Fallimento senza previa risoluzione del concordato: è possibile?

07 Aprile 2021

Il decisum in commento pone al centro dell'attenzione il tema, largamente discusso, della possibilità della dichiarazione di fallimento di un'impresa ammessa ad un concordato omologato e non eseguito, senza la previa risoluzione di quest'ultimo. Trattandosi di una questione di massima di particolare importanza, i Giudici della I sezione civile, con l'ordinanza n. 8919/21, depositata il 31 marzo, la rimettono al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.

Il fatto. La Corte d'Appello di Campobasso ha revocato la dichiarazione di fallimento della Beta S.p.a. in ragione della mancanza della previa risoluzione del concordato preventivo. In particolare, la Corte distrettuale ha ritenuto che fosse da considerarsi illegittima la dichiarazione di fallimento prima della risoluzione del concordato preventivo non eseguito e tuttavia non impugnato dai creditori, ai sensi dell'art. 186 l. fall. La sentenza della Corte molisana è stata censurata dal fallimento della Beta S.p.a. con ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui ha resistito la Beta S.p.a. in liquidazione. Ambedue i gravami riguardano la questione dell'ammissibilità dell'istanza di fallimento, ex artt. 6 e 7, l. fall., nei confronti di un'impresa già ammessa al concordato preventivo poi omologato, a prescindere dall'intervenuta risoluzione del concordato. La quaestio prospettata involge, peraltro, l'ulteriore approfondimento della possibilità di fallimento solo per un'insolvenza nuova rispetto al momento dell'omologazione del concordato ovvero anche per l'inadempimento alle obbligazioni discendenti dall'esecuzione dello stesso concordato omologato e, in caso di ammissibilità del fallimento in tali ipotesi, della possibilità di un eventuale fallimento dell'impresa ammessa al concordato omologato, anche prima dello spirare del termine annuale di cui all'art. 186, comma 3, l. fall.

Il creditore insoddisfatto può senz'altro avanzare istanza di fallimento, ai sensi dell'art. 6 l. fall., a prescindere dall'intervenuta risoluzione del detto concordato. Questo il principio affermato nella giurisprudenza di legittimità, essendo ormai venuto meno – dopo la riforma dell'art. 186 l. fall., introdotta dal d.lgs. n. 169/2007 – ogni automatismo tra risoluzione del concordato e dichiarazione di fallimento e dovendo l'istante proporre la domanda di risoluzione, anche contestualmente a quella di fallimento, solo quando faccia valere il suo credito originario e non nella misura già falcidiata. (Cass. n. 17703/17). È stato ulteriormente precisato che nelle ipotesi qui in esame si tratta di dar corso ad un principio generale che permette ai soggetti legittimati, ex artt. 6 e 7 l. fall., di provocare la dichiarazione di fallimento del debitore commerciale insolvente, escludendosi che la specialità dell'art. 186 l. fall., pur predicabile, abbia portata soppressiva delle prime disposizioni e dunque sia estesa a vicende diverse dal rapporto tra risoluzione del concordato e fallimento in consecuzione; che infatti la “nuova insolvenza” esprima continuità finanziaria con la precedente è questione di mero fatto, ciò che rileva essendo solo la circostanza obiettiva del mancato adempimento delle obbligazioni concordatarie fatto valere dal P.M. non per provocare la risoluzione del concordato e la riapertura del fallimento, ex artt. 137 e 186 l. fall., bensì per ottenere l'istaurazione di un fallimento ex novo, nel quale le obbligazioni idonee a sostenere il giudizio d'insolvenza sono quelle riscritte a seguito dell'omologazione oltre ad altre sopravvenute (Cass. n. 26932/17).

Al contrario, in dottrina si sostiene la non dichiarabilità del fallimento dell'impresa ammessa al concordato preventivo omologato ineseguito, senza la preventiva risoluzione del concordato stesso. Secondo un'autorevole opinione, occorrerebbe considerare, in primo luogo la mancanza di una norma che, nell'ambito del nostro ordinamento positivo autorizzi i soggetti, legittimati ai sensi degli artt. 6 e 7 l. fall., a chiedere la “conversione” in fallimento di un concordato inadempiuto ma non risolto, a differenza di quanto invece espressamente previsto dal legislatore nelle diverse ipotesi di cui agli artt. 162, comma 2, e 173, comma 2, l. fall. Si evidenzia che rimarrebbe comunque aperta, nell'ipotesi di concordato inadempiuto e non risolto, la possibilità di agire eventualmente in executivis sui beni del debitore, con la conseguente effettività di tutela del credito, seppure diversa dalla sede fallimentare.

L'inammissibilità del fallimento “omisso medio”. Lo stato di crisi e insolvenza posto alla base della procedura concordataria, è rimosso dall'effetto esdebitatorio dell'omologazione, da cui discende il ritorno in bonis dell'impresa ammessa alla procedura pattizia, con la conseguenza che non sarebbe sufficiente il pur conclamato inadempimento a concretare un'insolvenza, che, invece, soltanto la risoluzione del concordato può far legittimamente riemergere. Ne consegue ancora che l'impresa, ammessa al concordato omologato, non potrebbe essere dichiarata fallita se non sulla base di una nuova insolvenza, determinata per l'effetto di obbligazioni contratte successivamente all'omologazione e rimaste comunque inadempiute. La contraria opinione ha tratto linfa soprattutto da una risalente pronuncia della Consulta (Corte cost. n. 106/2004) secondo cui una lettura delle norme impugnate conforme a Costituzione non preclude all'interprete di giungere alla opposta conclusione che - ferma l'obbligatorietà del concordato per tutti i creditori anteriori al decreto di apertura - anche in assenza della risoluzione del concordato possa giungersi non soltanto ad una dichiarazione di fallimento “in consecuzione” ma anche ad un'autonoma dichiarazione di fallimento.

In conclusione, risulta quindi decisiva la domanda relativa alla possibile compatibilità di un concordato inadempiuto “convertito” in fallimento con l'assetto ordinamentale vigente e con l'interpretazione, giurisprudenziale e dottrinale prevalente, espressa sulle finalità perseguite con lo strumento concordatario.

Fonte: dirittoegiustizia.it

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