Le note di variazione in diminuzione IVA nei confronti di un soggetto fallito in caso di contratti a esecuzione continuata o periodica

21 Settembre 2020

Con la risposta ad interpello n. 261 dell'11 agosto 2020, l'Agenzia delle Entrate si è soffermata sul momento a partire dal quale il creditore può emettere una nota di variazione in diminuzione ai fini IVA, qualora il proprio debitore sia stato interessato da un fallimento. In particolare, la società fallita ha ricevuto delle note di accredito dai fornitori di servizi ad esecuzione continuata o periodica (principalmente per servizi elettrici e telefonia). Trattasi nello specifico di documenti relativi a fatture rimaste insolute (emesse sia nel periodo antecedente che in quello successivo al fallimento) per servizi effettivamente resi all'istante nel periodo antecedente al fallimento.
Premessa

Con la risposta ad interpello n. 261 dell'11 agosto 2020, l'Agenzia delle Entrate si è soffermata sul momento a partire dal quale il creditore può emettere una nota di variazione in diminuzione ai fini IVA, qualora il proprio debitore sia stato interessato da un fallimento.

In particolare, la società fallita ha ricevuto delle note di accredito dai fornitori di servizi ad esecuzione continuata o periodica (principalmente per servizi elettrici e telefonia). Trattasi nello specifico di documenti relativi a fatture rimaste insolute (emesse sia nel periodo antecedente che in quello successivo al fallimento) per servizi effettivamente resi all'istante nel periodo antecedente al fallimento.

Dal momento che l'esercizio della clausola risolutiva per inadempimento e l'emissione delle note di variazione sono stati effettuati dopo la dichiarazione di fallimento, è stato chiesto a partire da quale data il fornitore può recuperare l'IVA non riscossa.

Prima di procedere ad esaminare la risposta dell'Agenzia è necessario soffermarsi sulla relativa normativa.

Quadro normativo

Si deve ricordare che le variazioni dell'IVA dovuta sono regolate dall'articolo 26 del d.P.R. n. 633/1973.

Le principali fattispecie che consentono l'emissione delle note di variazione in diminuzione sono le seguenti:

  • dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili (articolo 26, co. 2, primo periodo, del d.P.R. n. 633/72);
  • mancato pagamento del corrispettivo da parte del cessionario o committente, a causa di procedure concorsuali o di procedure esecutive individuali rimaste infruttuose (art. 26, co. 2, secondo periodo, e co. 12 del d.P.R. n. 633/72);
  • applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente (articolo 26, co. 2, terzo periodo, del d.P.R. n. 633/72);
  • rettifica di inesattezze della fatturazione (art. 26, co. 3, del d.P.R. n. 633/72);
  • risoluzione contrattuale, relativa a contratti a esecuzione continuata o periodica, conseguente a inadempimento di una delle due parti; tipicamente, il mancato pagamento del corrispettivo da parte del cessionario o committente (art. 26, co. 9, del d.P.R. n. 633/72).

In particolare, il secondo comma sancisce che è possibile operare una variazione in diminuzione quando un'operazione, per la quale sia stata emessa fattura e sia stata registrata secondo gli artt. 23 e 24, venga meno o se ne riduca l'ammontare imponibile a causa della dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili, oppure in conseguenza dell'applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente, oppure per mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali o di procedure esecutive rimaste infruttuose o a seguito di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell'articolo 182-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, ovvero di un piano attestato ai sensi dell'articolo 67, terzo comma, lettera d), del medesimo regio decreto n. 267 del 1942 (di seguito anche legge fallimentare), pubblicato nel registro delle imprese o in conseguenza dell'applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente.

Al fine di individuare il momento in cui tale circostanza si verifica, è necessario rifarsi ai numerosi chiarimenti forniti dall'Amministrazione finanziaria.

Secondo l'orientamento erariale, il cedente o prestatore dell'operazione può emettere la nota di variazione in diminuzione:

  • per il fallimento, in presenza di piano di riparto, in seguito alla pubblicazione del decreto con il quale il giudice delegato stabilisce tale piano (risoluzione n. 120/E/2009) o, più prudentemente, decorso il termine per le osservazioni al piano di riparto (circolare n. 77/E/2000);
  • per il fallimento, in assenza del piano di riparto, alla scadenza del termine per il reclamo avverso il decreto di chiusura della procedura (risoluzione n. 155/E/2001 e risoluzione n. 2008/E/195);
  • per il concordato preventivo liquidatorio o con continuità aziendale, con la definitività della sentenza di omologazione e al rispetto da parte del debitore concordatario degli obblighi ivi assunti (circolare n. 77/E/2000 e circolare n. 8/E/2017 par 13.2). In altri termini, rileva il compimento del piano di riparto (risposta ad interpello n. 113/E/2018);
  • per la liquidazione coatta amministrativa, con il decorso dei termini per l'approvazione del piano di riparto (circolare n. 77/E/2000).

Per quanto riguarda, invece, le procedure non concorsuali, il comma 12 dello stesso articolo 26 - introdotto dall'articolo 1, comma 126 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 e successivamente modificato dall'articolo 1, comma 567, lettera c), della legge 11 dicembre 2016, n. 232 - detta specifiche presunzioni, prevedendo che “Ai fini del comma 2 una procedura esecutiva individuale si considera in ogni caso infruttuosa:

a) nell'ipotesi di pignoramento presso terzi, quando dal verbale di pignoramento redatto dall'ufficiale giudiziario risulti che presso il terzo pignorato non vi sono beni o crediti da pignorare;
b) nell'ipotesi di pignoramento di beni mobili, quando dal verbale di pignoramento redatto dall'ufficiale giudiziario risulti la mancanza di beni da pignorare ovvero l'impossibilità di accesso al domicilio del debitore ovvero la sua irreperibilità;
c) nell'ipotesi in cui, dopo che per tre volte l'asta per la vendita del bene pignorato sia andata deserta, si decida di interrompere la procedura esecutiva per eccessiva onerosità”.

Come riportato dalla Consulenza giuridica dell' Agenzia Entrate 24 gennaio 2019 n. 2, in caso di impossibilità/difficoltà nell'applicare le presunzioni richiamate dall'articolo 26, comma 12, di cui sopra, sarebbero ancora valide le indicazioni generali contenute nella circolare n. 77/E del 2000, la quale ha così specificato: “il presupposto legittimante la variazione in diminuzione viene ad esistenza quando il credito del cedente del bene o prestatore del servizio non trova soddisfacimento attraverso la distribuzione delle somme ricavate dalla vendita dei beni dell'esecutato ovvero quando sia stata accertata e documentata dagli organi della procedura l'insussistenza di beni da assoggettare all'esecuzione”.

Il terzo comma prevede anche che gli eventi sopraindicati possano verificarsi in dipendenza di un sopravvenuto accordo fra le parti. In tali casi, la variazione deve essere registrata entro un anno dall'effettuazione dell'operazione imponibile.

Il comma 9, invece, prevede la possibilità di emettere nota di variazione in diminuzione nel caso di risoluzione contrattuale relativa a contratti ad esecuzione continuata o periodica, in conseguenza di inadempimento.

Tale possibilità è preclusa per “quelle cessioni e quelle prestazioni per cui sia il cedente o prestatore che il cessionario o committente abbiano correttamente adempiuto alle proprie obbligazioni”.

Infine, si ricorda che, secondo l'Agenzia delle Entrate, la nota di variazione deve essere emessa, al più tardi, entro i termini per l'esercizio della detrazione IVA ex art. 19, co. 1, del d.P.R. n. 633/72, vale a dire entro la data di presentazione della dichiarazione IVA relativa all'anno in cui si è verificato il presupposto per operare la variazione in diminuzione (Circolare n. 1/E/2018).

IVA non riscossa e insinuazione al passivo della procedura

L'Agenzia delle Entrate, con la risposta in esame, ritiene che, essendo stato dichiarato il fallimento prima dell'esercizio della clausola risolutiva per inadempimento e dell'emissione delle note di variazione, il fornitore, al fine di recuperare l'IVA non riscossa, debba necessariamente procedere secondo quanto disposto dal comma 2 dell'art. 26 del decreto IVA e, quindi, insinuarsi al passivo della procedura ed attendere l'esito della stessa (in caso di fallimento, la scadenza del termine per le osservazioni al piano di riparto finale o, in assenza di tale piano, alla scadenza del termine per opporre reclamo contro il decreto di fallimento - cfr. Circolare n. 77/E del 17 aprile 2000), non potendo beneficiare della disposizione di cui al successivo comma 12.

Pertanto, secondo tale interpretazione, le note di accredito vengono emesse avvalendosi del presupposto del "mancato pagamento" del corrispettivo, e non a seguito della "risoluzione del contratto" per inadempimento del cliente fallito.

Tale conclusione sarebbe coerente con quanto precisato nella risposta n. 328 del 2 agosto 2019, secondo la quale sarebbe rispettato quanto disposto dal comma 2 dell'art. 26, qualora la chiusura della procedura esecutiva individuale e l'emissione delle note di variazione in diminuzione, con relative annotazioni nei registri IVA che la stessa consente, siano avvenute in un momento precedente all'apertura della procedura collettiva che il fallimento sottende.

In questo caso la variazione in diminuzione operata risulterebbe corretta e l'insinuazione nel passivo fallimentare rileverebbe, nei limiti di quanto eventualmente percepito in ragione della stessa, per successive variazioni in aumento ex articolo 26, comma 1, del decreto IVA.

Non sarebbe, invece, valida tale conclusione qualora l'apertura del fallimento e l'insinuazione al passivo, come si è verificato nel caso oggetto, siano avvenute prima dell'emissione delle note di variazione.

Pertanto, secondo l'Agenzia delle Entrate, in tutti i casi in cui le note di variazione sono state emesse dopo la dichiarazione di fallimento, è necessario seguire quanto previsto per le procedure concorsuali.

In conclusione

Con specifico riferimento al caso dei contratti a esecuzione continuata o periodica, la norma, contenuta nel comma 9 dell'art. 26, consente il recupero dell'IVA, da parte del fornitore nei casi in cui la risoluzione conseguente all'inadempimento abbia effetto retroattivo a partire dalle forniture per le quali non è stato pagato il corrispettivo nonostante che il cedente o prestatore abbia correttamente adempiuto al proprio obbligo di consegnare i beni o rendere i servizi pattuiti (Assonime con la circolare n. 5 del 2016).

Pertanto, come chiarito dalla Direzione Regionale dell'Agenzia delle Entrate del Lazio, con parere del 3 maggio 2017, per tale tipologia di contratti, in presenza di risoluzione contrattuale per inadempimento, possono essere emesse note di variazione in diminuzione per le sole prestazioni che il "committente" ha ricevuto ma non ha onorato con il pagamento del relativo corrispettivo.


In generale, quindi, è possibile emettere note di variazione in diminuzione per i soli canoni fatturati ma non incassati dall'istante, nell'ipotesi in cui sia stata fatta valere la clausola risolutiva prevista dal contratto.


Nel caso in cui, però, la risoluzione contrattuale si innesti in un procedimento giudiziale, l'Agenzia delle Entrate ritiene che, laddove le parti abbiano pattuito una clausola risolutiva espressa (art. 1456 c.c.) e il fornitore si avvalga della suddetta clausola per "supposto" mancato adempimento della controparte che contesta l'addebito in sede giudiziale, l'emissione della nota di variazione in diminuzione sia subordinata all'esito del giudizio (principio di diritto del 2.4.2019 n. 13).

Ciò sarebbe, però, in contrasto con l'interpretazione letterale del comma 9, dell'art. 26 in commento, secondo la quale sarebbe sufficiente l'attivazione della clausola risolutiva espressa per ottenere la variazione IVA, ovvero un mero accertamento di fatto rispetto all'inadempimento (mancato pagamento del corrispettivo pattuito) del cessionario o committente.

Infatti, come sancito dalla giurisprudenza, a fronte della risoluzione per inadempimento da parte del consumatore finale di un contratto di abbonamento a servizi telefonici, il prestatore, in base alla norma sopravvenuta introdotta dal comma 126 dell'art. 1 della L. n. 208/15, ha la facoltà di variare in diminuzione la base imponibile dell'IVA in relazione alle prestazioni eseguite, e non remunerate antecedentemente alla risoluzione (Corte del Cassazione del 10 maggio 2019, n. 12468).
Del resto, come evidenziato nella stessa relazione illustrativa alla Legge di Stabilità 2016, che ha introdotto il comma 9 in esame, la nuova disposizione è volta a superare le attuali criticità della disciplina, ovvero "in caso di mancato pagamento dei crediti le disposizioni vigenti nell'ordinamento domestico rendono l'IVA addebitata dal cedente o prestatore sostanzialmente non recuperabile. Tale assetto non appare idoneo a garantire il rispetto di uno dei principi essenziali che presiedono al funzionamento dell'IVA: il principio di neutralità”.

È evidente, che l'intenzione del legislatore è stata quella di agevolare il recupero dell'IVA sollevando il fornitore dai tempi richiesti da una procedura concorsuale o esecutiva rivelatasi “infruttuosa”.

Pertanto, la risposta in commento è contraria a tale principio, in quanto costringerebbe il fornitore ad aspettare la chiusura della procedura per recuperare l'IVA.

In merito a tale problematica dei tempi di recupero, oltre rinviare ai principi stabiliti dalla Corte di Giustizia Ue nella sentenza 23 novembre 2017 relativa alla causa C-246/16 (richiamati dalla CTP di Vicenza con la sentenza del 17 aprile 2019, n. 145), si ricorda che, nella bozza del D.L. 104 del 14 agosto 2020 (c.d. " DL Agosto") si registrava una nuova disciplina dell'art. 26 del DPR 633/733 circa il momento di emissione delle note di variazione nelle ipotesi di procedure concorsuali, che era previsto "a partire dalla data in cui quest'ultimo è assoggettato a una procedura concorsuale" o dalla data del decreto che omologa un accordo di ristrutturazione (art. 182-bis del R.D. n. 267/42), o dalla data di pubblicazione nel Registro delle imprese di un piano attestato (art. 67 co. 3 lett. d) del R.D. 267/42).

Non essendo stata recepita tale disposizione nella versione definitiva del provvedimento, rimangano validi ancora i chiarimenti forniti dall'Agenzia delle Entrate, che non agevolano gli operatori economici in questo momento di crisi finanziaria, i quali devono attendere la chiusura della procedura per recuperare l'importo dell'IVA già versato all'erario.

Si auspica, pertanto, un ripensamento da parte del legislatore, magari in sede di conversione, che permetta di superare tale problematica.

Ciò permetterebbe allo Stato italiano di adeguarsi ai principi sanciti dalla Corte di Giustizia europea, secondo la quale, tra l'altro, deve essere permessa all'operatore economico la riduzione della base imponibile dell'IVA, qualora lo stesso possa dimostrare che il credito da egli vantato nei confronti del suo debitore risulta definitivamente irrecuperabile (sentenza dell'11 giugno 2020, n. C-146/19).

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