È illegittima la clausola del bando che fissa il limite del 30% per il subappalto

Leonardo Droghini
16 Giugno 2020

È illegittima la clausola del bando di gara di un appalto di lavori che limiti al 30% l'importo dei lavori subappaltabili, trattandosi di clausola che fa applicazione di una norma nazionale – l'art. 105 del codice dei contratti pubblici - contrastante con la vigente direttiva in materia di appalti pubblici così come interpretata dalla Corte di Giustizia.

Il caso. L'impresa ricorrentepartecipava a una procedura di gara per l'affidamento di lavori pubblici e, nella domanda di partecipazione, dichiarava di voler subappaltare le lavorazioni comprese nella categoria prevalente e in alcune categorie scorporabili, nel limite massimo del 30% dell'importo contrattuale, come previsto nel bando.

L'amministrazione, muovendo dal presupposto che una delle categorie di lavori in questione (OG 10) potesse essere subappaltata solo per l'intero importo previsto (non potendo, in ipotesi, l'offerente eseguirla in proprio per la sola parte per la quale è in possesso della relativa qualifica), escludeva la concorrente ritenendo che la dichiarazione contenuta nella domanda di partecipazione non esprimesse in modo inequivoco la volontà di ricorrere al subappalto integrale delle lavorazioni inerenti la predetta categoria. L'impresa impugnava il provvedimento di esclusione unitamente al bando di gara nella parte in cui, recependo la prescrizione contenuta nell'art. 105 del codice dei contratti pubblici, prevede un limite massimo all'importo subappaltabile, sottolineando la lesione di detta clausola per averle imposto di delimitare la volontà di ricorrere al subappalto anche con riferimento (fra le altre) alla categoria OG10, facendola in tal modo incorrere nella contestata esclusione.

La decisione. Il Collegio, osservato in via preliminare che i motivi di ricorso non erano formulati in via subordinata e ricordata la natura assorbente e preliminare della censura che investe la lex specialis, in base a quanto affermato dalla Adunanza Plenaria nella sentenza n. 5/2015, ha accolto il motivo di ricorso richiamando la sentenza del 26 settembre 2019 della Corte di Giustizia UE, C-63/18, la quale ha chiarito che la direttiva 2014/24 deve essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale, come quella di cui all'art. 105 del codice dei contratti pubblici, che limita in modo rigido ed indiscriminato al 30% la parte dell'appalto che l'offerente è autorizzato a subappaltare a terzi.

A nulla rileva poi il fatto che la predetta pronuncia sia stata pubblicata dopo la pubblicazione del bando posto che la stessa rende inapplicabile la normativa nazionale dichiarata in contrasto con quella comunitaria anche nei giudizi in corso non potendo il giudice nazionale assumere decisioni non conformi al diritto UE.

Da ciò consegue che il bando di gara, nella parte in cui ha fatto applicazione di una norma nazionale contrastante con la vigente direttiva in materia di appalti pubblici, così come interpretata dalla Corte di Giustizia, è illegittimo e va quindi annullato.

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