Legge - 9/12/1998 - n. 431 art. 5 - Contratti di locazione di natura transitoria.Contratti di locazione di natura transitoria. 1. Il decreto di cui al comma 2 dell'articolo 4 definisce le condizioni e le modalità per la stipula di contratti di locazione di natura transitoria anche di durata inferiore ai limiti previsti dalla presente legge per soddisfare particolari esigenze delle parti 1 . 2. In alternativa a quanto previsto dal comma 1, possono essere stipulati contratti di locazione per soddisfare le esigenze abitative di studenti universitari sulla base dei tipi di contratto di cui all' articolo 4-bis 2. 3. È facoltà dei comuni sede di università o di corsi universitari distaccati, eventualmente d'intesa con comuni limitrofi, promuovere specifici accordi locali per la definizione, sulla base dei criteri stabiliti ai sensi del comma 2 dell'articolo 4, dei canoni di locazione di immobili ad uso abitativo per studenti universitari. Agli accordi partecipano, oltre alle organizzazioni di cui al comma 3 dell'articolo 2, le aziende per il diritto allo studio e le associazioni degli studenti, nonché cooperative ed enti non lucrativi operanti nel settore.
[1] Per la durata di tali contratti vedi l'articolo 2 del D.M. 30 dicembre 2002. [2] Comma modificato dall'art. 2, l. 8 gennaio 2002, n. 2. InquadramentoContrariamente alla collocazione che, in generale, avevano nel regime previgente, le locazioni transitorie, nella nuova disciplina delle locazioni ad uso abitativo, possiedono una regolamentazione specifica, nel senso che questa tipologia locatizia risulta organicamente assoggettata al regime giuridico dettato dalla novella del 1998, ed anche le locazioni a studenti si vedono inserite nel corpus organico della nuova disciplina. Trattasi di un'impostazione innovativa rilevante perché tali tipologie locatizie non costituiscono più la fattispecie principale di deroga alla normativa imperativa relativa alle locazioni abitative – in realtà, spesso utilizzate simulando l'uso transitorio rispetto a quello abitativo primario per sfuggire alle rigide maglie della legge sull'equo canone – ma vengono ricondotte ai soli modelli contrattuali standard contemplati dalla l. n. 431/1998. Nello specifico, già la l. n. 392/1978 si era occupata, sia pure in modo indiretto, agli artt. 1 e 26 – oggi espressamente abrogati – delle locazioni stipulate per soddisfare “esigenze abitative di natura transitoria”, ma, proprio nell'ottica di definire l'àmbito di applicazione delle disposizioni imperative concernenti le locazioni abitative, si escludevano appunto quelle transitorie – salvo che fossero destinate da esigenze abitative dettate da motivi di studio e di lavoro, connotate appunto, di regola, dalla stabilità abitativa del conduttore dell'immobile – restando vigente la disciplina autoritativa relativa al canone ma consentendo alle parti di derogarvi quanto alla durata. Dal canto suo, la l. n. 431/1998, dettante la nuova disciplina delle locazioni ad uso abitativo, ha comportato – tra l'altro – l'abrogazione di tutte le norme relative alla determinazione del canone e l'introduzione di una diversa regolamentazione della durata minima del rapporto e del suo rinnovo, prevedendo la possibilità di scelta tra due “canali”: il primo consente di definire, del tutto autonomamente tra le parti, l'entità del canone ed altri aspetti contrattuali, con l'unica limitazione della durata minima stabilita in quattro anni, rinnovabili automaticamente per un massimo di altri quattro, salva la sussistenza di determinate necessità in capo al locatore, mentre il secondo prevede la possibilità per le parti di aderire a contratti-tipo, già definiti secondo particolari procedure condizionate dall'esercizio di poteri lato sensu normativi affidati all'autonomia collettiva, con una durata minima stabilita in tre anni, prorogata di diritto per altri due, salvo tassative ipotesi di disdetta. In particolare, il comma 3 dell'art. 2 della predetta legge prevede che, in alternativa a quanto previsto al comma 1 – cioè il contratto “libero” con durata minima quadriennale e con ragionevole aspettativa di rinnovazione per il successivo quadriennio, secondo il regime del c.d. 4+4 – le parti possono stipulare contratti di locazione, definendo il valore del canone, la durata del contratto ed altre condizioni contrattuali, nel rispetto di quanto contemplato dal successivo comma 5 – cioè il contratto “concordato”, con il regime del c.d. 3+2 – sulla base di quanto stabilito in appositi accordi definiti in sede locale tra le Organizzazioni della proprietà edilizia e dei conduttori maggiormente rappresentative, che provvedono alla definizione di “contratti-tipo”. L'art. 4 della l. 431/1998, al comma 1, prevede che, per realizzare gli accordi de quibus, il Ministro dei lavori pubblici – ora delle infrastrutture e dei trasporti – convochi le Organizzazioni della proprietà edilizia e dei conduttori maggiormente rappresentative a livello nazionale entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della suddetta legge (30 dicembre 1998) – e, successivamente, ogni tre anni a decorrere dalla medesima data – al fine di promuovere la Convenzione nazionale, che individui, quanto al contenuto secondo il testo del comma 1 dell'art. 4, i criteri generali “per la definizione dei canoni” – e ciò, stante la stretta connessione, “anche in relazione alla durata dei contratti, alla rendita catastale dell'immobile ed ad altri parametri oggettivi” – nonché “delle modalità per garantire particolari esigenze delle parti”. Il comma 2 dell'art. 4 – richiamato dal citato comma 3 dell'art. 2 – prevede, inoltre, che la stessa Autorità governativa, di concerto con quella delle finanze, emani un apposito decreto ministeriale, entro trenta giorni dalla “conclusione” della Convenzione, in cui si indichino i recepiti criteri generali, che costituiscono la base per la realizzazione degli accordi locali di cui sopra; in caso di mancato accordo tra le Organizzazioni sindacali, i suddetti criteri sono stabiliti con un decreto ministeriale – da emanarsi trascorsi novanta giorni dalla loro “convocazione” – sulla base degli “orientamenti prevalenti” espressi dalle parti. Quest'ultimo decreto ministeriale viene, quindi, richiamato dal comma 1 dell'art. 5 in commento con il compito di definire le condizioni e le modalità per la stipula di contratti di locazione di natura transitoria “anche di durata inferiore” ai limiti previsti dalla l. n. 431/1998 al fine di “soddisfare particolari esigenze delle parti”. È intervenuto, poi, l'art. 4-bis della l. n. 431/1998 – introdotto dall'art. 1, comma 1, della l. n. 2/2002 – il quale prevede l'attribuzione alla Convenzione nazionale dell'ulteriore contenuto di definizione dei “tipi di contratto” per la stipula, oltre che dei contratti agevolati di cui all'art. 2, comma 3, anche dei contratti di locazione di natura transitoria di cui all'art. 5, comma 1, e per studenti universitari di cui all'art. 5, commi 2 e 3 (situazioni, queste ultime, oggetto del presente commento). Il Ministro dei lavori pubblici, di concerto con il Ministro delle finanze, è dotato, inoltre, del potere sostitutivo di emettere apposito decreto che fissi le condizioni per la stipula dei suddetti accordi relativi – oltre che a quelli agevolati di cui al comma 3 dell'art. 2, anche – ai contratti transitori di cui all'art. 5, nel caso di inerzia dei Comuni o di mancato raggiungimento di intese al livello locale (art. 4, comma 3, l. n. 431/1998, come recentemente modificato dalla l. 12 novembre 2004, n. 269). In quest'ottica, gli artt. 2 e 3 del d.m. 5 marzo 1999 – che ha recepito i risultati della prima Convenzione nazionale – contengono, rispettivamente, i criteri generali per la definizione dei canoni di locazione e dei contratti-tipo per gli usi transitori e per gli studenti universitari fuori sede. Dei sei contratti-tipo allegati al successivo d.m. 30 dicembre 2002 – emanato per il mancato accordo tra le Organizzazioni di categoria – interessano in questa sede l'allegato C relativo alle locazioni transitorie della proprietà individuale, l'allegato D concernente le locazioni transitorie dei grandi proprietari immobiliari, l'allegato E riguardante le locazioni per studenti universitari della proprietà individuale, e l'allegato F attinente alle locazioni per studenti universitari dei grandi proprietari immobiliari. È seguito, infine, il d.m. 16 gennaio 2017, con cui si sono fissati i criteri generali per la realizzazione degli accordi da definire in sede locale per la stipula – tra gli altri – dei contratti di locazione transitori e dei contratti di locazione per studenti universitari ex art. 5, commi 1, 2 e 3, della stessa legge; a tale decreto, vengono allegati i “contratti tipo” (prima demandati alla contrattazione locale), e qui rilevano soltanto l'allegato B per le locazioni di natura transitoria c.d. ordinaria e l'allegato C per le locazioni transitorie di studenti universitari. Concetto di abitazione transitoriaA ben vedere, la figura della “locazione transitoria” risultava sconosciuta al codice civile, che si limitava a stabilire la durata massima dei contratti di locazione per un tempo non “eccedente i trenta anni”, secondo la regola generale posta dall'art. 1573 c.c., oppure in “tutta la durata della vita dell'inquilino e per due anni successivi alla sua morte”, secondo l'art. 1607 c.c. dettato in tema di “locazione di case”; per il resto, nel sistema codicistico, le ragioni che muovevano le parti a stabilire, in totale libertà, la durata convenzionale del rapporto rimanevano confinate nella sfera dei motivi, come tali in linea di principio irrilevanti. È solo con la l. n. 392/1978 che la nozione di “transitorietà” della locazione, anche se non espressamente definita, ha acquistato una posizione di speciale rilievo nel quadro della disciplina delle locazioni abitative, ricevendo espresso riconoscimento negli artt. 1 e 26, in cui sono menzionate, appunto, le locazioni “stipulate per soddisfare esigenze abitative di natura transitoria”. Appare utile allora richiamare i principi elaborati (dalla giurisprudenza e dalla dottrina) nel vigore di tale legge, in quanto, anche se quest'ultima risulta superata venti anni dopo, gli stessi principi possono tornare utili per risolvere i nodi interpretativi causati dalla novella. Orbene, la legge sull'equo canone adoperava la locuzione “esigenze abitative di natura transitoria” sia nel comma 2 dell'art. 1 sia nel comma 2, lett. a), dell'art. 26, tuttavia, mentre la prima disposizione poneva una deroga alla durata – prevista, in via di principio, come quadriennale – talché era più corretta la definizione di “locazione temporanea”, la seconda determinava l'àmbito di applicabilità dell'intera disciplina stabilita per le locazioni abitative e coglieva quelle situazioni in cui mancava l'esigenza di tutela dell'interesse all'abitazione che era alla base della disciplina stessa (Palermo, 52). Le due nozioni di transitorietà avevano, quindi, una valenza differente (Bocchetti, 114): la prima indicava un'esigenza abitativa primaria di durata infraquadriennale che meritava tutela, mentre la seconda escludeva, invece, dalla protezione quelle esigenze che, pur necessitando per il loro soddisfacimento di una “casa”, non erano tali da giustificare una disciplina limitatrice dell'autonomia delle parti, stante la “non essenzialità dell'esigenza abitativa in relazione alle modalità di utilizzazione del bene” (così Breccia, 225). Ne derivava – come avevano avvertito i giudici di legittimità – che, in tale secondo tipo, il momento caratterizzante era costituito dalla natura dell'esigenza abitativa del conduttore, che comportava nell'abitazione una “permanenza precaria e sussidiaria”, diversa dalla normale e continuativa dimora (Cass. III, n. 4472/2001; Cass. III, n. 6971/2000; Cass. III, n. 1936/1997; Cass. III, n. 2371/1992; Cass. III, n. 4211/1988; Cass. III, n. 3730/1984; Cass. III, n. 7200/1983; Cass. III, n. 4712/1981). I giudici di Piazza Cavour (Cass. III, n. 6145/1997) avevano precisato, sul punto, che le “esigenze abitative di natura transitoria'” (e non determinate da motivi di lavoro o di studio) previste dall'art. 26, comma 1, lett. a), della l. n. 392/1978 non erano contrassegnate dal mero dato oggettivo di essere destinate ad esaurirsi in un breve periodo, bensì da una caratteristica negativa, consistente nella loro intrinseca non meritevolezza di tutela, per essere diverse dall'esigenza abitativa primaria in quanto meramente sussidiarie o voluttuarie – come quelle che ispirano soggiorni per villeggiatura o turismo, oppure utilizzazioni saltuarie – che ben potevano presentare un certo carattere di continuità nel tempo, ed essere quindi soddisfatte mediante la protratta disponibilità di un alloggio. Anche le Sezioni Unite avevano chiarito che la transitorietà delle esigenze abitative del conduttore (artt. 1 e 26 l. n. 392/1978), doveva riferirsi, tra l'altro, a quei rapporti nei quali l'aspirante conduttore, pur disponendo di propria stabile ordinaria abitazione, volesse trasferire altrove la dimora per soddisfare bisogni di carattere contingente, tali da non comportare nemmeno sotto il profilo intenzionale un cambiamento di residenza; le ragioni più o meno oggettivamente cogenti o soggettivamente pressanti che potevano essere all'origine delle suddette esigenze abitative non incidevano sul quadro della loro transitorietà quando esse si palesassero all'atto della stipulazione dell'accordo destinate ad esaurirsi entro un tempo breve, segnatamente inferiore comunque alla durata minima quadriennale prevista nel comma 1 dell'art. 1 della legge suddetta (Cass. S.U., n. 4291/1989: fattispecie in cui il contratto dedotto in lite era stato stipulato dal conduttore per fronteggiare una situazione di emergenza venutasi a creare a seguito di eventi sismici che avevano interessato la località ove egli aveva l'abitazione e ne avevano consigliato il temporaneo e prudenziale allontanamento). Era, comunque, pacifico che le esigenze abitative transitorie dovevano effettivamente esistere al momento della formazione genetica del contratto, con un giudizio ex ante affidato ad un criterio di normale prevedibilità, a nulla rilevando le mutate esigenze del conduttore (Cass. III, n. 5722/1994; Cass. III, n. 10676/1991; Cass. III, n. 11984/1990; anche più di recente, per la necessità di un esplicito riferimento nel contratto alle perseguite esigenze di natura transitoria, al fine di esentare il rapporto alla l. n. 392/1978, v. Cass. III, n. 4242/2013; cui adde Cass. III, n. 8100/2006, la quale ha considerato irrilevante il fatto che il conduttore avesse un altro appartamento idoneo nello stesso Comune; Cass. III, n. 15627/2005; Cass. III, n. 5233/2004). In tale prospettiva, erano state ricondotte alla disposizione in parola – e, quindi, escluse dall'applicabilità dell'intero capo I del titolo I della l. n. 392/1978 – le locazioni di abitazioni destinate a: a) soggiorni saltuari (dovuti ai più svariati motivi, come salute, affetti, avvenimenti culturali, turismo, ecc.), b) villeggiatura (Cass. III, n. 7200/1983; Cass. III, n. 4808/1982; Cass. III, n. 4712/1981), c) a garçonnière, la quale soddisfaceva un'esigenza di intimità, riservatezza e comodità che atteneva la vita sessuale del conduttore (Pret. Roma 10 marzo 1981), e d) luogo utilizzato da una coppia per incontri saltuari (Cass. III, n. 2371/1992). Rientravano, poi, nella previsione dell'art. 26 – e, quindi, erano alieni alla disciplina della legge – i rapporti aventi ad oggetto la c.d. seconda casa o pied à terre, anche se il conduttore aveva una sfera di interessi territorialmente policentrici, con conseguenti frequenti spostamenti da un luogo ad un altro; invero, anche ad aderire alla tesi della configurabilità di una pluralità di residenze civili, il legislatore del 1978 aveva comunque inteso offrire tutela privilegiata esclusivamente alla locazione dell'abitazione “primaria” del conduttore, quella cioè dove egli dimorava abitualmente e continuativamente. Pertanto, la natura secondaria (“transitoria”) delle esigenze non poteva essere esclusa sulla base della considerazione che la durata convenzionale risultasse superiore ad un periodo stagionale (Cass. III, n. 2371/1992; Cass. III, n. 6078/1987); viceversa, la mera indicazione di una durata inferiore al quadriennio, senza che risultasse altrimenti esplicitata l'esigenza abitativa da soddisfare, non era di per sé idonea a far ricadere il contratto né tra le locazioni per esigenze abitative transitorie determinate da motivi di studio e di lavoro, né tra quelle per esigenze abitative non stabili e primarie (Cass. III, n. 15627/2005; Cass. III, n. 5233/2004). La qualificazione del tipo locatizio doveva, dunque, effettuarsi con riferimento esclusivo all'esigenza in concreto del conduttore, senza che assumesse rilievo la durata del contratto stabilita dalle parti, che poteva essere infra od ultraquadriennale (Lazzaro, Di Marzio, 166). Motivi di studio o di lavoroNelle sopra delineate situazioni, la l. n. 392/1978 aveva, però, conferito particolare rilievo ai “motivi di lavoro o di studio”, affermando, in forza dell'art. 26, l'applicabilità del capo I del titolo I della legge sull'equo canone ai relativi contratti e, quindi, parificando in toto dette esigenze, quanto alla disciplina, a quella abitativa primaria, ferma la possibilità di una durata inferiore al quadriennio. In altri termini, le disposizioni della legge sull'equo canone non si applicavano alle locazioni stipulate per soddisfare esigenze abitative di natura transitoria – che, dunque, risultavano totalmente libere sul versante del canone, della durata e quant'altro – fatta salva l'ipotesi che il conduttore abitasse “stabilmente” nell'immobile per motivi di lavoro o di studio (alcuni, come Breccia, 225, avevano criticato l'indicazione tassativa delle ipotesi previste dall'art. 26 citato, in quanto arbitrariamente operava una selezione di interessi tutelabili, apparendo invece parimenti meritevole di tutela la transitorietà dipendente, ad esempio, da gravi motivi familiari o di salute). Dal coordinamento degli artt. 1 e 26 della l. n. 392/1978, ne conseguiva che, da un lato, potevano individuarsi quei rapporti volti a soddisfare qualsiasi esigenza “transitoria” del conduttore, diversa tuttavia dai motivi di studio e di lavoro, ai quali non era applicabile l'intera disciplina della legge, e, dall'altro, vi erano i contratti transitori per motivi di studio e di lavoro, ai quali era applicabile l'intera disciplina della determinazione del canone, con esclusione solamente della norma relativa alla durata obbligatoria di quattro anni (Gabrielli, Padovini, 29). Si trattava, comunque, di un'eccezione all'irrilevanza delle esigenze secondarie (“transitorie”), sicché doveva considerarsi tassativa, con la conseguente sua non estensibilità ad altri rapporti determinati da esigenze diverse, pur se di un certo peso, come quella della salute (Cass. III, n. 8785/1991; Cass. III, n. 4742/1984) che costringesse il conduttore a lunghi periodi di soggiorno in zone climatiche. Le sole ragioni di lavoro o di studio non erano, tuttavia, sufficienti ad integrare la fattispecie de qua, la quale, oltre la finalizzazione del rapporto a quelle esigenze, abbisognava che l'immobile fosse concretamente utilizzato con continuità: la giurisprudenza, in proposito, aveva posto in luce che le ragioni di lavoro o di studio, da un lato, e la stabilità dell'abitazione, dall'altro, costituivano un'endiadi senza la quale la locazione rimaneva estranea all'àmbito di applicazione della disciplina dettata dalla l. n. 392/1978 riguardo al canone ed alla durata. Invero, dal chiaro tenore della norma, emergeva che, per l'applicabilità delle disposizioni di cui al capo I del titolo I, alle locazioni stipulate per soddisfare esigenze abitative di natura transitoria, fossero necessari due requisiti: il primo consistente nel fatto che il conduttore doveva abitare stabilmente l'immobile ed il secondo nel motivo di lavoro o di studio, alla cui realizzazione si intendeva stipulata la locazione; entrambi i requisiti dovevano concorrere, nel senso che – ferma restando la transitorietà delle esigenze abitative – la sola stabile occupazione dell'immobile, non giustificata da motivi di studio o di lavoro, oppure la sola sussistenza di questi motivi, non accompagnata dalla stabile occupazione dell'immobile, non valevano ad attrarre la disciplina del contratto di locazione nel regime di cui al citato capo I (Cass. III, n. 4495/2009; Cass. III, n. 16759/2006; Cass. III, n. 1529/1999; Cass. III, n. 914/1999; Cass. III, n. 9600/1998; Cass. III, n. 2271/1998; Cass. III, n. 6145/1997). Non era necessaria la costante ed ininterrotta presenza del conduttore: così doveva considerarsi occupata stabilmente la casa da uno studente universitario che, durante le vacanze natalizie e pasquali o nei periodi di chiusura dell'ateneo, rientrasse nella propria abitazione primaria, mentre, all'opposto, difettava tale requisito ove il predetto utilizzasse l'abitazione solo in occasione degli esami (Pret. Chieti 23 ottobre 1981). Su tale premessa, veniva esclusa l'applicabilità della norma de qua per lo studente fuori corso, non dovendo egli più frequentare le lezioni ma solo sostenere gli “esami arretrati” (Pret. Parma 18 ottobre 1980, che però riconduceva il rapporto tra quelli protetti se lo studente dimostrava di dovere frequentare corsi, esercitazioni di laboratorio, ecc.); veniva configurata un'esigenza secondaria rilevante e stabile che comportava l'applicabilità dell'equo canone, pur consentendo una durata inferiore al quadriennio (Pret. Camerino 8 ottobre 1991). La disposizione de qua doveva, comunque, essere letta in relazione ai principi operanti in tema di tutela del nucleo familiare del conduttore, sicché nulla impediva che le esigenze di lavoro o di studio fossero riferite a qualsiasi familiare del conduttore stesso, da individuarsi attraverso il disposto dell'art. 6 della l. n. 392/1998 (Pret. Bari 18 novembre 1981), dovendosi appunto fare riferimento ai beneficiari dell'alloggio (Pret. Bologna 3 aprile 1981); insomma, venendo in rilievo nel rapporto locatizio non solo le esigenze del conduttore (Cass. III, 4678/1985; Cass. III, n. 4517/1985), l'abituale dimora doveva essere riferita ai componenti di quel nucleo familiare, per le cui esigenze di lavoro o di studio il conduttore avesse locato l'immobile (Pret. Roma 15 aprile 1987). Oneri di indicazione e provaAl riguardo, si sosteneva la necessità che le parti menzionassero espressamente nel contratto la natura dell'esigenza abitativa secondaria che il conduttore intendeva soddisfare: invero, in mancanza di una pattuizione espressa, tale elemento non poteva desumersi dalla durata convenuta in un periodo inferiore al quadriennio o dal canone fissato in misura superiore a quella legale o dalle modalità d'uso dell'immobile di equivoco significato, ma doveva risultare da una valutazione complessiva del sistema di vita del conduttore, dalla disponibilità di un alloggio in luogo diverso, dalla residenza anagrafica, dallo svolgimento della propria attività lavorativa, ecc.; pur senza formule sacramentali, doveva essere possibile apprezzare la particolarità della causa rispetto a quella generica del tipo negoziale: la transitorietà doveva, quindi, risultare nel contratto in modo specifico ed essere evidenziata con riferimento alla situazione e all'interesse del conduttore (Lazzaro, Di Marzio, 169). Gli ermellini si erano pronunciati, al contrario, nel senso della sufficienza della mera enunciazione delle esigenze abitative transitorie del conduttore, considerando che la formale e puntuale indicazione delle specifiche esigenze transitorie non era imposta, a pena di nullità, da alcuna norma della speciale disciplina contenuta nella l. n. 392/1998, né la sua mancanza integrava alcuna delle cause di nullità del contratto, previste in via generale dagli artt. 1418 e 1419 c.c. (Cass. III, n. 8459/2004; Cass. III, n. 11154/2002; Cass. III, n. 17161/2002; Cass. III, n. 4217/2001; Cass. III, n. 1288/2001; Cass. III, n. 328/2000; Cass. III, n. 2868/1997). In tema di onere della prova a carico del conduttore, che intendesse dimostrare la soggezione ad “equo canone” di una locazione stipulata ad uso “transitorio”, si è assistito ad una significativa evoluzione giurisprudenziale (era, comunque, pacifico che tale onere gravasse sul conduttore: v., per tutte, Cass. III, n. 7410/1992, aggiungendo che tale prova poteva, però, desumersi anche da elementi indiziari; cui adde Cass. III, n. 11611/2010 e Cass. III, n. 16759/2006, che facevano salvi i poteri istruttori esercitabili dal giudice d'ufficio a norma dell'art. 447-bis, comma 3, c.p.c.). Un primo orientamento – che aveva trovato origine e fondamento nella sentenza del giudice delle leggi (Corte cost., n. 185/1988), con la quale è stata dichiarata la parziale incostituzionalità dell'art. 80 della l. n. 392/1978 nella parte in cui prevedeva la stabilizzazione dell'uso diverso da quello pattuito dopo un anno di inerzia del locatore, anche se quest'ultimo nulla ne avesse saputo – riteneva che la valutazione della soggezione del rapporto ad equo canone dovesse essere condotta in ragione delle “oggettive esigenze abitative” che avevano mosso il conduttore a contrarre, indipendentemente dalla cognizione che ne avesse avuto il locatore, il quale avrebbe potuto tutelarsi ricorrendo alle impugnazioni per dolo o per errore (Cass. III, n. 352/1993; Cass. III, n. 2371/1992; Cass. III, n. 10676/1991; Cass. III, n. 11984/1990). Successivamente, si era consolidato un diverso indirizzo, secondo cui occorreva indagare non soltanto l'aspetto obiettivo delle esigenze abitative del conduttore, ma anche la connotazione “soggettiva” della partecipazione del locatore alla scelta della tipologia contrattuale: la locazione transitoria poteva essere ricondotta ad equo canone solo nell'ipotesi che essa fosse il frutto di un vero e proprio accordo simulatorio, oppure – secondo alcune pronunce – qualora il locatore avesse potuto apprezzare, con uno sforzo di diligenza ordinaria, la primarietà delle esigenze abitative del conduttore, che, versando in stato di riserva mentale, aveva invece dichiarato di voler contrarre ad uso transitorio (Cass. III, 26414/2008; Cass. III, n. 12374/2006; Cass. III, n. 4727/2001; Cass. III, n. 724/2001; Cass. III, n. 10587/2000; Cass. III, n. 6971/2000; Cass. III, n. 12561/1999; Cass. III, n. 4802/1999; Cass. III, n. 4377/1999; Cass. III, n. 4230/1999; Cass. III, n. 10797/1997; Cass. III, n. 7923/1997; Cass. III, n. 6990/1997; Cass. III, n. 6145/1997; Cass. III, n. 1936/1997; Cass. III, n. 11917/1995). Al contempo, la verifica giudiziale della corretta natura giuridica del contratto posto in essere dalle parti, occasionata dalle azioni ex art. 79 della l. n. 392/1978 destinate ad accertare la natura simulata del contratto transitorio e l'effettiva destinazione dell'immobile ad uso abitativo, si era, in un primo momento, fondata principalmente sulla “oggettiva” destinazione dell'immobile, senza considerare il comportamento delle parti nel momento genetico del rapporto; in seguito, si era affermato l'orientamento giurisprudenziale che aveva ravvisato l'illiceità dell'oggetto del contratto simulato soltanto se il locatore risultava posto nella possibilità di conoscere la reale intenzione del conduttore, nel senso che il motivo – elemento essenziale per la determinazione a contrarre per quest'ultimo – trovava riconoscimento e determinava l'invalidità di interessi simulato solo se correlato all'elemento “soggettivo” costituito dalla conoscenza o conoscibilità da parte del locatore (ad avviso di Acierno, 114, l'attenzione puntata dalla giurisprudenza sull'affidamento del locatore aveva portato a conferire “dignità giuridica” alle ragioni, diverse da quelle di eludere il regime imperativo della legge sull'equo canone, sottese alle scelte di stipulare un contratto transitorio, portando questo processo a compimento con l'art. 5 della l. n. 431/1998 in commento, mediante l'espressa previsione della possibilità di concludere contratti di locazione abitativa di durata inferiore a quella prevista dalla legge per soddisfare particolari esigenze delle parti). Ambito di applicazione della novellaOccupandosi funditus delle esigenze abitative di natura transitoria, la l. n. 431/1998 ha inteso, per un verso, far riemergere il mercato sommerso delle locazioni abitative che sfuggiva all'imposizione fiscale e risultava privo di garanzie di stabilità temporale per i conduttori (segnatamente predeterminando la durata minima e massima del rapporto), e, per altro verso, compensare la maggiore flessibilità temporale con la fissazione di canoni calcolati sulla base dei criteri indentificativi degli immobili indicati nei c.d. contratti-tipo (rivedibili periodicamente in modo tale da garantire una maggiore aderenza alle esigenze del mercato). Va registrato che una certa apertura in tal senso si era già verificata con la l. n. 359/1992, sui c.d. patti in deroga, dove, per la prima volta nel settore abitativo, si era liberalizzato il canone, temperando la (sia pur ridotta) stabilità temporale con la possibilità, in capo al locatore, di recedere alla prima scadenza contrattuale. Nello specifico, l. n. 431/1998 – che, in generale, esclude margini di autonomia privata riguardo alla durata del rapporto sia per il canone libero (art. 2, comma 1) sia per quello concertato (art. 2, comma 5) – all'art. 14 ha abrogato gli artt. 1 e 26 della l. n. 392/1978, dettati in tema di locazioni abitative transitorie e, al contempo, l'art. 5 della nuova legge, sotto la rubrica “contratti di locazione di natura transitoria”, ha rimesso ad un decreto del Ministro dei lavori pubblici (oggi delle infrastrutture), di concerto con il Ministro delle finanze – decreto previsto dal precedente art. 4 (al cui commento si rinvia) – la definizione “delle condizioni e delle modalità per la stipula di contratti di locazione di natura transitoria anche di durata inferiore ai limiti previsti dalla presente legge per soddisfare particolari esigenze delle parti”. La sopravvivenza delle locazioni transitorie è già preannunciata dal precedente art. 2, comma 5, della stessa l. n. 431/1998, ove è stabilito che i contratti di locazione stipulati ai sensi del comma 3, ossia i contratti a canone c.d. concertato, non possono avere durata inferiore ai tre anni, “ad eccezione di quelli di cui all'art. 5” citato. Pertanto, con un'impostazione diversa dalla l. n. 392/1978, la quale aveva inteso sottrarre alla disciplina speciale le locazioni transitorie (ad eccezioni di quelle stipulate per motivi di lavoro o di studio), la l. n. 431/1998 – dopo aver esonerato dall'àmbito di applicabilità gli alloggi destinati a finalità esclusivamente turistiche e dopo aver rimesso al codice civile le locazioni transitorie stipulate dagli Enti locali in qualità di conduttori – ha posto particolare attenzione alle (ulteriori) esigenze transitorie, che ora “svettano in una dimensione superiore di primarietà, tanto da imporre, pur riconosciuto il carattere particolare del singolo rapporto, l'adozione di una regolamentazione generale ed unitaria, al pari di quella dettata per le locazioni abitative non transitorie” (così Carrato, Scarpa, 396, i quali evidenziano come l'approdo a forme di contrattazione standardizzata per la stipula di locazioni di natura transitoria risulta contraddittorio rispetto al dichiarato obiettivo di aprire maggiori spazi all'autonomia negoziale, atteso che, mentre viene generalmente a cessare la determinazione autoritativa del canone, alle parti si impone una etero-integrazione del programma contrattuale se intendano convenire una più breve durata del rapporto). A questo punto, si pone il quesito se, nel quadro della l. n. 431/1998, le locazioni transitorie si innestino sul solo tipo delle locazioni a canone c.d. concertato – ossia eterodeterminato secondo il meccanismo di cui appresso – e non sul tipo locatizio a canone libero; ci si interroga, in altri termini, se le locazioni transitorie di cui all'art. 5 siano o meno una species di un più ampio genus delle locazioni transitorie ammesse dalla nuova legge. La soluzione offerta dalla dottrina non è stata uniforme. Alcuni non hanno dubitato che le sole locazioni transitorie ammesse dalla nuova legge siano quelle a canone c.d. concertato: si sottolinea, in particolare, che soltanto l'art. 2, comma 5 – riferito, appunto, alle locazioni a canone c.d. concertato – ammette una deroga alla durata minima triennale, mentre l'art. 2, comma 1, non contiene alcuna possibilità, per i contratti a canone libero, di pattuire una durata inferiore a quella minima quadriennale rinnovabile salvo giusta causa (Gabrielli, Padovini, 515). Da altri, è stata suggerita una diversa soluzione, che trova fondamento, essenzialmente, nell'art. 8, comma 3, della l. n. 431/1998, posto in tema di agevolazioni fiscali, le quali “non si applicano ai contratti di locazione volti a soddisfare esigenze abitative di natura transitoria, fatta eccezione per i contratti di cui al secondo comma dell'articolo 5 e per i contratti di cui al terzo comma dell'articolo 1”; la lettera della legge, dunque, sembra giustificare la tesi che le locazioni transitorie costituiscano un più ampio genere rispetto alla specie – fiscalmente privilegiata – delle locazioni transitorie di cui al citato art. 5 (Cuffaro 1998, 784); la nuova disciplina generale delle locazioni abitative, quindi, ammetterebbe, oltre alle locazioni transitorie disciplinate nell'art. 5, anche la stipulazione di contratti di locazione di durata più breve di quella quadriennale indicata nell'art. 2, comma 1, nel caso che il godimento della cosa locata per un tempo limitato sia motivato, come si esprime l'art. 8, comma 3, da esigenze abitative (del solo conduttore) di natura transitoria. Secondo altra autorevole dottrina (Lazzaro, Di Marzio, 181), non potrebbe, invece, ammettersi – cedendo ad una lettura troppo dilatata dell'art. 8 della l. n. 431/1998, in assenza di ulteriori elementi di riscontro – che il legislatore abbia voluto contraddittoriamente predisporre un “congegno addirittura soffocante”, come quello attraverso cui si perviene alla stipulazione dei contratti di locazione transitoria di cui all'art. 5, per poi permettere alle parti di concludere liberamente i medesimi contratti al di fuori di ogni vincolo, in quanto ciò varrebbe quanto rendere lettera morta la disciplina in questione. Anche ad avviso di altri (Mazzeo 2008, 11), una tipologia di locazioni transitorie al di fuori dello schema tipico predisposto dall'art. 5, comma 1, della l. n. 431/1998 non sarebbe ammissibile, non potendosi ritenere che il legislatore, con la previsione dell'art. 8, abbia voluto contraddittoriamente predisporre un congegno fortemente rigido come quello mediante cui si perviene attraverso la stipula dei contratti di locazione transitoria, passando per le maglie dei modelli negoziali allegati alla contrattazione collettiva, per poi consentire alle parti di concludere liberamente gli stessi contratti senza alcun vincolo legale, con l'unica conseguenza della perdita dei benefici fiscali. In modo schematico, altri autori (Nasini, Nasini, 134) intravedono, alla luce della l. n. 431/1998, quattro fattispecie di contratti “transitori”, e precisamente: 1) le locazioni stipulate dagli Enti locali in qualità di conduttori per soddisfare esigenze di natura transitoria, 2) le locazioni stipulate esclusivamente a scopo turistico, 3) le locazioni transitorie c.d. ordinarie, e 4) le locazioni transitorie per studenti universitari; mentre le prime due tipologie locatizie sono soggette esclusivamente al codice civile e, quindi, sostanzialmente libere – quanto a canone, durata ed altre clausole contrattuali – le ultime due risultano assoggettate ad una disciplina che prevede limitazioni e criteri da rispettare sotto vari profili. Ad ogni buon conto, si sottolinea il risultato, in controtendenza alla liberalizzazione prevista dalla novella, di sottrarre la contrattazione alla negoziazione privata per demandarla a terzi soggetti: l'aspetto istituzionale dei contratti di locazione transitoria risulta così completamente “falsato” dalla l. n. 431/1998 la quale, affidando alle Organizzazioni di categoria i criteri per la stipulazione, ha determinato “un fiorire di decreti ministeriali e di accordi territoriali” che hanno notevolmente complicato ed appesantito questa tipologia di contratto, rendendone estremamente difficoltosa l'applicazione (Grasselli, Masoni, 109). Tra la scarsa giurisprudenza in subiecta materia, va richiamata una pronuncia di legittimità (Cass. III, n. 13483/2011), ad avviso della quale le locazioni di immobili ad uso abitativo sono soggette alle previsioni di cui alla l. n. 431/1998, fatte salve le eccezioni contemplate dalla medesima normativa, conseguendone che anche il contratto di locazione di una “seconda casa”, che il conduttore intenda destinare allo svago o al tempo libero, è soggetto alla disciplina dettata dalla suddetta legge. Particolari esigenze delle partiPassando all'esame dell'art. 5 della l. n. 431/1998, l'attenzione dell'interprete viene sùbito attratta dal riferimento – cui si è accennato sopra – alle “particolari esigenze delle parti”, e in ciò già si ravvisa una significativa soluzione di continuità con il passato, atteso che le locazioni abitative transitorie ivi previste cessano di essere esclusivamente correlate alla natura delle esigenze abitative del conduttore e possono oggi trovare giustificazione in ragioni fatte valere dal solo locatore, giustificando la sua legittima esigenza di non obbligarsi per lunghi periodi al fine di riacquisire a breve la disponibilità dell'immobile locato. In questo nuovo ordine di concetti, sembra, quindi, maggiormente corretto discutere in modo unitario di esigenze locative transitorie, mentre è inevitabile abbandonare ogni tesi che concentri il comune denominatore delle locazioni nella non essenzialità, o non primarietà, dell'interesse abitativo (Carrato, Scarpa, 491). Sul punto, la formulazione delle Convenzione nazionale e del contratto tipo (allegato B) recepita nel primo decreto interministeriale del 1999 appariva abbastanza “equivoca” (così Rezzonico 1999, 864), poiché, prevedendo che i contratti transitori potessero essere conclusi per soddisfare particolari esigenze dei proprietari “e” dei conduttori, portava a concludere che, per la validità della relativa stipulazione, fosse richiesta la congiunta (in realtà, poco probabile) sussistenza delle esigenze del locatore e del conduttore, tanto che l'unica via per superare l'impasse derivante da tale formulazione veniva individuata in un'interpretazione “coraggiosa” a livello di accordi locali che attribuisse un significato alternativo e non congiuntivo alle suddette particolari esigenze “delle parti”. Ad ogni buon conto, era chiaro che il legislatore ha probabilmente inteso realizzare lo scopo di riversare sul mercato quegli alloggi tenuti dai proprietari sfitti in previsione della necessità di utilizzarli personalmente – nel senso più ampio del termine, comprensivo anche dell'ipotesi di alienazione – a breve termine; può, dunque, accadere che il conduttore sia portatore di esigenze abitative primarie e stabili – delle quali il locatore sia pienamente consapevole – e che, ciononostante, la legittima stipulazione di una locazione transitoria discenda dall'esigenza dell'altro contraente di concedere in godimento l'immobile solo per breve tempo (Lazzaro, Di Marzio, 182). D'altro canto, nella nozione di transitorietà riguardata a latere conductoris, vanno a confluire senza ulteriori specificazioni – se ne trova conferma nella lettura degli accordi locali – tanto le ipotesi che ricadevano in passato sotto la disciplina dell'art. 1, comma 2, della l. n. 392/1978, quanto le ipotesi che venivano ricondotte all'art. 26, lett. a), della stessa legge: dunque, sia le locazioni destinate a soddisfare esigenze abitative primarie di durata inferiore a quella legale, sia le locazioni destinate a soddisfare esigenze abitative non primarie di durata indifferentemente minore o maggiore di quella legale, sia le locazioni transitorie per motivi di lavoro o di studio caratterizzate dalla stabile permanenza del conduttore nell'immobile. In tal modo, alla l. n. 392/1978, che aveva inteso ponderare e graduare l'intervento protettivo in funzione degli interessi in gioco – distinguendo tra rapporti meritevoli di tutela sia sul piano della durata che del canone, rapporti meritevoli di tutela sul piano del canone ma non della durata, rapporti immeritevoli di tutela del conduttore – è subentrata un'impostazione che ignora le distinzioni, assoggettando al medesimo trattamento situazioni non omogenee; occorre ammettere, dunque, che la nozione di “transitorietà” collegata alla natura delle esigenze abitative del conduttore conosciute o conoscibili dal locatore tende a sfumarsi, mentre si assiste, negli accordi locali di cui appresso, ad un discutibile processo di “oggettivizzazione, almeno tendenziale, delle ipotesi di transitorietà” (così Lazzaro, Di Marzio, 183), le quali sembrano essere in definitiva accomunate – in contrasto con la stessa lettera dell'art. 5, in cui si discorre di contratti transitori “anche” di durata inferiore – dall'esigenza che il rapporto abbia durata inferiore a quella legale: in altre parole, la disciplina delle locazioni transitorie, come è oggi congegnata, si caratterizza per l'imposizione al locatore che voglia stipulare un contratto di durata contenuta di accogliere l'eterodeterminazione del canone e le altre condizioni contrattuali stabilite a livello locale. Nondimeno, non si deve ritenere che la formulazione dell'art. 5 della l. n. 431/1998 abbia realmente snaturato la nozione di transitorietà in passato desumibile dagli artt. 1 e 26 della l. n. 392/1978: non la durata in sé considerata, infatti, costituisce il connotato distintivo delle locazioni transitorie, ma le diverse esigenze giustificatrici, pur nella loro eterogeneità, della durata medesima, delle quali siano portatori vuoi il conduttore, vuoi il locatore. In quest'ottica, la scelta di “blindare” i contratti di locazione transitoria mediante un congegno a cascata – congegno che rinvia dal citato art. 5 alla Convenzione nazionale e da questa agli accordi locali ed alle pattuizioni individuali – mostra tratti di incoerenza (ad avviso di Lazzaro, Di Marzio, 183): invero, in una legge tutta indirizzata all'ampliamento degli spazi riservati all'autonomia privata divengono pressoché integralmente eterodeterminati proprio quei contratti che, anche nell'impianto della l. n. 392/1978, erano stati, almeno in parte, rimessi integralmente alla disciplina codicistica, non essendo destinati a soddisfare esigenze abitative meritevoli di tutela. Malgrado ciò, sul piano della ratio, è stato osservato che la tipizzazione delle “particolari esigenze delle parti” trova giustificazione, in funzione protettiva del soggetto economicamente più debole, nella cattiva prova data in passato dalle locazioni transitorie, le quali avevano di certo costituito un diffuso strumento di elusione della disciplina cogente dettata dalla legge sull'equo canone (Verardi, 133); e tale osservazione è, peraltro, sostenuta dalla constatazione che l'utilizzazione del modello della locazione transitoria a scopo elusivo non era cessata neppure con l'introduzione dei c.d. patti in deroga di cui all'art. 11, comma 2, della l. n. 359/1992. Occorre, dunque, riconoscere che, secondo quest'impostazione, il così pesante intervento del legislatore è estraneo all'eterogenea sostanza dei rapporti fisiologicamente regolati mediante i contratti di locazione transitoria, mostrando di essere essenzialmente volto a reprimere l'uso distorto del tipo contrattuale, allo scopo di assicurare l'effettiva applicazione, laddove pertinente, della disciplina delle locazioni abitative primarie. Disciplina eterodeterminataLa caratteristica dell'art. 5 in esame è, dunque, la sua (voluta) non autosufficienza: le “condizioni” e le “modalità” di stipula dei contratti di locazione abitativa transitoria, sottratti ai limiti minimi di durata previsti dall'art. 2 della legge per le locazioni a canone c.d. concertato, vanno infatti ricercate nel decreto ministeriale previsto dall'art. 5 in funzione integrativa della disciplina legale; a sua volta, il decreto ministeriale è il culmine di una precedente attività promossa dal Ministro dei lavori pubblici (oggi delle infrastrutture), che, ai sensi dell'art. 4, comma 1, della l. n. 431/1998, convoca le Organizzazioni della proprietà edilizia e dei conduttori al fine di promuovere una Convenzione che individui “i criteri generali per la definizione dei canoni, anche in relazione alla durata dei contratti, alla rendita catastale dell'immobile e ad altri parametri oggettivi, nonché delle modalità per garantire esigenze delle parti”. Quanto agli apporti della giurisprudenza, merita rammentare che è stata ritenuta non manifestamente infondata, con riferimento agli artt. 41 e 42 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, comma 1, della l. n. 431/1998, nella parte in cui subordina la legittimità di contratti di locazione di natura transitoria alle condizioni e modalità definite dal decreto di cui al comma 2 dell'art. 4 della stessa legge (Trib. Brescia 12 febbraio 2003), ma tale questione è stata dichiarata “inammissibile” dal giudice delle leggi (Corte cost., n. 373/2003). Ebbene, stipulata la Convenzione nazionale l'8 febbraio 1999, il decreto è stato emanato dal Ministro dei lavori pubblici, di concerto con il Ministro delle finanze, il 5 marzo 1999, il cui art. 2 aveva, in particolare, ad oggetto i “criteri per la definizione dei canoni di locazione e dei contratti tipo per gli usi transitori”. Successivamente, in applicazione del citato art. 4, comma 1, della l. n. 431/1998, in mancanza di accordo delle parti, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sulla base degli orientamenti prevalenti espressi dalle Organizzazioni sindacali degli inquilini e dei proprietari, ha emesso il d.m. 30 dicembre 2002, ma neppure quest'ultimo decreto era autosufficiente: il citato art. 2 stabiliva, infatti, che i contratti di locazione transitoria erano stipulati per soddisfare esigenze “da individuarsi nella contrattazione territoriale tra le Organizzazioni sindacali della proprietà e degli inquilini” e rimetteva ai medesimi soggetti la definizione dei contratti-tipo. Tuttavia, la funzione del decreto de quo va in prospettiva riletta alla luce della novella di cui alla l. 8 gennaio 2002, n. 2, la quale, inserendo nel tessuto normativo l'art. 4-bis e modificando lo stesso art. 5 della l. n. 431/1998, ha rimesso alla Convenzione nazionale il compito di approvare i “tipi di contratto” per soddisfare le esigenze di natura transitoria, con una previsione, quindi, omogenea su tutto il territorio nazionale, salva la possibilità di indicare scelte alternative da definire negli accordi locali in relazione a specifici aspetti contrattuali. È seguito, poi, il d.m. 10 marzo 2006 del Ministro delle infrastrutture, adottato di concerto con il Ministro dell'economia, il quale, preso atto che, in precedenza, la stessa riforma di cui alla l. n. 431/1998 non aveva in alcun modo favorito la stipula di locazioni ad uso transitorio irrigidendone anzi la disciplina complessiva, ha cercato di porvi rimedio prevedendo la possibile stipula di contratti transitori anche al di là dei casi contemplati negli accordi fra le Organizzazioni di proprietari e inquilini: esso, infatti, stabilisce che, in ogni Comune, le parti possono comunque stipulare, indipendentemente dalle esigenze individuate negli accordi locali, contratti di locazione di natura transitoria per soddisfare qualsiasi esigenza specifica, espressamente indicata in contratto, del locatore o di un suo familiare oppure del conduttore o di un suo familiare, collegata ad un evento certo a data prefissata. Il suddetto decreto ministeriale, inoltre, ha previsto che: 1) se sono stati stipulati accordi fra le Organizzazioni della proprietà edilizia e degli inquilini, i canoni da applicare sono quelli ivi fissati, aumentati dell'incremento I.S.T.A.T. maturato dalla data di sottoscrizione a quella di stipula del contratto; 2) se non esistono tali accordi, si fa riferimento, per quanto attiene alle fasce di oscillazione dei canoni, all'accordo, stipulato dopo il 30 dicembre 2002 vigente nel Comune demograficamente omogeneo di minore distanza territoriale, anche se situato in altra Regione, mentre, qualora l'accordo assunto a riferimento contempli fasce di oscillazione diversificate per aree omogenee, trova applicazione un'unica fascia di oscillazione costituita dal valore minimo e massimo riscontrabili per l'insieme delle aree omogenee del Comune di riferimento; 3) quale ulteriore incentivo alla stipula nei soli contratti transitori (ivi compresi quelli per studenti universitari) le parti possono concordare una variazione in aumento del canone stabilito all'interno delle fasce di oscillazione, fino ad un massimo del 20%, per tenere conto, anche in specifiche zone, di particolari esigenze locali da indicarsi in contratto; 4) rimane ferma l'inapplicabilità per le locazioni transitorie di agevolazioni fiscali, fatta eccezione per i soli contratti per studenti universitari, purché stipulati nei Comuni ad alta tensione abitativa, nei quali è ammessa la deduzione I.R.P.E.F./I.R.P.E.G. nella misura del 30% in favore del locatore e l'applicazione dell'imposta di registro solo sul 70% del canone. Chiude il cerchio il d.m. 16 gennaio 2017, a tenore del quale, secondo la definizione contenuta nel comma 1 dell'art. 2, le fattispecie della transitorietà devono essere individuate nella contrattazione territoriale tra le Organizzazioni di categoria maggiormente rappresentative, e quindi solo esemplificativamente e non tassativamente individuate dalla norma, con particolare riferimento alla mobilità lavorativa e connesse allo studio, all'apprendistato, alla formazione professionale, all'aggiornamento, alla ricerca di soluzioni occupazionali, “da individuarsi nella contrattazione territoriale” tra le Organizzazioni della proprietà edilizia e dei conduttori (da segnalare, per completezza, che, dal 1° giugno 2017, tutti i proprietari che affittano ad uso abitativo, per un periodo pari o inferiore a trenta giorni, tramite portali telematici, sono tenuti a versare la cedolare secca al 21%, che viene trattenuta direttamente dall'intermediario, ex art. 4 del d.l. 24 aprile 2017, n. 50, convertito nella l. 21 giugno 2017, n. 96, mentre sembra confermata la tendenza a beneficiare dell'aliquota ridotta del 10%, prevista per i contratti a canone concordato, anche relativamente ai contratti transitori e per studenti fuori sede). In definitiva, così come accade per i contratti a canone c.d. concertato, la disciplina dei contratti di locazione transitoria si è realizzata attraverso un sistema “a cascata”, mediante un congegno procedimentale che muove dalla Convenzione nazionale – la quale va ricondotta alla categoria, utilizzata per la prima volta nel settore, dei c.d. accordi di programma, finalizzati a favorire il miglior equilibrio del mercato locatizio – e, passando attraverso il decreto ministeriale, si snoda nella formazione degli accordi territoriali e dei contratti-tipo, per giungere, attraverso una “sorta di rimpiattino delle fonti” (così Lazzaro, Di Marzio, 186), in cui la linea di demarcazione ed i raccordi dell'una con l'altra non sempre emergono nitidamente, alla stipulazione dei negozi individuali. Basti osservare, quanto ai difetti di coordinamento, che, mentre l'art. 5, comma 1, rimette al decreto ministeriale di definire “le condizioni e le modalità” per la stipula di contratti di locazione transitoria, il precedente art. 4, evidenziando una non perfetta coincidenza, prevede che la Convenzione nazionale, posta a base del decreto ministeriale, formuli altresì i “criteri generali per la definizione dei canoni, anche in relazione alla durata dei contratti, alla rendita catastale dell'immobile e ad altri parametri oggettivi, nonché delle modalità per garantire particolari esigenze delle parti”. Si è, altresì, sottolineato (Angiolini, 549) che l'art. 5, comma 1, richiama solo il decreto ministeriale come fonte intermedia, ossia tra la legge ed il contratto individuale, relativa ai contratti transitori, ma l'art. 4, comma 1, demanda alla Convenzione nazionale di determinare i criteri generali di definizione dei canoni “anche in relazione alla durata dei contratti”, nonché le modalità per soddisfare particolari esigenze delle parti, comprendendo pertanto anche i contratti transitori; l'art. 2, comma 3, stabilisce, poi, che gli accordi locali possono avere ad oggetto anche i contratti transitori contenendo un espresso richiamo all'art. 5, comma 1 (particolarmente critico si è mostrato, da sùbito, anche Scripelliti 1999, 555). Fattispecie previsteIl suddetto decreto ministeriale – nelle sue successive versioni – menzionando le “fattispecie da individuarsi nella contrattazione territoriale”, assegna, dunque, alla contrattazione locale il compito di individuare i casi concreti a fronte dei quali le parti possano ricorrere alla stipulazione di contratti di locazione transitoria. La stessa disposizione individua gli elementi e le condizioni da tenere in considerazione nella trattativa territoriale ai fini della definizione del contratto-tipo, il cui modello è allegato al decreto ministeriale, ma non contiene alcuna indicazione, neppure genericamente esemplificativa, delle fattispecie di transitorietà, sicché è accaduto che gli accordi locali hanno mantenuto impostazioni diverse ed individuato fattispecie anche notevolmente eterogenee (Lazzaro, Di Marzio, 189): si va da accordi che non contemplano un'elencazione delle esigenze transitorie, da individuarsi, quindi, a cura delle parti; ad accordi che, dopo una alquanto meticolosa elencazione delle esigenze transitorie del locatore e del conduttore, fanno riferimento a “qualsiasi altra esigenza specifica del conduttore collegata ad un evento certo a data prefissata” (si pensi alla locazione di un immobile fino alla data fissata per il matrimonio della figlia o alla nascita del figlio del locatore); ad accordi che prevedono espressamente le sole ragioni di transitorietà del locatore; ad altri accordi ancora che contengono un'elencazione specifica di ipotesi di transitorietà, non sempre omogenee, le quali considerano entrambe le parti del rapporto. A mero titolo esemplificativo, negli accordi territoriali succedutisi nel tempo, e soprattutto in quelli conclusi dopo l'entrata in vigore del d.m. 16 gennaio 2017, sono state rinvenute le seguenti ipotesi di transitorietà (sia del locatore che del conduttore): il trasferimento temporaneo della sede di lavoro, l'assegnazione a breve di un alloggio di edilizia pubblica, l'assunzione con la stipula di contratti di lavoro a termine, il trasferimento temporaneo per lavoro, l'effettuazione di stage, la frequenza di corsi temporanei di formazione/ aggiornamento/specializzazione, il rientro in patria dopo un periodo all'estero, la separazione dal proprio coniuge, l'assistenza a familiari che necessitino di particolari cure, l'inutilizzabilità temporanea della propria abitazione a causa di eventi atmosferici o cataclismi e, comunque, l'esigenza di eseguire lavori di ristrutturazione/ricostruzione/restauro. Va sottolineato, in proposito, che si tratta di un'elencazione non tassativa delle fattispecie di transitorietà individuate nella contrattazione locale: infatti, l'art. 5 della l. n. 431/1998 rimette al decreto ministeriale esclusivamente la definizione delle “condizioni” e delle “modalità” per la stipula, consentendo alle parti una certa libertà nell'individuazione delle particolari esigenze transitorie che giustificano una durata inferiore del contratto; d'altronde – v. infra – il sistema sembra dare esclusivo rilievo alla specificazione dell'esigenza transitoria e alla sua “cristallizzazione” definitiva ed immodificabile nel contratto. Appare contraria una parte della dottrina (Carrato, Scarpa, 201), secondo la quale l'attuale normativa preclude ai contraenti l'utilizzo di programmi locativi liberi, strumentali alla soddisfazione di esigenze transitorie non eterodeterminate, nel senso che la qualificazione della transitorietà resta vincolata alla conformità ai tipi predisposti negli accordi locali; d'altronde, il legislatore, proprio per non aver escluso a priori, anche alle locazioni transitorie, la destinazione abitativa meritevole di una particolare tutela, ed individuando, al contempo, nelle sole locazioni per usi turistici quelle che, al contrario, una particolare tutela non meritano, ha in pratica ideato una nicchia particolare, rigidamente disciplinata, nella quale inserire le locazioni transitorie. In analoga posizione, si colloca chi (Angiolini, 193) opina che, in caso di contratti, tipizzati come di natura transitoria, stipulati invece per motivi diversi da quelli consentiti nell'art. 5 della l. n. 431/1998, potrebbe configurarsi una nullità, se non per violazione dell'art. 1344 c.c., in forza degli artt. 1345 e 1418 c.c. Di certo, a prescindere dalla qualificazione immediata come norme imperative, è agevole prevedere che la fedeltà ai modelli indicati nei decreti ministeriali possa essere assunta come metro su cui misurare la validità dei contratti di “natura transitoria”, anche se si è evidenziato (Acierno, 132) il diffondersi, negli accordi locali, di clausole residuali che fanno salve comunque eventuali specifiche esigenze. Si è, in proposito, correttamente osservato che non costituisce presupposto necessario per l'accesso al tipo contrattuale in esame la perfetta corrispondenza tra la fattispecie indicata in contratto e l'elencazione contenuta negli accordi locali: essa, al contrario, ha il più modesto effetto di esonerare il giudice dalla verifica dei presupposti legittimanti la stipulazione della locazione transitoria; viceversa, in caso di clausole di transitorietà estranee alla previsione degli accordi locali, occorrerà procedere ad una verifica dell'effettività dell'esigenza transitoria, sulla base dei principi applicabili alla materia e del contenuto complessivo della contrattazione territoriale conclusa su scala nazionale (Verardi, 142). Specificazione e documentazione delle ragioniSi è prima accennato alla rigida impostazione del meccanismo di stipula dei contratti di locazione transitoria, certamente finalizzata ad impedire l'uso del tipo a scopo di elusione della legge: questo meccanismo – che ora si esaminerà in dettaglio – manifesta un'evidente e marcata sfiducia del legislatore nel tipo della locazione transitoria, che, con gusto del paradosso, ha indotto taluno ad interrogarsi se non sarebbe stato più logico vietare puramente e semplicemente la stipulazione di contratti di tal fatta (Barbieri, 206). La condizione essenziale per la valida stipulazione di un contratto di locazione transitoria emerge dal combinato disposto dell'art. 5, comma 1, della l. n. 431/1998, contenente il rinvio al decreto ministeriale quale strumento di definizione delle “condizioni” e delle “modalità” di formazione dei contratti in discussione, e dell'art. 2, comma 8, del decreto stesso, il quale sancisce che i contratti di locazione transitoria “possono essere stipulati esclusivamente utilizzando i contratti-tipo stabiliti negli accordi locali”. Il precetto normativo, dunque, contempla un “onere di conformazione” del contratto individuale al contratto-tipo quale condizione per la deroga ai limiti di durata altrimenti stabiliti dalla legge. È bene subito precisare, però, che l'onere di conformazione non deve necessariamente esplicarsi attraverso l'utilizzazione di un “modello identico” a quello previsto negli accordi locali, occorrendo, invece, procedere ad una concreta verifica, intesa in senso sostanziale, della conformità del contratto individuale al contenuto del contratto-tipo (Gabrielli, Padovini, 517). Non sembra, dunque, che la violazione della regola ora esaminata possa, di per sé, produrre un'invalidità del contratto, sempre che siano rispettati, in riferimento all'art. 13, commi 3 e 4, della l. n. 431/1998, i vincoli fissati dagli accordi locali in tema di durata e di canone (Verardi, 148). Dall'onere di conformità del contratto individuale al contratto-tipo, discendono poi ulteriori conseguenze. Secondo l'art. 2, comma 2, dell'originario decreto ministeriale – confermato sul punto da quelli successivi – il contratto-tipo deve prevedere “una specifica clausola che individui l'esigenza transitoria del locatore e del conduttore”; lo stesso art. 2, comma 6, lett. b), ribadisce che, nel contratto-tipo, devono trovare spazio le “dichiarazioni del locatore e del conduttore che esplicitino l'esigenza della transitorietà”. Pertanto, nell'ottica di rendere maggiormente “visibile” il motivo che ha indotto a scegliere tale tipologia contrattuale, si è richiesto alle parti di enunciare espressamente quali siano le esigenze transitorie che, in concreto, giustificano la sottrazione del rapporto al limite minimo di durata stabilito dalla legge: siffatto “requisito di letteralità”, quindi, fa sì che la reale esistenza delle esigenze transitorie costituisca condizione necessaria (ma non sufficiente, v. appresso) alla stipulazione del contratto di locazione transitoria. In ciò si può ravvisare un'obiettiva reazione del legislatore all'indirizzo affermatosi in tempi relativamente recenti nella giurisprudenza di legittimità – sopra delineata – secondo cui la transitorietà delle esigenze abitative del conduttore, nel quadro di applicazione dell'art. 26 della l. n. 392/1978, poteva essere meramente “enunciata”, e tendenzialmente si poneva a carico del conduttore la non agevole prova che il locatore sapeva che l'esigenza transitoria dichiarata in contratto era simulata. Al riguardo, si è correttamente sottolineato che, nella precedente accezione giurisprudenziale, il richiamo ai principi della buona fede e dell'affidamento avevano finito per prevalere sulla mera effettività dell'uso del bene al fine di accertare il carattere transitorio dell'esigenza abitativa, senonché questo rilievo assegnato alla necessaria consapevolezza, da parte del locatore, dell'effettiva destinazione dell'immobile, e quindi all'atteggiamento soggettivo dei contraenti al momento della stipula della locazione, deve oggi confrontarsi con la specificità della conclusione dell'accordo mediante il contratto-tipo, nonché con il vincolo della forma scritta ad substantiam, ora universalmente richiesta per la stipula dei contratti di locazione abitativa sotto pena di nullità (Carrato, Scarpa, 398, i quali sottolineano che, nella svolta attuata dalla l. n. 431/1998, l'individuazione del tipo della locazione transitoria non è più questione esclusiva di ricerca della comune intenzione dei contraenti, ma innanzitutto questione di accertamento della conformità ai criteri generali della contrattazione normativa). In questa prospettiva, va letto un arresto di legittimità (Cass. III, n. 4075/2004), secondo cui, nella vigenza della l. n. 431/1998, la possibilità per le parti di stipulare un valido ed efficace contratto locatizio ad uso transitorio è subordinata all'adozione delle modalità ed alla sussistenza dei presupposti stabiliti dall'art. 5 della medesima legge e dal d.m. 30 dicembre 2002 (allora vigente), che costituisce la normativa secondaria di attuazione giusta il disposto di cui all'art. 2, comma 4, con la conseguenza che, a tal fine, è necessario che “l'esigenza transitoria, del conduttore o del locatore, sia specificamente individuata nel contratto, al quale deve essere allegata documentazione idonea a comprovare la stessa, e che i contraenti, prima della scadenza del termine contrattuale, ne confermino, con lettera raccomandata, la persistenza”. In mancanza dell'enunciazione delle ragioni di transitorietà del rapporto, dunque, il contratto rimane assoggettato alla disciplina dettata dal c.d. primo canale, ossia canone libero e durata quadriennale rinnovabile, salvo motivato diniego (v., nella giurisprudenza di merito, Trib. Roma 21 giugno 2006, il quale, in un caso di locazione stipulata per non meglio precisati “motivi di studio”, ha ritenuto che “attesa la difformità della pattuizione ad uso transitorio dalla previsione della l. n. 431/1998, il contratto deve ritenersi assoggettato alla disciplina ordinaria dettata dall'art. 2, comma 1, della stessa legge”; in termini più generali, v., altresì, Trib. Firenze 3 luglio 2003, secondo cui, nella vigenza della l. n. 431/1998, i contratti di locazione stipulati senza il rispetto delle prescrizioni stabilite dagli accordi territoriali non possono ricondursi né ai contratti agevolati previsti nell'art. 2, comma 3, né a quelli per uso transitorio previsti dall'art. 5, sicché essi vanno invece ricondotti alla categoria residuale del tipo contrattuale previsto dall'art. 2, comma 1, venendo pertanto assoggettati alla durata quadriennale, più ulteriore quadriennio di rinnovo automatico salva la disdetta per i motivi tassativi elencati nell'art. 3, ma rimanendo liberi nella determinazione del canone). La stessa giurisprudenza di merito (Trib. Roma 23 aprile 2003) ha chiarito che la mancanza di specificazione e di documentazione della necessità abitativa transitoria, nel rispetto della forma scritta ad substantiam, quali condizioni essenziali richieste per la configurabilità della locazione transitoria prevista dall'art. 5 della l. n. 431/1998, con la valida deroga ai limiti minimi di durata legale, non costituisce causa di nullità del relativo contratto e, nella particolare ipotesi di sua stipulazione, in costanza di altro rapporto di più lunga durata, non può comportare nemmeno la normale sostituzione automatica della clausola legale di durata per la ricorrenza di una nullità parziale, in quanto tale accordo non è idoneo ad innovare il rapporto locatizio in corso fino alla sua scadenza naturale, da stabilirsi in conformità alla disposizione dell'art. 2, comma 6, per i rapporti in corso alla data di entrata in vigore della novella e che, in mancanza di possibile tempestiva disdetta, determina l'applicabilità della durata quadriennale con rinnovazione obbligatoria alla prima scadenza. Inoltre, il decreto ministeriale – anche nelle successive versioni – prevede l'onere di provare l'esigenza transitoria con apposita documentazione, sottolineando, in proposito, che siffatto onere riguarda le sole esigenze transitorie del conduttore, mentre non è prevista la prova delle esigenze fatte valere a latere locatoris. Ad ogni buon conto, per quanto attiene alla natura della documentazione da allegare, può ritenersi che, considerata la finalità probatoria, essa debba provenire da terzi: si pensi, ad esempio, alla documentazione del datore di lavoro da cui risulti che il conduttore, risiedendo altrove, è stato temporaneamente trasferito nel luogo di ubicazione dell'immobile locato per un periodo determinato, o quella del Comune che attesti l'imminente assegnazione di un alloggio dopo uno sfratto esecutivo, oppure quella del notaio che accerti l'esistenza di un contratto preliminare in cui il venditore si impegna alla consegna dell'immobile entro un certo termine. Successiva conferma delle ragioniIl decreto ministeriale de quo – dopo aver stabilito che il contratto-tipo deve prevedere una specifica clausola che individui l'esigenza transitoria del locatore e del conduttore – soggiunge che questi ultimi devono confermare il verificarsi della stessa, tramite lettera raccomandata da inviarsi prima della scadenza nel termine stabilito nel contratto; adempimento, questo, che è da porre in relazione con l'onere di “specificazione” dell'esigenza transitoria in sede di formazione del contratto di cui sopra ed è ulteriormente diretto, nell'intenzione del legislatore, a scoraggiare le condotte elusive della legge. Il fatto che le parti debbano confermare la persistenza delle esigenze transitorie prima della scadenza del termine contrattualmente previsto ha indotto alcuni (Acierno, 115) a ritenere che l'inesattezza iniziale nell'indicazione di tali esigenze sia ininfluente fino al momento anteriore alla scadenza del contratto in cui deve essere confermata la transitorietà; in altri termini, è irrilevante il comportamento negoziale delle parti nel momento genetico, rilevando esclusivamente, ai fini della validità del contratto, la “trasparenza” delle motivazioni prescelte ed il rispetto delle condizioni previste dal decreto ministeriale; soltanto alla prima scadenza o nel momento in cui risulta la cessazione delle cause della transitorietà, viene ad emersione il motivo come elemento condizionante il futuro assetto giuridico del rapporto; in questo specifico “segmento procedimentale”, la mancata conferma delle esigenze transitorie comporta la sottoposizione del contratto alla durale legale quadriennale ex art. 2, comma 1, della l. n. 431/1998, con facoltà di recesso limitata alla fattispecie predeterminate dall'art. 3. Quest'ultima ricostruzione dottrinale, volta a connotare l'individuabilità dell'esigenza transitoria come requisito funzionale (e non strutturale) della locazione transitoria, spostandone il rilievo dal momento casuale, e quindi genetico, del rapporto, a quello semplicemente probatorio, non è stata condivisa da altra parte della dottrina (Carrato, Scarpa, 402): invero, tutto ciò che non sia riprodotto nel documento contrattuale è difficilmente utilizzabile nel giudizio di ineludibile conformità del singolo accordo ai criteri generali di stipula che connotano oramai il tipo normativo della locazione transitoria; del resto, già prima della l. n. 431/1998, la giurisprudenza affermava che, al fine di far ricadere un contratto tra le locazioni per esigenze transitorie, occorreva sempre che risultasse “esplicitata l'esigenza abitativa da soddisfare”. Al riguardo, alcuni (Grasselli, Masoni, 113) non hanno mancato, comunque, di evidenziare la “vessatorietà” di una simile sanzione, atteso che il locatore non può sempre prevedere che un determinato evento si verifichi o meno in un periodo di tempo – da un mese a diciotto mesi – già prefissato dalla legge, che egli non ha potuto nemmeno quantificare liberamente sulla base delle proprie conoscenze; il locatore è, quindi, sottoposto ad un onere di conferma ed all'imprevedibile svolgersi degli eventi, con il rischio concreto di trovarsi vincolato ad un contratto che ha la durata di quelli con il canone liberamente pattuito, ma è invece soggetto ad un canone predeterminato dagli accordi locali. La formulazione letterale della norma parrebbe porre l'onere di conferma a carico di entrambi i contraenti, ma il medesimo comma – proseguendo con una disposizione sanzionatoria del seguente tenore: “qualora il locatore non adempia a questo onere contrattuale ... il contratto tipo deve prevedere la riconduzione della durata a quella prevista all'art. 2, primo comma, della l. 9 dicembre 1998, n. 431” – sembra propendere che soltanto a carico del locatore sia posto l'adempimento dell'onere medesimo. Del resto, l'imposizione dell'onere di conferma a carico del solo locatore trova dimostrazione nell'art. 2, comma 6, lett. c) e d), dello stesso decreto, che, in alternativa alla riconduzione del rapporto alla disciplina ordinaria, sanziona ancora una volta il solo locatore per il mancato utilizzo dell'immobile rilasciato con l'obbligo di risarcimento commisurato a trentasei mensilità del canone; e, in effetti, l'art. 2 del modello B allegato alla Convenzione nazionale limita espressamente al solo locatore l'onere di conferma, così disponendo: “il locatore ha l'onere di confermare il verificarsi dell'evento e della dichiarazione che ha giustificato la stipula del presente contratto di natura transitoria tramite lettera raccomandata a/r da inviarsi al conduttore ...”. Tale soluzione, peraltro, sembra aver trovato conforto in una pronuncia dei giudici della Consulta, i quali hanno espressamente affermato che “la riconduzione del contratto alla durata legale si verifica solo nell'ipotesi in cui le esigenze transitorie siano relative al locatore che abbia omesso di dare conferma del loro permanere” (Corte cost., n. 373/2003). Pur nella difficoltà di procedere all'inquadramento dogmatico della suddetta conferma del verificarsi dell'esigenza transitoria, si è, comunque, rilevato (Carrato, Scarpa, 403) che tale adempimento debba intendersi dovuto dalla parte in concreto portatrice dell'interesse alla durata del rapporto, avvertendo, però, il rischio che il contraente inizialmente animato dall'esigenza abitativa transitoria possa trasformare il proprio onere di confermare il verificarsi della stessa in un diritto potestativo, che gli consenta di pentirsi della regola contrattuale precedentemente posta per consentire la riconduzione della durata a quella propria delle locazioni libere (ad avviso di Verardi, 151, tale pericolo non sembra concreto, atteso che il conduttore può sempre recedere dal contratto in qualsiasi momento per gravi motivi). Per quanto attiene all'àmbito di applicazione dell'onere di conferma ed alle conseguenze della sua inosservanza, si è autorevolmente sostenuto che la clausola derogatoria della durata minima imposta dalla legge, sebbene all'origine validamente convenuta – per essere stata enunciata l'esigenza transitoria del locatore o del conduttore ed essere stata quest'ultima altresì documentata in allegato al contratto – verrebbe ex post travolta dalla mancata conferma, ed il contratto verrebbe riportato, per inefficacia sopravvenuta della clausola in deroga, alla durata ordinaria (Gabrielli, Padovini, 517). Da altra parte della dottrina, si è, invece, respinta sia l'affermazione che l'onere di conferma posto dalla legge a carico del locatore debba avere ad oggetto, oltre alle ipotesi di transitorietà giustificata da esigenze sue proprie, anche i casi di transitorietà volta soddisfare esigenze del conduttore, sia l'affermazione che l'inosservanza dell'onere dispieghi i suoi effetti sulla durata del rapporto originariamente convenuta (Lazzaro, Di Marzio, 193). Quanto al primo aspetto, si è osservato che la conferma della transitorietà ha natura di dichiarazione di scienza con la quale il locatore rende consapevole il conduttore del permanere dell'esigenza transitoria individuata nel contratto, per cui il locatore non può confermare le esigenze transitorie del conduttore, delle quali egli non è tenuto a sapere né ha il potere di sapere nulla; allora, occorre concludere che l'onere di conferma riguardante il locatore attiene alle sole sue esigenze transitorie e si pone su un piano analogo all'onere di documentazione riguardante il conduttore: mentre le esigenze transitorie di quest'ultimo devono essere comprovate mediante documentazione allegata al contratto, le esigenze transitorie del locatore vanno ribadite nel corso del rapporto in ossequio all'onere di conferma contemplato dall'art. 2, comma 2, del decreto ministeriale. Per quanto attiene ai riflessi dell'inosservanza dell'onere di conferma sulla durata del contratto, si è ricordato che, in tema di locazioni transitorie, non operi il congegno della rinnovazione automatica in difetto di disdetta previsto dall'art. 3 della l. n. 431/1998, dovendosi al contrario, ritenere che, anche in subiecta materia, trovi applicazione il meccanismo di cui agli artt. 1596, comma 1, e 1597 c.c.; il contratto di locazione di immobili adibiti ad uso abitativo per il soddisfacimento di esigenze transitorie, in particolare, è compatibile con l'istituto della rinnovazione tacita ex art. 1597 c.c., salvo che, dalle circostanze di fatto, non risulti, tra le parti, una volontà novativa dell'originaria convenzione negoziale (Cass. III, n. 4472/2001; Cass. III, n. 6145/1997); in pratica, la locazione transitoria, una volta pervenuta alla scadenza del termine finale, si ha per rinnovata qualora il conduttore rimanga e sia lasciato nella detenzione della cosa locata. La mancata conferma della transitorietà da parte del locatore – necessariamente riferita solo alle esigenze sue proprie – assume, dunque, nell'economia della pattuizione, lo stesso rilievo che va riconosciuto alla mancata dichiarazione delle ragioni di transitorietà nel contratto, determinando la soggezione del rapporto alla durata “ordinaria” prevista per i contratti abitativi primari di cui all'art. 2, comma 1, della l. n. 431/1998; ciò non si verifica automaticamente per il solo fatto della mancata conferma, bensì – come sembra potersi dedurre non solo dalla logica del sistema, ma anche dall'utilizzazione dell'espressione “riconduzione” – soltanto nell'ipotesi che il contratto pervenga alla rinnovazione tacita secondo il congegno menzionato. L'espressione “riconduzione della durata a quella prevista all'art. 2, primo comma, della legge” va, in definitiva, intesa nel senso che, in mancanza della conferma della transitorietà, la durata sarà quella quadriennale rinnovabile nell'ipotesi che il conduttore rimanga e sia lasciato nel godimento della cosa: la norma, dunque, ha lo scopo di impedire che il rapporto, sorto validamente, possa poi proseguire oltre il termine pattuito all'origine in difetto dei presupposti previsti dalla legge (Lazzaro, Di Marzio, 194). Cessazione medio tempore delle ragioniTornando all'art. 2, comma 2, del d.m. 5 marzo 1999 – già esaminato in riferimento agli oneri di esplicitazione e conferma della transitorietà delle esigenze poste a fondamento della stipulazione – va rilevato che la disposizione prevede la riconduzione della durata a quella quadriennale rinnovabile non soltanto in ipotesi di mancata conferma della transitorietà da parte del locatore, ma anche nel caso “siano venute meno le cause della transitorietà” (eguale dettato si rinviene sostanzialmente nei decreti successivi). Anche in questo caso, si è ritenuto che il venir meno delle cause di transitorietà – riguardate ancora una volta dal lato del solo locatore, al quale la norma si riferisce – sia destinato ad incidere sulla durata del rapporto esclusivamente nell'eventualità della sua rinnovazione tacita; in altri termini, la locazione, una volta validamente costituita, si dispiega in aderenza ai termini previsti in contratto, salvo che, venute meno medio tempore le ragioni di transitorietà a latere locatoris, il vincolo prosegua nel tempo (Lazzaro, Di Marzio, 195). Si è, al riguardo, sottolineato che l'opposta soluzione potrebbe dar luogo a risultati assolutamente paradossali, indipendentemente da ogni intento elusivo o fraudatorio del locatore: si pensi – per ricorrere ad un esempio non tanto raro – al padre di famiglia che, avendo stipulato una locazione transitoria in vista dell'esigenza di destinare l'immobile al matrimonio del figlio, già previsto a distanza di alcuni mesi, fosse messo dinanzi alla scelta di questi, maturata il giorno precedente alla scadenza contrattuale, di sottrarsi alle nozze. In proposito, si è acutamente osservato (Grasselli, Masoni, 117) che la terminologia usata – “cause” della transitorietà in luogo di “esigenze transitorie” – sembra comportare una valutazione oggettiva, e non più soggettiva, in ordine alla persistenza degli elementi di fatto che hanno indotto le parti a dedurre una ragione transitoria, sottolineando la conseguenza “notevolmente punitiva” nei confronti del locatore, il quale, per motivi non dipendenti dalla sua volontà – si pensi ad un impedimento burocratico alla programmata ristrutturazione – dopo aver stipulato un contratto a breve scadenza, si troverebbe a subire un prolungamento della durata non voluto (in pratica, otto anni, salvo che non ricorrano alla prima scadenza i motivi ex art. 3 della l. n. 431/1998), senza nemmeno poter fruire di un canone a livello di mercato come nelle locazioni ordinarie, vigendo quello definito secondo i parametri oggetto della contrattazione locale (sul punto, Falabella, 286, dubita della legittimità del decreto ministeriale, non avendo la suddetta legge, all'art. 5, comma 1, devoluto alla fonte secondaria la possibilità di dettare anche ipotesi di riconduzione delle locazioni transitorie alle locazioni ordinarie). Come si è visto, la mancata conferma da parte del locatore della transitorietà delle sue esigenze – che avevano condotto alla stipulazione della locazione transitoria – determina, in prima battuta, l'assoggettamento del contratto, in caso di riconduzione tacita del medesimo, alla durata quadriennale rinnovabile prevista dall'art. 2, comma 1, della l. n. 431/1998. L'art. 2, comma 6, lett. d), del d.m. 5 marzo 1999, poi, prevedeva, sùbito dopo, il “risarcimento pari a trentasei mensilità in caso di mancato utilizzo dell'immobile rilasciato”; quest'ultimo non era la diretta conseguenza dell'inosservanza dell'onere di conferma, bensì della mancata destinazione dell'immobile rilasciato al soddisfacimento di quella esigenza che aveva giustificato, nell'interesse del locatore, la stipulazione del contratto di locazione transitoria; era, dunque, ben possibile che il locatore avesse prestato osservanza all'onere di conferma e che, tuttavia, non avesse adibito poi l'immobile all'uso dichiarato, così come era possibile che il locatore avesse omesso di dare conferma della transitorietà e, tuttavia, una volta ottenuta la disponibilità dell'immobile, ne avesse fatto l'uso previsto, nel qual caso, il conduttore non avrebbe avuto diritto al risarcimento. Disciplina ordinaria del settore locatizio abitativoLa l. n. 392/1978, con l'art. 26, aveva escluso, dunque, le locazioni transitorie dal proprio àmbito di applicabilità, con la conseguenza di assoggettare le medesime, in linea generale, non alla disciplina che essa andava ponendo, ma al codice civile; dal canto suo, la l. n. 431/1998 ha fatto delle locazioni transitorie un capitolo della disciplina ordinaria delle locazioni abitative, sicché, nei limiti della compatibilità, le disposizioni della nuova legge – ad esempio l'art. 6, esclusa la parte da intendere quale norma di diritto transitorio, e l'art. 7, relativo alle condizioni per la messa in esecuzione del provvedimento di rilascio dell'immobile, peraltro dichiarato incostituzionale – sono da considerarsi applicabili alle locazioni transitorie di cui all'art. 5 della medesima. Pur consapevoli che non è affatto agevole individuare il grado di “derogabilità” delle fonti sottordinate rispetto a quelle sovraordinate nel (non coerente) sistema creato dal legislatore per i contratti transitori di cui all'art. 5 in commento, si conviene che la disciplina della l. n. 431/1998 ha natura di disciplina “ordinaria” del settore locatizio abitativo, a fronte della quale il codice civile conserva un rilievo meramente “residuale” (Lazzaro, Di Marzio, 199). In quest'ordine di concetti, non c'è dubbio che la previsione formale, relativa alla necessità della forma scritta di cui all'art. 1, comma 4, della l. n. 431/1998, trovi applicazione anche riguardo alle locazioni transitorie di cui all'art. 5 della stessa legge. In proposito, ci si è chiesti se l'azione di riconduzione a condizioni conformi prevista dall'art. 13, comma 5, terzo periodo – “tale azione è altresì consentita nei casi in cui il locatore ha preteso l'instaurazione di un rapporto di locazione di fatto [...]” – debba necessariamente dar luogo alla costituzione, attraverso l'intervento del giudice, di una locazione conforme ai modelli di cui all'art. 2, commi 1 e 3 (cioè una locazione a canone libero di durata quadriennale rinnovabile o di una locazione a canone c.d. concertato di durata triennale), oppure il giudice possa accertare la volontà delle parti di dar vita ad una locazione transitoria, di durata inferiore ai limiti imposti dall'art. 2. Quest'ultima è apparsa la soluzione preferibile (secondo il parere di Lazzaro, Di Marzio, 199), ritenendosi che la riconduzione al modello a canone c.d. concertato debba intendersi riferita a tutte le ipotesi in cui trova applicazione il corrispettivo eterodeterminato, ivi compresa l'ipotesi del contratto di locazione transitorio di cui all'art. 5 della legge, e che la disciplina del rapporto di fatto debba essere ricercata, riguardo a tutti i profili – durata, canone, rinnovazione – nella regolamentazione pattizia voluta dalle parti. Oltre alle norme direttamente poste dalla l. n. 431/1998 di cui sopra, sono applicabili, altresì, ai contratti di locazione transitoria le disposizioni della l. n. 392/1978 sopravvissute alle abrogazioni disposte dall'art. 14 della novella del 1998 (infatti, risultano tuttora vigenti le disposizioni riguardanti la sublocazione, il recesso, la successione, lo scioglimento in caso di alienazione, le spese di registrazione, gli oneri accessori e quant'altro). Con particolare riguardo alla gravità dell'inadempimento e sulla sanatoria giudiziale, in passato, si dubitava dell'applicabilità a tale tipo di locazione degli artt. 5 e 55 della legge sull'equo canone, stante che esse erano sottratte alla disciplina posta dalla legge medesima; oggi, invece – considerata, fra l'altro, la coincidenza dell'àmbito applicativo dell'una e dall'altra norma evidenziata da Cass. S.U., n. 272/1999 – si ritiene che il conduttore di una locazione transitoria sia esposto al congegno di predeterminazione legale della gravità dell'inadempimento sancito dal citato art. 5, ma sia al tempo stesso titolare della facoltà di purgare l'inadempimento mediante la sanatoria banco iudicis o di sollecitare, sussistendone i presupposti, la concessione del termine di grazia di cui all'art. 55. Va rilevato, inoltre, che l'art. 80 della l. n. 392/1978 è escluso dal novero delle disposizioni abrogate dall'art. 14, comma 4, della l. n. 431/1998, sicché, in astratto, non dovrebbero rinvenirsi preclusioni ad ammettere l'applicabilità della norma nei casi in cui il locatore, avuta conoscenza dell'adibizione dell'immobile ad un uso diverso da quello pattuito, non chieda la risoluzione del contratto entro il termine di tre mesi (l'ipotesi classica è quella in cui il locatore venga a sapere dell'insussistenza originaria o sopravvenuta dell'esigenza transitoria introdotta nel contratto dal conduttore). L'opposta soluzione – secondo alcuni – sarebbe, invece, imposta da un pluralità di considerazioni: a) l'art. 80, nell'assicurare una tutela unilaterale a favore del conduttore, presupporrebbe una nozione di transitorietà misurata esclusivamente sulle sue esigenze; b) l'imposizione della forma scritta ad substantiam ed il processo di “oggettivazione delle esigenze transitorie” impedirebbe alle modificazioni nell'uso del bene di determinare il mutamento di regime contrattuale; c) gli accordi locali avrebbero implicitamente riconosciuto l'inapplicabilità dell'art. 80, avendo preso espressamente in considerazione il fenomeno del mutamento di disciplina del contratto transitorio in conseguenza delle modificazione dell'uso (Verardi, 146). Altri osservano che l'inapplicabilità alla materia dell'art. 80 discenderebbe dallo specifico regime giuridico dei contratti transitori, dal momento che ogni rilievo dell'uso effettivo sarebbe escluso dalla scelta del legislatore di dare risalto al sistema di autocertificazione dell'esigenza transitoria ed alla mancata conferma dell'esigenza transitoria da parte del locatore (Acierno, 118, la quale intravede una “tutela temperata” di natura meramente risarcitoria); in altri termini, l'uso effettivo al momento della stipula, e nella successiva esecuzione del rapporto fino alla scadenza, non assume rilievo per il legislatore, il quale ha previsto, nel momento genetico del contratto, un sistema di autocertificazione dell'esigenza transitoria per il conduttore che lo vincola al modello negoziale prescelto ed ha voluto riconoscere rilievo alla divergenza tra volontà consacrata per iscritto e volontà effettiva solo alla fattispecie della mancata conferma dell'esigenza transitoria da parte del locatore, derivandone la sanzione del mutamento del regime dall'assenza di tale incombente e non dalla valutazione concreta della persistenza dell'esigenza (d'altro canto, ex art. 2, comma 6, lett. d, del nel d.m. 5 marzo 1999, qualora il locatore dichiari la persistenza dell'esigenza transitoria – inviando nel termine previsto in contratto la lettera raccomandata di cui sopra che equivale nella sostanza ad una richiesta di rilascio dell'immobile – e, tuttavia, non utilizzi l'immobile riconsegnato all'uso determinato dichiarato nella missiva, è assegnata una tutela esclusivamente risarcitoria). Orbene, certamente il problema non sembra potersi realmente porre – non avendo la nuova legge toccato la relativa disciplina – nell'ipotesi di adibizione dell'immobile concesso in locazione abitativa transitoria ad uno degli usi diversi dall'abitativo di cui all'art. 27 della l. n. 392/1978. Per quanto attiene, invece, al passaggio dall'uso abitativo transitorio all'uso abitativo primario corrispondente alle due tipologie contrattuali previste dall'art. 2 della l. n. 431/1998, la scelta del legislatore di favorire la tipizzazione delle esigenze transitorie attraverso la contrattazione locale, unita agli oneri di documentazione della transitorietà da parte del conduttore e di conferma ad opera del locatore, sembra comprovare l'intento del legislatore di scongiurare ogni possibilità di divergenza tra il tipo contrattuale adottato e la sostanza del rapporto in atto (Lazzaro, Di Marzio, 201). Si è, quindi, affermato che il processo di “oggettivizzazione delle esigenze transitorie” si muove nella medesima direzione seguita dall'art. 80; dalla ratio sottesa alla vigente disciplina delle locazioni transitorie, diretta ad impedire ogni strumentalizzazione del tipo contrattuale al fine di elusione della legge, si trae, poi, ulteriore conferma dell'applicabilità dell'art. 80 – nella lettura datane dalla Corte costituzionale, la quale condiziona l'operatività della norma all'apporto volitivo del locatore che abbia scelto di rimanere inerte pur nella consapevolezza del mutamento di destinazione – anche alle locazioni transitorie di cui all'art. 5 della l. n. 431/1998. Né sembra potersi considerare di ostacolo all'applicazione della disposizione la previsione della forma scritta di cui all'art. 1, comma 4, della nuova legge; in disparte l'osservazione che – secondo una ricostruzione – la forma scritta non è prevista ad substantiam, ma si inscrive nel quadro delle nullità di protezione, invocabili dal solo conduttore, appare decisiva l'osservazione che il requisito formale si colloca nella fase di formazione del vincolo, ma non impedisce che questo, sorto validamente, sia successivamente assoggettato alla disciplina pertinente, in ossequio al congegno predisposto dalla legge. Certamente, nel sistema della l. n. 392/1978, l'art. 80 era destinato a raffrontarsi con una nozione di transitorietà più omogenea di quella accolta dalla nuova legge, ma ciò non conduce ad escludere l'applicabilità dello stesso disposto alla materia delle locazioni transitorie, bensì soltanto a riconoscere che la norma può operare nei soli limiti della compatibilità. In questo senso, posto che l'applicazione dell'art. 80 è, in prima battuta, determinata dall'uso impresso dal conduttore alla cosa locata in difformità dalla previsione contrattuale, si è ammesso che la condotta di questi può assumere rilievo solo nell'ipotesi in cui sia stata determinata dal venir meno delle ragioni che egli stesso aveva originariamente posto a fondamento della transitorietà; perciò, non potrebbe attribuirsi alcun rilievo al mutamento d'uso operato dal conduttore qualora la transitorietà fosse stata determinata, ab origine, dall'esigenza del locatore di concedere in locazione l'immobile per un periodo inferiore a quello minimo legale (Lazzaro, Di Marzio, 201). Va, infine, affrontato il problema dell'ammissibilità dell'azione di simulazione del contratto di locazione abitativa transitoria. Atteso che l'intento del legislatore è quello di riconoscere lo statuto della transitorietà alle sole locazioni che siano “realmente transitorie” – pur secondo la nozione allargata che oggi la legge accoglie – deve reputarsi che la previsione dell'espressa dichiarazione e documentazione dell'esigenza transitoria posta a carico del conduttore reagisca esclusivamente sul piano dell'onere probatorio imposto al medesimo conduttore, nel senso che quest'ultimo, per dimostrare l'accordo simulatorio, in applicazione delle regole stabilite dall'art. 1417 c.c., dovrà misurarsi con la scrittura contrattuale e la documentazione ad essa allegata, non dissimilmente, peraltro, da quanto accadeva in passato qualora i contraenti non si fossero limitati ad enunciare meramente la transitorietà del rapporto, ma – come in realtà dovevano – ne avessero concretamente e specificamente indicato le ragioni. Sul punto, si è osservato che la preferenza per uno dei modelli negoziali indicati nella l. n. 431/1998 è insindacabile al momento della stipulazione, ed i meccanismi di accertamento della legittimità della scelta restano affidati, per i contratti transitori, ad adempimenti formali del tutto trasparenti (la documentazione dell'esigenza transitoria per il conduttore e l'onere di conferma alla prima scadenza per il locatore); in quest'ottica, l'adozione di tale tipologia contrattuale non sembra giustificata da intenti elusivi: “non sono consentiti ripensamenti in corso di rapporto o diverse valutazioni degli interessi negoziati al momento della stipula che non siano già ricompresi nei procedimenti di controllo endogeni del contratto previsti dallo schema normativo” (così Acierno, 133). Durata del contrattoI contratti transitori non possono avere durata inferiore ad un mese e superiore a diciotto mesi (artt. 2, comma 1, dei decreti ministeriali del 1999 e del 2002). Tale limitazione dell'autonomia privata – ha sottolineato la dottrina – “appare uno dei più significativi esempi di legislazione ottusamente dirigistica, la quale può comportare, nel caso di specie, conseguenze davvero abnormi” (così Gabrielli, Padovini, 521), tenuto conto dell'eterogenea pluralità di situazioni, tanto del locatore, quanto del conduttore, in cui l'esigenza transitoria potrebbe essere soddisfatta attraverso la stipulazione di contratti di durata superiore ai diciotto mesi ed inferiore ai tre anni (si pensi al frequente caso del temporaneo dislocamento del funzionario di una ditta in un'altra città che giustificherebbe l'esigenza transitoria di due anni). Nondimeno, rammentato il principio di conformità del contratto di locazione transitoria al contratto-tipo, non può non riconoscersi che i contratti di locazione transitoria di durata inferiore al mese o superiore ai diciotto mesi si pongono al di fuori dello statuto loro pertinente, e non possono essere come tali considerati validi, con la consequenziale applicazione alle ipotesi menzionate, seppure in via di interpretazione estensiva, dell'art. 13, comma 3, della l. n. 431/1998, il quale prevede la nullità di ogni pattuizione volta a derogare ai limiti di durata del contratto stabiliti dalla stessa legge. In particolare, in caso di durata inferiore al mese, potrebbe essere giudizialmente richiesta l'applicazione del termine minimo mensile previsto, anche se i tempi fisiologici occorrenti per l'intervento giudiziario “correttore” inducono ragionevolmente a considerare questa come un'ipotesi di scuola. Nel caso in cui la durata del contratto stipulato per esigenze transitorie sia fissata in misura superiore a diciotto mesi – e sempre che il contratto non abbia già avuto esecuzione per una durata superiore a tale soglia – si ritiene che il giudice, tenuto conto della volontà delle parti, debba decidere se applicare il suddetto termine massimo previsto dal decreto ministeriale oppure la durata del contratto di locazione ordinaria, durata che, in quest'ultimo caso – avuto riguardo al rilievo che le locazioni transitorie di cui all'art. 5 derogano alla durata contrattuale minima prevista per i contratti di cui all'art. 2, comma 3, della l. n. 431/1998 – dovrebbe essere quella triennale e non quella quadriennale rinnovabile (a meno di optare per quest'ultima soluzione, in analogia a quella contemplata dai decreti ministeriali per il sopraggiunto venir meno delle cause della transitorietà). In senso fortemente innovativo, è intervenuto il d.m. 16 gennaio 2017 il quale, per i contratti di locazione di natura transitoria, ha solo previsto la durata non superiore a diciotto mesi, eliminando così la durata minima. Tale previsione è apparsa ad alcuni (Nasini, Nasini, 135) rilevante, poiché la precedente normativa, di fatto, lasciava privi di regolamentazione i contratti transitori non turistici di durata inferiore a trenta giorni che, da un lato, non potevano farsi rientrare nella previsione dell'art. 1 del Codice del consumo e, dall'altro, non potevano essere regolamentati come contratti transitori per il limite di durata precedentemente stabilito (questi ultimi contratti sembrano, quindi, sostanzialmente oggetto di “parziale liberalizzazione”, posto che i canoni di locazione e la ripartizione degli oneri accessori, ai sensi dell'art. 2, comma 2, del suddetto decreto, sono rimessi alla libera contrattazione delle parti). Canone dovutoL'art. 2, comma 4, del d.m. 5 marzo 1999, sulla scia della Convenzione nazionale, aveva stabilito che i canoni di locazione dei contratti di natura transitoria, ricadenti nelle aree delle undici aree metropolitane di Roma, Venezia, Genova, Milano, Bologna, Firenze, Torino, Napoli, Bari, Palermo e Catania, dei Comuni con esse confinanti e di quelli capoluogo di provincia, dovessero essere definiti dalle parti all'interno dei valori minimi e massimi stabiliti per le fasce di oscillazione delle zone omogenee, come individuate per i contratti a canone c.d. concertato, ex art. 2, comma 3, della l. n. 431/1998. Il d.m. 5 marzo 1999 ha previsto, poi, che gli accordi territoriali, che individuino i valori minimi e massimi esprimendoli in lire a metro quadro utile, possano prevedere particolari clausole in materia di manutenzioni ordinarie e straordinarie, ripartizione degli oneri accessori ed altro. Il successivo d.m. 30 dicembre 2002 ha aggiunto che gli accordi territoriali relativi a questo tipo di contratti, al fine di renderli economicamente convenienti (segnatamente, per il locatore), possono prevedere variazioni, fino ad un massimo del 20%, dei valori minimi e massimi anzidetti per tenere conto, anche per specifiche zone, di particolari esigenze locali. Entrambi i decreti ministeriali, poi, hanno stabilito che, in caso di inesistenza di accordo a livello locale, i valori di riferimento sono quelli definiti dalle condizioni previste dal decreto ministeriale di cui all'art. 4, comma 3, della l. n. 431/1998. Inoltre, il decreto ministeriale stabilisce che, per le proprietà di cui all'art. 1, commi 5 e 6, si procede – per i Comuni di cui al comma 2 dell'art. 2 – mediante accordi integrativi, stipulati fra i soggetti e con le modalità indicate nell'art. 1 medesimo. Nell'ambito territoriale sopra specificato (aree metropolitane e confinanti, capoluoghi di provincia), nel caso di inesistenza di accordo a livello locale, i valori di riferimento per la fissazione concreta del canone sono quelli definiti dalle condizioni previste dal decreto ministeriale di cui all'art. 4, comma 3, della l. n. 431/1998 (art. 2, comma 2, ultima parte, d.m. 30 dicembre 2002). Occorre, poi, fare riferimento al d.m. 10 marzo 2006, il quale ha in sostanza previsto che, in mancanza di accordi locali tra le Organizzazioni di categoria, si ricorre agli accordi locali viciniori – e segnatamente, nel Comune demograficamente omogeneo di minore distanza, anche se situato in altra Regione – risolvendo quel dubbio che era sorto riguardo alla possibilità di stipulare, in questa ipotesi, contratti di locazione ad uso transitorio Tali disposizioni hanno trovato sostanziale conferma nel d.m. 16 gennaio 2017, il quale stabilisce che i canoni di locazione dei contratti di natura transitoria relativi agli immobili ricadenti nei Comuni con un numero di abitanti superiore a diecimila (come risultanti dai dati dell'ultimo censimento), sono definiti dalle parti all'interno dei valori minimi e massimi previsti per le fasce di oscillazione delle aree omogenee ivi individuate; si precisa che gli accordi territoriali possono prevedere variazione fino ad un massimo del 20% di tali valori, al fine di tenere conto, anche per specifiche zone, delle particolari esigenze locali. Dunque, diversamente da quanto prevedeva la l. n. 392/1978, tutte le locazioni transitorie, indistintamente, sono assoggettate al canone c.d. concertato determinato attraverso la contrattazione territoriale, e ciò indipendentemente dalla pertinenza all'uno o all'altro contraente delle esigenze di transitorietà e dalla loro natura. Dal nesso di collegamento tra la disciplina dei contratti di locazione transitoria ed i contratti di locazione a canone c.d. concertato di cui all'art. 2, comma 3, della l. n. 431/1998, si è opinato che discenda, in via di interpretazione analogica, l'applicabilità dell'art. 13, commi 4 e 5, sicché il conduttore, qualora il contratto transitorio stabilisca un canone superiore ai limiti fissati negli accordi locali, può agire per l'accertamento della nullità delle pattuizioni volte ad attribuire al locatore un canone superiore a quello massimo, per la riconduzione della locazione a condizioni conformi e per la restituzione delle somme indebitamente versate (Verardi, 154). Studenti universitariI contratti destinati a soddisfare le esigenze transitorie di quella particolare categoria costituita dagli studenti universitari trovano, dunque, una loro collocazione ad hoc nell'art. 5 della l. n. 431/1998 in commento, e segnatamente nei commi 2 e 3 (sia pure oggetto, sùbito dopo, di lieve modifica da parte della l. n. 2/2002, che avoca alla Convenzione nazionale anche l'approvazione dei “tipi di contratto”). Al riguardo, sono state sottolineate le analogie e le divergenze rispetto ai contratti transitori c.d. ordinari (Acierno, 117, la quale aggiunge che il sistema integrato di fonti che hanno dato vita ai contratti tipo per gli studenti universitari ha finito per creare un unico modello negoziale incentrato sulla protezione del contraente debole, fissando però una griglia di limiti relativi al canone, alla durata ed al rinnovo, che rendono tale canale “poco appetibile” perché non vantaggioso rispetto al canale libero caratterizzato da un canone più elevato, e rispetto al canale agevolato che assicura una più lunga durata a parità di benefici fiscali). Innanzitutto, la collocazione all'interno della medesima norma è giustificata dalla scelta da parte del patrio legislatore di prevedere il ricorso al secondo canale anche per questa tipologia di locazioni, pure se non in via esclusiva: si utilizza il verbo “possono”, nel senso le medesime esigenze possono trovare soddisfazione anche mediante gli altri modelli contemplati alla l. n. 431/1998. D'altronde, l'art. 5, comma 2, della l. n. 431/1998 stabilisce che, “in alternativa a quanto previsto dal primo comma, possono essere stipulati contratti di locazione per soddisfare le esigenze abitative di studenti universitari sulla base di contratti-tipo definiti dagli accordi di cui al comma 3”; dall'incipit della disposizione dedicata agli studenti universitari – “in alternativa a quanto previsto [...]” – si evince, pertanto, che questi possono accedere non soltanto alla stipulazione dei contratti transitori specificamente previsti per soddisfare le loro esigenze, ma anche ai contratti transitori dei quali si è in precedenza discorso, ossia dei contratti transitori “comuni” di cui all'art. 5, comma 1, della l. n. 431/1998; tuttavia, nulla impedisce agli studenti universitari di stipulare, quali conduttori, contratti di locazione “ordinari” secondo i modelli previsti dall'art. 2, commi 1 e 3, della stessa legge, ossia contratti a canone libero ed a canone c.d. concertato per esigenze abitative stabili. L'art. 5, comma 3, cui rinvia il comma precedente, soggiunge, poi, che: “È facoltà dei Comuni sede di università o di corsi universitari distaccati, eventualmente d'intesa con Comuni limitrofi, promuovere specifici accordi locali per la definizione, sulla base dei criteri stabiliti ai sensi del secondo comma dell'art. 4, di contratti-tipo relativi alla locazione di immobili ad uso abitativo per studenti universitari. Agli accordi partecipano, oltre alle organizzazioni di cui al terzo comma dell'art. 2, le aziende per il diritto allo studio e le associazioni degli studenti, nonché cooperative ed enti non lucrativi operanti nel settore” (anche qui è intervenuta la l. n. 2/2002, nel senso che, attualmente, gli accordi locali hanno oggi ad oggetto i soli canoni e non più i contratti-tipo appannaggio esclusivo della Convenzione nazionale). Della locazione transitoria destinata a soddisfare le esigenze degli studenti universitari, inoltre, si occupa l'art. 3 del d.m. 5 marzo 1999 (sotto la rubrica “Criteri generali per la determinazione dei canoni e per i contratti tipo per gli studenti universitari fuori sede”), mentre più asciutto si rivela il testo dell'art. 3 del d.m. 30 dicembre 2002. Dal canto suo, il d.m. 16 gennaio 2017 amplia lo spettro di applicazione (Nasini, Nasini, 144), sia dal punto di vista territoriale (il precedente decreto del 2002 limitava l'applicazione ai Comuni sedi di università o di corsi universitari distaccati e di specializzazione nonché nei Comuni limitrofi, mentre ora la stessa è estesa ai Comuni sede di istituti di istruzione superiore con rinvio alla disciplina di settore per la loro individuazione), sia sul versante dei requisiti soggettivi del conduttore (attualmente vengono esemplificati casi di iscrizione non solo a corsi universitari, ma anche a master, dottorati, specializzazioni o perfezionamenti). Indipendentemente dall'ubicazione dell'immobile locato in un Comune ad alta tensione abitativa, trovano applicazione, con riguardo alle locazioni transitorie per gli studenti universitari, le agevolazioni fiscali previste dall'art. 8, comma 3, della l. n. 431/1998; quest'ultimo disposto esclude i contratti transitori c.d. ordinari dall'agevolazione fiscale costituita dall'abbattimento della base imponibile dell'I.R.P.E.F., beneficio fiscale di cui, invece, godono i contratti destinati a soddisfare le esigenze abitative degli studenti universitari (oltre che i contratti di locazione transitoria stipulati dagli Enti locali in qualità di conduttori); per contro, la riduzione delle aliquote I.C.I. è riconosciuta per i contratti transitori ordinari, ma non per quelli stipulati in favore degli studenti universitari, in quanto non richiamati dal comma 3 dell'art. 2. Si tratta, all'evidenza, di un quadro di riferimento “piuttosto disarticolato ed incoerente” (così Acierno, 127), atteso che si rivela oltremodo contraddittoria la scelta normativa di aver imposto un modello contrattuale unico per i contratti transitori – laddove le scelte alternative si fondano soltanto sulla limitazione della durata – senza promuoverne la diffusione con l'applicazione del beneficio fiscale più significativo. Riassunto, dunque, il quadro delle disposizioni applicabili alla materia, si può brevemente osservare, in primo luogo, che la disciplina delle locazioni transitorie di cui all'art. 5, comma 2, della l. n. 431/1998 è riferita ai soli studenti fuori sede: l'accesso al tipo contrattuale, ai sensi dell'art. 3, comma 1, del d.m. 5 marzo 1999 (nonché dell'analoga disposizione del d.m. 30 dicembre 2002) è infatti limitato alle “sole ipotesi in cui l'inquilino sia iscritto a un corso di laurea in un Comune diverso da quello di residenza”. Non v'è distinzione, invece, tra studenti in corso e fuori corso, mentre può convenirsi che siano compresi nella previsione anche gli iscritti ad un corso di diploma universitario (Verardi, 158). In tal modo, riacquista “centralità” (ad avviso di Acierno, 117) l'effettiva destinazione del bene nelle locazioni transitorie per gli studenti universitari, in quanto elemento distintivo della tipologia contrattuale concertata di riferimento, cui si può accedere solo se la qualificazione del conduttore come studente sia effettiva (escludendo, ad esempio, gli studenti animati solo dall'ispirazione di vivere durante il corso di studi al di fuori del nucleo familiare); d'altronde, la limitazione si giustifica in base al riconoscimento solo allo studente fuori sede della qualifica di contraente debole, stante la verosimile assenza di autosufficienza economica ed i maggiori oneri derivanti alle famiglie dalla localizzazione della sede di studio lontano dalla residenza del nucleo familiare. La stipulazione dei contratti di locazione per studenti universitari è, ovviamente, sottoposta all'osservanza del requisito formale della forma scritta di cui all'art. 1, comma 4, della l. n. 431/1998, e, anzi, il d.m. 5 marzo 1999, all'art. 3, comma 7 (così come il d.m. 30 dicembre 2002), impone l'utilizzo dei contratti-tipo. Condivisibili considerazioni critiche sono state mosse alla scelta, operata dall'art. 3, comma 2, del d.m. 5 marzo 1999 – così come dal successivo decreto ministeriale – di prevedere che il contratto sia sottoscritto dal singolo studente (oltre che da gruppi di studenti o da aziende per il diritto allo studio), e non anche da soggetti diversi, quali i genitori, che offrono normalmente maggiori garanzie economiche al locatore (Verardi, 159). La durata deve essere compresa tra i sei mesi ed i tre anni, a fronte dei contratti transitori “ordinari” che variano, di regola, da sei a diciotto mesi. È previsto il rinnovo automatico, salvo disdetta del conduttore, da comunicarsi almeno un mese o non oltre tre mesi prima della scadenza – a fronte della generale non rinnovabilità dei contratti transitori ordinari – restando, comunque, ferma la durata massima non superiore a sei anni prevista dall'art. 2, comma 3, della l. n. 431/1998 (in linea, d'altronde, con la durata media dei corsi universitari italiani, inclusa la fase della preparazione/stesura della tesi di laurea); va, comunque, evidenziata la singolarità di tale disposizione che non prevede analoga facoltà di disdetta per il locatore, sicché, astrattamente, la durata della locazione sembra dipendere in via esclusiva dalla volontà dello studente, restando salva la facoltà del locatore di provare che le esigenze di studio del conduttore siano obiettivamente cessate. Non sembra contemplato il tacito rinnovo alla seconda scadenza, con conseguente automatica cessazione del rapporto, mentre è opinabile la possibilità del diniego di rinnovazione da parte del locatore per i motivi di cui all'art. 3 della l. n. 431/1998 (ad avviso di Scalettaris 1999, 211, il recesso per necessità del locatore alla prima scadenza deve considerarsi un “principio di carattere ordinamentale”, anche perché ribadito in ordine alla proroga biennale introdotta dall'art. 11, comma 2 bis, della l. n. 359/1992). Riguardo all'inderogabilità di tali limiti ed alla nullità parziale della clausola derogativa, ai sensi dell'art. 13, comma 3, della l. n. 431/1998, valgono le medesime considerazioni svolte in riferimento ai contratti transitori “comuni” (v. supra). Il recesso del conduttore è previsto per “gravi motivi”; si pensi, ad esempio, alle disposizioni in tema di emergenza dovute al coronavirus (v., tra le altre, d.p.c.m. 8 marzo 2020 e d.p.c.m. 10 aprile 2020) che hanno previsto la chiusura delle università ed il divieto di svolgimento dell'attività didattica “in presenza”, sicché gli studenti fuori sede non hanno più la necessità di abitare nell'alloggio locato, dovendo far ritorno ai Comuni di residenza (considerando sempre che il contratto de quo è stato stipulato per il fine specifico ed espresso di consentire al conduttore di frequentare l'università). In caso di pluralità di conduttori è consentito il recesso parziale, sicché la locazione prosegue nei confronti degli altri (si opina, però, che il conduttore recedente rimanga solidalmente obbligato per i periodi di conduzione pregressi, unitamente agli oneri accessori); è da escludere che i rimanenti conduttori possano unilateralmente decidere di sostituire il conduttore receduto con altro conduttore in mancanza del consenso del locatore; se ne deduce, dunque, che, per effetto del recesso di uno dei conduttori, gli altri potrebbero trovarsi assoggettati all'obbligazione di pagamento di un canone proporzionalmente superiore a quello originariamente pattuito, anche se tale circostanza potrebbe valutarsi sul piano dei gravi motivi giustificativi del recesso successivo dei conduttori così esposti. Il canone non è liberamente determinabile, ma deve essere stabilito dagli accordi locali, all'interno di una fascia di oscillazione per aree omogenee, con possibilità di aumenti o diminuzioni degli intervalli di oscillazione in relazione alla durata contrattuale; la misura massima del canone, stabilita in considerazione delle caratteristiche obiettive dell'immobile e della durata del rapporto, è imposta a pena di nullità parziale ai sensi dell'art. 13, comma 4, della l. n. 431/1998: il conduttore può, quindi, conseguire in giudizio la determinazione del canone dovuto, in sostituzione di quello concordato, attraverso l'azione di riconduzione a condizioni conformi di cui all'art. 13, comma 6, della stessa legge (non è previsto, invece, l'aggiornamento del canone). La sublocazione è vietata, tutelando soprattutto il locatore qualora il contratto sia sottoscritto da un “gruppo di studenti”, atteso che costituisce un valido strumento di controllo del numero e delle caratteristiche dei conduttori che possono avvicendarsi nello svolgimento del rapporto locatizio (è necessario, comunque, che la plurisoggettività della parte conduttrice sia visibile nel testo negoziale). Il decreto ministeriale stabilisce, poi, che, per le proprietà di cui all'art. 1, commi 5 e 6, si procede, in relazione ai Comuni di cui al comma 2 dell'art. 3, mediante accordi integrativi, stipulati fra i soggetti e con le modalità indicate nell'articolo medesimo. Inoltre, i contratti di locazione di natura transitoria per soddisfare le esigenze degli studenti universitari devono essere stipulati utilizzando esclusivamente i tipi di contratto approvati (allegati E per le proprietà individuali ed F per le proprietà di cui all'art. 1, commi 5 e 6, e attualmente, alla luce del vigente decreto ministeriale, allegato C); va, quindi, escluso che possano essere stipulati contratti individuali incentrati appositamente su tali esigenza al di fuori di tali schemi, finalizzati, d'altronde, a realizzare un sistema di maggiori garanzie di equilibrio contrattuale per il conduttore-studente rispetto al più ampio genus delle locazioni transitorie. Infine, anche per questi contratti è prevista, come facoltativa, l'assistenza alle parti contrattuali ad opera delle rispettive Organizzazioni; al riguardo, gli accordi locali stabiliscono, per i contratti “non assistiti”, le modalità di attestazione da eseguirsi sulla base degli elementi oggettivi dichiarati dalle medesime parti, e con assunzione di responsabilità, da parte di almeno un'Organizzazione firmataria, circa la “rispondenza” del contenuto economico/normativo del contratto all'accordo medesimo, anche per quanto riguarda le agevolazioni fiscali. Uso foresteriaSi è sostenuto che la previsione dell'art. 5 della l. n. 431/1998 avrebbe dovuto essere intesa come riferita non solo alle c.d. locazioni transitorie, ma anche ad una serie di tipologie locatizie “con arricchito momento causale”, quali la locazione degli appartamenti mobiliati, la locazione collegata al rapporto di lavoro, la locazione dell'immobile da destinare ad abitazione di un terzo, e appunto il contratto di foresteria (Lazzaro, 367); il generico riferimento dell'art. 5 alle “particolari esigenze delle parti”, seppur sotto la rubrica “contratti di locazione di natura transitoria”, avrebbe autorizzato tale conclusione, che, d'altra parte, ripeteva la sua ragion d'essere nella stessa ratio posta a fondamento della norma considerata. Se è vero, infatti, che la tipizzazione dei rapporti contemplati dall'art. 5 è volta a contrastare l'elusione della disciplina della legge attraverso la stipulazione di locazioni fittiziamente transitorie, non v'è ragione perché il medesimo trattamento non sia parimenti riservato ad altre tipologie contrattuali – si pensi, in primo luogo, alla foresteria – che tanto lustro avevano raggiunto proprio quali strumenti di aggiramento della l. n. 392/1978. Nondimeno, va dato atto che né gli accordi locali né la seconda Convenzione nazionale – in relazione all'evoluzione segnata dalla l. n. 2/2002 – hanno preso in considerazione tali tipologie contrattuali, limitandosi a disciplinare le sole locazioni transitorie in senso proprio. In quest'odine di concetti, occorre interrogarsi sull'ammissibilità della locazione ad uso di foresteria (da tenere, comunque, distinta dalla tipologia del residence, in cui l'elemento caratterizzante sul godimento del bene è costituito dalla prestazione dei servizi, come la pulizia degli ambienti, il vitto, ecc., con durata estremamente breve ed accompagnata da altri servizi accessori). Tale contratto atipico, che le parti, nell'esercizio della loro autonomia contrattuale, ex art. 1322, comma 2, c.c., possono certamente concludere (purché diretto a realizzare interessi meritevoli di tutela), risponde all'esigenza di taluni soggetti – tra i quali prevalentemente società commerciali, ma anche altre persone giuridiche o enti di fatto, ed analoghi problemi di inquadramento sorgono qualora il condominio volesse affittare al portiere un locale comune – di alloggiare temporaneamente propri dipendenti, collaboratori od ospiti, con la particolarità che la loro rotazione nell'immobile locato ne importa un'utilizzazione tendenzialmente continuativa. Dunque, la locazione ad uso di foresteria – caratterizzata dalla dissociazione tra soggetto titolare del contratto e soggetto effettivo fruitore dell'immobile locato, nonché dalla destinazione di quest'ultimo ad alloggio temporaneo di persone collegate, per le attività svolte o/e per le funzioni ricoperte o/e per gli interessi perseguiti, al contraente – non è, di regola, una locazione abitativa né primaria né transitoria, in quanto non è direttamente rivolta a soddisfare un'esigenza abitativa propria del conduttore, bensì la diversa esigenza menzionata (che ne costituisce la causa) di destinare l'immobile locato a temporaneo alloggio di dipendenti od ospiti del titolare del contratto. Tuttavia, per un verso, va riconosciuto che i contratti ad uso foresteria non sempre sono caratterizzati da una durata breve, atteso che la necessità di porre a disposizioni dei dipendenti un alloggio non incide sulla transitorietà dell'uso, ma sulla destinazione dell'immobile a soddisfare esigenze abitative non direttamente riconducibili al conduttore stipulante; per altro verso, non si può sempre negare a chi fruisce del godimento dell'immobile di soddisfare un'esigenza abitativa primaria se la permanenza è dettata da stabili ragioni di lavoro. In effetti, il c.d. uso foresteria è stato spesso utilizzato nella prassi del sistema previgente come modello principale di elusione dell'applicazione della l. n. 392/1978 soprattutto riguardo alla vincolatività del canone; la giurisprudenza ha registrato, infatti, l'interposizione soggettiva di una società di copertura (o altri soggetti) in veste di conduttore per la stipula di contratti contemplanti un uso precario che dissimulavano, con il consenso del locatore, stabili esigenze abitative di persona diversa dal conduttore così come indicato nel medesimo contratto (tra le sentenze di legittimità, v. Cass. III, n. 8843/2007, che aveva però escluso l'interposizione fittizia; Cass. III, n. 8585/2002, puntualizzando che è onere della parte che adduce la simulazione offrire, in linea con il disposto dell'art. 2697 c.c., la prova del contratto dissimulato – nella specie, locazione ad uso abitativo per soddisfare esigenze abitative primarie e continuative del fruitore del bene – invece della simulata locazione ad uso foresteria; Cass. III, n. 2613/1981, secondo cui era da escludere la qualificazione di una locazione come “transitoria”, qualora essa fosse stata conclusa per la soddisfazione di normali esigenze abitative, ancorché di persona diversa dal conduttore, che, al momento del sorgere del rapporto, risultavano riconosciute dalle parti, le quali avevano stipulato il relativo contratto in funzione di dette esigenze; tra le pronunce di merito si segnalano: App. Napoli 3 aprile 1997, chiarendo che tale prova, peraltro, può essere data con ogni mezzo, trattandosi di far valere l'illiceità del contratto per contrasto con la disciplina imperativa di cui alla l. n. 392/1978; Pret. Busto Arsizio 29 gennaio 1997; Pret. Bologna 26 ottobre 1996; Trib. Milano 11 ottobre 1993; Trib. Milano 18 ottobre 1990). In quest'ordine di concetti, si ponevano altre pronunce dello stesso magistrato meneghino: Trib. Milano 20 maggio 1996, ad avviso del quale, nell'ipotesi di locazione di immobile ad uso foresteria, stipulata con accollo del relativo onere economico, ma nella consapevolezza dell'uso abitativo stabile (nella specie, di un dipendente) e non dell'uso tendenzialmente temporaneo di soggetti sconosciuti e di volta in volta individuati e prescelti, sussiste la simulazione soltanto sotto il profilo oggettivo della destinazione dell'immobile locato, ma non anche sotto il profilo soggettivo, qualificandosi il contratto come a favore di terzo, assoggettato comunque alla disciplina della l. n. 392/1978; e ancora Trib. Milano 15 aprile 1991, secondo cui il contratto di locazione che, pur intestato quale conduttore a soggetto diverso dal concreto fruitore dell'immobile e pur relativo ad immobile destinato ad uso foresteria, sia finalizzato in realtà, con il consenso del locatore, al soddisfacimento delle esigenze abitative primarie e continuative della persona fisica che occupa l'immobile, configura un'ipotesi di simulazione sia soggettivamente sia oggettivamente, la cui prova può essere raggiunta sia attraverso testimoni, sia attraverso presunzioni e indizi (elemento a tal fine rilevante era l'effettiva utilizzazione abitativa, stabile e continuativa da parte del soggetto occupante, mentre ulteriori elementi potevano ricavarsi dalle modalità di stipulazione del contratto). Al contempo, anche se tale figura si presta ad evidenti abusi, non si può disconoscere l'esigenza di aziende e società, che hanno svariate filiali disseminate in tutta Italia, di poter reperire con facilità un alloggio ai propri dipendenti in caso di trasferimento, anche per brevi periodi, da un punto all'altro della penisola; in quest'ottica, tale contratto è stato considerato lecito, in quanto diretto a soddisfare, sia pure in via indiretta, un'esigenza abitativa, non sempre di durata quadriennale, ma nemmeno di carattere transitorio, connessa ad un'attività di impresa; d'altro canto, la destinazione abitativa della locazione impediva l'applicazione delle disposizioni per l'uso diverso dall'abitazione, sicché, in definitiva, la fattispecie contrattuale veniva a trovarsi al di fuori della normativa sull'equo canone (Cass. III, n. 10816/1995, la quale, in una fattispecie in cui l'immobile era stato concesso in locazione per gli addetti ad un'ambasciata estera in Italia, aveva affermato il principio per cui, nella disciplina delle locazioni urbane, è valido, in linea di principio, il contratto di locazione ad uso foresteria, non avendo la l. n. 392/1978 abrogato la disciplina generale prevista dagli artt. 1571 ss. c.c., sicché risultava infondata la domanda del conduttore avente ad oggetto la richiesta di restituzione di tutte le somme pagate in più rispetto al canone legale). Altre pronunce di merito hanno sottolineato che la qualifica della transitorietà dell'uso di un immobile, ai fini dell'esclusione dell'applicazione della l. n. 392/1978, deve essere operata con concreto riferimento alla situazione abitativa degli occupanti, sicché, nel caso di immobile locato ad una ditta che intenda utilizzarlo a favore di propri dipendenti o collaboratori, la transitorietà non deve essere collegata alla teorica possibilità di una rapida alternanza degli stessi occupanti, né è rilevante l'inclusione nel contratto del termine “transitorio” (Trib. Bologna 20 agosto 1990, puntualizzando che è necessario verificare caso per caso, indipendentemente dalla dizione e dall'uso di espressioni di intento – quali “transitorietà”, “foresteria”, “destinazione a dipendenti per periodi limitati” – se nel contratto è inserita la previsione concreta, specifica ed oggettiva di un'esigenza abitativa di natura transitoria del conduttore o di terzi occupanti l'immobile, esattamente individuati). Orbene, per valutare le possibili interferenze tra la disciplina delle locazioni transitorie introdotta dalla l. n. 431/1998 e la locazione ad uso di foresteria – come sopra delineata – occorre muovere dalla considerazione che l'anzidetta disciplina può trovare applicazione solo se l'immobile sia utilizzato personalmente dal conduttore (art. 2, comma 6, lett. g, del decreto ministeriale), dispiegandosi solo in questo caso la finalità protettiva della posizione del conduttore riguardo ai limiti di durata del contratto ed alla misura del canone eterodeterminata. Al riguardo, si è preso atto che, nella locazione ad uso di foresteria, manca una diretta destinazione dell'immobile ad uso abitativo personale del conduttore, dal momento che, al contrario, il contratto è stipulato in funzione di un'esigenza diversa, non assimilabile a quella abitativa: dunque, il contratto ad uso di foresteria non può che trovare la propria regolamentazione nel codice civile, senza che possa al riguardo essere invocata la nuova legge del 1998 (Cuffaro 1999, 354, secondo il quale “la foresteria non ha natura ontologicamente transitoria”, laddove l'accostamento alla figura delineata dall'art. 5 della l. n. 431/1998 deriva soltanto dal rilievo in entrambe dell'elemento temporale, certamente diverso da quello che contraddistingue le locazioni c.d. ordinarie, ossia stipulate dal conduttore per soddisfare un'esigenza abitativa stabile o primaria; in senso sostanzialmente favorevole all'applicabilità del regime codicistico, Falabella, 281). In contrario, al fine di escludere l'ammissibilità della locazione ad uso di foresteria, si è da alcuni posto l'accento sull'intento elusivo che, nel vigore della l. n. 392/1978, aveva caratterizzato l'utilizzazione del tipo contrattuale; si è rilevato che l'art. 1, comma 3, della l. n. 431/1998 individua una specifica ipotesi di foresteria, ossia la foresteria degli Enti locali destinata a soddisfare esigenze abitative di carattere transitorio; si è osservato, ancora, che lo schema del menzionato contratto sarebbe quello del contratto a favore di terzo, tale da giustificare l'applicazione al rapporto della disciplina propria della locazione ad uso abitativo; si è sottolineato, infine, che la locazione ad uso di foresteria, non potendo essere considerata locazione transitoria per difetto dell'uso diretto del bene, né essendo espressamente esclusa dall'àmbito di applicazione della legge, non potrebbe che rifluire, in ogni caso, nella disciplina delle locazioni abitative primarie (Verardi, 144, ad avviso del quale trattasi di “un modello negoziale di cui non si avverte la nostalgia”, preconizzando il definitivo tramonto di tale tipologia contrattuale). L'asserita estraneità di tale tipologia locatizia dall'àmbito applicativo della l. n. 431/1998 è stata avversata da altra dottrina (Acierno, 122), la quale ha messo in luce che la destinazione abitativa rimane tale anche se il canone viene corrisposto da un soggetto diverso dal beneficiario, richiamando quella giurisprudenza che aveva qualificato il contratto ad uso foresteria come contratto a favore di terzo, con conseguente ininfluenza dello sdoppiamento stipulante-beneficiario sull'intreccio causale e sulla qualificazione giuridica del contratto; per contro, l'evidenziata previsione del divieto di sublocazione nei contratti transitori c.d. ordinari contenuta nel decreto ministeriale era finalizzata solo ad accrescere le garanzie previste ed a evitare mutamenti di destinazione derivanti da evenienze contrattuali non predeterminate al momento della stipula. Si sottolinea, altresì, che la l. n. 431/1998 codifica una particolare tipologia di “foresterie” nell'art. 1, comma 3, individuando, nei contratti di locazione stipulati dagli Enti locali in qualità di conduttori per soddisfare esigenze transitorie, una categoria di contratti disciplinata dal codice civile ed ai quali non si applica la nuova legge, sicché, ove i contratti ad uso foresteria siano effettivamente destinati a soddisfare esigenze abitative ed intercorrano tra soggetti privati, non si ravvisano ostacoli per applicare la novella del 1998 (Acierno, op. loc. cit., la quale individua anche una ragione storica per indurre alla prudenza alla creazione di una sorta di zona franca: “se, infatti, la nuova legge ha la finalità di realizzare un sistema delle locazioni più trasparente e meno soggetto alle elusioni rispetto al regime previgente, è bene spezzare la continuità con il passato abuso del modello della foresteria ai fini quasi elusivi di effettivi contratti di locazione ad uso abitativo”). Anche altri autori (Grasselli, Masoni, 126) si sono mostrati inclini a ritenere che il contratto di locazione ad uso foresteria ricada nell'àmbito applicativo della l. n.431/1998: il carattere transitorio o continuativo del rapporto sfugge, infatti, ad una preventiva regolamentazione, ben potendo il rapporto tra l'impresa (conduttore) e l'effettivo fruitore dell'alloggio interrompersi dopo breve tempo, come permanere fino all'età pensionabile, determinando così una pregiudiziale incertezza sulle sorti dello stesso contratto, concludendo nel senso della validità nel primo caso diversamente che nel secondo; in realtà, il dipendente occupa l'immobile per soddisfare le proprie esigenze primarie, a nulla rilevando che il contratto di locazione sia stato stipulato dal suo datore di lavoro, il quale, per il solo fatto di essere il titolare del rapporto locatizio e di pagare il relativo canone, ben potrebbe essere ammesso ai benefici fiscali previsti in suo favore (si sottolinea che, altrimenti, si avrebbe una “un'evidente discrasia” tra il contratto stipulato dal locatore con l'imprenditore e il contratto di sublocazione tra quest'ultimo ed il dipendente). Nella stessa lunghezza d'onda, si pone chi segnala che il silenzio sul punto degli accordi locali impedisca di qualificare la locazione ad uso foresteria come “transitoria”, soprattutto laddove essa sia stata conclusa per la realizzazione di bisogni abitativi essenziali, ancorché di persona diversa dal conduttore, concludendo nel senso dell'assimilazione della figura alla generale categoria dell'uso abitativo e, quindi, per l'assoggettamento, in via residuale, alle regole di cui all'art. 2, comma 1, della l. n. 431/1998, rinvenendosi nell'ipotesi considerata dall'art. 1, comma 3, piuttosto che l'eccezione ad un avverso principio, il sintomo di una volontà legislativa di protezione di esigenze abitative primarie e stabili non correlata indispensabilmente all'assunzione della qualità formale di conduttore da parte del beneficiario della situazione di godimento (Carrato, Scarpa, 346). In giurisprudenza, si registra l'opposta tesi (Trib. Roma 27 settembre 2005), secondo la quale la locazione ad uso foresteria non sarebbe affatto una locazione abitativa, né primaria né transitoria, in quanto non diretta a soddisfare alcuna esigenza abitativa del conduttore, bensì la diversa esigenza menzionata del conduttore “formale” di destinare l'immobile a temporaneo alloggio dei propri dipendenti o ospiti, e, al contempo, si avvicina alle locazioni commerciali, trattandosi, in genere, di locazioni stipulate da operatori economici e caratterizzate da un intimo collegamento con l'organizzazione produttiva. 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