La domanda di concordato preventivo può salvare l'imprenditore dal reato di omesso versamento delle imposte?

La Redazione
13 Maggio 2020

In caso di crisi dell'impresa, l'imprenditore che sia consapevole di avere un debito fiscale che verrà a scadenza certa, deve ponderare la miglior soluzione valutando anche le conseguenze penali dell'eventuale omissione del pagamento dei debiti tributari, «non potendo poi opporre, per escludere la sua penale responsabilità, unicamente l'aver dato corso alla procedura negoziale di risoluzione della crisi d'impresa».

In caso di crisi dell'impresa, l'imprenditore che sia consapevole di avere un debito fiscale che verrà a scadenza certa, deve ponderare la miglior soluzione valutando anche le conseguenze penali dell'eventuale omissione del pagamento dei debiti tributari, «non potendo poi opporre, per escludere la sua penale responsabilità, unicamente l'aver dato corso alla procedura negoziale di risoluzione della crisi d'impresa».

Il caso. Con la sentenza n. 13628/2020, depositata il 5 maggio, la Corte di Cassazione affronta la questione relativa al rapporto tra la procedura di concordato preventivo del soggetto tenuto al versamento delle imposte e le conseguenze in termini di impossibilità o meno di adempiere all'obbligo di versamento imposto della legge tributaria, oltre alla successiva rilevanza di tale omissione sul piano penale. La Procura della Repubblica aveva infatti presentato ricorso avverso l'ordinanza emessa ex art. 322-bis c.p.p. con cui era stato confermato il rigetto della richiesta di sequestro preventivo per equivalente di una somma di denaro nei confronti del legale rappresentante di una società per azioni indagato per omesso versamento delle ritenute di imposta. Secondo i giudici di merito, al momento della consumazione del reato, l'indagato, avendo chiesto l'ammissione alla procedura di concordato preventivo in bianco, ma non avendo ancora ottenuto il decreto di ammissione alla stessa, non avrebbe potuto esercitare i poteri di amministrazione in forza dell'art. 167 L. fall..

Domanda di ammissione al concordato preventivo e poteri dell'imprenditore. Il Collegio precisa in primo luogo che «la procedura di concordato preventivo, a differenza della procedura fallimentare, non priva l'imprenditore in crisi dell'amministrazione dei beni, ma gli consente il compimento di alcuni atti gestori, situazione che viene comunemente indicata come "spossessamento attenuato"».

Di conseguenza, l'imprenditore che ha presentato una domanda di concordato conserva l'amministrazione del patrimonio e la gestione dell'impresa, potendo compiere gli atti di amministrazione ordinaria, mentre è prevista l'autorizzazione del tribunale per gli atti di straordinaria amministrazione. Con specifico riferimento alle condotte di omesso versamento, la giurisprudenza ha inoltre chiarito che «non si prescinde, innanzitutto, da un basilare presupposto, rappresentato dalla anteriorità del provvedimento di ammissione al concordato rispetto alla scadenza del termine di legge che segna anche il momento consumativo del reato di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10-bis. Diversamente, ma non è il caso in esame, se l'obbligazione tributaria scada precedentemente alla domanda di concordato, non vi sono questioni sulla rilevanza penale dell'omissione costituente reato».

La pronuncia ripercorre dunque la disciplina del concordato preventivo e i diversi orientamenti giurisprudenziali relativamente alla problematica in oggetto e giunge ad affermare che «gli eventuali effetti inibitori della procedura di ammissione al concordato preventivo rispetto al reato di omesso versamento possono porsi unicamente con riguardo alle condotte di cui ai reati di omesso versamento la cui scadenza si ponga dopo la domanda di concordato (sia esso in bianco che con deposito del piano). La ammissione alla procedura non vale tuttavia a scriminare sic e simpliciter l'omissione alla scadenza o a escludere successivamente gli effetti penali dell'omissione, dovendosi dare rilievo, ai fini che qui rilevano, unicamente alle situazioni nelle quali vi sia stato un provvedimento del tribunale che abbia vietato, o comunque non abbia autorizzato, come invece richiesto dall'interessato, il pagamento dei crediti, essendo configurabile la scriminante dell'adempimento di un dovere imposto da un ordine legittimo dell'autorità di cui all'art. 51 c.p., derivante da norme poste a tutela di interessi aventi anche rilievo pubblicistico, equivalenti a quelli di carattere tributario».

In conclusione, l'imprenditore in crisi, consapevole di avere un debito fiscale che verrà a scadenza certa, deve ponderare la miglior soluzione della crisi d'impresa e valutare in tale ambito anche le conseguenze penali della eventuale omissione del pagamento del debito, «non potendo opporre, per escludere la sua penale responsabilità, unicamente l'aver dato corso alla procedura negoziale di risoluzione della crisi d'impresa. […]

La causa di giustificazione dell'art. 51 c.p. può essere invocata laddove l'imputato sia destinatario o di un "ordine legittimo" del tribunale civile con cui gli si impone il divieto di pagamento dei crediti anteriori alla proposta di concordato, o di una mancata autorizzazione al pagamento degli stessi, non potendo la stessa essere individuata nel provvedimento di ammissione, ai sensi della l. fall., art. 163, nei confronti di debito scaduto nelle more tra la presentazione del ricorso con riserva e la sua ammissione, essendo tale situazione equiparabile, quanto alla possibilità di compimento di atti di straordinaria amministrazione, a quella del concordato con piano, e non potendo, sul versante penale, accordarsi valore di scriminante all'ammissione al concordato rispetto ad una condotta di reato già perfezionatasi». Il provvedimento impugnato viene dunque annullato avendo erroneamente affermato che l'imputato non poteva esercitare i poteri di amministrazione in forza dell'art. 167 l. fall..

La Cassazione rinvia il caso al Tribunale per un nuovo esame.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it

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