L'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato sulla responsabilità della curatela fallimentare in tema di rimozione rifiuti

La Redazione
12 Febbraio 2021

Con sentenza n. 3/2021, pubblicata il 26 gennaio 2021, l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato si è pronunciata in tema di obblighi di rimozione e smaltimento rifiuti in capo alla curatela fallimentare

L'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con sentenza n. 3 pubblicata il 26 gennaio 2021, si è pronunciata in tema di obblighi di rimozione e smaltimento rifiuti in capo alla curatela fallimentare, affermando che ricade sulla curatela fallimentare l'onere di ripristino e di smaltimento rifiuti di cui all'art. 192 D.Lgs. 152/1996 e che i relativi costi gravano sulla massa fallimentare.

La sentenza trae spunto dall'ordinanza di rimessione del Consiglio di Stato 15 settembre 2020, n. 5454 con cui veniva sottoposto all'Adunanza Plenaria il dubbio interpretativo sulla sussistenza o meno in capo al curatore fallimentare dell'obbligo ex art. 192 D.Lgs. 152/2006 (Norme in materia ambientale), di rimuovere i rifiuti abbandonati in aree di proprietà dell'azienda fallita, pur non essendo lo stesso curatore responsabile di tale dell'abbandono.

I Giudici evidenziano che la presenza dei rifiuti in un sito industriale e la posizione di detentore degli stessi acquisita dal curatore al momento della dichiarazione di fallimento, tramite l'inventario dei beni dell'impresa ex artt. 87 ss. L. Fall., determinano la legittimazione passiva all'ordine di rimozione.

La qualifica di "detentore", infatti, viene acquisita dal curatore non in relazione ai rifiuti, ma in riferimento al bene immobile inquinato su cui i rifiuti insistono.
Tale conclusione si fonda sulle disposizioni del D.Lgs. 152/2006 e nel rispetto della normativa comunitaria.

Nell'ottica del diritto europeo, infatti, “ i rifiuti devono comunque essere rimossi, anche quando cessa l'attività, o dallo stesso imprenditore che non sia fallito, o in alternativa da chi amministra il patrimonio fallimentare dopo la dichiarazione del fallimento”.

Secondo l'Adunanza Plenaria, inoltre, il curatore non può avvalersi neppure della facoltà, prevista dall'art. 42, comma 3, L.Fall., di rinunciare, “previa approvazione del comitato dei creditori, ad acquisire i beni che pervengono al fallito qualora i costi da sostenere per il loro acquisto e la loro conservazione risultino superiori al presumibile valore di realizzo dei beni stessi”.

Ciò per due ragioni: in primo luogo il ricorso alla rinuncia costituisce una eventualità che riguarda la gestione della procedura fallimentare e non incide sul rapporto amministrativo e sui principi in materia di bonifica; in secondo luogo il comma 3 dell'art. 42 L. Fall. fa riferimento a beni che entrano a diverso titolo nel patrimonio dell'imprenditore successivamente alla dichiarazione di fallimento e che sono oggetto di spossessamento:” esso comunque comporta che, a seguito della rinuncia del creditore, l'imprenditore stesso gestisca i medesimi beni che restano suoi e comunque non si applica ai casi – quale quello in esame – in cui il bene, cioè l'immobile inquinato, risulti di proprietà dell'imprenditore al momento della dichiarazione del fallimento”.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.