La coincidenza “COMI” - sede statutaria è presunta fino a prova contraria
21 Aprile 2021
Il caso. Nel giudizio di reclamo ex art. 18 l.fall. avverso la sentenza dichiarativa di fallimento la società fallita contestava la sussistenza della giurisdizione del Giudice italiano per violazione del Regolamento CE 1346/2000 in quanto la sede era stata trasferita a Londra. La Corte d'Appello respingeva il reclamo confermando la dichiarazione di fallimento poiché riteneva che lo spostamento della sede all'estero era solo fittizio. La società proponeva ricorso in Cassazione.
La decisione della Cassazione. Secondo la Corte d'Appello la società in realtà non aveva svolto alcuna attività produttiva a Londra e soprattutto non aveva spostato il centro direttivo, amministrativo e organizzativo dell'impresa stessa. Il trasferimento in Inghilterra era quindi fittizio e non valeva a radicare la giurisdizione del Giudice estero, dovendosi al contrario confermare quella italiana. Con il primo motivo di ricorso la parte sostiene la violazione del Regolamento CE 1346/2000 spiegando che l'individuazione in Italia del centro degli interessi principali della debitrice era in contrasto con i principi della Cassazione e della Corte di Giustizia UE. Sotto altro profilo la società insisteva sul fatto che lo spostamento di sede era certamente effettivo come confermato dal mutamento della compagine sociale e dell'organo amministrativo, dalla cessione dell'azienda, dalla cancellazione dal registro imprese con estinzione dei titoli abilitativi per l'uso degli impianti produttivi. Con il secondo motivo la società sosteneva che la Corte d'Appello non aveva svolto accertamenti istruttori per sostenere la fittizietà del trasferimento e che comunque non spettava alla società dimostrare la coincidenza tra il centro di interessi principali (il cosiddetto "COMI") e la sede legale, dato che simile circostanza era presunta sollevando la debitrice dall'onere probatorio relativo. La Corte di Cassazione respinge i motivi di ricorso giudicando il gravame non ammissibile. In primo luogo, evidenzia che il ricorso per la dichiarazione di fallimento è stato depositato il 12 febbraio 2018 pertanto, ratione temporis, non è possibile invocare il Regolamento CE 1346/2000, bensì il Regolamento UE 848/2015 sulle procedure di insolvenza applicabile a partire dal 26 giugno 2017. Anche nella normativa del 2000 – come in quella del 2015 – era previsto che il Giudice competente a dichiarare lo stato di insolvenza fosse quello in cui era situato il COMI, cioè il centro principale degli interessi dell'impresa. Si prevedeva altresì una presunzione di coincidenza tra COMI e sede statutaria, ma non vi era una specifica definizione del concetto. Vi era solo un riferimento nel tredicesimo Considerando del testo normativo stesso. Il Regolamento 848/2015 esplicita la definizione inserendo nell'art. 3 una disposizione conforme al tredicesimo Considerando citato. In definitiva la norma in questione ai primi due commi così recita: «sono competenti ad aprire la procedura d'insolvenza i giudici dello Stato membro nel cui territorio è situato il centro degli interessi principali del debitore («procedura principale di insolvenza»). Il centro degli interessi principali è il luogo in cui il debitore esercita la gestione dei suoi interessi in modo abituale e riconoscibile dai terzi. Per le società e le persone giuridiche si presume che il centro degli interessi principali sia, fino a prova contraria, il luogo in cui si trova la sede legale. Tale presunzione si applica solo se la sede legale non è stata spostata in un altro Stato membro entro il periodo di tre mesi precedente la domanda di apertura della procedura d'insolvenza». Nel caso in esame la sede era stata trasferita a gennaio 2017, mentre l'istanza di fallimento era del febbraio 2018. Di conseguenza, sebbene il riferimento al Regolamento 1346/2000 fosse errato, era corretta l'affermazione della parte sulla regola della presunzione di coincidenza tra COMI e sede statutaria. All'atto pratico però la Corte d'Appello ha ritenuto superata tale presunzione sulla base degli elementi di fatto emersi nel corso del giudizio. Il tutto era motivato puntualmente in sentenza e le contestazioni relative svolte dalla ricorrente – a giudizio della Cassazione – erano generiche e non conformi neppure ai principi di autosufficienza che regolano il procedimento in Cassazione. In particolare, non era decisiva l'avvenuta cancellazione della società dal registro imprese italiano in conseguenza dell'avvenuto trasferimento all'estero. Infatti, secondo La Suprema Corte è sempre possibile accertare successivamente che il trasferimento è in realtà fittizio, anche nel caso in cui la cancellazione non sia stata seguita da altro provvedimento di segno contrario. La Corte dichiara quindi non ammissibile il ricorso della società fallita.
Fonte: www.dirittoegiustizia.it |