Il Codice della crisi “rimbalza” a causa del CoVid-19
21 Aprile 2020
Il 15 agosto prossimo sarebbe dovuto entrare in vigore – per gran parte delle sue norme - il nuovo Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza (contenuto nel D.Lgs. n. 14/2019).
Erano anni che si attendeva questo fausto evento, non solo perché il Codice – destinato a soppiantare l'attuale, ma ormai vetusta legge fallimentare del '42 – offre una più aggiornata, armonica ed articolata risistemazione del diritto concorsuale, ma soprattutto per la diversa filosofia che lo ispira, modernamente orientata, da un lato, non solo a sanzionare, ma ancor prima a prevenire le situazioni di crisi, introducendo un diffuso sistema di monitoraggio con strumenti di allerta, interni ed esterni all'impresa, per anticiparne l'emersione e consentire un più tempestivo intervento per fronteggiarle; dall'altro, quando sia inevitabile “fallire”, a rendere meno traumatico tale evento, promuovendo una cultura del risanamento anzichè dell'eliminazione delle imprese dal mercato.
Sennonchè, come i più ormai avevano previsto, il D.L. 8 aprile 2020, n. 23, già ribattezzato col nome di “Decreto Liquidità”, o “Decreto Imprese” a causa dei massicci interventi finanziari di sostegno alle imprese che esso contiene, ha stabilito il differimento di un anno e 16 giorni dell'entrata in vigore del Codice della crisi, fissandola al 1° settembre 2021.
In definitiva, potremmo dire, l'attuale crisi sistemica, non solo sanitaria ma anche economica, dovuta all'epidemia da Coronavirus, ha avuto la meglio anche su un Codice destinato a regolare in modo più efficiente proprio la forma di crisi economica più rilevante, quella delle imprese.
Siamo quindi di fronte ad un apparente paradosso, poiché non sembra logico che dinanzi ad una crisi (anche) economica, terribile come quella che stiamo vivendo, si paralizzi per un altro anno ancora uno strumento che proprio una simile crisi, sia pure riguardata nel peculiare ambito dell'attività d'impresa, era destinato a fronteggiare.
Il paradosso è, però, appunto, solo apparente. Si è già avuto modo di chiarire che il Codice vede l'insolvenza non più come illecito da sanzionare, ma, più laicamente, come evento naturale nel quadro del rischio implicito nell'attività d'impresa, e dunque, per quanto fenomeno patologico, comunque statisticamente prevedibile, nel quadro delle ordinarie situazioni di crisi. Purtroppo, però, quella attuale dovuta al Coronavirus non può certo definirsi una crisi “ordinaria”. Essa, al contrario, anche per il suo carattere globale, come del resto mondiale è per definizione la pandemia in atto, sembra profilarsi come la crisi economica più grave dopo quella del '29, ed è forse anche peggiore. Per tale motivo è comprensibile che il Governo abbia ritenuto inappropriato ed anacronistico – in questo momento – dare vita ad uno strumento mai prima collaudato, e studiato per affrontare, in linea di principio, solo crisi “ordinarie”. Si pensi, ad esempio, al nuovo sistema dell'allerta, concepito nell'ottica di un quadro economico stabile e caratterizzato da oscillazioni fisiologiche, all'interno del quale, quindi, la preponderanza delle imprese non sia colpita dalla crisi, e nel quale sia possibile conseguentemente concentrare gli strumenti predisposti dal Codice sulle sole imprese che versino in uno stato di crisi. In una situazione in cui l'intero tessuto economico mondiale risulta colpito da una gravissima forma di crisi, però, gli indicatori di crisi previsti dal Codice non potrebbero svolgere alcun concreto ruolo selettivo, finendo di fatto per mancare quello che è il proprio obiettivo ed anzi generando effetti potenzialmente sfavorevoli. È questo – in estrema sintesi - il senso del rinvio dell'entrata in vigore del Codice e il succo della spiegazione che ne ha dato il Governo con la Relazione illustrativa che accompagna il decreto-legge. Dunque: è pur vero che la filosofia del nuovo Codice è orientata verso il salvataggio delle imprese in crisi relegando la soluzione liquidatoria (l'attuale fallimento) ad extrema ratio, ma è altrettanto indubitabile che in questo particolare momento di crisi del sistema produttivo ed economico potrebbe verificarsi un fenomeno di “rigetto” del Codice, come quello che colpisce un corpo malato pur quando gli si trapianti un organo sano, se manchi la compatibilità tra le due materie e non possa praticarsi un'idonea terapia antirigetto. E certamente vi è scarsa compatibilità tra uno strumento giuridico nuovo ed una situazione di sofferenza economica nella quale gli operatori più che mai hanno necessità di percepire una stabilità a livello normativo e di non soffrire le incertezze collegate ad una disciplina in molti punti inedita.
Ecco, nel corso del prossimo anno il Governo intende sfruttare il tempo del differimento appunto per approntare qualche “medicina” in più, che consenta poi al Codice di avere piena ed utile attuazione, quando ormai la fase più acuta dell'epidemia – si auspica – si sarà dileguata, ed il sistema economico sarà gradualmente tornato alla “normalità”. Tra le varie medicine dovrebbe esservi l'emanazione di un decreto correttivo - già in corso di approvazione definitiva - che apporta vari miglioramenti alle norme del Codice e probabilmente una revisione complessiva degli indici economici posti a base del sistema di allerta; ma anche – e qui si sale dal livello nazionale a quello internazionale – le misure di revisione dei requisiti patrimoniali delle banche, che, in un panorama di massiccio incremento delle sofferenze, necessiteranno probabilmente di un'adeguata rivalutazione. A beneficio di chi abbia la curiosità di sapere come mai il rinvio non è stato fatto in cifra tonda (ad es. di un anno), ma nella singolare misura di un anno e 16 giorni, il Governo ha chiarito che, siccome l'originaria data di entrata in vigore del Codice era collocata a metà del mese di agosto, si è temuto che, anche riproponendola nel 2021, potessero presentarsi concreti problemi applicativi, considerato che la data stessa sarebbe caduta in un periodo in cui gli uffici giudiziari hanno una ridotta operatività anche nelle sezioni specializzate. Per tale motivo si è optato per collocare l'entrata in vigore alla cessazione della c.d. sospensione feriale (dopo quindi il mese di agosto), quando si assiste alla piena ripresa di tutte le attività dei Tribunali.
Fonte: La Repubblica |