a latere soggettivo, nella coscienza e volontà di rendere una dichiarazione falsa e, dunque, il dolo generico dell'agente e non già il dolo specifico, irrilevanti essendo le concrete intenzioni dell'agente, non essendo richiesto l'animus nocendi o decipiendi; di guisa che non potrà parlarsi di contegno mendace in caso di mera negligenza, leggerezza o disattenzione, essendo sconosciuta al nostro ordinamento la figura del falso documentale colposo. In conclusione, secondo il TAR Milano, la latitudine ed intensità degli obblighi di collaborazione del partecipante alla gara – funzionali a consentire l'esercizio della potestà discrezionale di esclusione, condizionato alla prova di gravi illeciti professionali pur sempre gravante in capo alla stazione appaltante e che si inscrivono nell'alveo dei generali principi di buona fede, correttezza, lealtà e trasparenza – non può che attestarsi alla soglia della «ragionevole “esigibilità” del contegno, da escludersi in nuce nel caso in cui l'esistenza stessa dell'obbligo sia oggettivamente non percepibile, in quanto non discendente dalle norme né, tampoco, individuata o lumeggiata nella lex specialis». Oltrepassata tale soglia, a detta dei giudici meneghini, si entrerebbe nel terreno: (i) della scusabilità della condotta, in quanto indotta dalla scarsa chiarezza ovvero dalla equivocità delle prescrizioni di gara, suscettibili di diversa significanza e interpretazione; (ii) del potere-dovere per la stazione appaltante di consentire ai partecipanti – indotti in incolpevole errore dalla equivocità delle prescrizioni – di «presentare, integrare, chiarire, o completare le informazioni o la documentazione asseritamente incomplete, errate o mancanti entro un termine adeguato» (CGUE, 2 maggio 2019, C-309/18). Osservazioni
La sentenza in oggetto ha enunciato alcuni principi di diritto di particolare rilievo ed assoluto interesse. In primo luogo, i giudici milanesi hanno manifestamente abdicato al prevalente indirizzo giurisprudenziale in base al quale le precedenti condotte, accertate in provvedimenti amministrativi che non dispongono nulla circa lo spatium temporis di durata della “valenza” inibitoria e potenzialmente idonee ad integrare gravi illeciti professionali, hanno sempre rilevanza escludente e dunque i provvedimenti che le accertano sono soggette ad un obbligo dichiarativo senza limiti. Ed infatti, secondo il TAR Milano, deve riconoscersi «ai provvedimenti interdittivi amministrativi, salvo che essi rechino una maggiore durata della inibizione a contrarre» una “valenza ostativa per un periodo in ogni caso non superiore a tre anni, «decorrenti dalla data del suo accertamento definitivo», accogliendo una tesi del Consiglio di Stato (Cons. Stato, sez. V, 6 maggio 2019, n. 2895) che ha conferito espressamente un termine di rilevanza (pari a tre anni) alle condotte integranti gravi illeciti professionali, circoscrivendo ratione temporis il conseguente obbligo dichiarativo. Il TAR, poi, si è soffermato sul delicato equilibrio tra l'obbligo di clare loqui in capo all'operatore economico (munito di espressa sanctio iuris per il tramite dell'art. 80, comma 5, lett.f-bis,del D.Lgs. n. 50/2016, che prevede l'esclusione dell'operatore economico che presenti nella procedura di gara in corso e negli affidamenti di subappalti documentazioni o dichiarazioni non veritiere) e l'esatta individuazione e circoscrizione dell'obbligo dichiarativo a carico dei concorrenti. Questione, quest'ultima, di rilievo sostanziale non tanto per quelle circostanze in cui «non esiste una previsione normativa che faccia dipendere ex lege l'esclusione dalla procedura di gara dal verificarsi di una determinata fattispecie», quanto, piuttosto, per quei casi in cui è necessario individuare il contenuto dell'obbligo dichiarativo relativo all'atipica e residuale clausola di esclusione di cui all'art. 80, comma 5, lett. c) del Codice dei Contratti Pubblici. Sul punto, infatti, una consolidata giurisprudenza amministrativa ha più volte specificato che «la violazione degli obblighi informativi può integrare, a sua volta, il “grave illecito professionale” endoprocedurale, indicato, nell'elencazione esemplificativa delle cause di esclusione ex art. 80, comma 5, lett. c) d.lgs. 50/2016 come “omettere le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione”, con conseguente facoltà della stazione appaltante di valutare tale omissione o reticenza ai fini dell'attendibilità e dell'integrità dell'operatore economico» (si veda recentemente: TAR Lazio, Roma, sez. I, 8 febbraio 2019 n. 1695; TAR Puglia, Lecce, sez. I, 25 gennaio 2019 n. 122). Sulla scorta di tale orientamento, i concorrenti, dunque, devono dichiarare ogni episodio della vita professionale astrattamente rilevante ai fini della esclusione; infatti «affinché la valutazione della stazione appaltante possa essere effettiva è necessario che essa abbia a disposizioni quante più informazioni possibili, e di ciò deve farsi carico l'operatore economico, il quale se si rende mancante in tale onere può incorrere in un grave errore professionale endoprocedurale» (Cons. St., sez. V, 3 settembre 2018, n. 5142). Con la sentenza in esame, invece, il Collegio milanese ha realizzato un'importante cesura con il suddetto filone giurisprudenziale, individuando un preciso limite operativo ad un obbligo dichiarativo non solo eccessivamente “generalizzato” ma anche particolarmente oneroso per le imprese, obbligate a dover indicare eventi professionali abbondantemente datati o, comunque, del tutto irrilevanti e marginali. Non solo. La lettura normativa resa dai giudici meneghini ha previsto, altresì, l'esistenza di un obbligo dichiarativo a carico dell'operatore economico solo nella misura in cui la stazione appaltante abbia assolto «l'onere di chiarire nella disciplina di gara la effettiva portata e natura delle informazioni all'uopo richieste, in un'ottica di leale e reciproca collaborazione tra le parti». Alla luce delle suddette considerazioni, dunque, il TAR è giunto alla conclusione che gli obblighi di collaborazione del partecipante alla gara «non possono che attestarsi alle soglie della “ragionevole esigibilità” del contegno, da escludersi in nuce nel caso in cui l'esistenza stessa dell'obbligo sia oggettivamente non percepibile, in quanto non discendente dalle norme né, tampoco, individuata o lumeggiata nella lex specialis». Valicata tale soglia, invero, si entrerebbe nel terreno: a) della scusabilità della condotta, in quanto indotta dalla scarsa chiarezza ovvero dalla equivocità delle prescrizioni di gara, suscettibili di diversa significanza e interpretazione; b) del potere-dovere per la stazione appaltante di consentire ai partecipanti, indotti in incolpevole errore dalla equivocità delle prescrizioni, di presentare, integrare, chiarire, o completare le informazioni o la documentazione asseritamente incomplete, errate o mancanti entro un termine adeguato. Per l'inquadramento della questione giuridica, si vedano i seguenti contributi della dottrina: E. Romano, “L'esclusione dell'operatore economico dalla procedura di affidamento dei contratti pubblici”, Torino, 2019; A. Massari, “Gli appalti pubblici dopo il decreto sblocca-cantieri e le altre recenti novità”, Santarcangelo di Romagna, 2019; F. Caringella, M. Protto, “L'art. 80 del nuovo codice dei contratti pubblici”, in “Il Nuovo Codice dei Contratti Pubblici”, Roma, 2016.
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