Codice di Procedura Civile art. 424 - Assistenza del consulente tecnico 1 2 .

Vito Amendolagine

Assistenza del consulente tecnico 12.

[I]. Se la natura della controversia lo richiede, il giudice, in qualsiasi momento, nomina uno o più consulenti tecnici, scelti in albi speciali [146 att.], a norma dell'articolo 61. A tal fine il giudice può disporre ai sensi del sesto comma dell'articolo 420 [145 att.].

[II]. Il consulente può essere autorizzato a riferire verbalmente ed in tal caso le sue dichiarazioni sono integralmente raccolte a verbale, salvo quanto previsto dal precedente articolo 422.

[III]. Se il consulente chiede di presentare relazione scritta, il giudice fissa un termine non superiore a venti giorni, non prorogabile, rinviando la trattazione ad altra udienza.

 

[1] Articolo sostituito dall'art. 1, comma 1, l. 11 agosto 1973, n. 533.

Inquadramento

L'art. 424, comma 1, c.p.c. dispone che se la natura della controversia lo richiede, il giudice, in qualsiasi momento, nomina uno o più consulenti tecnici, scelti in albi speciali, a norma dell'art. 61 c.p.c., il quale, a sua volta dispone che quando è necessario, il giudice può farsi assistere, per il compimento di singoli atti o per tutto il processo, da uno o più consulenti di particolare competenza tecnica.

La terminologia adoperata dall'art. 424, comma 1, c.p.c. “se la natura della controversia lo richiede” assume una connotazione equivalente a quella – “quando è necessario” – indicata dall'art. 61 c.p.c. nel rito civile ordinario.

Infatti, la disciplina dettata ad hoc per le controversie di diritto del lavoro e locatizie destinate ad essere trattate con il rito speciale, va integrata con quella dettata dal codice di rito per le controversie soggette al rito civile ordinario.

La dottrina (Picardi, 2232; Tarzia, Dittrich, 203) al riguardo ha evidenziato la necessità che la disciplina dettata per l'assistenza del consulente nel rito speciale debba essere integrata con quella generale, tra cui in particolare, le disposizioni in tema di liquidazione dei compensi al consulente, sull'obbligo di prestare giuramento di bene e fedelmente adempiere le funzioni affidategli al solo scopo di fare conoscere al giudice la verità ai sensi dell'art. 193 c.p.c., oltre che sulla rinnovazione e sostituzione del c.t.u.

Conseguentemente, anche nel rito del lavoro il consulente nominato dal giudice deve rispettare i principi vigenti nell'ordinario rito civile, tra cui in primis, l'obbligo di assumere l'incarico, l'imparzialità ed il rispetto del contraddittorio nell'espletamento delle operazioni di indagine finalizzate al deposito della relazione.

A tale fine, operano anche nello speciale rito del lavoro le disposizioni concernenti l'astensione e ricusazione del c.t.u. ai sensi degli artt. 63 e 192 c.p.c. e la facoltà di nomina del consulente tecnico di parte con dichiarazione ricevuta dal cancelliere che per le controversie di lavoro, il termine previsto dall'art. 201, comma 1, c.p.c. non deve superare i sei giorni, sebbene, non esista una sanzione processuale ad hoc indicata dall'art. 192 c.p.c. in caso di superamento del suddetto termine.

L'art. 424, comma 1, c.p.c. enuncia quindi che a tale fine, il giudice può disporre ai sensi dell'art. 420, comma 6, c.p.c., e, dunque, qualora non sia possibile nominarlo alla stessa udienza di discussione, il giudice fissa altra udienza, non oltre dieci giorni dalla prima, concedendo alle parti, ove ricorrano giusti motivi, un termine perentorio non superiore a cinque giorni prima dell'udienza di rinvio per il deposito in cancelleria di note difensive.

Ai sensi dell'art. 61, comma 2, c.p.c. la scelta del consulente tecnico deve essere normalmente fatta dal giudice tra le persone iscritte in albi speciali.

L'art. 424, comma 2, c.p.c. prevede che il consulente possa essere autorizzato a riferire verbalmente ed in tal caso le sue dichiarazioni sono integralmente raccolte a verbale, salvo quanto previsto dall'art. 422 c.p.c., e, dunque, la facoltà del giudice di autorizzare la sostituzione della verbalizzazione da parte del cancelliere con la registrazione su nastro delle audizioni dei consulenti.

L'art. 424, comma 3, c.p.c. prevede che ove il consulente chiede di presentare una relazione scritta, il giudice fissa un termine non superiore a venti giorni, non prorogabile, rinviando la trattazione ad altra udienza.

Il suddetto termine non può qualificarsi come perentorio non essendo indicato come tale dall'art. 424, comma 3, c.p.c., atteso che la sola previsione contenuta nella stessa norma citata, circa la sua non prorogabilità, non è di per sé sufficiente a determinare la sanzione comminabile in caso di inosservanza di un termine perentorio nel compimento di un atto del processo.

Il consulente tecnico nominato dal giudice nel rito del lavoro

La figura del consulente tecnico nominato dal giudice è disciplinata dagli artt. 61-64, 191-201 c.p.c. e dagli artt. 13-24, 89-92 disp. att. c.p.c., e dall'art. 168 del d.P.R. n. 115/2002 per la liquidazione del compenso con decreto motivato ed immediatamente esecutivo, ma opponibile nel rispetto della disciplina introdotta dall'art. 15 del d.lgs. n. 150/2011, trattandosi di controversia riguardante il decreto di pagamento emesso a favore di un ausiliario del magistrato di cui all'art. 170 del d.P.R. n. 115/2002.

Nel sistema processuale civile italiano le norme che in generale disciplinano la scelta del consulente tecnico d'ufficio hanno carattere ordinatorio e finalità soltanto direttive, restando affidata all'apprezzamento discrezionale del giudice la nomina di tale ausiliare, anche con riferimento alla categoria professionale di appartenenza a alla specifica qualificazione (Cass., sez. lav., n. 10801/1995), con la conseguenza che l'inosservanza delle suddette norme non produce alcuna nullità del processo (Cass., sez. lav., n. 2751/1987).

La nomina del consulente del giudice avviene con riferimento alla persona di un singolo professionista, salvo l'ipotesi prevista dall'art. 191, comma 2, c.p.c., soltanto in caso di grave necessità o quando la legge espressamente lo dispone, in cui, il giudice ha facoltà di nominare più consulenti.

La consulenza tecnica d'ufficio non ha natura di mezzo istruttorio in senso proprio, ed è contemplata dal codice di rito al fine di fornire all'organo, istituzionalmente deputato alla qualificazione giuridica dei fatti e alla valutazione tecnico-giuridica, l'ausilio di accertamenti e giudizi che dipendono dall'applicazione di regole scientifiche e tecniche esulanti dal c.d. sapere della figura professionale cui l'ordinamento affida l'esercizio della giurisdizione.

In buona sostanza, la consulenza tecnica d'ufficio non costituisce un mezzo di prova, ma è finalizzata all'acquisizione, da parte del giudice, di un parere tecnico necessario, o quanto meno utile, per la valutazione di elementi probatori già acquisiti o per la soluzione di questioni che comportino specifiche conoscenze, sicchè la nomina del consulente rientra nel potere discrezionale del giudice, che può provvedervi anche senza alcuna richiesta delle parti.

Allo stesso modo, la motivazione del diniego della nomina del consulente tecnico d'ufficio può anche essere implicitamente desumibile dal contesto generale delle argomentazioni svolte e dalla valutazione del quadro probatorio unitariamente considerato, effettuata dal giudice.

La consulenza tecnica non soggiace al regime delle preclusioni previsto dal rito del lavoro per l'assunzione di mezzi istruttori, sicché può essere ammessa senza che sia indicata specificamente nel ricorso introduttivo (Cass., sez. lav., n. 11169/1993; Cass., sez. lav., n. 5702/1985) può essere disposta d'ufficio dal giudice in qualsiasi momento, ed anche fuori dei limiti stabiliti dal codice civile, quale quello della regola formale di giudizio fondata sull'onere della prova, di cui all'art. 2697 c.c.exartt. 421, comma 2, c.p.c. e 424 c.p.c..

Il giudizio sulla necessità ed utilità di fare ricorso alla c.t.u. e, quindi, sulla deduzione del fatto posto a fondamento della domanda e sulla necessità dell'intervento del consulente per le sue cognizioni tecniche, rientra nel potere discrezionale del giudice, anche quando manchi un'espressa motivazione al riguardo, dovendo ritenersi implicita nell'ammissione del mezzo istruttorio la valutazione della sua opportunità (Cass., sez. lav., n. 10658/1999; Cass., sez. lav., n. 10739/1996; Cass. S.U., n. 10127/1994).

A seguito della nomina del c.t.u. il giudice fissa ai sensi dell'art. 420, comma 6, c.p.c. l'udienza per il giuramento ai sensi dell'art. 193 c.p.c. e la formulazione dei quesiti.

In dottrina, si ritiene che i quesiti debbano essere formulati all'udienza di rinvio per il giuramento del c.t.u. (Tarzia, Dittrich, 204); contra, l'opinione di chi invece sostiene che i quesiti debbano essere formulati alla stessa udienza di nomina del c.t.u. (Barone, 326).

La data di inizio delle operazioni peritali se fissata dal giudice con provvedimento reso all'udienza fissata per il giuramento del consulente, non deve essere necessariamente comunicata al difensore della parte assente.

Nel rito del lavoro, stante l'esigenza di contemperare il principio dispositivo con quello della ricerca della verità materiale, il giudice, anche successivamente al verificarsi delle preclusioni istruttorie ed ove reputi insufficienti le prove già acquisite, può disporre d'ufficio l'ammissione di nuovi mezzi di prova per l'accertamento degli elementi allegati o contestati dalle parti od emersi dall'istruttoria e, deve assegnare il termine perentorio per la formulazione della prova contraria se la parte interessata abbia inteso avvalersi del diritto di controdedurre (Cass. lav., n. 24024/2021).

La valutazione della consulenza tecnica d'ufficio

Il giudice che aderisce alle conclusioni della c.t.u. che abbia replicato ai rilievi dei consulenti di parte non deve ulteriormente motivare la sua decisione, né soffermarsi sulle allegazioni contrarie dei consulenti tecnici di parte, che restano implicitamente disattese perché incompatibili con le conclusioni dell'elaborato peritale, senza che possa configurarsi un vizio di motivazione, in quanto le critiche di parte, che tendono al riesame degli elementi di giudizio già valutati dal c.t.u. si risolvono in mere argomentazioni difensive (App. Roma 1° ottobre 2021).

Le valutazioni espresse dal consulente tecnico d'ufficio non hanno efficacia vincolante per il giudice e, tuttavia, egli può legittimamente disattenderle soltanto attraverso una valutazione critica, che sia ancorata alle risultanze processuali e risulti congruamente e logicamente motivata (App. Roma 28 settembre 2021).

In virtù di questa configurazione, gli accertamenti ed i giudizi del consulente sono giuridicamente imputati all'organo giurisdizionale e fanno parte integrante della motivazione dei suoi atti, ma è proprio la titolarità della funzione giurisdizionale a non consentire al magistrato di avvalersi di consulenti tecnici per la risoluzione di questioni di diritto (Cass. S.U., n. 11037/2008).

La finalità della c.t.u. è quella di aiutare il giudice nella valutazione degli elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che comportino specifiche conoscenze, ragione per cui il suddetto mezzo di indagine non può essere disposto al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume ed è, quindi, legittimamente negato dal giudice qualora la stessa tenda, con esso, a supplire alla lacuna delle proprie allegazioni o offerta di prove ovvero a compiere un'indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati (Trib . Latina 2 agosto 2021).

Conseguentemente, il consulente tecnico d'ufficio può acquisire ogni elemento necessario a rispondere ai quesiti, sebbene risultante da documenti non prodotti dalle parti, sempre che si tratti di fatti accessori, rientranti nell'ambito strettamente tecnico della consulenza, e costituenti il presupposto necessario per rispondere ai quesiti formulati, e non di fatti e situazioni che, essendo posti direttamente a fondamento della domanda o delle eccezioni delle parti, debbano necessariamente essere provati dalle stesse (Cass. II, n. 21926/2021).

La consulenza tecnica è quindi uno strumento di valutazione, sotto il profilo tecnico-scientifico, di dati già acquisiti, che può contenere elementi idonei a formare il convincimento del giudice, fermo restando che la consulenza tecnica non può essere utilizzata al fine di esonerare la parte del fornire la prova di quanto deduce a fondamento della domanda introdotta nel giudizio (Cass., sez. lav., n. 7319/1999; Cass. I, n. 10871/1999; Cass. S.U., n. 9522/1996), come, ad esempio, ai fini del riconoscimento del diritto all'assegno di invalidità, dove il carattere della permanenza dello stato invalidante non si identifica con la definitività ed immutabilità dello stesso, posto che anche un'infermità emendabile e guaribile può dare luogo ad incapacità lavorativa nella misura richiesta per la percezione di detto assegno (Cass., sez. lav., n. 13528/1999).

Pertanto, ove il giudice affidi al consulente lo svolgimento di accertamenti e la formulazione di valutazioni giuridiche o di merito inammissibili, non può risolvere la controversia in base ad un richiamo alle conclusioni del consulente stesso, ma può condividerle soltanto ove formuli una propria autonoma motivazione basata sulla valutazione degli elementi di prova legittimamente acquisiti al processo e dia sufficiente ragione del proprio convincimento, tenendo conto delle contrarie deduzioni delle parti se tradotte in rilievi ed osservazioni specifiche e concrete (Cass., sez. lav., n. 1186/2016; Cass., sez. lav., n. 996/1999).

In particolare, qualora il giudice ritenga di aderire al parere del consulente tecnico di ufficio, è tenuto a spiegare in maniera corretta ed esauriente i motivi delle sue conformi conclusioni, nel caso in cui le affermazioni contenute nell'elaborato peritale siano oggetto, nella impostazione difensiva della parte, di critiche precise e circostanziate idonee, se fondate, a condurre a conclusioni diverse da quelle indicate nella consulenza tecnica (Cass., sez. lav., n. 17720/2011).

Il giudice può affidare al consulente tecnico non solo l'incarico di valutare i fatti accertati o dati per esistenti – consulente deducente – ma anche quello di accertare i fatti stessi – consulente percipiente – con la conseguenza che in quest'ultima ipotesi, in cui la consulenza costituisce essa stessa fonte oggettiva di prova, è necessario e sufficiente che la parte deduca il fatto che pone a fondamento del suo diritto e che il giudice ritenga che l'accertamento richieda specifiche cognizioni tecniche, come nel caso in cui l'intervento del consulente è ritenuto necessario per rilevare le caratteristiche tecniche dell'immobile locato, e valutarne la conformità, negata dalla parte, a quelle richieste dalla categoria catastale attribuita dall'ufficio tecnico (Cass. III, n. 27002/2005).

Infatti, se la consulenza tecnica d'ufficio si risolve nell'accertamento di situazioni rilevabili solo con l'ausilio di specifiche cognizioni o strumentazioni tecniche, come avviene con la consulenza medico-legale, il giudice può aderire alle conclusioni del consulente senza essere tenuto a motivare esplicitamente l'adesione (Cass., sez. lav., n. 1149/2011), ma se le affermazioni contenute nell'elaborato peritale siano oggetto, nella impostazione difensiva della parte, di critiche precise e circostanziate idonee, se fondate, a condurre a conclusioni diverse da quelle indicate nella consulenza tecnica, allora non adempie all'obbligo di motivazione il giudice che, per confutare le suddette critiche, si limita a generiche affermazioni di adesione al parere del consulente (Cass. II, n. 7150/1995).

L'orientamento più rigoroso di legittimità ritiene che il giudice è tenuto a motivare sul rigetto della argomentata richiesta di rinnovazione delle indagini tecniche proposta dalla parte (Cass. I, n. 9379/2011), mentre l'orientamento meno restrittivo considera che il giudice non è tenuto, anche a fronte di una esplicita richiesta di parte, a disporre una nuova consulenza tecnica d'ufficio, atteso che il rinnovo dell'indagine tecnica rientra tra i poteri istituzionali del giudice di merito (Cass. III, n. 17693/2013; Cass., sez. lav., n. 20227/2010).

Tuttavia, qualora nel corso del giudizio di merito vengano espletate più consulenze tecniche in tempi diversi e con risultati difformi, il giudice può seguire il parere che ritiene più congruo o discostarsene, dando adeguata e specifica giustificazione del suo convincimento, atteso che quando intenda uniformarsi alla seconda consulenza, non può limitarsi ad una adesione acritica, ma deve giustificare la propria preferenza indicando le ragioni per cui ritiene di disattendere le conclusioni del primo consulente, salvo che queste risultino criticamente esaminate dalla nuova relazione e sempre che non siano state formulate dalle parti interessate critiche precise e circostanziate al riguardo idonee, se fondate, a condurre a conclusioni diverse da quelle indicate nella consulenza tecnica (Cass., sez. lav., n. 19572/2013; Cass., sez. lav., n. 418/1998).

Il termine previsto dall'art. 424, comma 3, c.p.c.

La dottrina ritiene inadeguato il termine non prorogabile previsto dall'art. 424, comma 3, c.p.c. per il deposito della relazione del c.t.u., osservando che la sua eventuale in osservanza possa soltanto giustificare la sostituzione del consulente ex art. 196 c.p.c. (Montesano, Vaccarella, 210; Tarzia, Dittrich, 206) e, nel caso in cui pur essendo scaduto il termine per il deposito, non sia stata disposta la sostituzione del consulente, il giudice potrà comunque acquisire i risultati dell'elaborato peritale depositato tardivamente (Montesano, Vaccarella, 210; Tarzia, Dittrich, 206).

La giurisprudenza è invece divisa su tale questione, in quanto una parte di quest'ultima ritiene che l'inosservanza del termine stabilito dall'art. 424, comma 3, c.p.c. per il deposito della relazione del consulente nominato dal giudice comporti la nullità relativa dell'elaborato peritale ex artt. 156, comma 3, e 157 c.p.c. integrando una nullità relativa che resta però sanata se non opposta dalla parte nella prima difesa successiva alla scadenza del termine per il deposito della stessa relazione peritale oppure qualora solleciti la sostituzione del consulente tecnico, ai sensi dell'art. 196 c.p.c. (Cass., sez. lav., n. 3488/1999; Cass., sez. lav., n. 2337/1985, in cui si afferma altresì che il termine indicato dall'art. 424 c.p.c. per la presentazione della relazione del consulente tecnico d'ufficio ha carattere ordinatorio, perché, pur assolvendo la funzione di accelerare i tempi di svolgimento del processo, non è comminata per la sua inosservanza alcuna sanzione), mentre secondo altro orientamento, se è esatto che l'art. 424, comma 3, c.p.c. stabilisce che il termine di presentazione della relazione scritta da parte del consulente tecnico d'ufficio non può essere superiore a venti giorni e non è prorogabile, tuttavia tale disposizione non può comportare – secondo i principi che regolano il vigente sistema processuale civile – la nullità della consulenza, posto che essa non è sancita dalla legge, trattandosi peraltro dell'inosservanza di un termine che la legge non definisce perentorio (Cass., sez. lav., n. 3647/1989; in senso conforme nel ritenere ordinatorio il termine per il deposito della relazione scritta del consulente nominato dal giudice Cass., sez. lav., n. 2698/1983).

In dottrina, si ritiene che al termine stabilito dall'art. 424, comma 3, c.p.c. sebbene abbia un'indubbia funzione acceleratoria per lo svolgimento della consulenza, debba riconoscersi carattere ordinatorio, non essendo prevista alcuna sanzione per la sua eventuale inosservanza (Picardi, 2234).

La nomina del consulente di parte

La nomina del consulente tecnico di parte può essere validamente fatta dinanzi al consulente tecnico d'ufficio con dichiarazione ricevuta da quest'ultimo (Trib. Roma 7 aprile 2004).

Il termine assegnato dal giudice alle parti, ai sensi dell'art. 201 c.p.c., per la nomina di propri consulenti, costituisce un termine ordinatorio, ma la sua inosservanza, secondo una risalente giurisprudenza di legittimità, non sarebbe priva di effetti giuridici, atteso che il rimedio che il legislatore offre per ovviare alla sua scadenza è quello della proroga prima del suo verificarsi, ragione per cui, il decorso del suddetto termine senza la previa presentazione di un'istanza di proroga, comporterebbe gli stessi effetti preclusivi della scadenza del termine perentorio (Cass., sez. lav., n. 8976/1992).

Un successivo orientamento di legittimità, re melius perpensa, ha invece statuito che la non prorogabilità di un termine processuale ordinatorio scaduto, non costituisce una qualità che comporti un mutamento di natura del termine medesimo e la sua trasformazione in perentorio, con la conseguenza che i termini ordinatori possono essere prorogati sia prima che dopo la loro scadenza senza che, nella seconda ipotesi, possano derivare effetti preclusivi analoghi a quelli che conseguono all'inosservanza di un termine perentorio (Cass. I, n. 25662/2014).

Ciò premesso, la nomina di un tecnico di fiducia costituendo esercizio del diritto costituzionale di difesa, non può tradursi né in un obbligo né in una preclusione temporale a prospettare critiche o a richiedere chiarimenti rispetto all'indagine svolta.

La nuova formulazione dell'art. 195, comma 2, c.p.c. applicabile anche nel rito lavoristico e locatizio, non ha modificato la natura e la funzione della nomina dei consulenti di parte ma ha soltanto stabilito che, qualora di essi la parte si avvalga, nell'ordinanza con quale viene conferito l'incarico peritale, deve essere indicato un termine entro il quale il consulente d'ufficio deve mettere a disposizione delle parti costituite la relazione, un altro termine entro il quale devono essere trasmesse al consulente d'ufficio le osservazioni di parte ed infine un ultimo termine entro il quale il consulente d'ufficio deve depositare la relazione peritale, con le osservazioni critiche e le sue repliche ad esse.

La procedimentalizzazione della dialettica difensiva nello svolgimento ed all'esito della consulenza tecnica d'ufficio si fonda sull'esigenza di evitare dilazioni e rinvii d'udienza successivi al deposito della consulenza, finalizzati all'esercizio del diritto di critica sull'elaborato peritale, rimanendo tuttavia fermo il principio secondo il quale alla parte non può essere impedito di criticare la relazione peritale anche se non abbia tempestivamente nominato i propri consulenti di parte, non avendo la novella processuale introdotto alcuna limitazione o decadenza all'esercizio del diritto di difesa.

L'art. 194, comma 2, c.p.c., rimasto immutato, stabilisce, infatti che le parti possono intervenire di persona o per mezzo di consulenti di parte e possono presentare osservazioni od istanze al consulente per iscritto od a voce, rientrando tale attività nel fisiologico esercizio della funzione difensiva (Cass. I, n. 17269/2014).

La citata disposizione normativa, nella parte in cui indica il termine massimo per la nomina del consulente di parte, sembrerebbe riferita alle sole controversie di lavoro, previdenza ed assistenza, ragione per cui potrebbe sussistere il ragionevole dubbio circa la possibilità di applicare analogicamente il suddetto termine massimo anche alla nomina del consulente di parte nelle controversie disciplinate dal rito locatizio, sebbene improntate ugualmente alla celerità nello svolgimento delle relative operazioni peritali, in considerazione però del differente grado di importanza degli interessi sottostanti, alla cui tutela deve ritenersi funzionalmente preordinata la stessa compressione della tempistica processuale determinata dal legislatore.

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