Presupposti temporali per la sussistenza degli obblighi dichiarativi per gli operatori economici: una lettura eurounitaria
26 Marzo 2021
Massima
Il comma 10 dell'art. 80 del d.lgs. n. 50 del 2016, in coerenza con il principio di proporzionalità che informa la fonte comunitaria da cui deriva, va inteso nel senso che il triennio di efficacia dell'interdittiva (peraltro inesistente nel disposto dell'art. 57, § 7, della direttiva 2014/24/UE), dopo l'adozione del d.lgs. n. 56 del 2017, decorre da quando è stato adottato l'atto definitivo, e, cioè, dal momento della conclusione del procedimento di risoluzione del pregresso rapporto contrattuale (Cons. Stato, Sez. V, 6 maggio 2019, n. 2895).
L'operatore economico deve portare a conoscenza della stazione appaltante tutte le informazioni relative alle proprie vicende professionali, anche non costituenti cause tipizzate di esclusione, ovvero è tenuto a dichiarare qualsiasi informazione astrattamente idonea a influire sulla sua affidabilità e moralità professionale, e ciò per consentire alla stazione appaltante di valutarne l'incidenza ai sensi dell'art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. n. 50 del 2016 (tra tante, Cons. Stato, Sez. V, 11 giugno 2018, n. 3592; 25 luglio 2018, n. 4532; 19 novembre 2018, n. 6530; Sez. III, 29 novembre 2018, n. 6787). Il caso
La vicenda che ha interessato il Consiglio di Stato ha ad oggetto la rilevanza temporale degli obblighi dichiarativi sulle circostanze riferibili a gravi illeciti professionali o ad altre condotte astrattamente rilevanti, che – come noto – possono condurre l'amministrazione all'esclusione di un operatore economico da una gara pubblica, a seguito dell'esercizio di un potere valutativo di carattere discrezionale. Nel caso in esame, un comune toscano ha affidato, a seguito di lettera di invito del 2019, un appalto triennale di servizi, sotto soglia, per interventi di segnaletica stradale su viabilità comunale. Il ricorrente ha quindi contestato la legittimità dell'aggiudicazione sotto il profilo della supposta violazione del principio di rotazione in relazione all'aggiudicatario. La controinteressata ha quindi proposto ricorso incidentale contestando la dichiarazione “omissiva/reticente” da parte della ricorrente in merito a due circostanze che rileverebbero in relazione all'ammissione del concorrente sotto il profilo dei requisiti soggettivi.
Maggiormente nel dettaglio, la ricorrente incidentale contesta le seguenti circostanze: (i) una precedente risoluzione da parte di un'amministrazione con provvedimento del 26 gennaio 2016 per un grave illecito professionale ai sensi dell'art. 38, comma 1, lett. f) d.lgs. n. 163/2006 (oggi, art. 80, comma 5, d.lgs. n. 50/2016, “Codice Appalti”); (ii) la sentenza (non definitiva) del 15 dicembre 2018 emessa dal Tribunale di Firenze per il reato di frode in pubbliche forniture (art. 356 cod. pen.) nei confronti di alcuni soggetti che, al tempo, ricoprivano la carica di presidente e vice-presidente nel consiglio di amministrazione della società partecipante alla gara.
Nell'accogliere il ricorso incidentale, e dichiarando inammissibile quello principale, il collegio del TAR ha ritenuto di aderire ad una tesi piuttosto restrittiva, secondo la quale l'omissione dichiarativa di tali fatti – posta in essere dall'operatore economico sulla base di una propria autonoma valutazione – fosse censurabile in quanto avrebbe impedito all'amministrazione “di esercitare le proprie facoltà discrezionali”. Allo stesso tempo, lo stesso TAR ha precisato che “Nel caso di specie tale valutazione non appariva univoca dovendo essere accertato se il termine di tre anni previsto dalla novella legislativa decorra dal fatto o dall'intervento dell'accertamento definitivo”.
In sede di appello, vale premettere che l'amministrazione ha insistito per la sopravvenuta carenza di interesse della ricorrente essendo stato concluso, nelle more, il contratto quadro con il relativo esaurimento dell'importo contrattuale massimo disponibile per i contratti applicativi. Sul punto, tuttavia, il Consiglio di Stato ha precisato che la conclusione del predetto accordo quadro non poteva ritenersi comunque idonea a far venir meno l'interesse della appellante alla definizione della controversia (sia sotto il profilo morale/curricolare sia sotto quello risarcitorio).
Così risolto tale profilo in rito, la sentenza ha esaminato nel merito la sussistenza del presupposto dichiarativo ritenendo che per entrambe le richiamate circostanze non vi fossero i presupposti per ritenere che l'operatore economico fosse tenuto a menzionare nel DGUE tali informazioni in sede di gara.
Purtuttavia, il Consiglio di Stato ha ritenuto di riformare la pronuncia di primo grado anche laddove ha dichiarato l'inammissibilità del ricorso di primo grado. Ad avviso del collegio, questo non conduce però all'accoglimento del medesimo ricorso, in quanto nel caso di specie non rileverebbe l'“indefettibile presupposto logico” del principio di rotazione: l'omogeneità del servizio posto a gara rispetto a quello svolto dal soggetto nei cui confronti opera l'inibizione (cfr. sul punto anche il par. 3.6 delle Linee Guida Anac n. 4). In altri termini, il gestore uscente era sì titolare di un precedente rapporto con l'amministrazione ma questo aveva ad oggetto un contratto la cui prestazione principale erano lavori. Al contrario, nella presente controversia l'oggetto dell'appalto riguarderebbe servizi. Pertanto, essendoci una “sostanziale alterità qualitativa” tra le due prestazioni contrattuali vi sarebbe stata una ammissibile deroga al principio di rotazione. Da qui il rigetto del ricorso in appello e la conseguente riforma della gravata sentenza di primo grado con reiezione del ricorso principale. La questione
La vicenda che si discute involge i presupposti degli obblighi dichiarativi che derivano per gli operatori economici sotto il profilo della loro rilevanza temporale, ai sensi dell'art. 80d.lgs. 50/2016 (Codice Appalti), e soprattutto a seguito della novella legislativa ad opera del d.lgs. n. 56/2017.
Le soluzioni giuridiche
Nell'argomentare in favore delle soluzioni giuridiche adottate, il Consiglio di Stato compie alcune utili precisazioni in tema di rilevanza temporale degli obblighi dichiarativi in capo agli operatori economici. A tal proposito è utile distinguere tra le due questioni oggetto della vicenda in disamina.
a) Sotto il profilo della prima circostanza (quella risolutiva), si controverte del dies a quo per la sussistenza del termine di rilevanza triennale dell'obbligo dichiarativo per gli operatori economici. Infatti, nel caso in esame vi era stato un provvedimento di esclusione (26 gennaio 2016) e un successivo contenzioso che si sarebbe consolidato il 4 dicembre 2017 a seguito della pubblicazione della relativa sentenza definitiva. Ad avviso del Collegio, deve rigettarsi la tesi avanzata nel corso del giudizio in base alla quale il termine di rilevanza triennale dovesse decorrere dall'accertamento definitivo del provvedimento a seguito del contenzioso che ne possa seguire e non dalla data di adozione di quest'ultimo. Secondo questa linea argomentativa, il Consiglio di Stato ha ripreso quanto statuito dalla medesima Sezione con la sentenza n. 2895 del 2019 laddove si è precisato che, diversamente opinando, si condurrebbe tuttavia ad una disparità di trattamento, in termini di durata, tra l'ipotesi di mancata impugnazione e quella di impugnazione del medesimo provvedimento: con l'inammissibile effetto che “la causa [di esclusione] possa operare a tempo indeterminato” (cfr. sul punto anche TAR Lazio, (Roma), Sez. II-ter, 11 maggio 2020, n. 4917 su una sentenza di patteggiamento per un reato per cui non vi è esclusione automatica ex art. 80, comma 1, ma solo astratta rilevanza sotto il profilo di cui al comma 5, lett. c) quale grave illecito professionale).
Ulteriormente, il Consiglio di Stato ha ribadito che il termine triennale va computato a ritroso dalla data di pubblicazione del bando, con la conseguente insussistenza dell'obbligo dichiarativo della circostanza in parola, trattandosi di un fatto occorso oltre il triennio alla data di pubblicazione del bando.
Sul punto, vale quindi richiamare come, per il Collegio, tale soluzione interpretativa – per cui la rilevanza triennale decorrerebbe da quando è stato adottato l'atto definitivo (es. provvedimento di conclusione del procedimento di risoluzione) – sarebbe, specie a seguito del Decreto Correttivo (n. 57/2017), “in coerenza con il principio di proporzionalità che informa la fonte comunitaria da cui deriva, ha rilevato che il riferimento alla definitività dell'accertamento, peraltro inesistente nel disposto dell'art. 57, § 7, della direttiva 2014/24/UE”.
In conclusione, la nozione di “accertamento definitivo”, così come menzionata dall'art. 80, comma 10, Codice Appalti, secondo la formulazione allora vigente, può ritenersi che decorra dalla data di adozione del provvedimento e si computi per il triennio a ritroso a partire dalla data di pubblicazione del bando.
b) Sotto il profilo della seconda circostanza (quella della sanzione penale), si deve richiamare che, secondo la ricostruzione prospettata nella decisione: (i) si trattava di una vicenda ancora sub judice e quindi astrattamente non definitiva; (ii) la circostanza riguardava una condanna di primo grado per il reato di frode in pubbliche forniture (356 cod. pen.) del 15 dicembre 2018 per fatti risalenti al 2011; (iii) la condanna aveva interessato due soggetti “cessati da qualsiasi carica all'interno della medesima rispettivamente da oltre cinque e due anni antecedenti all'avvio della procedura”; (iv) la società è stata sì interessata dal procedimento penale salvo venire poi assolta con formula piena.
Così descritto il contesto fattuale, si deve dare atto che il Consiglio di Stato ha ritenuto superabile siffatta circostanza, poiché “sfugge al giudizio di integrità e affidabilità dell'operatore economico” il fatto che vi sia stata l'emanazione della predetta sentenza di condanna (non definitiva) nel dicembre 2018, seppur la procedura di gara sia stata avviata ad inizio 2019. Questo in base all'assenza nel caso concreto del necessario presupposto della ‘attualità'. Tale giudizio sull'attualità deve quindi essere svolto attorno all'assetto societario dell'operatore economico “siccome delineato al momento della partecipazione alla gara” oppure “operante nel precedente lasso temporale annuale, indicato, ai fini della rilevanza della posizione dei cessati, dall'art. 80, comma 3, del d.lgs. n. 50 del 2016”, che era ampiamente decorso alla data della indizione della procedura. Infatti, almeno dal 2018 nessuno dei due soggetti interessati dal provvedimento di condanna era più parte della governance societaria. In adozione di tali presupposti, si è quindi ritenuto che non sussistesse un onere dichiarativo per l'operatore economico, essendo “ampiamente decorso” tale termine di rilevanza alla data dell'indizione della procedura di gara. Osservazioni
La decisione in esame si caratterizza per le utili puntualizzazioni su un tema di importante rilievo in materia di obblighi dichiarativi: la rilevanza giuridica sotto il profilo temporale nel settore degli appalti pubblici di circostanze incidenti sull'integrità e professionalità degli operatori economici e quindi, in altri termini, sul perdurare per i concorrenti delle gare pubbliche dell'obbligo dichiarativo di fatti astrattamente di interesse per l'amministrazione.
Preliminarmente deve segnalarsi che il termine della rilevanza triennale è stato oggetto di ulteriori (e successive) modifiche da parte del decreto “Sblocca Cantieri” (d.l. n. 32/2019) con decorrenza dal 18 giugno 2019, con la modifica del richiamato comma 10 e con l'inserimento del successivo comma 10-bis. Tale aspetto non sembra comunque aver cambiato le direttrici ermeneutiche della questione (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 7 dicembre 2020, n. 7730).
Ad ogni buon conto, nella sentenza in commento si è mostrato come con riferimento ad un pregresso evento risolutivo il Consiglio di Stato abbia ritenuto di precisare che la rilevanza temporale dello stesso, di tipo triennale, non potesse che farsi decorrere dall'adozione del provvedimento. Tale aspetto si desume proprio in ragione di una lettura eurouinitaria in conformità con il principio di proporzionalità e della stessa direttiva 2014/24/UE (“Direttiva Appalti”). Quest'ultima, infatti, sotto la rubrica “motivi di esclusione” ha precisato all'art. 57, paragrafo 7, che “[…] Se il periodo di esclusione non è stato fissato con sentenza definitiva, tale periodo non supera i cinque anni dalla data della condanna con sentenza definitiva nei casi di cui al paragrafo 1 e i tre anni dalla data del fatto in questione nei casi di cui al paragrafo 4 [ovvero i gravi illeciti professionali di cui all'art. 80, commi 4 e 5, Codice Appalti, NdR]”.
Peraltro, è altresì utile precisare come la giurisprudenza amministrativa fosse già arrivata, per via interpretativa, alle medesime conclusioni con la sentenza n. 6576/2018. In tale decisione, il Consiglio di Stato ha ritenuto che, pur in assenza (al tempo) di una espressa previsione da parte del legislatore nazionale, era comunque possibile far valere la richiamata disciplina di cui all'art. 57, par. 7, della direttiva in quanto quest'ultima sarebbe stata “munita di efficacia diretta c.d. verticale nell'ordinamento interno”. Pertanto, ormai decorso il termine per il recepimento della stessa direttiva, ad avviso di tale decisione, la legislazione interna attuativa della direttiva presentava ancora una lacuna proprio con riferimento ai gravi illeciti professionali che poteva essere colmata “facendo diretta applicazione della disposizione euro-unitaria”.
Guida all'approfondimento In dottrina: G. Pesce, L'ammissione alle procedure (artt. 79-82), in M. Clarich (a cura di), Commentario al codice dei contratti pubblici, 2019, 607-643. |