Sulla rilevanza della pendenza di procedimenti penali potenzialmente idonei a costituire illecito professionale
31 Luglio 2020
Il caso. La pronuncia, pur non innovando l'orientamento giurisprudenziale maturato sull'esclusione dalle procedure di gara in applicazione dell'art.80 comma 5 lett c del Codice dei contratti pubblici, merita di essere comunque segnalata per le ampie ed aggiornate considerazioni svolte sul tema. Il TAR ha accolto il ricorso incidentale (e comunque respinto quello principale) con il quale era stata censurata l'omessa dichiarazione della società ricorrente della pendenza di diversi procedimenti penali, nonché di alcune condanne tutte afferenti all'attività professionale, mentre ha respinto le doglianze relative a quei procedimenti per i quali, sebbene dichiarati in modo reticente, la stazione appaltante era stata posta nella condizione di richiedere ogni ulteriore approfondimento. Il TAR, al pari della prevalente giurisprudenza in materia, ha ritenuto che sebbene, per i soli reati tassativamente indicati dal paragrafo 1 dell'art. 57 della direttiva 2014/24/UE, e dell'art. 80, comma 1 del Codice dei contratti pubblici, la condanna comporti obbligatoriamente l'esclusione della impresa dalla gara, ciò non esclude che anche ulteriori ipotesi di reato previste dalla legge penale, indipendentemente da un loro accertamento, non abbiano rilievo in virtù di quanto previsto dal paragrafo 4 dell'art. 57 citato, dall'art. 80, comma 5, lett. c) del Codice. Tali reati consentono alla stazione appaltante di escludere il concorrente che si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità. In tale fattispecie, l'esclusione non discende automaticamente dall'avere riportato la condanna (come nel caso del comma 1), ma da un apprezzamento discrezionale della stazione appaltante circa i riflessi che esso abbia sulla affidabilità dell'operatore economico, sicché ciò che assume rilievo non è il titolo giudiziale penale, ma il fatto in sé considerato, come emergente dalle risultanze penali (esplicitamente, sul punto, Cons. Stato n. 1644 del 2019).
Ne segue che per il cd. principio di omnicomprensività della dichiarazione, l'impresa partecipante deve farsi carico di fornire “quante più informazioni possibili” (Cons. Stato, n. 5142/18), purché pertinenti, in linea astratta, rispetto al giudizio della stazione appaltante in ordine alla affidabilità ed all'integrità del concorrente (Cons. Stato, n. 5136 del 2018). Tale onere deriverebbe dall'impossibilità per quest'ultima di ricostruire autonomamente i fatti da cui desumere il grave illecito professionale, ove essi non siano stati segnalati dal concorrente. Tuttavia, ciò non significa, che ogni illecito penale sia, al contempo e sempre, “illecito professionale”. Ma il sospetto recato in sé dalla natura penale dell'illecito, quanto alla capacità di riverberarsi sugli indici di affidabilità professionale dell'operatore economico, ne rende necessaria in linea di principio l'ostensione, perché possono essere effettuate le necessarie valutazioni. Il Giudice, infatti, ha affermato che “non vi è ipotesi di reato che, alla luce delle peculiari manifestazioni del fatto, possa essere recisamente esclusa, a priori, dalla sfera professionale. Persino una guida in stato di ebrezza, se occorsa in occasione di un incontro lavorativo, o una violenza sessuale, se intervenuta sul luogo di lavoro e in danno di chi vi presta attività lavorativa, possono portare alla luce circostanze tali da configurare un deficit di affidabilità professionale”. Come evidenziato dalla sentenza, la Corte costituzionale (sentenza n. 168 del 2020, sulla vicenda del Ponte Morandi), ha recentemente affermato “al pari di chiunque altro, la pubblica amministrazione non può infatti essere obbligata a contrarre con parti che essa ritiene, in forza di elementi obiettivi, inaffidabili”, valutazione che in ogni caso deve essere effettuata in concreto con riferimento alla loro idoneità a costituire un “illecito professionale”. Nozione, quest'ultima, che non può che essere desunta dal considerando 101 della direttiva e dall'art. 57 della Direttiva 2014/24/UE, in virtù dei quali la Corte di Giustizia ha dedotto che ad avere rilievo sono i fatti che minano l'affidabilità dell'operatore economico, producendo un grave deficit di fiducia nei suoi confronti (si veda la sentenza- in C-41/18, paragrafo 30). Di qui l'affermazione del TAR – a valere anche per i procedimenti penali - a mente della quale “anche il concorso in capo al medesimo soggetto di una pluralità di contestazioni penali, ciascuna in sé di minor rilievo e persino apparentemente lontana dalla sfera professionale, può convergere a delineare un quadro complessivo di sostanziale inaffidabilità professionale dell'operatore economico, tale da permettere alla stazione appaltante di esercitare la prerogativa, esclusivamente sua propria, circa la opportunità di non avervi contatti, escludendolo dalla gara”. L'approdo del TAR, ampiamente condiviso in giurisprudenza, tuttavia sembra essere contraddetto dal capo della medesima sentenza per il quale “in definitiva, il Tribunale ritiene che viga una presunzione relativa di pertinenza della condanna penale nell'ambito delle gare pubbliche, tale che spetta all'operatore economico, in caso di contestazione, vincerla, dimostrando che, per lievità, occasionalità e marginalità, il fatto non sarebbe stato considerato pertinente, quanto alla sfera professionale, dall'homo eiusdem condicionis et professionis, e non avrebbe perciò dovuto essere dichiarato”. La descritta “presunzione relativa”, infatti, ammettendo la possibilità di una dimostrazione da parte dell'interessato delle ragioni per le quali la condanna (o il procedimento penale), non tempestivamente rappresentata, non avrebbe comunque dovuto essere dichiarata perché non pertinente, appare confliggere con il dichiarato “principio di omnicomprensività” della dichiarazione alla quale il TAR ha inteso dare attuazione.
In conclusione. La pronuncia del TAR così sintetizza l'attività valutativa della p.a: “a) non rileva in sé la condanna definitiva, ma il fatto emergente dagli atti; b) quest'ultimo è sempre rivalutato autonomamente dalla stazione appaltante, con riguardo ai riflessi che possa avere sulla affidabilità professionale del concorrente; c) ove il fatto sia accertato definitivamente con sentenza di assoluzione o condanna passata in giudicato, l'amministrazione, ferma l'autonomia del proprio apprezzamento, non potrà rispettivamente affermarne la sussistenza materiale o negarla, se non incorrendo in travisamento dei fatti (come si deduce dall'art. 653 c.p.p., che, quanto al procedimento amministrativo disciplinare, attribuisce efficacia di giudicato alla pronuncia definitiva di assoluzione o condanna, quanto all'accertamento sulla sussistenza del fatto); d) in ogni altra ipotesi, la stazione appaltante potrà prendere spunto dagli atti del procedimento penale; e) in tali casi, l'autonomia della valutazione amministrativa in ordine alla materiale sussistenza del fatto sarà comunque influenzata dall'andamento di tale procedimento, dal quale si potranno trarre elementi probatori tanto più significativi, quanto più esso è progredito (la mera pendenza del procedimento, ad esempio, nulla permetterà di dire per relationem, mentre il contrario va postulato in caso di ordinanze cautelari, di rinvio a giudizio, e, soprattutto, di condanne non definitive).” Il TAR ha inoltre tenuto a precisare che l'assetto normativo non lede la presunzione di non colpevolezza di cui all'art. 27 Cost., perché esso “è violato allorchè la legge preveda una misura che costituisca, nella sostanza, una sanzione anticipata in assenza di un accertamento definitivo di responsabilità”, ma non quando la norma risponde “a una logica in senso lato cautelare” (Corte cost. sentenza n. 248 del 2019).
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