La liquidazione del compenso dell’avvocato va “giustificata compiutamente”

13 Aprile 2021

Il caso in rassegna pone al centro dell'attenzione il tema della liquidazione degli onorari dell'avvocato. Nello specifico, si tratta di stabilire le modalità di determinazione del compenso spettante ad un legale per l'attività professionale giudiziale da lui svolta nell'interesse di una società in bonis, nell'ambito di una causa di oltre 1,5 milioni di euro.

La Suprema Corte, con l'ordinanza n. 9464/21, depositata il 9 aprile, chiarisce che la liquidazione giudiziale del compenso spettante ad un avvocato da effettuarsi alla stregua dei parametri sanciti dal D.M. 140/2012 ed in relazione all'attività professionale da lui svolta, nell'interesse del proprio cliente, in una controversia di valore superiore a euro 1.5000.000,00 postula che l'operato del giudice, ai sensi dell'art. 11, comma 9, D.M. predetto, consenta di individuare le modalità di determinazione del concreto importo originario - ricompreso tra quelli minimo, medio e massimo, riferiti, di regola, allo scaglione precedente (fino ad euro 1.500.000,00) - successivamente da incrementarsi, specificandosene il criterio concretamente adottato, in funzione dell'effettivo valore della controversia, della natura e complessità della stessa, del numero e dell'importanza e complessità delle questioni trattate, nonché del pregio dell'opera prestata, dei risultati del giudizio e dei vantaggi, anche non patrimoniali, conseguiti dal cliente.

Il fatto. All'interno dell'operazione di ristrutturazione aziendale della Beta s.r.l., veniva attribuita una consulenza legale all'avvocato F., il quale aveva predisposto, in particolare, la domanda di ammissione al concordato preventivo della società fallita. In un primo momento, l'avvocato era stato ammesso al passivo, in via prededuttiva, per una somma pari a circa euro 150 mila, che però, il Tribunale di Como, a seguito dell'impugnazione allo stato passivo presentata, ex art. 98 l. fall., da Mevio, riduceva nella minor somma pari a circa euro 24 mila.
Il giudice lariano aveva osservato che, in assenza di un accordo tra le parti, il compenso doveva essere parametrato alla tariffa prevista dal D.M. 140/2012 per l'attività di avvocato, non potendosi applicare, come erroneamente disposto dal giudice delegato, le tariffe professionali dei dottori commercialisti. Filano ricorre, quindi, ai giudici di legittimità.

Per l'avvocato non valgono le tariffe dei dottori commercialisti. L'avvocato invoca, in particolare, la necessità di parametrare il compenso dovutogli all'attività di “assistenza in procedure concorsuali”, di cui all'art. 27 D.M. 140 del 2012, anziché, come fatto dal Tribunale Lariano, a quella giudiziale espletata nei “procedimenti cautelari o speciali o non contenziosi”, di cui all'art. 7 del medesimo decreto. Tuttavia, i Giudici della Suprema Corte dichiarano la censura infondata, puntualizzando che il predetto art. 27 si riferisce alla generica attività di assistenza in procedure concorsuali, vale a dire quella attività che la norma individua nell'esecuzione di incarichi di complessiva assistenza al debitore nel periodo pre-concorsuale (e nel corso di una procedura di concordato preventivo, accordo di ristrutturazione di debiti e di amministrazione straordinaria). Incarichi che, per non essere individuati in relazione a profili specifici, postulano che il compenso debba essere determinato “in funzione del totale delle passività”, così da risultare liquidabile, “di regola, secondo quanto indicato dal riquadro 9 della tabella C- Dottori commercialisti ed esperti contabili (v. Cass. 16934/18). Ne consegue l'impossibilità di utilizzare analogicamente il menzionato art. 27, dettato per la liquidazione del compenso ai dottori commercialisti, per la quantificazione del compenso per la diversa ed affatto specifica attività, (nella specie esclusivamente la redazione del ricorso, ex art. 161, comma 6, l. fall., e la partecipazione agli atti del conseguente procedimento), espletata da un avvocato in sede giudiziale. Ad una diversa conclusione nemmeno può condurre la circostanza, assolutamente pacifica, che l'avvocato avesse svolto anche attività stragiudiziale.

Le modalità di quantificazione del compenso liquidato all'avvocato vanno giustificate compiutamente. Tuttavia, chiariscono i supremi giudici, l'iter procedimentale e motivazionale complessivamente seguito dal Tribunale di Como per la quantificazione del compenso liquidato a Filano per l'attività professionale giudiziale non può essere condiviso. Difatti, il giudice comasco avrebbe dovuto giustificare compiutamente le modalità di determinazione del concreto importo originario – ricompreso tra quelli minimo, medio e massimo, riferiti, di regola, allo scaglione precedente (fino a 1,5 milioni di euro) – successivamente da incrementarsi, specificandosene il criterio concretamente adottato, in funzione dell'effettivo valore della controversia, della natura e complessità della stessa, del numero e dell'importanza e complessità delle questioni trattate, nonché del pregio dell'opera prestata, dei risultati del giudizio e dei vantaggi, anche non patrimoniali, conseguiti dal cliente.

In conclusione. Le affermazioni del giudice lariano non permettono di individuare con la necessaria chiarezza, la giustificazione del decisum. Esse, invero, sarebbero parimenti utilizzabili anche nel caso di una controversia rientrante tra quelle di valore fino a 1,5 milioni di euro, così giungendo, immotivatamente, a trattare allo stesso modo fattispecie evidentemente diverse.

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www.dirittoegiustizia.it

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