Legge - 27/07/1978 - n. 392 art. 10 - Partecipazione del conduttore all'assemblea dei condomini.

Alberto Celeste

Partecipazione del conduttore all'assemblea dei condomini.

Il conduttore ha diritto di voto, in luogo del proprietario dell'appartamento locatogli, nelle delibere dell'assemblea condominiale relative alle spese e alle modalità di gestione dei servizi di riscaldamento e di condizionamento d'aria.

Egli ha inoltre diritto di intervenire, senza diritto di voto, sulle delibere relative alla modificazione degli altri servizi comuni.

La disciplina di cui al primo comma si applica anche qualora si tratti di edificio non in condominio.

In tale ipotesi i conduttori si riuniscono in apposita assemblea convocati dal proprietario dell'edificio o da almeno tre conduttori.

Si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni del codice civile sull'assemblea dei condomini.

Inquadramento

La l. n. 392/1978, da un lato, con l'art. 9, ha inteso definire analiticamente i criteri di ripartizione degli oneri accessori del canone tra locatore e conduttore, oneri che, nel sistema della legge sul c.d. equo canone, hanno acquisito una fisionomia diversa, divenendo elemento della stessa controprestazione, e, dall'altro lato, con il successivo art. 10 – tuttora vigente, anche a seguito dell'entrata in vigore, per quanto concerne le locazioni abitative, della l. n. 431/1998 – ha previsto che il conduttore possa avere diritto di voto, in luogo del proprietario dell'appartamento locatogli, nelle deliberazioni condominiali relative alle spese ed alle modalità di gestione del servizio di riscaldamento e di condizionamento d'aria, mentre abbia diritto di intervento, senza però la possibilità di voto, sulle statuizioni concernenti la modificazione degli altri servizi comuni.

In effetti, in relazione alla possibilità dell'inquilino di partecipare all'assemblea condominiale, la particolare considerazione per la gestione del servizio di riscaldamento (o di condizionamento) rispetto agli altri servizi – che pure gravano interamente sul conduttore – si spiega con il preminente interesse di questi, non soltanto al controllo della spesa, ma anche e soprattutto alle modalità di erogazione del servizio, cui il locatore, invece, non ha alcun interesse, mentre la possibilità di partecipare all'assemblea senza diritto di voto nelle deliberazioni concernenti le modificazioni degli altri servizi è correlata all'obbligo di pagamento che grava (totalmente o in parte) sul conduttore, cosicché, nonostante l'ultima parola al riguardo spetti al locatore, l'inquilino, intervenendo, può illustrare il proprio punto di vista, cercando in tal modo di far coagulare intorno ad esso la volontà degli altri partecipanti.

Al riguardo, è opportuno osservare che la nozione tradizionale del condominio, quale organizzazione di proprietari basata sul diritto dominicale di godimento della propria unità immobiliare, è stata caratterizzata da una certa autonomia della posizione del conduttore rispetto al suo condomino-locatore e dalla tendenza di instaurare rapporti diretti tra condominio e conduttore stesso, nella prospettiva di realizzare una sua partecipazione sempre più pregnante alla vita condominiale.

In precedenza, l'art. 6 della l. n. 841/1973 conferiva al conduttore, sul quale gravassero per contratto le spese di riscaldamento, il potere di “intervenire in luogo del locatore” nelle assemblee convocate per deliberare sulle spese e sulle modalità di gestione del servizio stesso.

Tale trend ha trovato, appunto, conferma (e ampliamento) nella l. n. 392/1978, la quale, all'art. 10, stabilisce espressamente, al comma 1, che “il conduttore ha diritto di voto, in luogo del proprietario dell'appartamento locatogli, nelle delibere dell'assemblea condominiale relative alle spese e alle modalità di gestione dei servizi di riscaldamento e di condizionamento d'aria”.

Nella considerazione, poi, che egli è il beneficiario o fruitore dei servizi con il correlativo obbligo, impostogli direttamente dalla legge (salvo patto contrario), di sopportarne le relative spese, il successivo comma 2 della richiamata norma afferma, altresì, il suo “diritto di intervenire, senza diritto di voto, sulle delibere relative alla modificazione degli altri servizi comuni”.

Si tratta, quindi, della “assemblea dei condomini” delineata nella disciplina codicistica agli artt. 1135-1137 c.c., come è dato desumere dalla rubrica dell'art. 10 in esame – peraltro, applicabile anche alle locazioni ad uso diverso da quello abitativo in forza del richiamo operato dall'art. 41 della l. n. 392/1978 – assemblea che, con la presenza dei conduttori, viene così ad essere “integrata”.

Inserimento del conduttore nel meccanismo assembleare

L'interpretazione delle norme di cui sopra è stata effettuata da due prospettive nettamente diverse: in termini concreti, le opinioni divergevano tra chi reputava sussistere l'obbligo di convocazione da parte dell'amministratore che fosse stato tempestivamente edotto della locazione e, quindi, un diritto autonomo in capo al conduttore di partecipare alle assemblee, e chi poneva, invece, a carico del locatore l'obbligo di rituale convocazione dell'inquilino.

Secondo una prima prospettiva, si è reputato che l'uso del verbo “intervenire” – che riecheggia testualmente il termine “intervenuti”, adoperato dall'art. 1136 c.c. per il calcolo dei quorum nella costituzione/deliberazione dell'assemblea di condominio – può consentire una valorizzazione della novità legislativa, inserendo sostanzialmente il conduttore nella vita del medesimo condominio.

In tal senso, sottolineando fortemente la configurazione degli oneri accessori come componenti dello scambio e del conseguente ampliamento della causa negoziale, si è affermato che gli artt. 9 e 10 della l. n. 392/1978 hanno creato un rapporto diretto tra schema tipico della locazione e quello condominio.

Ad ogni buon conto, non sembrava esserci dubbio, sebbene il testo della disposizione non lo dicesse espressamente, che il conduttore in tanto avesse diritto di partecipare all'assemblea, in quanto fruisse dei servizi, e perciò fosse tenuto a rimborsare la relativa spesa al locatore-condomino (Cosentino, Vittucci, 247); al contempo, il conduttore aveva il diritto riconosciutogli dal citato art. 10 anche qualora il locatore non fosse un condomino, e l'immobile di proprietà di terzi fosse stato da lui concesso in locazione per averne avuto la disponibilità, atteso che la lettera della norma autorizzava tale interpretazione, del resto in linea con la finalità di essa, in quanto indicava – non già il locatore, bensì – il “proprietario” come soggetto al quale il conduttore si sostituisse per esercitare il diritto di voto (Grasselli, Masoni, 341).

In particolare, il conduttore si pone come titolare di una posizione soggettiva autonoma sicché, in forza del richiamato art. 10, “viene meno l'unicità del diritto di partecipazione in assemblea espresso dalla quota proprietaria, iscritta nei registri del condominio, con l'emergere, invece, di due posizioni soggettive autonome (conduttore e locatore) relativamente alla stessa quota e – fatto importante – alla stessa deliberazione assembleare” (così Vettori, 182), anche se, per accordo tra le parti del rapporto locatizio, sia stata prevista una distribuzione delle spese attinenti ai servizi comuni diversa da quella stabilita dall'art. 9, in quanto il voto al condomino-locatore, in relazione a spese che pur sopporta il conduttore, induce a credere che la partecipazione all'assemblea prescinde dalla considerazione su quale delle parti sono destinate a gravare le relative spese.

In realtà – come si è pure osservato – la mancata riproposizione del dato testuale della precedente norma vincolistica, la quale subordinava un tale diritto alla circostanza che le spese fossero “per contratto” a carico del conduttore, deve attribuirsi alla considerazione che il conduttore non è mai indifferente alle decisioni concernenti l'uso ed il godimento dei servizi comuni, evidenziandosi comunque un suo interesse alla gestione del servizio in un certo modo a preferenza di altro; d'altra parte, sarebbe “asintonico con la ratio della nuova normativa circoscrivere detto interesse nel limitato àmbito economico del contratto, sembrando invece questo un momento in via di superamento, per realizzare il funzionamento dell'autogestione del servizio di riscaldamento, mediante apposite assemblee, alle quali partecipino tutti i conduttori presenti in un edificio in condominio, in coerenza e quale specificazione dell'apposita assemblea che è già realizzata negli edifici non in condomino” (così Stincardini, 161).

Dunque, si registra un'assemblea che vede certamente legittimato il condomino-locatore (Trib. Napoli 22 giugno 1976), alla posizione del quale occorre far capo ai fini del calcolo per la regolare costituzione di essa; da parte sua, il conduttore, in forza del rapporto locatizio, ha però per legge il diritto iure proprio di partecipare (a prescindere anche dal ricevuto invito) e di sostituirsi al condomino-locatore al momento del voto, qualora si tratti di questioni attinenti al servizio di riscaldamento, senza che occorra una qualche delega da parte di costui.

Pertanto, in capo al conduttore, viene individuato un pregnante potere di controllo, cui si aggiungeva, per il riscaldamento, anche un potere decisionale.

Da tale inquadramento, consegue che: a) il diritto di partecipare all'assemblea – convocata sia per deliberare le spese e le modalità di gestione del riscaldamento, sia per esaminare la “modificazione degli altri servizi comuni” – spetta tanto al conduttore (che nel primo caso, avrebbe esercitato anche il diritto di voto) quanto al condomino-locatore; b) agli effetti delle maggioranze necessarie per la valida costituzione dell'assemblea e per l'approvazione delle deliberazioni, il conduttore non è portatore dei “millesimi” del proprio locatore, ma rileva come “capo”, per cui va conteggiato soltanto in relazione ai “partecipanti”; c) tanto il condomino-locatore quanto il conduttore devono essere convocati direttamente dall'amministratore del condominio, sempre che uno di loro si sia attivato a dargli comunicazione dell'esistenza del rapporto locatizio (secondo i generali principi in materia condominiale); d) in relazione alle questioni in ordine alle quali è convocato, il conduttore ha il diritto di esaminare le carte condominiali; e) la mancata convocazione, incidendo sulla regolare costituzione dell'assemblea, comporta l'invalidità della deliberazione adottata; f) il conduttore dissenziente o assente ha il diritto di impugnativa previsto dall'art. 1137 c.c.; g) il conduttore deve corrispondere le quote condominiali a suo carico direttamente all'amministratore, il quale può attivare, nei suoi confronti, anche la speciale procedura di riscossione contemplata dall'art. 63 disp. att. c.c.

Seguendo questa tesi – che aveva trovato pochi consensi in giurisprudenza (Cass. II, n. 4420/1980, la quale appunto configura un diritto autonomo del conduttore) – stante la completa equiparazione del conduttore al condomino operata dall'art. 10 citato – salvo sempre l'onere del locatore di effettuare all'amministratore le necessarie segnalazioni in ordine all'esistenza del rapporto di locazione, poiché, in difetto di comunicazioni in proposito, nulla quaestio – doveva, quindi, concludersi che l'omesso avviso al conduttore viziava la deliberazione, al pari dell'omessa convocazione di un condomino, e rendeva la deliberazione stessa impugnabile; in pratica, il diritto del conduttore a partecipare all'assemblea sarebbe stato del tutto autonomo e personale, sicché l'amministratore aveva l'obbligo di inviare direttamente all'inquilino l'avviso di convocazione.

In questa prospettiva, il panorama potrebbe essere ulteriormente dilatato, nel senso che, ad esempio, si può ipotizzare, per un verso, che, qualora manchi l'amministratore del condominio, il singolo conduttore sia legittimato ex art. 1129, comma 1, c.c., ad attivarsi per sollecitarne la nomina da parte dell'autorità giudiziaria in sede di volontaria giurisdizione, e, per altro verso, che due inquilini, rappresentanti almeno un sesto del valore dell'edificio, possano convocare l'assemblea, in luogo dell'amministratore inerte, ai sensi dell'art. 66, comma 1, disp. att. c.c.

In altri termini, la legge c.d. sull'equo canone sembra aver aperto “una breccia che ha sostanzialmente modificato la concezione che del condominio ci avevano affidato le fonti codicistiche”; quindi, la visione di un condominio come organizzazione di proprietari variamente giustificato e ricostruito dalla dottrina, lascia il passo ad un condominio come punto di confluenza di una pluralità di diritti e di interessi diversificati per natura ed estensione, confluenti in un'organizzazione di utenti, il cui titolo partecipativo può essere indifferentemente reale od obbligatorio; tutte le ipotesi devono essere unificate nel principio di autodeterminazione, non potendosi ritenere giuridicamente concepibile che terzi agiscano con effetti nel patrimonio altrui, senza esserne specificatamente legittimati” (così Santangelo, 627).

Estraneità del conduttore alle vicende condominiali

Un'altra prospettiva evidenzia, al contrario, che l'assemblea è costituita con l'intervento dei condomini (ai sensi dell'art. 1136 c.c.), e che le norme della l. n. 392/1978 intendono semplicemente tutelare la posizione del conduttore nell'àmbito del rapporto di locazione, senza che sia configurabile una sua posizione soggettiva autonoma nel diverso àmbito condominiale.

In buona sostanza, il condominio deve solo “accettare” la presenza del conduttore in talune assemblee, anche con diritto di voto, per effetto degli obblighi che il locatore-condomino ha nei confronti del proprio conduttore (tra le prime pronunce della magistratura di merito, si segnalano: Pret. Portici 10 novembre 1984; Pret. Salerno 4 luglio 1984; Pret. Bologna 9 febbraio 1984; Pret. Roma 10 dicembre 1979).

Dalla sopra delineata estraneità e dalla conseguente autonomia delle due posizioni, risulta logico corollario che: a) nessun obbligo ha l'amministratore di convocare il conduttore all'assemblea condominiale, qual che sia l'argomento all'ordine del giorno; b) nei confronti del condominio, si verifica una sostituzione legale, con la conseguenza che resta direttamente responsabile il condomino-locatore, verso il quale l'amministratore potrebbe azionare le consuete procedure; c) nessun potere ha l'amministratore di rivolgersi direttamente al conduttore per il pagamento delle spese condominiali; d) nessuna comunicazione della deliberazione deve essere fatta dall'amministratore al conduttore assente; e) non è configurabile un potere di impugnativa delle deliberazioni assembleari da parte del medesimo conduttore.

Al riguardo, si è ritenuto che la disciplina in esame non abbia intaccato il regime delle assemblee dei condomini, come disegnato dal codice civile, nel senso che, almeno in via di principio, restano fermi i criteri per stabilirne la validità di costituzione e calcolare le relative maggioranze, con i necessari aggiustamenti riguardo solo alle deliberazioni concernenti il servizio di riscaldamento; il disposto dell'art. 10 della l. n. 392/1978 ha, infatti, carattere eccezionale rispetto alla disciplina del condominio negli edifici e non è, quindi, suscettibile di interpretazione estensiva (così esplicitamente Cass. II, n. 5238/1986, sia pure riguardo alla precedente, omologa, norma vincolistica).

D'altra parte, la rubrica dell'articolo de quo è precisa nel definire quella del conduttore come “partecipazione” all'assemblea, specificando che quest'ultimo ha diritto di partecipare per esercitare il diritto di voto nella deliberazione che sarà adottata, e puntualizzando che la sostituzione del condomino-locatore con il conduttore ha luogo al momento della votazione della deliberazione; in tal modo, viene accentuato il “momento di sostituzione”, come è reso evidente dalla scelta della proposizione “nelle delibere” (dell'assemblea condominiale), specie ove la si compari con la preposizione usata nel comma 2, e cioè “sulle delibere” relative alle modificazioni degli altri servizi comuni, alle quali il conduttore partecipa senza avere diritto di voto (De Stefano 1984, 192).

In argomento, utili riscontri si rinvengono in una pronuncia di legittimità (Cass. II, n. 384/1995), la quale mette in evidenza come quella – da definire “allargata” – resta pur sempre un'assemblea condominiale come disciplinata dal codice civile, che vede i conduttori (che sono maggiormente interessati alle relative decisioni) deliberare, per certe materie, “in luogo” dei condomini; in tale sistema – viene aggiunto – di fronte al condominio esistono soltanto i condomini e non i conduttori, per cui l'amministratore si può rivolgere solo ai medesimi condomini per il rimborso delle spese condominiali, tant'è che l'art. 5 della l. n. 392/1978 prevede la risoluzione del contratto di locazione, a favore del solo locatore, se il conduttore non gli rifonda gli oneri accessori a suo carico, con la conseguenza che deve escludersi la possibilità di un'azione diretta del condominio contro il conduttore.

Non si nasconde, però, che tale prospettazione si colora in maniera particolare riguardo alle deliberazioni concernenti il servizio di riscaldamento, in relazione alle quali è stato riconosciuto il diritto dell'inquilino di impugnare le deliberazioni viziate (Cass. II, n. 8755/1993); in particolare, si è statuito che l'art. 10 della l. n. 392/1978 – il quale attribuisce al conduttore il diritto di votare in luogo del proprietario nelle assemblee condominiali aventi ad oggetto l'approvazione delle spese e delle modalità di gestione dei servizi di riscaldamento e di condizionamento d'aria e di intervenire senza diritto di voto sulle deliberazioni relative alla modificazione di servizi comuni – riconosce implicitamente, con il rinvio alle disposizioni del codice civile concernenti l'assemblea dei condomini, il diritto dell'inquilino di impugnare le deliberazioni viziate, sempreché abbiano ad oggetto le spese e le modalità di gestione dei servizi di riscaldamento e di condizionamento d'aria (aggiungendo, però, che laddove, al di fuori delle situazioni richiamate, la norma in esame non attribuisce all'inquilino il potere generale di sostituirsi al proprietario nella gestione dei servizi condominiali, deve escludersi la legittimità del conduttore ad impugnare la deliberazione dell'assemblea di nomina dell'amministratore e di approvazione del regolamento di condominio e del bilancio preventivo).

Più di recente, è stato appunto considerato che, se il potere di impugnare le deliberazioni condominiali compete, per il disposto dell'art. 1137 c.c., ai titolari di diritti reali sulle singole unità immobiliari, anche in caso di locazione dell'immobile, “nella particolare materia dei servizi di riscaldamento e di condizionamento d'aria, la decisione e, conseguentemente, la facoltà di ricorrere al giudice, sono attribuite ai conduttori” (così Cass. II, n. 869/2012).

Convocazione dell'assemblea allargata

L'art. 10, commi 1 e 2, della l. n. 392/1978 non contempla specifici meccanismi per assicurare l'effettiva partecipazione del conduttore alle assemblee de quibus: la relativa disciplina va, pertanto, ricavata alla luce dei principi generali in materia condominiale “calati” nella realtà del rapporto locatizio, laddove la risoluzione delle varie questioni “sconta”, a monte, l'impostazione offerta dalle due prospettive sopra delineate.

Nello specifico, la norma in commento non sembra aver comportato modificazioni al disposto di cui dell'art. 66 disp. att. c.c. – peraltro, oggetto di integrazioni da parte della l. n. 220/2012 – che disciplina la comunicazione dell'avviso di convocazione dell'assemblea dei condomini, con la conseguenza che, stando alla tesi maggioritaria, tale avviso deve essere comunicato al proprietario e non anche al conduttore dell'appartamento, restando lo stesso proprietario tenuto ad informare il conduttore dell'avviso di convocazione ricevuto dall'amministratore, senza che le conseguenze della mancata convocazione del conduttore possano farsi ricadere sul condominio, che rimane estraneo al rapporto di locazione (App. Genova 4 maggio 1996).

L'obbligo di “informare” il conduttore – non si tratta, infatti, di una vera e propria convocazione – fa carico, quindi, esclusivamente al locatore nell'àmbito del rapporto di locazione, e giammai all'amministratore (Trib. Milano 6 giugno 1988; Pret. Salerno 4 luglio 1984; Pret. Bologna 9 febbraio 1984).

L'amministratore, da parte sua, continuerà ad inviare l'avviso delle riunioni condominiale al solo proprietario (Cass. II, n. 4802/1992): al riguardo, si è affermato – a chiari note – che l'art. 10 della l. n. 392/1978, il quale, ribadendo sostanzialmente la disciplina già introdotta dall'art. 6 della l. n. 841/1973 (abrogato dal d.l. n. 112/2008), prevede con norma eccezionale, un'ipotesi di sostituzione legale del conduttore al proprietario nelle assemblee dei condomini convocate per deliberare sulle spese e modalità di gestione dei servizi di riscaldamento e di condizionamento d'aria, non ha comportato modificazioni al disposto dell'art. 66 disp. att. c.c., che disciplina la comunicazione dell'avviso di convocazione dell'assemblea dei condomini, con la conseguenza che tale avviso deve essere comunicato al proprietario e non anche al conduttore dell'appartamento, restando solo lo stesso proprietario tenuto ad informare il conduttore dell'avviso di convocazione ricevuto dall'amministratore, senza che le conseguenze della mancata convocazione del conduttore possano farsi ricadere sul condominio, che rimane estraneo al rapporto di locazione.

È, però, ragionevole opinare che l'avviso possa essere esteso al conduttore, qualora (comunicandogliene le generalità) gliene faccia espressa richiesta il condominio-locatore al fine di evitare il peso di un tale incombente; anche in tale ipotesi, tuttavia, l'avviso di convocazione deve essere inviato, ai fini della valida costituzione dell'assemblea, anche al condomino che resta pienamente legittimato alle vicende condominiali (contra, App. Milano 19 giugno 1981, per il quale, in caso di avvenuta comunicazione del rapporto locatizio, è il conduttore, nel rapporto con l'ente condominiale, ad assumere, limitatamente al diritto di voto sulle spese di riscaldamento, la legittimazione passiva alle comunicazioni dell'amministratore).

Relativamente alle modalità dell'avviso di convocazione all'assemblea condominiale, in passato, nel silenzio della legge sul punto, si era concordi nel ritenere che tale incombente non risultava soggetto a particolari formalità, salvo che non fossero previste dal regolamento di condominio; in pratica, la convocazione di tutti i condomini per l'assemblea poteva essere compiuta in qualsiasi forma idonea al raggiungimento dello scopo, purché risultasse che erano state fornite al condomino idonee informazioni a renderlo edotto dell'assemblea ed a metterlo in condizione di parteciparvi (Cass. II, n. 15087/2005; Cass. II, n. 2450/1994; Cass. II, n. 140/1985; Cass. II, n. 590/1980); in quest'ordine di concetti, l'avviso poteva essere fatto anche oralmente (Cass. II, n. 8449/2008), essendo sufficiente, ad esempio, che risultasse provato, anche nella ricorrenza di circostanze presuntive, che, dato l'avviso ad uno dei comproprietari, quest'ultimo avesse informato gli altri partecipanti in ordine alla convocazione (Cass. II, n. 5254/2011; Cass. II, n. 1830/2000; Cass. II, n. 24132/2009); stando così le cose, il locatore poteva informare il proprio inquilino nella maniera più varia, trattandosi di atto a forma libera, anche se, in relazione alla maggiore o minore cordialità di rapporti, veniva adottata quella forma che, per il rilascio di una “ricevuta”, poteva fornirgli una prova sicura dell'avvenuta comunicazione, al fine di esentarlo da qualsivoglia responsabilità; attualmente, l'art. 63, comma 3, disp. att. c.c., come modificato dalla l. n. 220/2012, prevede che l'avviso de quo debba avvenire esclusivamente “a mezzo di posta raccomandata, posta elettronica certificata, fax o tramite consegna a mano”, il che induce ancor più a ritenere preferibile l'utilizzo della forma scritta per l'attività informativa da parte del locatore nei confronti del conduttore.

Circa il termine per la convocazione all'assemblea condominiale, può convenirsi per l'applicabilità dell'art. 66 disp. att. c.c., per il quale l'avviso deve essere ricevuto – dovendosi intendere in tal senso il termine “comunicato” adoperato da quella norma (Cass. II, n. 5769/1985) – dai condomini almeno cinque giorni prima della data fissata per l'adunanza, sulla base del richiamo operato dall'ultimo comma dell'art. 10 in esame (in tal senso, v. Trib. Varese 4 luglio 1978; in argomento, App. Genova 22 luglio 1985 ritiene che il locatore possa non rispettare il termine di cinque giorni, poiché lo stesso è previsto dalla legge unicamente per l'amministratore); il novellato comma 3 del citato art. 66 mantiene il termine di cinque giorni ma fa riferimento espresso, opportunamente, alla data fissata per “l'adunanza in prima convocazione” (rimane fermo che il predetto termine debba calcolarsi a ritroso, tenendo conto che, nel computo dei termini a giorni, si esclude il giorno iniziale, secondo la massima dies a quo non computatur in termine, mentre si calcolano quelli finali, secondo l'altra massima dies ad quem computatur in termine, sicché il termine di cinque giorni decorre dal primo giorno immediatamente precedente a quello fissato per lo svolgimento dell'assemblea, e da esso vanno calcolati i cinque giorni per verificare la tempestività della ricezione dell'avviso).

Qualora un'unità immobiliare sia stata concessa in locazione a più persone, l'avviso (da parte dell'unico locatore) deve essere inviato a tutti i conduttori, i quali designeranno un unico rappresentante per la partecipazione all'assemblea; qualora questi non raggiungano l'accordo, la designazione poteva avvenire per sorteggio (in applicazione analogica dell'art. 67, comma 2, disp. att. c.c.) operato dal presidente dell'assemblea nella quale fossero convenuti tutti i conduttori e della quale gli spetta la regolazione; a seguito della riforma della normativa condominiale del 2013, tale incombente non è più previsto e la designazione va trovata, in via interna, dai comproprietari interessati con le maggioranze di cui all'art. 1106 c.c.

Trattandosi di assemblea dei condomini, ai fini della validità della sua costituzione – sempre seguendo l'impostazione tradizionale – occorre calcolare il relativo quorum (di intervenuti e di valore dell'edificio) senza considerare in alcun modo i conduttori, ancorché non sia presente il condomino-locatore (e sempre che non abbia dato apposita delega al proprio inquilino); l'espressione “in luogo del proprietario dell'appartamento locatogli” adoperata dall'art. 10 in discorso appare chiaramente riferita al momento del voto e non a quello della costituzione (contra, Saieva, 34); d'altronde, un'osmosi ai fini de quibus tra inquilino e proprietario sarebbe in ipotesi concepibile soltanto se l'assemblea fosse convocata per l'esame esclusivo delle questioni attinenti al servizio di riscaldamento, perché, altrimenti, affermata la valida costituzione di essa tenendo conto dei conduttori, si porrebbero inestricabili problemi per l'esame e la votazione su altri punti all'ordine del giorno, in relazione ai quali potrebbe non aversi il minimum per l'approvazione, nel senso che, pur votando favorevolmente tutti i condomini presenti, la deliberazione non raggiungerebbe il quorum di legge (Lazzaro, Di Marzio, 951).

Nelle assemblee in questione – come sopra accennato – nulla esclude che l'inquilino può farsi rappresentare, mediante delega, da altra persona, analogamente a quanto stabilito dall'art. 67 disp. att. c.c. per la rappresentanza dei condomini – “ogni condomino può intervenire all'assemblea anche a mezzo di rappresentante”, con l'aggiunta, da parte della l. n. 220/2012, che le delega deve essere scritta – e, in quest'ottica, il delegato può essere lo stesso condomino-locatore.

Oggetto della decisione

Non consentendo la norma de qua un'interpretazione estensiva, si è considerata nulla la deliberazione adottata dai conduttori su materia estranea alle spese ed alle modalità di gestione del servizio di riscaldamento.

Nell'àmbito delle “spese e modalità di gestione” del servizio di riscaldamento, si è ritenuto rientrare sia la scelta tra conduzione in economia o in appalto, sia quella dell'inizio e del termine del periodo di fornitura del servizio e del livello di calore da fornire, sia ancora quella del fornitore (Trib. Milano 6 ottobre 1977); parimenti, sempre nell'ottica che il conduttore ha diritto di voto, in sostituzione del condomino-locatore, nell'assemblea condominiale convocata per “decidere sull'intero servizio di riscaldamento”, si è opinato che possano ricondurvisi le questioni concernenti l'impostazione strutturale del servizio nonché la manutenzione, conservazione e modalità di esercizio con i relativi costi ed oneri, inclusi i rapporti di distribuzione e di collegamento della prestazione comune con le singole unità immobiliari (App. Milano 12 giugno 1981); l'oggetto della decisione non riguarda soltanto le deliberazioni dell'assemblea condominiale relative alle spese per la gestione del servizio di riscaldamento, ma anche le decisioni concernenti la ripartizione delle spese medesime, sia perché il conduttore interviene nell'assemblea “in luogo” del locatore, sia perché il conduttore è il solo interessato sul punto (Trib. Forlì 20 marzo 1987).

Restano, invece, escluse le deliberazioni che riguardano la disattivazione o soppressione del servizio, rientrando esse nella sfera dei poteri riservati al proprietario: la ratio legis è, infatti, quella di tutelare l'interesse del conduttore, che è il soggetto che usufruisce dell'immobile, abitandovi, al fatto positivo del godimento dei servizi comuni, e non già quella di “un'ulteriore indefinita invasione di altre facoltà che formano il contenuto del diritto di proprietà” (così App. Napoli 29 aprile 1983); del pari, è stata esclusa la necessità di estendere ai conduttori l'assemblea sulla trasformazione dell'impianto centralizzato in impianti unifamiliari autonomi (Trib. Torino 19 ottobre 1994).

Nella stessa lunghezza d'onda, sia pure nel vigore della legislazione vincolistica, si è statuito (Cass. II, n. 6031/1981) che, poiché l'art. 6 della l. n. 841/1973 (in applicazione ratione temporis) – nella parte in cui attribuisce al conduttore, tenuto contrattualmente al pagamento delle spese di gestione del servizio di riscaldamento, il diritto di partecipare, in luogo del locatore, alle assemblee condominiali convocate per deliberare su dette spese e sulle modalità di gestione del servizio – è insuscettibile di interpretazione estensiva, per la sua posizione di eccezionalità rispetto alla disciplina del condominio negli edifici, il diritto in questione trova un preciso limite nel suindicato oggetto, la deliberazione di un'assemblea di conduttori, in ordine alla corresponsione ai proprietari di un contributo nella spesa sostenuta per la trasformazione dell'impianto di riscaldamento, è nulla, e non può vincolare i dissenzienti, e questi ultimi possono impugnare tale deliberazione senza l'osservanza del termine di decadenza di cui all'ultimo comma dell'art. 1137 c.c. (richiamato dall'art. 6 citato), previsto per le deliberazioni rientranti nella competenza dell'assemblea, e non anche per quelle viziate da nullità perché estranee all'àmbito del potere decisionale riservato dalla legge all'organo deliberante (in argomento, v., altresì, Cass. II, n. 5238/1986).

Gli “altri servizi comuni”, per cui è contemplato l'intervento del conduttore all'assemblea dei condomini, ma senza diritto di voto, sono quelli indicati all'art. 9 della l. n. 392/1978, mentre il termine “modificazione” adoperato dalla norma va inteso in senso ampio, sicché essa può interessare i “servizi comuni” considerati nella loro globalità; in questa prospettiva, l'aggiunta o l'eliminazione di un servizio “modifica” allora la situazione esistente, con conseguente diritto del conduttore ad interloquire sulla questione (così Lazzaro, Di Marzio, 954).

Secondo altra dottrina (Grasselli, Masoni, 344), la modifica di una “situazione”, implicando la sostituzione di un servizio con uno diverso, non corrisponde al concetto di “modificazione” che presuppone il mantenimento del medesimo servizio, sia pure modificato, essendo in realtà una “innovazione”; infatti, l'art. 1582 c.c. – al cui commento si rinvia – fa divieto al locatore di compiere innovazioni sulla cosa che ne diminuiscano il godimento da parte del conduttore, per cui si tratta di appurare se è vero il contrario, ovvero se sono sempre lecite quelle innovazioni che, invece, accrescono il godimento del conduttore, ancorché esse comportino un semplice aggravio di spesa; a tenore di logica, non dovrebbe essere così, per il semplice fatto che gli obblighi a carico di entrambe le parti, da un lato, di mantenere la cosa locata in buono stato e, dall'altro, di non deteriorarla, convergono entrambi in un unico fine che è quello di non modificare sostanzialmente la cosa locata rispetto alla consistenza che aveva al momento della consegna, salvo diverse convenzioni ad eventuali modifiche, da parte del locatore o del conduttore; in conclusione – si precisa – la soluzione del problema si risolve non già con la presenza del conduttore avvisato dell'oggetto della delibera, quanto dal consenso da lui manifestato al locatore: è ovvio che, per manifestare il proprio consenso, il conduttore deve essere a conoscenza della modifica che il condominio andrà a deliberare, ma, quand'anche egli partecipa all'assemblea e dissenta apertamente alla modifica, senza peraltro poter influire sull'approvazione della stessa, non perciò egli potrà essere comunque tenuto, ossia ancorché ne consegua per lui una spesa particolarmente gravosa, di sopportarne il peso.

Diritto di voto e di intervento

Tanto il locatore-condomino che il conduttore, relativamente alle deliberazioni aventi ad oggetto le spese e le modalità di gestione del riscaldamento, hanno il diritto di partecipare alla discussione, di far verbalizzare le loro osservazioni, di esprimere il parere: sui punti concernenti il servizio di riscaldamento, infatti, l'attribuzione del voto al conduttore non limita a tale momento i suoi poteri, avendo egli il diritto di contribuire anche, attraverso la discussione, alla formazione della volontà assembleare; alla discussione ha diritto di prendere parte anche il condomino-locatore, pur non essendo egli a votare, in quanto la sostituzione legale avviene al momento del voto (Ferrari, 198).

In ordine alla modificazione dei servizi comuni, il conduttore non è un mero osservatore, ma un partecipe dell'assemblea, con diritto di intervenire nella discussione, far verbalizzare le proprie osservazioni, manifestare la propria opinione ai fini di cui sopra (anche se non costituisce un “dissenso” in senso tecnico, ai sensi dell'art. 1137, comma 2, c.c.).

Tale soluzione, oltre che dalla ratio della norma, emerge – come è stato sottolineato – dalla sua dizione, attraverso l'utilizzazione fatta dell'innesto grammaticale diritto di intervenire “nelle” deliberazioni; e poiché certamente il conduttore non può far ciò con il mero voto, è giocoforza ritenere che un tale diritto “nella” deliberazione possa esercitarsi soltanto attraverso la partecipazione alla discussione (Stincardini, 171).

Ritornando al servizio di riscaldamento, il conduttore sarà chiamato a partecipare alla votazione, quale sostituto legale del condomino; la sua manifestazione di volontà è del tutto autonoma da ogni direttiva del condomino-locatore o dal diverso atteggiamento che, sulla questione, quest'ultimo, presente all'assemblea, abbia manifestato nel corso della discussione; inoltre, ove dovesse sorgere contrasto sulla legittimazione a votare, è da reputare che il presidente dell'assemblea debba ammettere il conduttore (sempre che sia fuori discussione, l'esistenza del rapporto locatizio) stante il suo “diritto di voto, in luogo del proprietario”, stabilito per legge, restando altrimenti la deliberazione viziata (Lazzaro, Di Marzio, 952).

Una qualche difficoltà potrebbe sorgere nel caso in cui un condomino sia proprietario di più appartamenti locati: unica soluzione praticabile appare quella di considerare – agli effetti dei quorum di cui all'art. 1136 c.c. – esclusivamente i conduttori, sotto il profilo degli “intervenuti” non tenendo conto del “valore dell'edificio”, scindendosi, quindi, l'unitaria posizione del condomino nell'àmbito del condominio (tale criterio non è, invece, adoperabile per il quorum di “costituzione” dell'assemblea: v. supra).

Sul presupposto che l'art. 10 della l. n. 392/1978 attribuisce al conduttore il diritto di votare “in luogo” del proprietario nelle deliberazioni delle assemblee condominiali aventi ad oggetto le spese e le modalità di gestione dei servizi di riscaldamento e di condizionamento d'aria, dovrebbe evincersi che tale diritto sia riconosciuto a ciascun conduttore; ne consegue che, per le unità immobiliari dello stabile condotte in locazione, riguardo alle deliberazioni di cui sopra, le “teste” sono soltanto quelle dei corrispondenti conduttori, quanti essi sono, in rappresentanza del valore millesimale di quelle unità immobiliari (se, ad esempio, un condomino che, ai sensi dell'art. 1136 c.c., è portatore di un solo voto, ha locato i cinque appartamenti di cui è titolare, ai sensi dell'art. 10 citato, hanno diritto di voto, uno per ciascuno, i cinque inquilini portatrici ciascuno dei millesimi attribuiti alle unità condotte in locazione, per cui, dal punto di vista soggettivo, per quei cinque appartamenti si moltiplicano i partecipanti); in pratica, la legge c.d. sull'equo canone, per queste deliberazioni, induce a “dimenticarsi” delle teste dei proprietari e “pensare” solo alle teste degli inquilini, sicché sarebbe sbagliata la premessa secondo cui il voto (unico) spettante al proprietario si moltiplica per cinque, atteso che il voto non spetta più, quantomeno per quanto concerne quegli argomenti, al proprietario, ma appunto agli inquilini (d'altronde, se ci fosse un unico conduttore di cinque appartamenti diversi, avremmo una sola testa, con i millesimi di tutte e cinque le unità immobiliari).

Logico corollario dell'impostazione tradizionale è, infine, che l'amministratore non sia tenuto a comunicare il verbale della deliberazione al conduttore assente, mentre deve, invece, farlo nei riguardi del condomino assente, anche se all'assemblea abbia partecipato soltanto il conduttore.

Omissione dell'avviso

In relazione alla rilevata estraneità del conduttore alle vicende condominiali – secondo la tesi maggioritaria – la mancata comunicazione dell'assemblea da parte del locatore al conduttore, ovviamente in ordine agli argomenti in cui quest'ultimo ha diritto di intervento/voto, non incide sulla validità della deliberazione adottata (Cass II, n. 4802/1992; tra le pronunce di merito, si segnalano: Trib. Torino 10 giugno 1987; Pret. Bologna 9 febbraio 1984; App. Milano 19 giugno 1981; contra, Trib. Roma 4 febbraio 1986, il quale propende per la nullità della deliberazione); trattasi di un inadempimento del locatore, che non può riflettersi sulla validità del provvedimento legittimamente assunto in sede di assemblea condominiale, restando valutabile esclusivamente nell'àmbito interno del rapporto locatizio.

La questione – secondo alcuni (Stincardini, 169) – dovrebbe risolversi, invece, in termini di “efficacia della deliberazione”, nel senso che la partecipazione del conduttore (o la sua ingiustificata assenza) all'assemblea rendono indiscutibile l'approvata deliberazione (sempre che egli non si sia opposto o, in caso di servizio di riscaldamento, non abbia espresso voto contrario).

Dunque, qualora non sia stata data al conduttore la possibilità di partecipare all'assemblea, quest'ultimo può contestare l'opportunità, le modalità, l'importo, ecc., della spesa, facendo valere, ma solo nei confronti del locatore, quelle ragioni che avrebbe potuto svolgere, ove gliene fosse stata data l'opportunità, in sede assembleare (Pret. Bologna 9 febbraio 1984), soprattutto attraverso il richiamo a quei criteri di “normalità” della spesa di cui all'art. 9 della l. n. 392/1978 (al cui commento si rinvia); in altri termini, il mancato avviso non giustifica di per sé l'omissione del rimborso della spesa, in quanto la convocazione all'assemblea non è fatto costitutivo del diritto al rimborso, essendo invece tale fatto costitutivo dato dall'avvenuto servizio di riscaldamento (Trib. Milano 21 gennaio 1980).

In tal senso, appare orientata una pronuncia di legittimità – sia pure resa riguardo alla normativa vincolistica – la quale ha considerato che, dalla semplice violazione da parte del locatore dell'obbligo di informare preventivamente il conduttore della convocazione dell'assemblea condominiale per l'approvazione del rendiconto della gestione del servizio di riscaldamento, non può farsi discendere la legittimità del rifiuto dello stesso conduttore di adempiere la relativa obbligazione; un tale comportamento è, invece, giustificato ove lo stesso eccepisca e dimostri di non aver fruito (in tutto o in parte) del servizio di riscaldamento, e che, per questa o per altre ragioni, il rendiconto avrebbe potuto non essere approvato (in tutto o in parte) se egli fosse stato messo in grado di partecipare all'assemblea condominiale, poiché in tal caso viene, infatti, in discussione lo stesso diritto di credito del locatore (Cass. II, n. 2575/1985).

In argomento, si è, altresì, puntualizzato che l'art. 10 della l. n. 392/1978, riconoscendo al conduttore la facoltà di intervenire, senza diritto di voto, nelle assemblee condominiali aventi ad oggetto deliberazioni relative alla modificazione dei servizi comuni diversi da quelli di riscaldamento e condizionamento d'aria, pone a carico del locatore un obbligo di informazione, il cui inadempimento legittima il rifiuto da parte del conduttore di rimborsare i maggiori oneri conseguenti a deliberazioni adottate in sua assenza per mancata informazione, ma non incide sul sinallagma contrattuale, e non può, quindi essere addotto dal conduttore quale motivo di risoluzione del contratto di locazione, né per sospendere l'adempimento delle proprie obbligazioni, ai sensi dell'art. 1460, comma 1, c.c. (Cass. III, n. 19308/2008, aggiungendo che, in quanto volto a tutelare l'interesse del conduttore a non sopportare maggiori spese per la fornitura dei servizi comuni, il suddetto diritto di intervento è, peraltro, limitato alle sole assemblee in cui si discutano modificazioni dei predetti servizi da cui derivi una spesa o un aggravio di spesa che, in definitiva, andrà a gravare sul conduttore, e non anche alle assemblee con diverso oggetto o deliberanti su servizi comuni ma senza riflessi sull'onere delle spese).

Sostanzialmente nella stessa prospettiva, si sottolinea che l'assemblea serva anche a rendere incontroverse le obbligazioni del conduttore: invero, la pretesa di avere in visione le pezze giustificative è superata dall'esistenza dell'assemblea e dalla possibilità di parteciparvi, avendo così l'occasione di prendere in visione la documentazione; d'altro canto, la convocazione dell'assemblea ha il chiaro scopo di ripartire in via preventiva, tra i conduttori fruitori del riscaldamento, le spese relative e ad impegnarli al pagamento in via anticipata (Pret. Verona 20 giugno 1983).

Impugnazione della deliberazione

Quanto all'impugnazione della deliberazione, l'interesse del conduttore resta limitato alle spese e modalità di gestione del servizio di riscaldamento (o di condizionamento), senza che gli sia attribuito il potere generale di sostituirsi al proprietario nella gestione dei servizi condominiali, sicché deve escludersi la sua legittimazione ad impugnare non solo la deliberazione dell'assemblea condominiale di nomina dell'amministratore e di approvazione del regolamento di condominio e del bilancio preventivo (Cass. II, n. 8755/1993), ma anche quella di soppressione, temporanea o definitiva, del servizio stesso (Trib. Massa 7 novembre 1983; cui adde Trib. Cagliari 14 aprile 1992, in ordine alle spese di portierato).

In ogni caso, si è concordi nel ritenere che si tratta di un'eccezionale interferenza del rapporto di locazione nella sfera condominiale, nel senso che quella sopra delineata non deve costituire lo spunto per una più generale legittimazione del conduttore all'impugnazione di una deliberazione.

La legittimazione spetta, invece, al conduttore riguardo alle deliberazioni, per così dire, di sua “competenza” (Cass. II, n. 8755/1993, cit.), cioè abbiano ad oggetto le spese e le modalità di gestione dei servizi di riscaldamento e di condizionamento d'aria.

A stretto rigore, riguardo al riconoscimento, in capo all'inquilino, della legittimazione ad impugnare la deliberazione condominiale, si dovrebbe distinguere le azioni di nullità e di annullamento.

Riguardo alle prime – sempre che ricorra l'ulteriore requisito dell'interesse ad agire – non può negarsi la legittimazione del conduttore a far valere l'asserita nullità di una deliberazione; né appare corretto limitare tale interesse alle sole statuizioni concernenti le spese e le modalità di gestione dei servizi di riscaldamento, in quanto non può escludersi un interesse dell'inquilino a dedurre la nullità di una deliberazione che, nel regolamentare l'uso della cosa comune o nell'imporre illegittime restrizioni all'uso del bene di proprietà esclusiva, possa avere pregiudicato indirettamente il diritto di godimento derivante dal contratto di locazione (Trib. Monza-Desio 8 febbraio 2001, secondo il quale il conduttore di un bene situato in un condominio deve essere considerato un “appartenente all'organizzazione condominiale”, legittimato all'esercizio delle situazioni giuridiche connesse a tale suo ruolo, che si risolve in un “contatto sociale” rilevante per il diritto, sicché egli è legittimato a impugnare le deliberazioni dell'assemblea del condominio in cui si trova il bene locato, con l'unico limite costituito dall'interesse ad agire e, quindi, anche aldilà delle materie indicate nell'art. 10 della l. n. 392/1978).

Riguardo alle seconde, atteso che il legislatore ha concesso il diritto di voto al conduttore in certe materie e, quindi, il diritto di partecipare, al posto del locatore-condomino, alla formazione della volontà condominiale, deve essere riconosciuto in capo al primo un autonomo diritto a far valere in sede giudiziaria le eventuali irregolarità di tale manifestazione di volontà (v., di recente, Cass. II, n. 869/2012 cit., la quale ha ribadito che il potere di impugnare le deliberazioni condominiali compete, per il disposto dell'art. 1137 c.c., ai titolari di diritti reali sulle singole unità immobiliari, anche in caso di locazione dell'immobile, salvo che, nella particolare materia dei servizi di riscaldamento e di condizionamento d'aria, per la quale la decisione e, conseguentemente, la facoltà di ricorrere al giudice, sono attribuite ai conduttori).

In altri termini, la titolarità del diritto di voto ex art. 10 della l. n. 392/1978 comporta, come ineludibile conseguenza, anche la titolarità dell'azione di cui all'art. 1137 c.c., non apparendo coerente conferire la predetta legittimazione al proprietario che, in determinati argomenti, per essere considerato estraneo ai riflessi pratici della deliberazione, è stato legislativamente escluso dal diritto di partecipare alla formazione della decisione assembleare sul punto.

Comunque, non sembra che possa operarsi una sostanziale differenza, per quanto attiene alla predetta partecipazione del conduttore ed agli effetti della mancata convocazione, tra deliberazioni concernenti il riscaldamento e quelle relative alle modificazioni degli altri servizi comuni (Caputo, 394): se è pur vero che, per queste ultime, il conduttore non ha diritto di voto, non per questo deve ritenersi ininfluente la sua partecipazione, giacché egli risulta legittimato ad intervenire, fare le proprie osservazioni che possono essere recepite dagli altri condomini, e comunque partecipare alla discussione incidendo sulla formazione di una diversa volontà assembleare, per cui anche le statuizioni concernenti “la modificazione degli altri servizi comuni” potrebbero essere impugnate dal conduttore che – dall'amministratore o dal proprietario – non è stato invitato a intervenire; tuttavia, una volta convocato, il conduttore non sembra legittimato ad impugnare tali deliberazioni assunte in materie nelle quali aveva soltanto il diritto di intervenire, senza sostituire il locatore-condomino (d'altronde, potendo partecipare alla discussione di cui sopra ma non avendo il diritto di voto, non avrebbe potuto considerarsi tecnicamente “dissenziente”).

Sul punto, si è opinato (Stincardini, 177) che – in base alla considerazione che il potere di impugnare le deliberazioni condominiali compete, per il disposto dell'art. 1137 c.c., ai titolari di diritti reali sulle singole unità immobiliari – il condomino-locatore, pur non avendo partecipato al votazione, sia legittimato ad impugnare la deliberazione (che è sempre “condominiale”), senza che assuma rilievo che a manifestare il voto contrario sia stato il suo sostituto (cioè il conduttore), permanendo un interesse autonomo di esso condomino.

Resta fermo che il conduttore, il quale abbia partecipato all'assemblea condominiale avente ad oggetto le spese e le modalità di gestione dei servizi di riscaldamento e condizionamento d'aria o sia stato posto in condizione di parteciparvi, contribuendo alla relativa deliberazione, non può, nel caso in cui abbia omesso di impugnare la deliberazione stessa, sottrarsi all'obbligo di rimborsare al condomino-locatore le menzionate spese, a meno che non provi, qualora lamenti la mancanza o l'insufficienza della relativa fornitura, che esse derivino da difetti o guasti della parte dell'impianto di esclusiva proprietà del condomino-locatore stesso, ex art. 1117 c.c., la cui riparazione sia posta dalla legge a carico di quest'ultimo ai sensi degli artt. 1575 e 1576 c.c. (Cass. II, n. 4588/1995; Pret. Alessandria 21 novembre 1995).

Qualora, invece, il conduttore non sia stato invitato – v. anche supra – è da credere che lo stesso non possa aggredire direttamente la deliberazione, ma solamente sollecitarne (in via incidentale) l'esame da parte del giudice dinanzi al quale si ponga la questione della fondatezza della richiesta del locatore di “rimborso” delle spese condominiali effettuata sulla base dei criteri stabiliti in quella deliberazione, assunta dal conduttore come viziata (Lazzaro, Di Marzio, 955).

La più volte richiamata estraneità del conduttore alle vicende condominiali comporta, d'altronde, che il locatore-condomino resta l'unico obbligato nei confronti del condominio per il pagamento dei contributi relativi al godimento della cosa comune, anche nell'ipotesi in cui alla deliberazione di spesa relativa a taluni servizi comuni sia stato chiamato a partecipare il conduttore (App. Milano 25 febbraio 1977; contra, Pret. Verona 17 settembre 1986).

Invero, come ripetutamente affermato dai giudici di Piazza Cavour – v. anche infra – l'amministratore ha diritto, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1123 c.c. e 63 disp. att. c.c., di riscuotere i contributi e le spese per la manutenzione delle cose comuni ed i servizi nell'interesse comune direttamente ed esclusivamente da ciascun condomino, restando esclusa un'azione diretta nei confronti dei conduttori delle singole unità immobiliari – contro i quali può, invece, agire in risoluzione il locatore ex art. 5 della l. n. 392/1978, per il mancato rimborso degli oneri accessori – pure riguardo alle spese del servizio comune di riscaldamento, ancorché questi ultimi abbiano diritto di voto, in luogo del condomino-locatore nelle deliberazioni assembleari riguardanti la relativa gestione.

A fortiori, va escluso che il conduttore di un'unità immobiliare di un edificio in condominio sia legittimato, in caso di mancata nomina dell'amministratore, a proporre il ricorso all'autorità giudiziaria ai sensi dell'art. 1129, comma 1, c.c. diretto ad ottenere, in via camerale, la nomina dell'amministratore, configurando ciò una negotiorum gestio di carattere processuale non consentita, anche in materia di volontaria giurisdizione, dall'ordinamento (Cass. II, n. 6843/1991).

Osservanza del regolamento di condominio

È noto che, nei rapporti di condominio, possono coesistere varie relazioni, sia di diritto reale che obbligatorio, le quali, ove interferenti sotto il profilo fattuale, non sempre costituiscono realtà avulse l'una dall'altra dal punto di vista giuridico, il che comporta, tra l'altro, una certa difficoltà nell'individuazione del soggetto tenuto al pagamento dei contributi condominiali e del destinatario dell'avviso di convocazione.

Sul primo versante, si è evidenziato – v. il commento dell'art. 9 della l. n. 392/1978 – che la giurisprudenza di legittimità, dopo qualche tentennamento in sede di prima applicazione della norma, sul rilievo che la legge sul c.d. equo canone disciplinava i rapporti tra locatore e conduttore, senza innovare in ordine alla normativa generale sul condominio, si era assestata, per un verso, che l'amministratore avesse diritto – ai sensi del combinato disposto degli artt. 1123 c.c. e 63 disp. att. c.c. – di riscuotere pro quota i contributi, relativi alle spese di manutenzione delle cose comuni ed ai servizi comuni, direttamente ed esclusivamente da ciascun condomino, restando esclusa un'azione diretta nei confronti dei conduttori delle singole unità immobiliari facenti parte del condominio, e, per altro verso, che il conduttore non fosse obbligato verso il condominio, bensì verso il condomino-locatore, in ordine al pagamento degli oneri accessori (v., tra le altre, Cass. II, n. 17201/2008; Cass. II, n. 246/1994; Cass. II, n. 10719/1993; Cass. II, n. 4606/1988; nella giurisprudenza di merito, v. Trib. Nocera Inferiore 6 maggio 1999; Concil. Caltanissetta 27 dicembre 1994; Pret. Roma 14 novembre 1994, il quale fa, però, salva la prova che il conduttore provi la qualità di condomino apparente; Pret. Salerno 4 luglio 1984; Pret. Roma 1 marzo 1983; Pret. Marano di Napoli 15 febbraio 1982, riguardo proprio alle spese di riscaldamento; contra, isolata, Pret. Grosseto 10 gennaio 1986, secondo il quale solo il conduttore era legittimato passivo dell'azione giudiziaria esercitata dall'amministratore condominiale per ottenere il pagamento dei contributi dai debitori morosi).

Le pronunce di cui sopra attribuivano, quindi, rilievo preminente alla constatazione che il mancato pagamento degli oneri condominiali da parte del conduttore costituiva causa di risoluzione del contratto di locazione; ciò significava che, se il locatore può agire per l'inadempimento del conduttore, egli e non quest'ultimo, risultava obbligato in via diretta alla corresponsione all'amministratore del condominio delle somme dovute.

Decisamente minoritaria era, invece, la ricostruzione di un'obbligazione del conduttore di pagare direttamente all'amministratore la quota degli oneri accessori, e, di converso, di attribuire all'inquilino la legittimazione passiva rispetto all'azione giudiziaria esercitata dall'amministratore per la riscossione dei contributi dei condomini morosi, o la configurazione nel segno della solidarietà delle obbligazioni verso il condominio del locatore-condomino e dell'inquilino.

Del resto, si osservava che l'art. 9 citato, nella sostanza, attribuiva al pagamento da parte del conduttore un carattere di “rimborso”, con ciò confermando indirettamente che esclusivo obbligato verso l'ente condominiale era solo il condomino-locatore; la norma, infatti, prevedeva che il pagamento da parte dell'inquilino avvenisse entro due mesi dalla richiesta dal locatore, e che, prima di effettuare il pagamento, il conduttore aveva diritto di ottenere l'indicazione specifica delle spese sostenute, con la menzione dei criteri di ripartizione, nonché di prendere visione dei relativi documenti giustificativi (Giraldi, 577; Guida, 37; Ribaldone, 33).

Quindi, anche se relativamente alle spese del servizio comune di riscaldamento competeva al conduttore il diritto di voto, in luogo del condomino-locatore, nelle deliberazioni assembleari riguardanti la relativa gestione ex art. 10 citato, il mancato pagamento degli oneri condominiali da parte dello stesso conduttore – che aveva soltanto l'obbligo di tenere indenne il locatore di quanto da costui pagato per i servizi comuni fruiti da chi aveva avuto in godimento la cosa principale – rilevava soltanto per il locatore, che avrebbe potuto agire per la risoluzione del contratto per inadempimento ai sensi dell'art. 5 della l. n. 392/1978 a causa del mancato rimborso degli oneri accessori a suo carico (v., altresì, Cass. II, n. 384/1995; Cass. II, n. 1104/1994; Cass. II, n. 5160/1989).

Sul secondo versante, prevaleva parimenti l'orientamento che imponeva all'amministratore di convocare all'assemblea il solo locatore, salvo l'obbligo di quest'ultimo di avvisare l'inquilino in relazione agli argomenti per i quali aveva il diritto di voto e di intervento.

Sotto quest'ultimo profilo – anche qui dopo qualche oscillazione iniziale – la Cassazione era oramai dell'avviso che l'art. 10 della legge sul c.d. equo canone non aveva comportato modificazioni al disposto dell'art. 66 disp. att. c.c., che disciplinava la comunicazione dell'avviso di convocazione dell'assemblea ai soli “condomini”, con la conseguenza che tale avviso doveva essere comunicato al proprietario, e non al conduttore dell'appartamento, restando solo il primo a farsi parte diligente per informare il secondo dell'avviso di convocazione ricevuto dall'amministratore onde consentirgli di partecipare alle deliberazioni previste dal citato art. 10, senza che le conseguenze della mancata convocazione del conduttore poteva farsi ricadere sul condominio, che – come ripetono da anni i giudici di legittimità, reiterando un refrain che si rinviene nelle relative massime – “rimane estraneo al rapporto di locazione” (così Cass. II, n. 4802/1992).

Restava inteso che, ove il conduttore fosse stato convocato dal locatore per gli argomenti all'ordine del giorno di sua pertinenza, lo stesso era legittimato ad impugnare le eventuali deliberazioni viziate (Cass. II, n. 8755/1993), sempre che avessero ad oggetto le spese e le modalità di gestione dei servizi di riscaldamento e di condizionamento d'aria, tuttavia, al di fuori di queste, non si attribuiva all'inquilino un potere generale di sostituirsi al proprietario nella gestione dei servizi condominiali, sicché – richiamando gli esempi sopra esposti – doveva escludersi la legittimazione del primo ad impugnare la deliberazione assembleare di nomina dell'amministratore, oppure di approvazione del bilancio preventivo o del regolamento di condominio (Cass. II, n. 869/2012, ad avviso della quale il potere di impugnare le deliberazioni condominiali compete, per il disposto dell'art. 1137 c.c., ai titolari di diritti reali sulle singole unità immobiliari, anche in caso di locazione dell'immobile, salvo che nella particolare materia dei servizi di riscaldamento e di condizionamento d'aria, per la quale la decisione e, conseguentemente, la facoltà di ricorrere al giudice, sono attribuite ai conduttori; in argomento, v., altresì, Cass. II, n. 5238/1986, che ha ritenuto nulla la deliberazione adottata dall'assemblea dei conduttori in materia diversa da quella concernente le spese di gestione del servizio di riscaldamento e le relative modalità, nella specie, in materia di corresponsione ai proprietari di un contributo sulla spesa sostenuta per la trasformazione dell'impianto di riscaldamento; Cass. II, n. 6508/1981, la quale ha ravvisato la nullità della deliberazione con cui l'assemblea dei conduttori aveva deciso la corresponsione ai proprietari di un contributo nella spesa sostenuta per la trasformazione dell'impianto di riscaldamento).

Detta interpretazione tradizionale, del resto, trovava anche conforto nelle disposizioni del codice civile, che disciplinavano, da un lato, la materia condominiale negli edifici, e, dall'altro, il contratto di locazione di immobili urbani; nell'àmbito del condominio, poi, l'amministratore agiva in forza di un mandato con rappresentanza ricevuto dai singoli condomini, mentre, nell'àmbito del contratto di locazione, il locatore ed il conduttore contraevano reciproci diritti ed obblighi, nel contesto di un rapporto che aveva effetto solo inter partes, senza alcun riflesso rispetto ai terzi estranei a tale rapporto, quali il condominio e gli altri condomini (Balzani, 19; Basile, 327).

Tuttavia, è curioso notare che tale “estraneità” affievolisce (fino a quasi scomparire) per quanto concerne l'osservanza, da parte del conduttore, del regolamento condominiale: in altri termini, se il rapporto tra l'inquilino ed il condominio viene, di regola, “mediato” dal locatore con riferimento al pagamento degli oneri condominiali, alle relazioni con l'amministratore ed all'avviso di convocazione all'assemblea, il medesimo rapporto diventa “diretto” relativamente al rispetto delle clausole regolamentari.

Invero, è oramai ius receptum, per un verso, che la locazione a terzi di un'unità immobiliare compresa in un edificio in condominio pone il conduttore, quanto al godimento delle cose/impianti/servizi comuni, in una “posizione non diversa” da quella del proprietario in nome del quale egli detiene (v., per tutte, Cass. II, n. 1046/1998; Cass. II, n. 3874/1997; Cass. II, n. 6229/1986, con riferimento all'installazione, nelle pareti esterne del fabbricato condominiale, di insegne luminose o targhe in funzione della cosa locata; Cass. II, n. 2331/1981), sicché il conduttore può, al pari del suo dante causa, liberamente godere ed eventualmente modificare le parti comuni dell'edificio, purché in funzione del godimento o del miglior godimento dell'unità immobiliare oggetto primario della locazione (limite c.d. interno) e purché non risulti alterata la destinazione di dette parti, né pregiudicato il pari suo uso da parte degli altri condomini (limite c.d. esterno); per altro verso, che lo stesso conduttore, il quale subentra nel godimento dell'immobile nelle stesse posizioni del locatore, è soggetto alle stesse limitazioni e, in particolare, è tenuto all'osservanza del regolamento condominiale, non escludendo che il conduttore di un immobile sito nel fabbricato condominiale possa obbligarsi nei confronti del condominio, mediante accordo con lo stesso, a rispettare un regolamento di condominio non impegnativo per il condomino-locatore (Cass. II, n. 10185/2012: nella specie, però, si era esclusa la configurabilità di detto accordo in presenza di una sottoscrizione unilateralmente apposta dal conduttore sul contratto di compravendita relativo all'unità immobiliare locata e contenente il richiamo al regolamento, non costituendo tale sottoscrizione l'accettazione di una proposta proveniente dal condominio ed a quest'ultimo comunicata).

Ammesso, quindi, che una disposizione regolamentare sia stata regolarmente formata ed abbia acquistato i caratteri dell'opponibilità nei confronti del condomino, deve ritenersi legittima l'azione che il condominio svolga direttamente nei confronti del conduttore di un locale di proprietà esclusiva del medesimo condomino, per la repressione di comportamenti o di atti compiuti, sulla cosa principale o su quelle comuni, oltre i limiti, stabiliti dalle predette clausole regolamentari, entro i quali avrebbe dovuto essere esercitato il godimento ad opera del condomino-locatore (De Tilla 2012, 1077).

Nell'azione diretta all'osservanza del regolamento condominiale, ed in particolare nel caso di violazione di clausole in esso contenute che stabiliscano il divieto di destinare i singoli locali a determinati usi, la giurisprudenza ha ripetutamente affermato che tale domanda può essere proposta (anche) nei confronti del conduttore, nel senso che il condominio è legittimato a chiedere direttamente all'inquilino – previo accertamento dell'illegittimità del suo operato – la cessazione dell'uso illegittimo e l'osservanza in forma specifica delle limitazioni (salvo sempre il risarcimento dei danni); il presupposto su cui si basa tale rilievo e quello per cui “il conduttore non può trovarsi, rispetto al condominio, in posizione diversa rispetto al condomino suo locatore, in nome del quale egli detiene” (v., tra le altre, Cass. II, n. 825/1997; Cass. II, n. 3600/1991, secondo cui il conduttore di un'unità immobiliare dell'edificio condominiale può essere convenuto, senza che questi siano tenuti ad agire nei confronti del locatore proprietario del bene, per l'uso che il conduttore abbia fatto delle cose comuni non conforme al regolamento condominiale; Cass. II, n. 5189/1988: nella specie, si era cassata la pronuncia che, in presenza della norma del regolamento di divieto di “collocare insegne esterne al di fuori dei limiti di proprietà di ciascun condomino”, aveva apoditticamente escluso che il conduttore fosse tenuto ad osservarla; Cass. II, n. 6397/1984; Cass. II, n. 4767/1978; tra le pronunce di merito, si segnala Trib. Milano 6 febbraio 1992, il quale giustifica una responsabilità diretta del conduttore, perché costui “acquisisce dal locatore una posizione giuridica derivata che non può essere più ampia di quella del suo dante causa”); quanto sopra alla sola condizione che sia approvata l'operatività della clausola limitativa, o, in altri termini, la sua opponibilità al condomino locatore (secondo il parere di Cass. II, n. 15756/2001, il conduttore che sia costretto ad astenersi dall'esercizio dell'attività vietata sarà, peraltro, legittimato ad agire per il risarcimento del danno subìto nei confronti del locatore che, dando il proprio consenso, necessario per l'approvazione all'unanimità della disposizione regolamentare di divieto, abbia violato gli obblighi contrattuali assunti; in quest'ordine di concetti, Cass. II, n. 4444/1982 ha chiarito che colui il quale, agendo nei confronti del conduttore di un immobile sito in edificio condominiale, ponga a fondamento della domanda la pretesa violazione di una norma del regolamento, ha l'onere di fornire la prova dell'operatività della norma stessa, sicché il conduttore, convenuto legittimamente, può rilevare, nelle sue difese, la mancata approvazione del regolamento che, quale condizione costitutiva dell'esperita azione, deve essere considerata dal giudice d'ufficio; Cass. III, n. 2127/1982 ha, però, precisato che il conduttore convenuto in giudizio dal proprietario, il quale, ai sensi dell'art. 59, n. 1, della l. n. 392/1978, intende recedere dal contratto per la sua necessità di destinare ad uso professionale l'appartamento locato, non può opporre al locatore la contrarietà di tale destinazione alla disciplina del regolamento dello stabile in cui l'appartamento è ubicato, potendo detta contrarietà essere fatta eventualmente valere soltanto da qualcuno dei condomini e non dal conduttore, che è estraneo alla disciplina dei rapporti condominiali e che, comunque, nel caso in cui lo sviluppo di tali rapporti attualizzi la non destinabilità dell'appartamento all'uso progettato dal locatore, resta tutelato dalla disposizione dell'art. 60 della stessa legge, che prevede il ripristino del rapporto ed il risarcimento del danno, qualora il locatore, entro sei mesi dall'ottenuta disponibilità dell'immobile, non lo adibisca all'uso indicato).

Sul versante processuale, si è chiarito (Cass. II, n. 4920/2006) che, nella suddetta ipotesi di domanda nei confronti del conduttore, il proprietario è tenuto a partecipare, quale litisconsorte necessario, nel relativo giudizio in cui si controverta in ordine all'esistenza ed alla validità del regolamento, in quanto le suddette limitazioni costituiscono oneri reali o servitù reciproche che, in quanto tali, afferiscono immediatamente al bene; tale situazione non si verifica, invece, nell'ipotesi in cui convenuto in giudizio sia soltanto il proprietario del locale, e non anche il conduttore dello stesso, nei confronti del quale non vi sia stata, pertanto, richiesta di cessazione immediata dell'uso cui è adibito l'immobile condotto in locazione (Cass. II, n. 16240/2003; tra le pronunce di merito, v. Trib. Torre Annunziata 16 dicembre 1997, secondo cui, qualora il conduttore di un'unità immobiliare sia autore di una condotta eccedente i limiti della normale utilizzabilità delle cose comuni, il condominio può proporre un'azione diretta all'inibizione di tale condotta sia nei confronti dello stesso conduttore che nei riguardi del locatore, in quanto si tratta del soggetto direttamente obbligato nella sua qualità di condomino al rispetto delle prescrizioni regolamentari la cui osservanza egli deve anche imporre, attraverso il rapporto locatizio, al proprio conduttore; nel senso di una legittimazione concorrente dal lato passivo, v. anche Trib. Milano 8 giugno 1992; Trib. Genova 18 marzo 1987; Trib. Roma 14 marzo 1980); se esperita anche nei diretti confronti del conduttore del locale di proprietà esclusiva la domanda volta alla cessazione della destinazione abusiva, sussiste una situazione di litisconsorzio necessario con il proprietario del detto locale, che sia stato con esso convenuto in giudizio, riguardando la validità della clausola del regolamento tanto il proprietario quanto il conduttore, per cui, qualora il giudice di appello accerti la nullità di notifica della citazione introduttiva del giudizio nei confronti del primo di detti soggetti, deve rimettere l'intera causa al giudice di primo grado ai sensi dell'art. 354 c.p.c., restando esclusa la possibilità di decisione separate nei confronti, rispettivamente, del proprietario e del conduttore, in ordine alla legittimità dell'uso dell'unità immobiliare, attesa anche l'opportunità di evitare giudicati contraddittori (Cass. II, n. 2683/1994).

Si segnala, tuttavia, che gli stessi giudici di legittimità – in modo incoerente con quanto sopra affermato – hanno ritenuto che l'art. 70 disp. att. c.c., in base al quale il regolamento di condominio può prevedere delle sanzioni pecuniarie a carico dei trasgressori delle sue disposizioni, ha carattere di norma eccezionale, in quanto contempla una c.d. pena privata, che ha come destinatari i condomini, sicché essa non può ritenersi applicabile ai conduttori degli alloggi condominiali, i quali, ancorché si trovino a godere delle parti comuni dell'edificio in base ad un rapporto obbligatorio, rimangono “estranei all'organizzazione condominiale” (così Cass. II, n. 10837/1995; contra, nel senso che la sanzione prevista dall'art. 70 disp. att. c.c. possa essere applicata anche nei confronti del conduttore dell'unità immobiliare facente parte del condominio, v. Concil. Caserta 22 luglio 1985).

Ovviamente, ciò non esclude una sorta di culpa in eligendo e in vigilando da parte del proprietario-locatore, nel senso che il condomino, il quale abbia locato la propria unità abitativa ad un terzo, deve rispondere nei confronti degli altri condomini delle ripetute violazioni al regolamento condominiale consumate dal proprio conduttore qualora non dimostri di avere adottato, in relazione alle circostanze, le misure idonee, alla stregua del criterio generale di diligenza posto dall'art. 1176 c.c., a far cessare gli abusi, ponendo in essere iniziative che possono arrivare fino alla richiesta di anticipata cessazione del rapporto di locazione (v. Cass. II, n. 11383/2006, che, nella fattispecie, in cui il conduttore di un locale violava ripetutamente l'orario di chiusura previsto dal regolamento, ha cassato la pronuncia di merito che aveva mandato assolto il condomino-locatore, osservando che egli avrebbe potuto porre fine alle violazioni agendo in giudizio per la risoluzione del contratto di locazione); in altri termini, il condomino, siccome principale destinatario delle norme regolamentari, si pone nei confronti della collettività condominiale non solo come responsabile delle dirette violazioni di quelle norme da parte sua, ma anche come responsabile delle violazioni delle stesse norme da parte del conduttore del suo bene, essendo tenuto non solo ad imporre contrattualmente al conduttore il rispetto degli obblighi e dei divieti previsti dal regolamento, bensì anche a prevenirne le violazioni ed a sanzionarle mediante la cessazione del rapporto (v. anche Cass. II, n. 8239/1997: nella specie, si era confermata la sentenza di merito che aveva condannato il condomino a cessare l'utilizzazione abusiva del proprio appartamento, dato in locazione ad uso abitativo e in effetti adibito dal conduttore ad ambulatorio tricologico, in contrasto con il divieto del regolamento, nonché a risarcire al condominio i danni conseguenti a tale uso, addebitando al condomino-locatore di non aver fatto ricorso ai rimedi giudiziari previsti, in particolare, dall'art. 80 della l. n. 392/1978 per l'ipotesi di uso diverso da quello pattuito); pertanto, malgrado il contratto di locazione comporti il trasferimento al conduttore dell'uso e del godimento sia della singola unità immobiliare sia dei servizi accessori e delle parti comuni dell'edificio, una siffatta detenzione non esclude i poteri di controllo, di vigilanza e, in genere, di custodia spettanti al proprietario-locatore, il quale conserva un effettivo potere fisico sull'entità immobiliare locata, ancorché in un àmbito in parte diverso da quello in cui si esplica il potere di custodia del conduttore, con conseguente obbligo di vigilanza sullo stato di conservazione delle strutture edilizie e sull'efficienza degli impianti, gravando sui condomini le responsabilità per danni subiti da terzi – nel novero dei quali vanno ricompresi anche i conduttori di appartamenti siti nell'edificio – a seguito di omissioni addebitabili all'amministratore o di inerzia da parte dell'assemblea nell'adottare gli opportuni provvedimenti atti ad eliminare una situazione di pericolo (Cass. III, n. 6467/1981: nella specie, si trattava dell'anomalo funzionamento del congegno meccanico di chiusura del cancello; cui adde Cass. II, n. 2093/1973, secondo cui la responsabilità del locatore per infrazioni, da parte del conduttore, al regolamento condominiale, legittimamente può essere fondata sulla mera qualità di locatore del primo, in quanto, con il fatto stesso di assumere tale qualità riguardo ad un locale facente parte del condominio, esso locatore viene a trovarsi in una posizione di ingerenza nell'organizzazione condominiale, e ad esercitare di fatto poteri corrispondenti all'esercizio dei diritti condominiali, con correlativo onere, da parte sua, di controllo sull'operato del conduttore in funzione del rispetto delle norme proprie di quell'organizzazione; in termini analoghi, si è statuito che il condomino, il quale abbia concesso in locazione il suo appartamento, è responsabile dell'uso illegittimo che il conduttore faccia, senza sua opposizione, dei locali avuti in locazione, in danno degli altri condomini, per cui è corretto ritenere la legittimazione passiva del condomino-locatore convenuto in giudizio dall'amministratore per la violazione da parte del conduttore delle clausole della convenzione condominiale che stabilivano il divieto di destinare i singoli locali dell'edificio a determinati usi, v. Cass. II, n. 750/1973; nella giurisprudenza di merito, v. Trib. Monza 7 settembre 2016, secondo cui ripetute violazioni commesse dal conduttore al regolamento, accettato con la sottoscrizione del contratto di locazione, legittimano la richiesta di anticipata cessazione del rapporto locativo da parte del locatore; ad avviso di Trib. Cagliari 27 settembre 2006, qualora un regolamento vieti lo svolgimento di determinate attività, il condomino è il principale destinatario delle norme regolamentari e, pertanto, si pone nei confronti della collettività condominiale non solo come responsabile delle dirette violazioni di quelle norme da parte sua, ma anche come responsabile delle violazioni delle stesse norme da parte del conduttore del suo bene, essendo tenuto non solo ad imporre contrattualmente al conduttore il rispetto degli obblighi e dei divieti previsti nel regolamento, ma altresì a prevenirne le violazioni ed a sanzionarle anche mediante la cessazione del rapporto; Trib. Roma 14 marzo 1980, a parere del quale concreta “inadempimento grave”, legittimando il locatore a chiedere la risoluzione del contratto di locazione, l'uso dell'immobile effettuato dal conduttore in contrasto con le previsioni contenute nel regolamento, espressamente richiamato nel contratto di locazione).

Riforma della normativa condominiale

Orbene, l'impostazione originaria del codice civile del 1942 che, nella gestione delle cose singole e comuni, denotava un'impronta prettamente patrimonialistica, si è venuta scontrando con la necessità di tutela degli interessi umani connessi all'abitare e, più in generale, sotto la spinta dei principi costituzionali, di tutela della personalità, anche di soggetti non necessariamente proprietari ma semplici fruitori di servizi comuni.

Tradizionalmente, i conduttori delle unità immobiliari erano considerati estranei ai rapporti condominiali, ma già la giurisprudenza aveva via via individuato zone di interferenza tra il rapporto di locazione e l'istituto condominiale, sia pure non circoscrivendole con precisione e fornendo soluzioni spesso contrastanti (godimento e modifica delle cose comuni, efficacia delle disposizioni regolamentari, pretese risarcitorie, tutela possessoria, ecc.).

Alla luce di quanto sopra delineato, in pratica, anche se l'amministratore sapeva chi fosse il conduttore, oppure gli era stata comunicata l'esistenza di un contratto di locazione, doveva “fingere” di non conoscere l'inquilino e rivolgersi soltanto al proprietario, unico suo legittimo destinatario: infatti, era a lui che doveva richiedere i contributi condominiali non corrisposti, ed era sempre a lui che doveva indirizzare gli avvisi di convocazione per l'assemblea.

Sul primo versante, ossia quello relativo alla riscossione dei contributi, sembra che nulla sia cambiato a seguito della l. n. 220/2012 – entrata in vigore il 18 giugno 2013 – nel senso che l'amministratore deve continuare a riscuotere i contributi soltanto dai “condomini” (tale espressione, peraltro, viene richiamata ripetutamente nel corso dei cinque capoversi in cui ora si articola l'art. 63 disp. att. c.c.).

Diverso appare, invece, il discorso sul secondo versante, ossia quello relativo agli avvisi di convocazione, atteso che il comma 7 dell'art. 1136 c.c., attualmente, prevede che “l'assemblea non può deliberare, se non consta che tutti gli aventi diritto sono stati regolarmente convocati”, laddove la versione precedente era nel senso che “l'assemblea non può deliberare, se non consta che tutti i condomini sono stati convocati alla riunione”.

In buona sostanza, si è volutamente sostituito il termine “condomini” con quello di “aventi diritto”, quasi a significare che vi sono altri soggetti, diversi dai condomini, come appunto i conduttori, i quali hanno diritto ad essere convocati all'assemblea direttamente, cioè by-passando il locatore, da parte dell'amministratore il quale, pertanto, diventa obbligato in tal senso (Luppino, 658).

Che non si tratti di una mera disattenzione del patrio legislatore lo si ricava anche da altre significative modifiche dell'art. 66 disp. att. c.c., il cui comma 3 – dopo aver stabilito che l'avviso di convocazione, contenente specifica indicazione dell'ordine del giorno, deve essere comunicato almeno cinque giorni prima della data fissata per l'adunanza in prima convocazione, a mezzo di posta raccomandata, posta elettronica certificata, fax o tramite consegna a mano, e deve contenere l'indicazione del luogo e dell'ora della riunione – precisa che, in caso di omessa, tardiva o incompleta convocazione degli “aventi diritto”, la deliberazione assembleare è annullabile ai sensi dell'art. 1137 c.c. su istanza dei dissenzienti o assenti perché non ritualmente convocati (Capponi, 179).

In questa prospettiva, va, altresì, letta la novità contenuta nel comma 5 dello stesso art. 66, che contempla ora la possibilità, in capo all'amministratore, di fissare più riunioni consecutive in modo da assicurare lo svolgimento dell'assemblea in termini brevi, convocando gli “aventi diritto” con un unico avviso nel quale sono indicate le ulteriori date ed ore di eventuale prosecuzione dell'assemblea validamente costituitasi.

Chiude il cerchio il novellato disposto dell'art. 1130 c.c. che, tra le attribuzioni dell'amministratore, annovera ora, al n. 6), la cura della tenuta del registro dell'anagrafe condominiale, contenente la generalità dei singoli proprietari nonché dei titolari di diritti reali e di “diritti personali di godimento” (comprensive di codice fiscale, residenza o domicilio), e tale registro, aggiornato anche ai nomi dei conduttori, ha un senso solo se si configura un obbligo dell'amministratore di convocare questi ultimi, ovviamente laddove la legge contempli il loro potere di voto e di intervento in assemblea.

Peraltro, in forza dell'art. 1130-bis, comma 1, c.c., non solo i condomini, ma anche “i titolari di diritti di godimento sulle unità immobiliari” e, dunque, gli inquilini, possono prendere visione dei documenti giustificativi di spesa in ogni tempo ed estrarne copie a proprie spese (aggiungendo che le scritture contabili e le c.d. pezze d'appoggio vanno conservati per dieci anni dalla data della relativa registrazione).

In tal modo, il diritto di prendere visione “in ogni tempo”, estraendo copia dei documenti giustificativi di spesa, è stato opportunamente esteso anche ai conduttori, ai quali, finora, il comma 3 dell'art. 9 della l. n. 392/1978, facendo obbligo di pagare gli oneri condominiali di loro spettanza entro due mesi dalla richiesta da parte del locatore, delimitava, di fatto, entro il medesimo periodo, il termine massimo per l'esercizio del diritto di chiedere l'indicazione analitica delle spese e dei criteri di ripartizione, nonché di prendere visione dei documenti.

Ne consegue che, attualmente, gli inquilini non devono attendere la chiusura della gestione condominiale per poter esercitare tali diritti, essendo legittimati a visionare i suddetti documenti giustificativi pure nelle more dell'annualità amministrativa, purché non siano di ostacolo all'attività professionale dell'amministratore; parimenti, potranno estrarre copie a proprie spese, salvo soggiacere alle eventuali prescrizioni, stabilite in via generale dall'assemblea, circa i costi fissi per ogni fotocopia o l'onorario per il tempo che l'amministratore dedica affinché l'interessato metta in atto i suoi controlli.

A quest'ultimo proposito, l'art. 71-ter disp. att. c.c. abilita l'accesso al sito internet – attivato dall'amministratore su richiesta dell'assemblea, previa deliberazione da approvarsi con il quorum di cui all'art. 1136, comma 2, c.c. – agli “aventi diritto” e, tra questi, senz'altro gli inquilini, i quali possono, quindi, consultare ed estrarre copia in formato digitale dei documenti previsti dalla stessa delibera assembleare.

Per completezza, si segnala che l'art. 1122-bis c.c., in ordine alle installazioni di impianti singoli per la ricezione radiotelevisiva e per l'accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo, e all'installazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili, prescrive, al comma 3, che, qualora si rendano necessarie modificazioni delle parti comuni, “l'interessato” – e, quindi, non necessariamente il condomino – ne dia comunicazione all'amministratore indicando il contenuto specifico e le modalità di esecuzione degli interventi; si aggiunge che l'assemblea possa prescrivere, con la maggioranza di cui all'art. 1136, comma 5, c.c., adeguate modalità alternative di esecuzione o imporre cautele a salvaguardia della stabilità/sicurezza/decoro dell'edificio e, ai fini dell'installazione degli impianti fotovoltaici, provvede, a richiesta degli “interessati”, a ripartire l'uso del lastrico solare e delle altre superfici comuni, salvaguardando le diverse forme di utilizzo previste dal regolamento di condominio o comunque in atto; infine, la stessa assemblea, con la medesima maggioranza, può anche subordinare l'esecuzione alla prestazione, da parte “dell'interessato”, di idonea garanzia per i danni eventuali (nel previgente regime, si segnalava Pret. Salerno-Eboli 13 maggio 1991, secondo cui l'inquilino di un immobile condominiale ha un diritto personale e non reale, ai sensi dell'art. 1 del d.P.R. n. 223/1990, di installare e mantenere qualsiasi tipo di antenna di ricezione televisiva sul terrazzo di copertura dello stabile, sia comune che di proprietà esclusiva di alcuni condomini, e di compiere tutte le attività necessarie alla sua messa in opera ed al suo funzionamento, e tale diritto, tutelabile in via cautelare con il ricorso ex art. 700 c.p.c., compete, pertanto, in via autonoma ed immediata, anche al detentore qualificato dell'alloggio).

In conclusione, alla luce dei summenzionati flashes, sembra proprio che la riforma del 2013 abbia comportato un maggiore (e, forse, opportuno) coinvolgimento dell'inquilino nella vita condominiale (Masoni, 577).

Assemblea dei conduttori

Considerando l'edificio appartenente ad unico proprietario (persona fisica, società, ente, ecc.), l'art. 10 della l. n. 392/1978, negli ultimi tre capoversi, dispone che la disciplina di cui al comma 1, ossia riguardo alle deliberazioni concernenti le spese e le modalità di gestione dei servizi di riscaldamento e di condizionamento d'aria, si applica anche qualora si tratti di edificio non in condominio: in tale ipotesi, i conduttori si riuniscono in un'apposita assemblea convocati dal proprietario dell'edificio o da almeno tre conduttori, e si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni del codice civile sull'assemblea dei condomini.

Qualora l'assemblea dei conduttori ora menzionata abbia assunto l'autogestione del servizio di riscaldamento, viene, dunque, a costituirsi un “condominio di gestione”, al quale si applicano, analogicamente e compatibilmente con i profili tipici dell'istituto, le norme del condominio in senso proprio (Trib. Alessandria 13 gennaio 1996).

Si tratta di una norma di natura imperativa, contemplando una produzione giuridica incondizionata e prevalente anche rispetto alle clausole del contratto, nel quale si inserisce automaticamente a norma dell'art. 1339 c.c. (Cass. III, n. 7179/1986); il legislatore ha, infatti, disegnato un'apposita assemblea – i meccanismi della quale vengono mutuati, attraverso il richiamo operato dall'ultimo comma, da quelli dell'assemblea dei condomini – per rendere possibile la gestione del servizio di riscaldamento da parte di coloro che ne usufruiscono e ne sopportano il relativo onere; in relazione a ciò, fa parte dell'assemblea anche il proprietario che, occupando un appartamento dell'edificio, sia fruitore del medesimo servizio di riscaldamento (Pret. Roma 27 maggio 1975).

Per l'operatività del disposto di cui all'art. 10, comma 3, della l. n. 392/1978, è necessario, quindi, che l'edificio appartenga ad un unico proprietario, anche se si tratti di un ente pubblico, e gli occupanti degli alloggi ne siano assegnatari con diritto di riscatto, rivestendo costoro la qualità di conduttori e dovendo comunque essere equiparati ai medesimi, ai fini della norma in esame, per evitare un'inammissibile mancanza di tutela giuridica (Cass. III, n. 4133/1992, con riferimento agli alloggi ex I.N.C.I.S. militari; Cass. III, n. 5591/1980; Cass. III, n. 5359/1977, riguardo agli alloggi G.E.S.C.A.L. assegnati con patto di futura vendita).

Si è, però, precisato che un tale condominio di gestione – costituito dagli assegnatari, con patto di futura vendita, di alloggi degli I.A.C.P., autorizzati dall'ente proprietario a provvedere all'amministrazione ordinaria degli immobili – è facoltizzato come tale a deliberare le spese per l'uso di servizi comuni ed a riscuotere le quote dei singoli assegnatari in analogia a quanto avviene nei condominii ordinari, ma, a differenza di questi ultimi, non può disporre innovazioni o modifiche che incidano sull'integrità dell'immobile del quale gli assegnatari hanno soltanto l'uso in conformità del contratto di locazione; né i singoli assegnatari, obbligati a norma dell'art. 1576 c.c. soltanto per le spese di piccola manutenzione, sono tenuti a concorrere nelle spese per le modificazioni strutturali dell'immobile di proprietà altrui (Cass. III, n. 10310/1991: nella specie, trattavasi di distacco dell'impianto di riscaldamento da quello di altre palazzine contigue anch'esse di proprietà dello stesso Istituto).

Per converso, si è statuito che gli assegnatari di alloggi di edilizia pubblica residenziale possono costituire assemblee gestionali dei servizi comuni, al fine di regolare le modalità della loro erogazione e del loro uso, nonché della ripartizione delle spese, ma non possono, invece, adottare decisioni destinate ad incidere sulla struttura di un impianto comune, alterandone l'originaria impostazione e modificandone la consistenza e l'àmbito degli effetti che gli sono propri (Cass. II, n. 4425/1991: nella specie, si registrava la trasformazione del servizio centralizzato di riscaldamento con impianto autonomo).

Sul versante processuale, al condominio di gestione va riconosciuta la legitimatio ad causam solo per agire in giudizio per la gestione delle cose comuni, nel presupposto, pacifico, della sua qualità, mentre tale legittimazione deve essere esclusa non solo quando il condominio faccia valere il proprio diritto alla comunione, ma anche quando la contestazione relativa all'uso e al godimento delle cose comuni non riguardi un mero corollario dell'utilizzazione generale (incontestata) della cosa, ma venga ad investire la stessa inerenza del bene alla comunione (Cass. II, n. 9896/1991: nella specie, il condominio aveva rivendicato la proprietà di un manufatto costruito da un assegnatario sul suolo comune); e ancora, la deliberazione con la quale l'assemblea dei condomini convocata con l'intervento di coloro che usufruiscono del riscaldamento (proprietari e conduttori delle singole unità immobiliari), affida, nell'esercizio dei suo generale potere di disporre in merito alle spese ed alle modalità di gestione del servizio comune, ad un condomino o ad un terzo la gestione del servizio, attribuisce al soggetto incaricato, per la parte relativa al servizio affidatogli, il potere di compiere atti che impegnano non i singoli partecipanti all'assemblea ma il condominio, del quale l'assemblea è organo anche quando, ai sensi dell'art. 10 della l. n. 392/1978, vi partecipino i conduttori per far valere le loro specifiche esigenze, ed in relazione ai quali persiste, pertanto, dal lato passivo, la rappresentanza in giudizio dell'amministratore (Cass. II, n. 10474/1993; in una particolare vicenda, Cass. I, n. 10256/2000 ha puntualizzato che, in tema di edilizia popolare ed economica, la l. regionale Toscana n. 96/1996 ha previsto il passaggio dal c.d. condominio di gestione, costituito, sulla base di una fonte contrattuale, tra i conduttori-assegnatari per la gestione delle parti comuni dell'edificio, alla c.d. autogestione, con l'assunzione, da parte del responsabile di questa, della veste di rappresentante ex lege degli assegnatari limitatamente agli oggetti previsti dalla citata normativa – gestione degli spazi e dei servizi comuni, spese di manutenzione, ecc. – aggiungendo che tale passaggio non comporta, peraltro, una successione ex lege del detto rappresentante nei rapporti facenti capo al rappresentante del precedente condominio di gestione, con la conseguenza che, in capo al responsabile dell'autogestione, non può essere riconosciuta alcuna legittimazione processuale, in qualità di successore a titolo particolare nel diritto controverso, con riferimento alle controversie in cui parte processuale risultava il rappresentante del condominio di gestione).

Occorre, poi, la presenza di almeno tre conduttori, essendo questo il numero minimo di persone necessario per convocare l'assemblea, in caso di inerzia del proprietario (Stincardini, 178; Saieva, 41).

Va avvertito, inoltre, che, sino a quando nessuno si attivi, il meccanismo, per così dire, condominiale resta inceppato; in argomento, un indirizzo nella giurisprudenza di merito aveva individuato un obbligo dell'unico proprietario di convocare l'assemblea, restando altrimenti configurabile un suo inadempimento (Trib. Milano 21 luglio 1983; App. Milano 11 luglio 1983; contra, v. Trib. Milano 9 aprile 1998), ma tale tesi è stata disattesa dagli magistrati di Piazza Cavour, ad avviso dei quali va escluso un obbligo del proprietario dell'edificio di convocare in assemblea i conduttori, potendo gli stessi, in mancanza della facoltativa iniziativa attribuita al proprietario, convocarsi su iniziativa di almeno tre di loro per far valere nei confronti del proprietario i propri interessi in relazione al funzionamento del servizio, conseguendone che non è configurabile in capo al proprietario-locatore né un inadempimento né un obbligo di conseguente risarcimento dei danni subiti dai conduttori per non avere convocato l'assemblea (Cass. III, n. 8484/1995, aggiungendo che il conduttore non può invocare il principio di cui all'art. 1460 c.c. per esimersi dal concorrere alle spese di riscaldamento; Cass. III, n. 2762/1990; parzialmente difforme, v. Trib. Piacenza 9 marzo 1982, nel senso che, qualora il locatore abbia omesso di convocare l'apposita assemblea per le spese di riscaldamento, il conduttore non è tenuto a pagare le spese relative, ma ben può il primo agire sulla base del principio di cui all'art. 2041 c.c. nei limiti in cui il riscaldamento si sia rivolto al vantaggio del medesimo conduttore).

Va rilevato, inoltre, che l'assemblea dei conduttori di cui all'art. 10, comma 3, della l. n. 392/1978 va convocata con avviso che i destinatari devono ricevere almeno cinque giorni prima della data fissata per l'adunanza (ex art. 66, comma 3, disp. att. c.c.).

Se nessuno si presenta o non si raggiunge il quorum per la sua valida costituzione, si è opinato che il proprietario “possa provvedere direttamente all'erogazione e gestione del servizio, dovendosi considerare l'inerzia dei conduttori come rinuncia ad intervenire sull'argomento, trattandosi di un diritto rinunciabile” (così Stincardini, 180).

Quanto alla regolarità della costituzione ed alla validità delle deliberazioni, può aderirsi al suggerimento che vengano approntate delle tabelle millesimali, secondo i criteri di quelle per il riscaldamento (Saieva, 44); in attesa della loro formazione (a carico dei conduttori), può suggerirsi pragmaticamente che, per il calcolo dei vari quorum, si considerino quote eguali, se gli appartamenti sono mediamente della stessa ampiezza, oppure che i conduttori si accordino su un criterio che sia ritenuto congruo sia per ripartire la spesa sia per servire di riferimento in sede assembleare.

Dell'assemblea sarà redatto, poi, apposito verbale da comunicarsi ai conduttori assenti, i quali potranno, se del caso, impugnare la relativa deliberazione, ai sensi dell'art. 1137 c.c., non presentandosi particolari difficoltà di adattamento dei principi condominiali alla situazione de qua (Lazzaro, Di Marzio, 961).

In quest'ordine di concetti, il proprietario-locatore, sino a quando non sia intervenuta la deliberazione con la quale i conduttori assumono in proprio la gestione del servizio di riscaldamento – non essendo sufficiente per ciò la sola convocazione, v. Pret. Roma 23 dicembre 1974 – è tenuto ad erogare il servizio stesso, in forza dell'obbligo derivante a suo carico dal contratto di locazione (Pret. Roma 14 gennaio 1974), con la conseguenza che, in caso di rifiuto di attivare l'impianto, il giudice, adìto nelle forme del ricorso d'urgenza ex art. 700 c.p.c., ne può ordinare l'accensione immediata (Pret. Milano 21 novembre 1974).

Per converso, l'obbligo del conduttore di sostenere la relativa spesa non è subordinato alla previa applicazione di quel procedimento deliberativo, ma è sinallagmaticamente legato alla prestazione del servizio, anche quando nessuna delle parti si sia attivata per l'attuazione del proprio potere di provocare una deliberazione collegiale dei conduttori, restando il locatore obbligato a prestare il servizio cui è contrattualmente tenuto (Cass. III, n. 7179/1986), restando fermo che, di tale spesa, deve essere fornita adeguata giustificazione (Trib. Milano 9 dicembre 1985).

Infine, la prevalente giurisprudenza dà per scontato che i conduttori possano nominare un rappresentante che provveda a gestire l'impianto: è stata riconosciuta, in capo al conduttore nominato amministratore degli utenti dell'impianto di riscaldamento gestito in proprio ex art. 10 della l. n. 392/1978, la legittimazione attiva all'azione di reintegra nella detenzione dell'impianto medesimo (Trib. Napoli 29 dicembre 1982; Pret. Napoli 18 febbraio 1981; Pret. Roma 10 aprile 1975; Pret. Roma 23 dicembre 1974; contra, App. Milano 12 luglio 1983, per la quale i conduttori non possono gestire direttamente il servizio di riscaldamento dello stabile in contrasto o, comunque, senza il consenso del locatore, essendo il loro potere di decisione limitato alle “spese” ed alle “modalità” di gestione del servizio).

Nella prospettiva dell'autogestione, i giudici del Palazzaccio hanno valorizzato i profili “condominiali”, affermando che il rendiconto delle spese del servizio, approvato, con deliberazione assembleare, dalla maggioranza dei conduttori stessi, costituisce, ai sensi dell'art. 633 c.p.c., prova scritta idonea per ottenere, dal rappresentate comune designato per la gestione, decreto ingiuntivo di pagamento delle quote di spesa a carico dei conduttori inadempienti (Cass. II, n. 5359/1977).

In argomento, merita adesione l'osservazione che, potendosi paventare che qualche conduttore, abbandonando l'immobile nel corso dell'esercizio, possa sottrarsi all'obbligo di pagamento – e, in caso di gestione diretta, pare difficile poter immaginare una responsabilità del proprietario – “ci si deve orientare su congrue anticipazioni, sicché, da una parte, non si verifichino carenze di cassa, mentre, sott'altro aspetto, non debba verificarsi una distribuzione proporzionale sugli altri conduttori della spesa rimasta irriscossa” (così Stincardini, 183).

Riparto degli oneri accessori

Come si è visto sopra, qualora sussista la situazione in cui il locatore sia proprietario dell'intero stabile, il coinvolgimento dei conduttori nella gestione dei servizi comuni, riservata in via di principio all'unico proprietario-locatore, appare maggiormente realizzabile.

Il comma 4 dell'art. 10 della l. n. 392/1978, seppure limitatamente alle spese ed alle modalità di gestione dei servizi di riscaldamento e di condizionamento d'aria, ha delineato, infatti, una “assemblea di conduttori”, alla quale sono applicabili le norme relative all'assemblea dei condomini, convocabile ad iniziativa del proprietario o di almeno tre conduttori, sicché nulla impedisce che un tale organo possa, in analogia a quanto stabilito dal comma 2 della stessa norma, riunirsi ed esprimere – sia pure in via autonoma – il proprio parere circa la gestione dei vari servizi, l'eliminazione di alcuni di essi, la previsione di nuovi, ecc., parere che, specie se assunto all'unanimità, potrà avere sul piano effettuale un indubbio peso nelle determinazioni che l'unico proprietario andrà ad assumere (Lazzaro, Di Marzio, 922).

Per dividere gli oneri accessori, il proprietario-locatore può servirsi delle regole che si applicano in un condominio, adottando anche criteri di ripartizione diversi secondo i tipi di spese (il piano per l'ascensore, la superficie radiante per il riscaldamento, ecc.); è necessario solo che si tratti di criteri obiettivi ed idonei come, ad esempio, quello basato sulla rendita catastale (Pret. Milano 8 ottobre 1975).

Può ritenersi, altresì, che l'unico proprietario possa convenire con i conduttori l'assunzione dei servizi comuni da parte di costoro, che provvederanno a gestirli direttamente, fissando tra di loro criteri e modalità ed affidando ad un “responsabile” quelle che, nell'àmbito del condominio, sono le funzioni dell'amministratore (una tale soluzione pattizia potrebbe dimostrarsi idonea, ad esempio, nel caso di immobile adibito ad uso non abitativo, i cui conduttori possono trovare conveniente interessarsi direttamente dei servizi, piuttosto che ricorrere al proprietario, e stabilirne eventualmente di nuovi, come nel caso di guardiano notturno, guardiamacchine, ecc.).

Ne consegue che l'unico proprietario resta sgravato dall'obbligo di assicurare i servizi e dalle correlate responsabilità; l'“amministratore”, da parte sua, può agire per il recupero delle somme anticipate nei confronti degli amministrati, sulla base dell'instaurato rapporto di mandato (Cass. II, n. 6115/1981).

La tendenza ad una più incisiva tutela del conduttore, nei casi in cui il locatore non provveda a fornire i servizi accessori, comporta – come sopra rilevato – che, di fronte all'arbitraria limitazione del servizio di riscaldamento ad opera del proprietario dell'intero stabile, i conduttori possano ricorrere al giudice in via d'urgenza (Pret. Milano 23 aprile 1976; Pret. Taranto 10 marzo 1975; Pret. Genova 19 dicembre 1974; Pret. Roma 21 febbraio 1973).

Anche per quanto concerne il servizio di ascensore, è stato affermato che, ove ricorre l'urgenza ed il pericolo di danno irreparabile, è tutelabile il diritto del conduttore alla riparazione del servizio dell'ascensore in uno stabile, comprensivo dell'immobile locato, che appartenga in proprietà ad un solo soggetto (il locatore) il quale sia tenuto in tale veste alla prestazione di quel servizio a favore del conduttore (Pret. Portici 23 aprile 1977).

Al riguardo, si è ritenuto che il locatore, proprietario di più unità immobiliari nello stesso stabile e titolare di un'unica utenza per la somministrazione di acqua – il contatore relativo alla quale sia posto all'interno di una di tali unità immobiliari – ha diritto di accedervi, in riferimento all'emissione delle bollette dell'ente erogatore, per compiere la lettura del contatore, e così ripartire correttamente la spesa secondo le diverse unità immobiliari (Pret. Roma 26 ottobre 1983: nella specie, il canone per il consumo idrico era, per contratto, posto a carico del conduttore che impediva l'accesso del locatore nell'immobile a lui locato).

Unico locatore e unico conduttore

Dalla sopra delineata normativa sulle locazioni (artt. 1575 c.c., nonché 5, 9 e 10 della l. n. 392/1978), può desumersi che la gestione degli impianti e servizi concernenti gli immobili, in quanto attinente al godimento ed alla manutenzione del bene, appartiene di regola al locatore, e che il conduttore può eccezionalmente incidere sulla gestione del solo servizio di riscaldamento e di condizionamento d'aria unicamente nell'àmbito di assemblee di condomini o, nel caso di unico proprietario dell'edificio, di inquilini.

Ne consegue che, in ipotesi di unico proprietario ed unico inquilino dell'immobile, in mancanza di un'assemblea, non è possibile ipotizzare un diritto partecipativo del conduttore alla gestione del servizio di riscaldamento o condizionamento d'aria, la quale, proprio in virtù di detta mancanza, fa capo direttamente al proprietario-locatore (Cass. III, n. 6078/1995: nella specie, la Suprema Corte, ritenendo quelli enunciati principi regolatori della materia dei rapporti tra locatore e conduttore e che in assenza di un inadempimento imputabile non può sussistere un danno risarcibile, aveva cassato la sentenza di merito, la quale aveva condannato l'unico proprietario a risarcire il danno procurato all'unico conduttore dell'edificio, per avere il primo omesso di convocare il secondo ai fini delle deliberazioni relative alla gestione del servizio di riscaldamento).

Contratto di leasing

Per completezza, si osserva che le considerazioni di cui sopra potrebbero essere trasposte al contratto di leasing.

Nell'ottica di perimetrare compiutamente il novero dei soggetti legittimati ad impugnare la deliberazione assembleare, ai sensi dell'art. 1137 c.c., la Suprema Corte, con una recente decisione (Cass. II, n. 27162/2018), ha puntualizzato che, all'utilizzatore di un'unità immobiliare posta nello stabile condominiale concessa in leasing – analogamente alla (non del tutto lineare, come si è visto) posizione del conduttore – è preclusa, di regola, salvi i casi eccezionali stabiliti dalla legge, tale iniziativa giudiziaria, con consequenziali riflessi, poco esplorati finora dalla giurisprudenza (sia di legittimità che di merito), in ordine al soggetto destinatario dell'avviso di convocazione, della richiesta di pagamento dei contributi e del rispetto delle clausole regolamentari.

La recente decisione del Supremo Collegio traeva origine da un'impugnativa di una deliberazione assembleare avente ad oggetto l'approvazione del “consuntivo/preventivo spese comuni”, proposta da una società utilizzatrice a titolo di leasing di un'unità immobiliare sita in uno stabile in regime di condominio, in forza di un atto di compravendita che registrava come proprietaria un'altra società (nello specifico, tale stabile era compreso, a sua volta, in un supercondominio – composto da locali destinati ad attività commerciali, residenziali, terziarie, direzionali, alberghiere ed autorimesse – e la deliberazione impugnata comportava un addebito di spese che l'attrice riteneva non dovute, essendo, in forza di una disposizione regolamentare, la porzione da essa utilizzata del tutto autonoma rispetto alla galleria).

Il Tribunale aveva accolto la domanda attorea, mentre la Corte d'Appello era stata di diverso avviso, in quanto aveva riformato la pronuncia di primo grado, in accoglimento dell'assorbente motivo di gravame del condominio, sul rilievo fondante che, nella specie, tra le due società di cui sopra era intercorsa una locazione finanziaria relativa all'unità immobiliare de qua.

Inoltre, secondo il giudice distrettuale, anche se l'impugnante risultava essersi comportata da vera e propria condomina, si rivelava centrale la questione della sua legittimazione sostanziale – del resto, rilevabile d'ufficio e non considerata dal giudice di prime cure – essendo l'attrice “semplice conduttrice finanziaria” e non trattandosi di ripartizione di contributi per le spese di riscaldamento; segnatamente, si era negato che l'appellata avesse legittimazione a partecipare all'assemblea condominiale, come ad impugnarne le relative deliberazioni, così come il condominio non avrebbe potuto agire contro la conduttrice finanziaria per chiederle i contributi condominiali.

L'eventuale natura traslativa del contratto di leasing doveva intendersi “irrilevante per il condominio”, mancando comunque in capo all'utilizzatrice un diritto di natura reale, né l'attrice aveva mai prospettato di agire in rappresentanza della condomina effettiva, laddove l'eventuale illegittimità della deliberazione avrebbe potuto, piuttosto, essere fatta valere dalla conduttrice finanziaria nei confronti della concedente.

La soccombente aveva proposto ricorso per cassazione contro la suddetta decisione, evidenziando – per quel che rileva in questa sede – che, al contrario, al conduttore finanziario spettasse la titolarità dell'azione giudiziaria a tutela del bene concesso in godimento, ribadendo i rilievi circa il comportamento processuale del condominio che, in primo grado, aveva accettato il contraddittorio con l'attrice, nonché circa i pregressi rapporti fra le parti, che avevano ingenerato l'apparenza del diritto e l'affidamento della società utilizzatrice.

I giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto tali doglianze “interamente prive di fondamento”.

Si è ribadito che, in materia condominiale, il diritto di prendere parte all'assemblea ed il potere di impugnare le deliberazioni competono, per il disposto dell'art. 1137 c.c. – v., altresì, l'art. 67 disp. att. c.c.ai soli titolari di diritti “reali” sulle singole unità immobiliari, e ciò anche in caso di locazione della singola unità immobiliare, salvo che per le deliberazioni relative alle spese e alle modalità di gestione dei servizi di riscaldamento e di condizionamento d'aria, per le quali, ai sensi dell'art. 10, comma 1, della l. n. 392/1978, la decisione e, conseguentemente, la facoltà di adire l'autorità giudiziaria, sono attribuite ai conduttori (Cass. II, n. 869/2012, cit.; Cass. II, n. 4588/1995, cit.).

È stato anche chiarito che il diritto, attribuito al conduttore dall'art. 10, comma 1, citato, di partecipare, in luogo del proprietario dell'appartamento, alle assemblee dei condomini convocate per deliberare sulle spese di riscaldamento e condizionamento, abbia “carattere eccezionale” rispetto alla disciplina del condominio degli edifici e non sia, quindi, suscettibile di interpretazione estensiva (Cass. II, n. 8755/1993, cit.; Cass. II, n. 5238/1986, con riferimento all'art. 6 della l. n. 841/1973, ratione temporis applicabile).

Del resto, l'amministratore del condominio ha diritto – ai sensi del combinato disposto degli artt. 1118 e 1123 c.c. nonchè 63, comma 1, disp. att. c.c. – di riscuotere i contributi e le spese per la manutenzione delle cose comuni ed i servizi nell'interesse comune direttamente ed esclusivamente da ciascun condomino, restando esclusa un'azione diretta nei confronti del conduttore della singola unità immobiliare, contro il quale può, invece, agire in risoluzione il locatore, ove si tratti di oneri posti a carico del locatario sulla base del rapporto contrattuale fra loro intercorrente, tant'è che si afferma risolutivamente che, “di fronte al condominio, esistono solo i condomini” (così Cass. II, n. 25781/2009).

I magistrati del Palazzaccio danno atto che i dati anagrafici dell'utilizzatore in leasing di un appartamento o di un negozio facente parti di un condominio devono essere inseriti nel registro dell'anagrafe condominiale di cui al novellato art. 1130, n. 6), c.c., in quanto identificanti il titolare di un diritto “personale” di godimento avente ad oggetto una singola unità abitativa del fabbricato; peraltro, riguardo alle eventuali riduzioni in pristino conseguenti alla realizzazione di opere dannose per le parti comuni, si riconosce che sono legittimati passivi necessari sia l'utilizzatore sia il concedente del bene in locazione finanziaria (Cass. II, n. 6154/2016).

Tuttavia, non spetta all'utilizzatore di un'unità immobiliare in leasing il generale potere ex art. 1137 c.c. di impugnare le deliberazioni condominiali in tema di spese necessarie per le parti comuni dell'edificio, essendo lo stesso titolare – non di un diritto reale, bensì – di un diritto personale derivante da un contratto ad effetti obbligatori, che rimette il perfezionamento dell'effetto traslativo ad una futura manifestazione unilaterale di volontà del conduttore.

Né – concludono i giudici di legittimità – ai fini della legittimazione dell'utilizzatore in leasing alla partecipazione all'assemblea ed alla correlata impugnativa, può rilevare il principio dell'apparenza del diritto, dando valore dirimente al fatto che quegli si fosse comportato abitualmente “da condomino”.

In giurisprudenza, a far tempo da un importante arresto del massimo organo di nomofilachia – Cass. S.U., n. 5035/2002, il quale puntualizza, con scarsa coerenza, che il principio di apparenza del diritto nel condominio è operativo solo nell'àmbito delle trattative contrattuali con terzi in buona fede e sul piano “sostanziale”, mentre è inapplicabile sia nei rapporti interni tra il condominio ed i singoli partecipanti, ai fini della ripartizione delle spese e della convocazione dell'assemblea, sia in sede “processuale”, ai fini della legittimazione attiva o passiva – è consolidato il principio secondo cui la titolarità dei diritti e degli obblighi relativi allo status di condomino spetta ai proprietari effettivi delle unità immobiliari e non anche coloro che possano apparire tali, non trovando motivo di applicazione, ai fini, ad esempio delle convocazioni assembleari, i principi di affidamento e di tutela della apparentia iuris nei rapporti fra condominio e singoli partecipanti ad esso (v., più di recente, Cass. II, n. 8824/2015, sul rilievo fondante che mancano le condizioni per l'operatività del principio dell'apparenza del diritto, volto, essenzialmente, alla tutela dei terzi di buona fede, e terzi, rispetto al condominio, non possono essere ritenuti i condomini; Cass. II, n. 2616/2005, la quale, esaminando una fattispecie anteriore all'entrata in vigore della l. n. 220/2012, ha aggiunto che, d'altra parte, non è in contrasto, ma anzi in armonia con tale principio, la norma del regolamento che, imponendo ai condomini di comunicare all'amministratore i trasferimenti degli immobili di proprietà esclusiva, aveva lo scopo di consentire la corretta convocazione dei soggetti legittimati a partecipare all'assemblea condominiale: nella specie, era stata dichiarata illegittima la deliberazione approvata dall'assemblea alla quale non aveva partecipato la proprietaria di un'unità immobiliare, essendo stata la relativa convocazione inviata al marito il cui nominativo era indicato nell'elenco dei condomini; in argomento, v., altresì, Cass. II, n. 17039/2007, ad avviso della quale, in materia condominiale, non trova applicazione il principio dell'apparenza del diritto, strumentale ad esigenze di tutela dell'affidamento del terzo di buona fede, in quanto non sussiste una relazione di “terzietà” tra condominio e condomino, conseguendone che è tenuto a pagare gli oneri condominiali esclusivamente il proprietario dell'unità immobiliare e non il conduttore, a nulla rilevando la reiterazione continuativa di comportamenti propri del condomino).

Tuttavia, la soluzione adottata di recente dal massimo consesso decidente, nel senso di ritenere invalida la deliberazione adottata in un'assemblea in cui si era convocato il condomino “apparente” – peraltro, sull'abbrivio dell'intervento delle Sezioni Unite che avevano dichiarato l'inoperatività, nell'àmbito condominiale, del principio dell'apparenza del diritto, sia pure soltanto riguardo al soggetto cui richiedere la riscossione dei contributi – merita forse di essere ripensata alla luce della Riforma del 2013, perché l'inottemperanza, in capo al singolo partecipante, dell'obbligo di tenere informato l'amministratore affinché la c.d. anagrafe condominiale sia puntualmente aggiornata, potrebbe ingenerare in quest'ultimo il giusto affidamento per quanto concerne l'effettiva titolarità dell'unità immobiliare e, quindi, il legittimo destinatario dei relativi avvisi (v. anche supra).

In altri termini, da un lato, l'amministratore non dovrebbe essere sempre tenuto a controllare se chi si comporta come condomino abbia effettivamente lo status per interloquire, nel senso che sia realmente proprietario dell'unità immobiliare facente parte dell'edificio condominiale da lui gestito, e, dall'altro, chi si presenta come condomino, e pretenda di essere convocato alle assemblee, dovrebbe avere l'onere di dimostrare la veridicità del proprio assunto mediante l'esibizione del relativo titolo di proprietà e di informare l'amministratore in ordine ad eventuali variazioni dell'anagrafe condominiale.

Di contro, anche se la qualità di condomino costituisce la condizione indefettibile per avere diritto a partecipare all'assemblea ed aver diritto, pertanto, al tempestivo avviso della relativa convocazione, ritenendo applicabile il principio dell'apparenza, si potrebbe, in buona sostanza, valorizzare una situazione manifesta, quale si presenta e come si presenta ai terzi, anche qualora questa non coincida con la situazione effettiva, intendendo così tutelare la buona fede dell'amministratore nel convocare il c.d. condomino apparente, e ciò sia nell'ipotesi di apparenza “pura” (caratterizzata dalla sua derivazione dall'insieme oggettivo di cui si tratta), sia in quella “colposa” (caratterizzata dal concorso, nella formazione del convincimento di chi convoca, del comportamento del titolare apparente).

Ritornando al rapporto di leasing, si è osservato che lo stesso appare caratterizzato dalla convivenza di più elementi, tipici dei contratti tradizionali, quali la locazione, il mutuo, il finanziamento degli investimenti produttivi, la vendita (Terzago, 242).

L'elemento effettivamente discriminante, e tale da fornire al negozio una propria causa, è costituito dalla circostanza che il leasing è diretto a procurare essenzialmente non tanto la proprietà del bene, quanto la disponibilità di esso, per un determinato periodo, trascorso il quale i vantaggi offerti dal bene dato in locazione divengono di trascurabile entità, e la stessa proprietà del bene di secondaria importanza rispetto ai fini dell'investimento produttivo.

Gli interessi delle parti alla conclusione del contratto possono così identificarsi: da un lato, il locatore, che ha investito rilevanti capitali per l'acquisto del bene a nome del conduttore, ritrae dall'operazione finanziaria un alto reddito, in termini brevi, e con garanzie obiettive del rischio dell'investimento; e, dall'altro, il conduttore si procura il bene e ne gode, senza immobilizzare l'intera somma per l'acquisto, a cui potrà eventualmente addivenire alla fine del rapporto.

Sul punto, si sono individuate due tipologie di leasing: quello operativo e quello finanziario; nel primo, è lo stesso produttore del bene che lo dà in locazione per un canone, che corrisponde generalmente all'entità dei servizi offerti dal bene stesso e non è in relazione con la sua durata economica; nel secondo, invece, l'operazione promossa dal locatore presenta esclusivamente gli aspetti del finanziamento di un bene prodotto da terzi: la società finanziaria acquista il bene per conto dell'utilizzatore di esso, che lo sceglie in relazione alle proprie esigenze produttive; le parti, a questo punto, concordano che il bene venga concesso in uso al conduttore per un periodo di tempo non riducibile e per un canone prefissato; il canone viene, quindi, fissato non in ragione dei vantaggi che saranno offerti dal bene, ma in relazione al suo costo e alla durata del contratto, così da consentire alla società finanziaria, al termine del contratto, di recuperare integralmente il prezzo sborsato, gli ulteriori costi ed il conseguimento di un utile.

L'utilità economica residua del bene al termine del contratto è, sotto il profilo finanziario, pressoché prossima all'obsolescenza, sicché appare di scarsa rilevanza la circostanza che il bene venga definitivamente acquistato dal conduttore per una somma di trascurabile entità, in quanto l'operazione finanziaria ha avuto completo esaurimento.

Stante la peculiare caratteristica, interessato alla partecipazione alle assemblee dovrebbe essere l'utilizzatore, in quanto, in fondo, è lui che dovrà pagare (al concedente) le spese di ordinaria e straordinaria amministrazione; tuttavia, nella prassi, tale partecipazione avviene a mezzo dell'istituto della delega, il che porta a concludere che il legittimo destinatario dell'avviso quale condomino sia pur sempre il concedente (Parmeggiani, 824).

Analoghe considerazioni dovrebbero essere fatte in ordine alla riscossione dei contributi condominiali; sul versante dottrinale (Nachira, 70), si è affermato che l'amministratore dovrà rivolgere la relativa richiesta solo nei confronti della società di leasing, salva la possibilità di quest'ultima di rivalersi nei confronti del conduttore, restando ferme le tutele giudiziarie (risolutorie o/e risarcitorie) correlate all'aspetto interno del rapporto.

Sempre in ordine alla legittimazione passiva, una pronuncia di merito (Trib. Milano 24 febbraio 1992, l‘unica edita a quanto consta) ha, però, statuito che, nel caso di presunta violazione del regolamento di condominio da parte dell'utilizzatore di un'unità immobiliare dal medesimo posseduta a titolo di leasing, l'utilizzatore è passivamente legittimato, unitamente alla società di leasing, nell'azione promossa dal condominio al fine di fare accertare e cessare la violazione stessa.

In conclusione, sembra prevalere la tesi secondo cui l'amministratore debba richiedere il pagamento delle spese condominiali – con giudizio ordinario o con decreto ingiuntivo – direttamente dalla società di leasing, alla quale, in quanto reale condomino, dovrà recapitare l'avviso di convocazione dell'assemblea; il conduttore, a sua volta, sarà tenuto a tenere indenne il concedente dei contributi condominiali di sua spettanza, e parimenti negli argomenti all'ordine del giorno di sua competenza dovrà essere invitato dalla predetta società a partecipare alle relative assemblee, senza escludere ovviamente la possibilità di delega in suo favore per quanto riguarda le altre materie.

Bibliografia

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