L’Adunanza Plenaria è stata investita del nodo interpretativo sulle falsità, omissioni, reticenze e “mezze verità” nelle dichiarazioni di gara
14 Aprile 2020
Il fatto. L'Autorità portuale di Taranto bandiva una procedura aperta per l'affidamento di lavori cui partecipavano tre imprese. Dopo la pubblicazione dell'aggiudicazione la seconda classificata veniva estromessa dalla gara, con conseguente rimodulazione della graduatoria. A seguito dei controlli sull'aggiudicataria, la stazione appaltante contestava la falsità della dichiarazione resa dal consorzio ausiliario, in quanto una consorziata di quest'ultima al momento della partecipazione alla gara non era più in possesso dell'attestazione SOA in corso di validità. La stazione appaltante contestava che il consorzio ausiliario pur avendo avuto contezza di tale perdita aveva comunque dichiarato di possedere i requisiti di partecipazione computando la suddetta impresa consorziata. L'autorità portuale, conseguentemente, annullava l'aggiudicazione, rimodulando nuovamente la graduatoria a favore della seconda classificata. Con sentenza n. 846 del 22 maggio 2019, il TAR pugliese(Lecce) respingeva il ricorso della (precedente) aggiudicataria e con sentenza n. 453 del 21 marzo 2019 respingeva il ricorso proposto dalla (precedente) terza classificata. Entrambe le imprese proponevano appello.
La questione giuridica e la disciplina applicabile alla procedura. La questione giuridica controversa riguarda la portata, consistenza, perimetrazione e gli effetti degli obblighi dichiarativi gravanti sugli operatori economici in sede di partecipazione alle procedure di gara, con particolare riferimento all'esclusione per falsa dichiarazione, ai sensi delle lettere c) e f-bis) del comma 5 dell'art. 80 del d. lgs. n. 50/2016. Nel caso di specie la versione dell'art. 80 applicabile ratione temporis alla procedura è quella risultante dal testo anteriore alle modifiche apportate dall'art. 5, comma 1, del d. l. 14 dicembre 2018, n. 135, convertito dalla legge 11 febbraio 2019, n. 12. La disposizione transitoria dello stesso art. 5, comma 2, prevede che “le disposizioni di cui al comma 1 si applicano alle procedure i cui bandi o avvisi, con i quali si indicono le gare, sono pubblicati successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto [...]”, cioè successivamente al 15 dicembre 2018. Il Collegio premette che le “irregolarità di carattere dichiarativo” sono “normativamente definite nel quadro delle “situazioni” concretanti “gravi illeciti professionali”, idonei, come tali, a “rendere dubbia” l'”integrità” e l'”affidabilità” del concorrente”. Si precisa che l'obbligo dichiarativo è “essenzialmente strumentale (…) (solo) a mettere in condizione la stazione appaltante di conoscere tutte le circostanze rilevanti per l'apprezzamento dei requisiti di moralità e meritevolezza soggettiva: non obbligo fine a se stesso, ma servente. (…)Nondimeno, la sua (distinta) previsione come (specifico, legittimo ed autonomo) motivo di esclusione testimonia (ad onta della, non decisiva, scissione della lettera c) e della successiva lettera c-bis) da ultimo operata dal d. l. 135/2018, convertito dalla l. n. 12/2019) della sua attitudine a concretare, in sé, una forma di grave illecito professionale: nel qual caso, il necessario nesso di strumentalità rispetto alle valutazioni rimesse alla stazione appaltante finisce per dislocarsi dal piano del concreto apprezzamento delle circostanze di fatto, rimesso alla mediazione valutativa della stazione appaltante, al piano astratto di una illiceità meramente formale e presunta, operante de jure”. L'ordinanza sottolinea la necessità di perimetrare la portata e i limiti degli obblighi dichiarativi in capo agli operatori.
Il contrasto interpretativo riguarda l'esistenza o meno di un obbligo dichiarativo generalizzato in capo agli operatori e di un'individuazione tipologica dei gravi illeciti professionali.
Secondo un orientamento giurisprudenziale l'art. 80, co. 5, lett. c, del Codice ha carattere meramente esemplificativo, potendo la stazione appaltante desumere il compimento di gravi illeciti professionali da “ogni vicenda pregressa, anche non tipizzata, dell'attività professionale dell'operatore economico di cui fosse accertata la contrarietà a un dovere posto in una norma civile, penale o amministrativa (cfr. ex permultis, Cons. St., sez. V, 24 gennaio 2019, n. 586; Id., 25 gennaio 2019, n. 591; 3 gennaio 2019, n. 72; Id., III, 27 dicembre 2018, n. 7231), se stimata idonea a metterne in dubbio l'integrità e l'affidabilità”. Per tale orientamento “gli obblighi informativi decampano dalla logica della mera strumentalità, diventando obblighi finali, dotati di autonoma rilevanza: di dal che l'omissione, la reticenza, l'incompletezza divengono – insieme alle più gravi decettività e falsità – forme in certo senso sintomatiche di grave illecito professionale in sé e per sé”. In questo quadro, ancorché non univocamente (in senso parzialmente contrario, cfr. Cons. St., III, 23 agosto 2018, n. 5040; Id., V, 3 aprile 2018, n. 2063; III, Id., 12 luglio 2018, n. 4266), si è interpretato l'ultimo inciso l'art. 80, comma 5, lett. c), attribuendogli il significato di “norma di chiusura, che impone agli operatori economici di portare a conoscenza della stazione appaltante tutte le informazioni relative alle proprie vicende professionali, anche non costituenti cause tipizzate di esclusione (Cons. Stato, V, 11 giugno 2018, n. 3592; 25 luglio 2018, n. 4532; 19 novembre 2018, n. 6530; III, 29 novembre 2018, n. 6787)”. Tale indirizzo ritiene valida tale conclusione anche dopo la modifica dell'art. 80, comma 5, realizzata dall'art. 5 d.l. n. 135 del 2018 (cfr. Cons. St., V, 22 luglio 2019, n. 5171).
Altra parte della giurisprudenza amministrativa ha affermato che l'esistenza di un “generalizzato obbligo dichiarativo” senza alcun limite “potrebbe rilevarsi eccessivamente oneroso per gli operatori economici, imponendo loro di ripercorrere a beneficio della stazione appaltante vicende professionali ampiamente datate o, comunque, del tutto insignificanti nel contesto della vita professionale di una impresa” (Cons. Stato, V, 22 luglio 2019, n. 5171; Id., V, 3 settembre 2018, n. 5142), sicché ha individuato tale limite in “un limite temporale all'obbligo dichiarativo, ancorato alla postulata irrilevanza di illeciti commessi dopo il triennio anteriore alla adozione degli atti indittivi (cfr., tra le varie, Cons. Stato, V, 5 marzo 2020, n. 1605)”. In base a tale orientamento occorre distinguere: a) “l'omissione delle informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione, che comprende anche la reticenza, cioè l'incompletezza, con conseguente facoltà della stazione appaltante di valutare la stessa ai fini dell'attendibilità e dell'integrità dell'operatore economico (cfr. Cons. Stato, V, 3 settembre 2018, n. 5142)”; b) “la falsità delle dichiarazioni, ovvero la presentazione nella procedura di gara in corso di dichiarazioni non veritiere, rappresentative di una circostanza in fatto diversa dal vero, cui conseguirebbe, per contro, l'automatica esclusione dalla procedura di gara, deponendo in maniera inequivocabile nel senso dell'inaffidabilità e della non integrità dell'operatore economico (laddove, per l'appunto, ogni altra condotta, omissiva o reticente che sia, comporterebbe l'esclusione dalla procedura solo per via di un apprezzamento da parte della stazione appaltante che sia prognosi sfavorevole sull'affidabilità dello stesso) (cfr. Cons. Stato, V, 12 aprile 2019, n. 2407)”. Il Collegio precisa che la suddetta distinzione può essere approfondita e precisata distinguendo: a) falsità di “informazioni” fornite (lettera c-bis), di “dichiarazioni” rese e di “documentazione” presentata (lettere f-bis, f- ter e g, nonché il comma 12), dando rilevanza peraltro, talora alla mera (ed obiettiva) “non veridicità”, talaltra ai profili di concreta “rilevanza o gravità” ovvero ai profili soggettivi di imputabilità (evocati dal riferimento alla negligenza, alla colpa, anche grave, o addirittura al dolo); b) attitudine “fuorviante” delle informazioni (intesa quale suscettibilità di influenzare il processo decisionale in ordine all'esito della fase di ammissione); c) mera “omissione” (di informazioni dovute). Inoltre, “si distingue, con esclusivo riguardo alle falsità dichiarative e documentali, secondo che le stesse rimontino a condotte (attive od omissive), a loro volta poste in essere (cfr. comma 6), prima ovvero nel corso della procedura”.
Tale distinzione comporta diverse conseguenze, in quanto: - la falsità sia dichiarativa che documentale è “più gravemente sanzionata dall'obbligo di segnalazione all'ANAC gravante sulla stazione appaltante in forza del comma 12 e della possibile iscrizione (in presenza di comportamento doloso o gravemente colposo e subordinatamente ad un apprezzamento di rilevanza) destinata ad operare anche nelle successive procedure evidenziali, nei limiti del biennio (lettere f-ter e g, quest'ultima riferita, peraltro, alla falsità commessa ai fini del rilascio dell'attestazione di qualificazione)” e ha attitudine espulsiva automatica, oltreché (potenzialmente e temporaneamente) ultrattiva; - le informazioni semplicemente fuorvianti giustificano solo – trattandosi di modalità atta ad influenzare indebitamente il concreto processo decisionale in atto – l'estromissione dalla procedura nella quale si collocano; - l'omissione (e la reticenza) dichiarativa si appalesa per definizione insuscettibile (a differenza della falsità e della manipolazione fuorviante, di per sé dimostrative di pregiudiziale inaffidabilità) di legittimare l'automatica esclusione dalla gara, dovendo sempre e comunque rimettersi all'apprezzamento di rilevanza della stazione appaltante a fini della formulazione di prognosi in concreto sfavorevole sull'affidabilità del concorrente.
La distinzione – precisa il Collegio – rileva anche sotto un distinto e concorrente profilo in quanto la “falsità, come predicato contrapposto alla verità, costituisce frutto del mero apprezzamento di un dato di realtà, cioè di una situazione fattuale per la quale possa alternativamente porsi l'alternativa logica vero/falso, accertabile automaticamente (anche in sede giudiziale, in virtù della pienezza dell'accesso al fatto garantita dalle regole del processo amministrativo: cfr. art. 64 cod. proc. amm.). Per contro, la dichiarazione mancante non potrebbe essere apprezzata in quanto tale, dovendo essere, volta a volta, valutate le circostanze taciute, nella prospettiva della loro idoneità a dimostrare l'inaffidabilità del concorrente. Tale valutazione, in quanto frutto di apprezzamenti ampiamente discrezionali, non potrebbe essere rimessa all'organo giurisdizionale, ma andrebbe necessariamente effettuata (eventualmente a posteriori) dalla stazione appaltante; a differenza della falsità, che è di immediata verifica e riscontro, anche in sede contenziosa”.
L'ordinanza conclude sottolineando che anche qualora si ritenesse corretta la qualificazione in termini di falsità della dichiarazione resa dalla ricorrente/appellante (ex aggiudicataria) e, dunque, corretta l'esclusione automatica, sottratta al vaglio di concreta rilevanza – “occorrerebbe, gradatamente, decidere i motivi affidati all'appello incidentale proposto dalla controinteressata, con i quali si denunziano plurime omissioni dichiarative in cui l'aggiudicataria sarebbe incorsa: omissioni per le quali l'alternativa tra l'approccio formalistico (valorizzato dall'appellante incidentale ad excludendum) e l'approccio sostanzialistico sarebbe decisiva”. |