Codice di Procedura Civile art. 661 - Giudice competente (1).Giudice competente (1). [I]. Quando si intima la licenza o lo sfratto, la citazione a comparire deve farsi inderogabilmente [28] davanti al tribunale (2) del luogo in cui si trova la cosa locata. (1) Articolo così sostituito dall'art. 6 l. 30 luglio 1984, n. 399. (2) In questo articolo e negli artt. 668 3, 669-quater 3, 678 1, 693 2, 752 1-2, 769 1, 3, 826 3, la parola « tribunale » è stata sostituita alla parola « pretore » dall'art. 106 d.lg. 19 febbraio 1998, n. 51, con effetto, ai sensi dell'art. 247 comma 1 dello stesso decreto quale modificato dall'art. 1 l. 16 giugno 1998, n. 188, dal 2 giugno 1999. InquadramentoL'art. 661 c.p.c. prevede che quando si intima la licenza o lo sfratto, la citazione a comparire deve farsi inderogabilmente davanti al tribunale del luogo in cui si trova la cosa locata. L'art. 21 c.p.c. stabilisce in linea generale, che per le cause in materia di locazione e comodato di immobili e di affitto di aziende è competente il giudice del luogo dove è posto l'immobile o l'azienda, e in base all'art. 447-bis, comma 2, c.p.c. sono nulle le clausole di deroga alla competenza. L'evoluzione storica dell'istituto. Il giudice competente ed il forum rei sitaeNel regime anteriore alla l. n. 353/1990, il foro esclusivo funzionale del Conciliatore o del Pretore del luogo in cui si trova la cosa locata era previsto soltanto per la fase sommaria del procedimento di licenza o sfratto, mentre, in caso di opposizione dell'intimato, il successivo giudizio di cognizione era soggetto alle norme ordinarie sulla competenza, anche per territorio (Cass. III, n. 11499/1990), come del resto enunciava il vecchio testo dell'art. 667, comma 1, c.p.c. Infatti, il criterio di ripartizione della competenza per le controversie riguardanti la convalida di licenza o sfratto era stato ab origine stabilito dall'art. 1, comma 2, della l. n. 547/1896, successivamente ribadito dall'art. 35, comma 1, del r.d. n. 1531/1936, poi trasfuso nel codice di procedura civile del 1940 all'art. 661 rubricato come “giudice competente”. La competenza delineata dall'art. 661 c.p.c. nel testo originario ante riforma, era dunque sostanzialmente modellata sulla scorta del rispetto di un criterio “funzionale” piuttosto che per “materia”, in ragione della sommarietà della cognizione che precedeva la convalida, il cui perimetro di operatività era conseguentemente confinato nell'ambito del solo procedimento speciale di intimazione di licenza o sfratto, giacchè, per effetto dell'opposizione, si instaurava un ordinario giudizio di cognizione, disciplinato dalle regole generali sulla competenza, ivi inclusa quella sulla ratione loci. In tale senso, deponeva l'orientamento giurisprudenziale dell'epoca, laddove si statuiva che nel procedimento di sfratto, il foro esclusivo funzionale del Pretore del luogo in cui si trovava la cosa locata era previsto soltanto per la fase sommaria del procedimento stesso, mentre, in caso di opposizione dell'intimato, il successivo giudizio di cognizione doveva ritenersi soggetto alle norme ordinarie sulla competenza (Pret. Pordenone 30 marzo 1988). La riforma radicale dell'originario impianto processuale sopra evidenziato, si deve da un lato alla l. n. 399/1984, concentrò il procedimento speciale di convalida degli sfratti nelle mani del solo Pretore, e, dall'altro, alla successiva l. n. 353/1990, che estese la competenza esclusiva pretorile anche alla successiva ed eventuale fase di merito instaurata per effetto della precedente opposizione alla convalida, modificando l'art. 667 c.p.c. con il mutamento del rito, ed intervenendo ex art. 8, comma 2, n. 3) c.p.c. sulla stessa competenza, qualunque fosse il valore, delle cause relative ai rapporti di locazione di immobili urbani, in quanto non di competenza delle sezioni specializzate agrarie. Il risultato finale è stato di avere concentrato nelle mani del “solo” giudice pretorile la competenza delle controversie locatizie riguardanti licenze o sfratti, sia nella fase sommaria sia in quella eventuale di merito. Infine, a seguito dell'istituzione del giudice unico di primo grado con il d.lgs. n. 51/1998 la figura del Pretore è stata soppressa per essere “sostituita” da quella del giudice monocratico di Tribunale, divenuto così competente in via esclusiva per le anzidette controversie. Attualmente, la norma fissa un criterio di competenza per territorio inderogabile in relazione al luogo ove si trova l'immobile locato (forum rei sitae). La regola espressa nell'art. 661 c.p.c. trova applicazione sia nella fase speciale sia in quella di merito, con la sola precisazione dell'applicabilità degli artt. 28, 38, comma 1 e 44, c.p.c. Pertanto, la competenza per territorio può essere derogata per accordo delle parti salvo nel caso in cui l'inderogabilità sia disposta espressamente dalla legge, come prevede espressamente l'art. 661 c.p.c., e l'incompetenza per materia, quella per valore e quella per territorio sono eccepite, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta tempestivamente depositata. L'eccezione di incompetenza per territorio si ha per non proposta se non contiene l'indicazione del giudice che la parte ritiene competente. La quaestio juris secondo cui nei procedimenti per convalida di sfratto, la competenza inderogabile del giudice del luogo in cui si trova la cosa locata, preclude al locatore la possibilità di adire il giudice del foro convenzionalmente stabilito nel contratto, con ciò riservandogli un trattamento deteriore rispetto a quello fatto al conduttore, è stata esaminata dalla Consulta, che nel rigettare per manifesta infondatezza la relativa eccezione di incostituzionalità, ha precisato che la competenza territoriale inderogabile stabilita per lo speciale procedimento per convalida di sfratto corrisponde al generale criterio del foro del convenuto e si rende necessaria in vista delle gravi conseguenze che la legge assegna alla mancata comparizione dell'intimato, a cagione delle quali, essa detta non a caso particolari cautele, ed atteso che il medesimo locatore, ove voglia avvalersi della clausola di deroga convenzionale della competenza, ben può agire nelle forme ordinarie (Corte cost., n. 639/1987). Casistica In tema di locazioni, il criterio di radicamento della competenza territoriale del giudice al locus rei sitae sancito dall'art. 21 c.p.c. ha natura cogente ed inderogabile, con la conseguente invalidità, rilevabile anche ex officio in sede di regolamento di competenza, di una eventuale clausola difforme inserita nel regolamento negoziale e con la conseguente irrilevanza di un'adesione di una parte all'eccezione di incompetenza territoriale ex adverso sollevata, potendo incidere gli accordi tra le parti unicamente sui criteri di competenza per territorio derogabile (Cass. III, n. 25138/2024). Il giudizio riguardante un rapporto di locazione di immobile urbano comporta la conseguente competenza funzionale inderogabile del Tribunale. Sotto tale profilo, nell'ipotesi di cessione del credito ad un terzo, non muterebbe l'oggetto del giudizio, comunque relativo ad un rapporto di locazione, rispetto al quale la distinzione tra cessione di credito e cessione del contratto di locazione non avrebbe rilievo, nè sotto il profilo della competenza funzionale, nè per materia. Infatti secondo la giurisprudenza di legittimità nell'ipotesi di cessione del credito per il quale sia prevista una competenza speciale - ad esempio del giudice del lavoro - la controversia insorta fra il cessionario ed il debitore ceduto rimane comunque regolata dalla competenza per materia del giudice del lavoro. Tale regola si estende anche alle controversie in materia di locazione, sulla cui scorta, quanto alla competenza per territorio, anche nell'ipotesi in cui vengano contestati tutti i fori eventualmente concorrenti, ricorrerebbe comunque la competenza territoriale del Tribunale del luogo in cui è sorta la relativa obbligazione contrattuale, sulla base del criterio previsto dall'art. 20 c.p.c. relativo al luogo di conclusione del contratto di locazione. Sotto tale profilo, non rileva allora l'esistenza di un contratto di cessione del credito, che attiene ai rapporti tra cedente e cessionario, rispetto ai quali il debitore ceduto resta estraneo, per cui il forum contractus continua ad essere quello del contratto di locazione e non quello di conclusione del contratto di cessione del credito. Infatti, quest'ultimo contratto inciderebbe, secondo la giurisprudenza di legittimità, solo sul profilo relativo al forum destinatae solutionis, e non sul forum contractus, che resta quello del luogo di conclusione del contratto di locazione stipulato tra le parti originarie del rapporto. Con riferimento alla competenza funzionale il profilo della cessione del credito determina quindi un mutamento del soggetto creditore, ma non incide sull'eventuale competenza speciale stabilita dalla legge per le controversie che abbiano ad oggetto il credito ceduto. Tale principio è stato affermato in tema di competenza per materia del Tribunale in funzione di giudice del lavoro, prevedendo che il credito ceduto si trasferisce con tutte le sue caratteristiche, ivi compresa l'eventuale competenza speciale stabilita dalla legge per le controversie che lo abbiano ad oggetto. Pertanto, la competenza a conoscere della lite, tra il cessionario di un credito di lavoro ed il debitore ceduto, va individuata in base alle regole dettate dall'art. 413 c.p.c. per le controversie di lavoro. A ben vedere, si tratta di un principio di portata generale, che trova applicazione, sia quale regola di opponibilità azionabile dal debitore ceduto, ai sensi dell'art. 1409 c.c., sia quale regola di attribuzione della competenza, suscettibile di essere fatta valere dal cessionario nei confronti del ceduto, con la conseguenza che trovano applicazione le regole in tema di competenza funzionale del Tribunale a conoscere della controversia relativa alla locazione di un'immobile urbano. In sintesi, quanto all'individuazione della competenza territoriale la cessione del credito incide solo sul profilo del forum destinatae solutionis, nel senso che la cessione del credito relativo a canoni di locazione è idonea a radicare la competenza anche nel luogo in cui ha sede il cessionario, nel caso in cui la cessione sia intervenuta prima della scadenza del credito che ne ha costituito oggetto, e sia stata notificata al debitore ceduto, da ciò conseguendo che in tale ipotesi, il foro del creditore si aggiunge a quello relativo al luogo di conclusione del contratto di locazione (Cass. VI, n. 15229/2021). L'utilizzo delle case cantoniere Anas da parte dei privati, non può mai configurare un rapporto di locazione ordinaria, neppure in via di fatto, attesa la natura indisponibile di tali beni. Di conseguenza l'Anas non è tenuta all'azione di sfratto in via ordinaria ex art. 661 c.p.c. e può legittimamente adottare ordinanze di sfratto in via amministrativa (Trib. Bari 12 settembre 2012). Un'azione di sfratto per morosità e la successiva fase a cognizione piena che ne sia seguita introdotta da una società in liquidazione coatta amministrativa, soggetta alla disciplina dell'art. 57 d.lgs. n. 58/1998, e, quindi, in forza del richiamo che lo stesso art. 57, comma 3, del d.lgs. n.58/1998 fa all'art. 83 del d.lgs. n. 385/1993, alla disciplina da tale norma prevista, non può ritenersi compresa fra le azioni civili di qualsiasi natura derivanti dalla liquidazione, per le quali il secondo inciso dell'art. 83, comma 3, del d.lgs. n. 385/1993 prevede che è competente esclusivamente il Tribunale del luogo dove la banca ha la sede legale, ragione per cui trattandosi di una controversia di natura locativa, la competenza territoriale deve essere radicata nel luogo ove si trova l'immobile locato ai sensi dell'art. 661 c.p.c. (Cass. VI, n. 1119/2012). Nell'ipotesi di noleggio di beni mobili, non trova applicazione il criterio desumibile dall'art. 21 e 661 c.p.c. atteso che l'applicazione del forum rei sitae è limitata alle cause di locazione aventi ad oggetto beni immobili o aziende e non ai beni mobili, per i quali il legislatore non ha ritenuto, differentemente dai primi, di dovere garantire la parte debole del rapporto – il conduttore – attraverso la tutela del collegamento con il luogo in cui si trovano i beni medesimi (Trib. Milano 11 aprile 2012). Il foro erarialeIl foro erariale è un privilegio processuale – attribuito alle amministrazioni statali dall'art. 19 del r.d. n. 2828/1923, poi trasfuso nell'art. 6 del r.d. n. 1611/1933, e successivamente richiamato dall'art. 25 c.p.c. – in forza del quale la competenza territoriale per le cause nelle quali è parte un'amministrazione dello Stato spetta al giudice del luogo ove ha sede l'ufficio dell'Avvocatura dello Stato nel cui distretto si trova il giudice che sarebbe competente secondo le norme ordinarie. In base all'art. 25 c.p.c. per le cause nelle quali è parte un'amministrazione dello Stato è competente, a norma delle leggi speciali sulla rappresentanza e difesa dello Stato in giudizio e nei casi ivi previsti, il giudice del luogo dove ha sede l'ufficio dell'avvocatura dello Stato, nel cui distretto si trova il giudice che sarebbe competente secondo le norme ordinarie. Quando l'amministrazione è convenuta, tale distretto si determina con riguardo al giudice del luogo in cui è sorta o deve eseguirsi l'obbligazione o in cui si trova la cosa mobile o immobile oggetto della domanda. In dottrina, è sorto il problema se il foro previsto dall'art. 661 c.p.c. debba o meno prevalere anche sul c.d. foro erariale previsto per le amministrazioni difese dall'Avvocatura distrettuale, con una chiara propensione per l'individuazione del giudice territorialmente competente sulla scorta del foro erariale se la parte intimata è un'amministrazione dello Stato (Arieta, 279; Carrato, 416; Masoni, 298). L'opinione non è però condivisa da tutti gli studiosi, infatti, secondo alcuni, il foro previsto dalla norma in commento dovrebbe prevalere anche sul foro erariale previsto per le amministrazioni difese dall'Avvocatura distrettuale (Frasca 2001, 139). Le Sezioni Unite hanno affermato il principio che non è esclusa la derogabilità del foro erariale sotto i profili evidenziati dalla giurisprudenza in tema di controversie previdenziali, di opposizione a sanzioni amministrative, di disciplina dell'immigrazione o di convalida di sfratto, ogni qual volta – per effetto di specifiche disposizioni concernenti una determinata tipologia di controversie e dettate per soddisfare ragioni ad esse peculiari – si manifesti l'intenzione del legislatore di determinare il foro territorialmente competente in base ad elementi diversi ed incompatibili rispetto a quelli altrimenti risultanti dalla regola del foro erariale e perciò destinati a prevalere su quest'ultima (Cass. S.U., n. 18036/2008). Arbitrato e procedimento di convalidaTra le controversie non deferibili ad arbitri rientrano tutte quelle per le quali è prevista la competenza funzionale ed inderogabile del giudice ordinario, come, in particolare, i procedimenti speciali di convalida di licenza o di sfratto per finita locazione e di sfratto per morosità, previsti dagli artt. 657 e 658 c.p.c. che appartengono alla competenza funzionale del Tribunale. La giurisprudenza ha individuato una serie di controversie non deferibili ad arbitri, tra cui quelle per le quali è prevista la competenza funzionale ed inderogabile del giudice ordinario, che, non potendo essere derogata a favore di un altro giudice, a maggiore ragione non lo può essere in favore di arbitri, come i procedimenti speciali di cui agli artt. 657 e 658 c.p.c. (Cass. III, n. 7127/1995). Ciò tuttavia limitatamente alla prima fase a cognizione sommaria, per la possibilità di conseguire mediante essi un titolo provvisorio di rilascio, immediatamente esecutivo, secondo uno schema legale tipico che sembra incompatibile con la possibilità di una eccezione, in quella sede, relativa alla sussistenza di un valido compromesso, non sussistendo invece alcuna preclusione nella fase successiva a cognizione piena che la causa sia decisa nel merito da arbitri (Trib. Salerno 4 maggio 2007; Cass. III, 31 luglio 2006, n. 17424; Cass. III, n. 7127/1995; Cass. II, n. 387/1991). L'art. 447-bis, comma 2, c.p.c., – il quale stabilisce che per le controversie di cui all'art. 8, comma 2, n. 3), c.p.c. è competente il giudice del luogo dove si trova la cosa, sancendo la nullità delle clausole di deroga alla competenza – ha riguardo alla sola competenza per territorio del giudice (Trib. Mondovì 3 ottobre 2006; Cass. I, n.1914/2000; Cass. III, n. 4652/1999; Pret. Bologna 13 giugno 1997), con la conseguenza che la clausola di compromissione in arbitri di una controversia ordinaria in materia locatizia non è colpita dalla sanzione della nullità stabilita dalla norma citata (Cass. I, n. 19393/2013). Tuttavia, la parte che instaura un giudizio sommario finalizzato ad ottenere un'ordinanza di sfratto per morosità chiedendo contestualmente, nel merito, la risoluzione del contratto di locazione per inadempimento rinuncia implicitamente alla clausola compromissoria (Cass. I, n. 15452/2014). Inoltre, la giurisprudenza di legittimità aveva ritenuto che la speciale sanatoria della morosità del conduttore prevista dall'art. 55 della l. n. 392/1978 – al cui commento si rinvia – fosse ammessa soltanto nel procedimento di convalida di sfratto per morosità di cui all'art. 658 c.p.c., e non anche quando la risoluzione per inadempimento fosse stata chiesta in un ordinario giudizio di cognizione, trovando in tale caso applicazione l'art. 1453, comma 3, c.c., il quale non consente al conduttore di adempiere la propria obbligazione dopo la proposizione della domanda giudiziale (Cass. III, n. 7253/1996; Cass. III, n. 10202/1994). Conseguentemente, l'applicabilità dell'istituto in esame doveva ritenersi esclusa anche nel caso in cui la domanda di risoluzione fosse stata avanzata dinanzi agli arbitri ai quali le parti avessero devoluto le controversie derivanti dal contratto di locazione, non potendo essere proposta in sede arbitrale la domanda di convalida dello sfratto, attribuita alla competenza funzionale ed inderogabile del giudice ordinario, e, restando quindi circoscritta la predetta possibilità alla sola ipotesi in cui il procedimento arbitrale fosse stato preceduto da quello di cui all'art. 658 c.p.c. La Consulta, alla quale era stata rimessa la questione di legittimità costituzionale dell'art. 55 della l. n. 392/1978, nella parte in cui non consentiva la sanatoria giudiziale della morosità nel giudizio ordinario di risoluzione, la dichiarò infondata, rilevando che il testuale riferimento di tale disposizione alla sede giudiziale ed alla prima udienza non era sufficiente a circoscriverne l'ambito applicativo al procedimento per convalida di sfratto, e ritenendo pertanto possibile un'interpretazione idonea ad escludere il prospettato contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. (Corte cost., n. 3/1999). A seguito di tale pronuncia, la giurisprudenza di legittimità ha mutato orientamento, riconoscendo l'applicabilità della sanatoria anche in caso di proposizione della domanda di risoluzione in via ordinaria (Cass. I, n.21836/2014; Cass. III, n. 2087/2000), con la conseguenza che la stessa deve ritenersi ammissibile anche nell'ipotesi in cui la domanda sia proposta direttamente dinanzi agli arbitri. LitispendenzaLa giurisprudenza, nel corso degli anni, si è occupata anche del rapporto esistente tra il giudizio di convalida di sfratto ed il giudizio ordinario avente ad oggetto la cessazione o risoluzione della locazione per inadempimento, quando siano relativi allo stesso rapporto locatizio ed indicano la stessa scadenza ovvero, pongano a fondamento della domanda la stessa causa petendi. Nel periodo anteriore alle novelle degli anni novanta del secolo scorso, in dottrina e giurisprudenza si discuteva in ordine alla esistenza di una situazione di litispendenza fra una causa avente identità di persone, petitum e causa petendi promossa al fine di accertare la finita locazione o comunque la sua risoluzione, ed il giudizio di convalida di sfratto per morosità, incardinate contemporaneamente dinanzi al giudice adito nel procedimento speciale di convalida ed a quello competente nel procedimento ordinario di cognizione. La suddetta problematica è stata affrontata anche tra gli studiosi della materia, tra i quali, in base ad una prima tesi, adesiva ad un orientamento emerso nella stessa giurisprudenza di legittimità, la litispendenza sarebbe da escludersi in considerazione della non omogeneità delle domande che darebbero vita a rapporti processuali con possibili esiti differenti, in quanto, pur avendo i due procedimenti – ordinario e di convalida – la stessa causa di merito, sarebbero tuttavia differenziati dalla possibilità che nel giudizio di convalida quest'ultimo potrebbe esaurirsi con l'emissione di un'ordinanza, mentre in quello ordinario, il giudizio si chiude con sentenza (Anselmi Blaas, 180; Bucci, Crescenzi, 90; Lazzaro, Preden, Varrone, 122). Stando invece ad un'altra tesi, la litispendenza può sussistere quando, per effetto dell'opposizione dell'intimato, il giudizio di convalida previo mutamento del rito ex art. 667 c.p.c. prosegue con il rito ordinario (Garbagnati, 321). Infatti, inizialmente la giurisprudenza di legittimità sembrava essersi orientata nel ritenere sussistente una situazione di litispendenza o continenza di cause tra un giudizio ordinario azionato dal portiere di uno stabile avente diritto all'alloggio di servizio il quale aveva evocato in giudizio dinanzi al Tribunale il proprio datore di lavoro per sentire dichiarare la nullità del licenziamento intimatogli e, conseguentemente, il suo diritto alla prosecuzione del rapporto di lavoro e del godimento dell'alloggio, ed un giudizio di convalida di sfratto successivamente proposto dal medesimo datore di lavoro dinanzi al Pretore, al fine di riottenere la disponibilità dell'alloggio occupato dal suddetto dipendente (Cass. II, n. 1216/1965). A seguito di un revirement giurisprudenziale, si è poi affermato il principio che non sussiste litispendenza tra un procedimento per convalida di licenza o di sfratto per finita locazione ed un procedimento ordinario avente ad oggetto l'accertamento della data di cessazione della locazione, atteso che i due procedimenti, pur avendo in comune la stessa causa di merito, sono differenziati dalla possibilità, nel procedimento speciale, che l'azione si esaurisca con la convalida o che, pur espandendosi, a seguito dell'opposizione dell'intimato, nell'ordinario giudizio di cognizione, avente per oggetto il merito della pretesa, approdi al risultato dell'ordinanza di rilascio con riserva delle eccezioni del convenuto, così realizzandosi effetti di cui l'azione non è suscettibile nel procedimento ordinario e riservati dalla legge espressamente alla competenza funzionale del giudice adito in sede di convalida (Cass. III, n. 10083/1998; Cass. III, n. 3851/1996; Cass. III, n. 5033/1990; Cass. III, n. 1305/1989; Cass. III, n. 3384/1988). In senso parzialmente difforme, si è espressa altra pronuncia di legittimità laddove ha affermato che tra il procedimento per convalida di licenza o di sfratto per finita locazione e quello ordinario di rilascio, anteriormente pendente, avente ad oggetto la cessazione dello stesso contratto di locazione alla medesima scadenza, sussiste litispendenza soltanto se per effetto dell'opposizione dell'intimato, il procedimento azionato ex art. 657 c.p.c. prosegue con il rito ordinario (Cass. III, n. 2692/1993). Non sussiste litispendenza nell'ipotesi che pendano davanti a giudici diversi un giudizio – instaurato con procedimento con convalida di sfratto e proseguito con rito ordinario a seguito dell'opposizione dell'intimato – tendente alla cessazione del contratto per finita locazione e un giudizio concernente la declaratoria di cessazione della proroga legale del contratto per urgente ed improrogabile necessità del locatore essendo diversa – pur nell'identità del petitum – la causa petendi (Cass. III, n. 12035/1990). A seguito delle novelle del 1990 e 1998, con la soppressione dell'ufficio del Pretore, l'unificazione della competenza in capo al Tribunale e l'istituzione del giudice unico di primo grado, le suddette problematiche hanno sostanzialmente perso d'interesse. Infatti, le suddette problematiche sono ormai risolubili sulla scorta della disciplina concernente la riunione che non è però possibile quando le cause pendono in gradi diversi, e connessione di procedimenti pendenti dinanzi al medesimo ufficio giudiziario (Frasca 2001, 588; Di Marzio, 1998, 178; Masoni, 306; Trisorio Liuzzi, 1996, 497). 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